Francesca’s
POV
Le
nuvole di settembre attenuavano il
cielo che era di un azzurro da far male.
L’erba bagnata mi solleticava le
caviglie e l’aria fresca, il vento, lambivano la mia pelle.
Chiusi gli occhi per un momento,
cercando di assaporare al meglio quel momento, un momento
così perfetto e umano da
sembrare quasi irreale.
Era
questo che desideravo prima della caduta?
mi domandai scoraggiata dalla
mia stupida mente che mi aveva subito riportata alla realtà.
Sì,
lo desideravo. Stavo
per alzarmi quando una voce giunse alle mie orecchie.
“Tranquilla, puoi anche rimanere
sdraiata” mi voltai e vidi Damon Salvatore che mi osservava
dall’alto, a
braccia conserte.
“Damon…” “Cosa
c’è, speravi di vedere
qualcun altro?” “In realtà stavo per
andarmene” dissi alzandomi e guardandolo
dritto in quegli occhi così azzurri da rispecchiare il
cielo.
“E non resteresti un po’ con me?”
“Uhm…
Non ho tempo da perdere con i ragazzini” lui rise divertito,
ma sapevo
benissimo che era in imbarazzo perché le sue gote si tinsero
impercettibilmente
di rosso.
“Io, un ragazzino?” “Sì, come
tuo fratello
del resto… quanti anni hai? Sedici?” lui
sembrò irritato. “Raggiungerò la
maggiore età a novembre dell’anno
prossimo” “Grande traguardo… ma
guardati, sei
ancora un bambinetto” mi alzai ed iniziai ad incamminarmi
verso casa.
“Cosa intendi dire scusa? Io non sono un
bambino!” “E dovrei crederti mentre usi questo tono
di voce lamentoso?” “Dai,
Francesca… Se fossi davvero un bambino non ti sarei venuto a
cercare” risi. “E
perché, di grazia?” “Beh…
tutti i bambini sanno che non bisogna avvicinarsi
alle streghe” mi voltai
immediatamente verso di lui, divertita più che offesa.
“Ma esistono anche i bambini incoscienti”
i nostri nasi quasi si toccavano. “... molto
incoscienti” sussurrai
imbambolata, persa nei suoi occhi che tanto mi ricordavano il posto dal
quale
ero stata cacciata.
Poi però lo guardai di nuovo,
interamente.
Un ragazzino, ben lungi dal diventare un
uomo, con ginocchia ossute e il viso rotondo che segna i bambini fino a
quando
non diventano grandi.
Mi scansai velocemente, evitandolo.
“I bambini non devono giocare con i
mostri. Mai” iniziai a
correre verso
la porta, disgustata da ciò che stavo per fare:
l’avrei baciato, gli avrei
sussurrato parole dolci nell’orecchio e l’avrei
portato in un posto appartato
per prosciugare il suo corpo di tutto il sangue del quale era a
disposizione.
“Perché guardi sempre il cielo?” mi
domandò lui, senza muovere un passo.
Mi
voltai, incrociando ancora una volta
il suo sguardo.
“Molte persone che amo sono lassù”
“Oh…
tu credi in Dio?” domandò stupito.
Non sapevo come rispondergli, mi ero
infilata in una situazione senza vie d’uscita.
Mi buttai sul prato verde e lui fece lo
stesso, sedendosi accanto a me.
“Sì.
Sì, ci credo” lui scosse il capo.
“Io no. Affatto… Insomma, non nel Dio di
cui tutti tessono le lodi” “Cosa
intendi?” “Mia madre è morta quando io e
Stefan eravamo ancora bambini. Era una donna fantastica, unica. Mi
manca ancora”
lo guardai perplessa.
Stava rivelando proprio a me un lato
nascosto della sua personalità, il suo lato debole. E non lo
stavo neanche
soggiogando per farlo.
“Mi dispiace, Damon…” cercai di posare
la mia mano sulla sua, ma lui la scansò.
“No, non voglio la tua pietà. Sto solo
cercando di spiegarti perché non credo in Dio. Mia madre non
meritava di
morire, non aveva fatto niente di male…” la sua
voce era debole.
“Quindi se esiste un dio lassù… Deve
essere certamente un dio molto crudele, terribile” rimasi
colpita da quelle
parole dal tono aspro.
“Sai una cosa? Hai proprio ragione…” lo
guardai e sorrisi. Non era così infantile, dopotutto.
Sorrise di rimando ed iniziò a guardare
il cielo.
“Francesca, ti devo chiedere una cosa”
“Che
cosa?” “Tu sai qualcosa delle aggressioni avvenute
negli ultimi tempi?” “Io?
No, non ne so niente” dissi preoccupata.
Ma non me la sentivo di soggiogarlo,
così rimanemmo lì, a parlare.
E parlammo a settembre, a ottobre, a
novembre, e tutti i giorni dei mesi che seguirono.
E parlai anche tanto con suo fratello Stefan,
così dolce e sensibile, comprensivo e torturato…
E, volente o nolente, seppi che niente
sarebbe mai stato come prima.