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Autore: Claire Knight    22/10/2011    9 recensioni
"Ora, di fronte a quel panificio, un tremendo presentimento si faceva largo nella mia mente. Gli occhi del mio interlocutore erano caldi e rassicuranti, mi incoraggiavano a ricordare qualcosa che avevo dimenticato da tempo. Poi vidi le sue labbra muoversi senza emettere suono e tutta la sua figura svanire.
< Dove sei? > esclamai, avvertendo l'aria nuovamente fredda. Incredibile come la sua sola vicinanza fosse stata in grado di riscaldarmi senza che io me ne accorgessi.
< Cosa faresti? > mi disse, irrompendo nuovamente nella mia testa, < Cosa faresti se avessi l'occasione di tornare indietro al giorno della loro morte? >. "
Buona lettura!!
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non è fuoco ciò che brucia.


Non mi era mai capitato di galleggiare nell'aria. Anzi, forse di aria non ce n'era nemmeno, ovunque mi trovassi: avevo l'impressione di non respirare, di non esistere.
Ciò che vedevo era confuso. Poggiavo i piedi su un terreno invisibile, non c'era una strada, un sentiero da seguire. Pian piano, cominciai a scorgere le figure delle case e degli edifici, che comparivano ai miei occhi come semplici linee scure. Ma nessun colore. Nessun suono. Inoltre, vedevo tutto storto, e mi doleva la testa.
Improvvisamente mi resi conto di esser steso a terra, il viso voltato di lato. Provai a voltarmi, ad alzarmi in piedi. Ma una fitta alla testa mi bloccò a terra un'altra volta. Volsi lo sguardo a destra e scorsi una figura ferma, in lontananza, e, mentre a poco a poco i suoi contorni andavano delineandosi, mi ordinai fermamente di alzarmi.
Mi attesi il dolore di un attimo prima, ma il mio corpo reagì all'ordine del cervello senza far fremere nessun muscolo. La testa non girava più, la vista si era acuita, come i sensi, che anche rimanevano immobili e non coglievano nessun rumore o movimento di sorta.
La figura scura in lontananza, non era poi tanto lontana. Gli corsi incontro, riconoscendo l'ombra di una bicicletta. Ombra. Perché, c'era il sole, da qualche parte? Era un uomo, il volto anziano imperlato di rughe, che poggiava una gamba a terra, il corpo teso nel gesto di lanciare qualcosa. Un giornale, vidi un cane poco lontano che saltava per prenderlo al volo.
Ma il sangue mi si gelò nelle vene. Era immobile, quasi fosse di pietra. Indietreggiai di qualche passo, terrorizzato.
Dove sono? mi chiesi per la prima volta da quando avevo aperto gli occhi. Dov'ero finito: in un museo di cere? Se sì, come poteva quell'animale rimanere sospeso in aria così? Che ci fossero dei fili che lo tenevano appeso? Gli andai vicino e, con mano tremante, constatai che nulla, né sopra né sotto lo sorreggeva.
Cosa succede? Che posto è mai questo?
Arretrai ancora di più e con la schiena sbattei contro qualcosa. Mi voltai di scatto, ritrovandomi di fronte un palo d'acciaio che sorreggeva un cartellone che facevava la pubblicità ad un musical in uscita in quel periodo.
Lessi l'insegna titubante e sentii il mio cuore perdere un battito. Non poteva essere, sicuramente era un errore.
Non poteva essere il 15 agosto del 1995.
Un brivido mi scosse e, improvvisamente, la paura accese la mia incondizionata voglia di fuggire da quel luogo. Perché, qualunque esso fosse, mi bastava sapere che giorno fosse per desiderare di scappare.
Mi allontanai dal cartellone, dirigendomi verso il centro della piazza, o così credevo: lì nulla poteva assicurarmi di andare dalla parte giusta. Il bianco continuava ad essere il colore predominante, assieme al grigio delle case. Altre immagini, figure, statue di uomini e donne apparivano accanto a me. Bambini che correvano dietro ad un gatto selvatico, madri e donne anziane che compravano qualche mela alle bancarelle. Ora capivo: era un mercato di paese. Qualche paese sperduto che non conoscevo sicuramente. Al tempo, nel '95, doveva essere una bella scena, ma in quel momento era capace di farmi venire la pelle d'oca. Perché era ferma. Immobile, già solo un ricordo. Quelle persone, quei luoghi, avevo l'impressione di averli già visti, sepolti a fondo nella memoria.
Non sapevo dove andare. Perché, d'un tratto, la piazza era piena e vuota al tempo stesso. Il mio respiro rompeva il silenzio: faceva paura persino quello.
Dove sono? Cosa succede? mi domandai ancora, esasperato, senza trovare alcun rimedio al tremare delle mie mani. Avevo paura. Forse era la prima volta in tutta la mia vita: nulla era mai riuscito a farmi cedere, nemmeno le storie più paurose di Halloween o i peggiori film horror.
Era così che si sentivano i protagonisti dei film del terrore?
< Fuusuke >.
Sobbalzo, guardandomi intorno con gli occhi grandi per la paura. Quella voce, l'avevo sentita nell'orecchio, dentro la testa. Improvvisa.
Cominciai a vagare smarrito fra le statue, inciampai salendo degli scalini. Mi ritrovai in un posto più isolato, senza persone. Mi poggiai con la schiena contro un muro e scivolai giù lentamente, la testa tra le mani. Quel silenzio, quella immobilità, il grigio del cielo, delle case, facevano paura. Non c'era nessuno che potesse consolarmi, aiutarmi. Ero solo.
< Non sei solo, Suzuno Fuusuke >.
Di nuovo quella voce. Più dolce, reale, fuori dalla mia testa. Mi voltai verso sinistra, ma non scorsi nessuna figura umana, o anche solo animale. No, ma un filamento di luce risplendeva sospesa nell'aria. I colori erano caldi, variavano dal rosso all'arancione chiaro. Poi capii: era una fiamma. Una fiamma che parlava, aleggiava nel nulla.
< Cosa sei? >.
Si avvicinò ed io scattai in piedi, fuggendo di lato. La fiamma crebbe ed assunse le sembianze di un essere umano, del quale tuttavia non scorgevo il volto. Come potevo non scorgerne il volto se lo guardavo in faccia?
< Perché scappi da me? > disse sorridendomi.
< Tu sei fuoco. Io odio... il fuoco > dissi con voce tremante, < Non ti avvicinare, per favore >.
< Perché hai tanta paura di me? >.
Il silenzio gravò per qualche istante nella mia mente.
< Io non ho paura di te > dissi senza rispondere alla sua domanda.
< Al posto tuo, non ne sarei poi così convinto > e si poggiò al muro, continuando a guardarmi negli occhi. Poi volse lo sguardo alla piazza ferma ed immobile ed un sorriso affiorò sul suo volto. Io rimasi sulle mie, a debita distanza. Sentivo il calore che emanava anche a due metri da lui.
< Guarda > disse poi riportandomi alla realtà, < Non ti dice nulla questo luogo? >.
Sentii il fiato mozzarsi in gola. Inspirai a fatica, ma dovevo dare aria ai polmoni.
< Non... non proprio. Non ricordo... ha qualcosa di familiare > sussurrai.
< Certo che sì >.
Si staccò dal muro e con la testa mi fece cenno di seguirlo. Io ubbidii titubante poco dopo, dirigendomi di nuovo nel caos fermo del mercato di sedici anni prima. Mi portò di fronte ad un panificio, sul quale si ergevano altri piani di appartamenti. L'insegna era bianca, brillante, all'interno il proprietario del negozio stava attizzando distrattamente il fuoco nel forno a legna che usava per cuocere il pane.
Restammo immobili per qualche istante. Io non ero capace di spiccicare parola quando invece avevo tante domande da fare, risposte da trovare.
< Sai che giorno è oggi, Fuusuke? >.
Deglutii: < Sì che lo so >.
< Dovresti sapere cosa è successo oggi, anche se non lo ricordi >.
Guardai negli occhi la persona accanto a me, se così potevo chiamare un ragazzo che in realtà era l'essenza del fuoco. Il fuoco era ciò che aveva ucciso i miei genitori, li aveva bruciati vivi nella loro stessa casa. Il giorno più caldo dell'anno. Il 15 agosto del 1995.
Ora, di fronte a quel panificio, un tremendo presentimento si faceva largo nella mia mente. Gli occhi del mio interlocutore erano caldi e rassicuranti, mi incoraggiavano a ricordare qualcosa che avevo dimenticato da tempo. Poi vidi le sue labbra muoversi senza emettere suono e tutta la sua figura svanire.
< Dove sei? > esclamai, avvertendo l'aria nuovamente fredda. Incredibile come la sua sola vicinanza fosse stata in grado di riscaldarmi senza che io me ne accorgessi.
< Cosa faresti? > mi disse, irrompendo nuovamente nella mia testa, < Cosa faresti se avessi l'occasione di tornare indietro al giorno della loro morte? >.
Rimasi spiazzato. Ma non c'era il tempo per pensare, ragionare. Non più, almeno: era scaduto. Sentii il calore del sole cominciare a battere sulla pelle, le urla dei bambini, il baccano del mercato prendere improvvisamente vita, soppiantando d'un tratto il silenzio irreale di poco prima. I colori tornarono a tingere d'azzurro il cielo, di verde gli alberi. Un capogiro mi fece barcollare, mentre il profumo del pane appena sfornato cominciava a riempire l'aria. Quell'improvviso cambiamento aveva mandato su di giri i miei sensi in un istante, non capivo nulla, mi girava la testa.
Mi poggiai con una mano allo stipite della porta del panificio, il volto chino verso il basso. Quindi, ero tornato indietro nel tempo, indietro fino alla mattina di quello sciagurato incidente? Il fiato mi si mozzò in gola: cosa avrei fatto se i miei genitori fossero stati sul punto di morire ed io in grado di salvarli? Lo sguardo perso nel vuoto di un istante che tornava alla luce dalla mia memoria.
Perché erano morti, i miei genitori? Il panificio aveva preso fuoco, e le fiamme erano divampate anche nei piani superiori: ecco com'era andata. E quello era lo stesso panificio di allora. Ma io non ero lo stesso di allora: il Suzuno del 1995 aveva tre anni e stava all'asilo nido a ridere allegramente con i compagni. Io ero grande, forte, io potevo salvare i miei genitori dalla morte.
Alzai lo sguardo quando una mano mi afferrò il braccio destro.
< Stai bene, ragazzo? >.
Mi voltai ed annuii debolmente all'uomo che mi guardava preoccupato. Un bagliore improvviso ed un soffocato urlo di terrore mi fecero voltare. Un ragazzo, che doveva avere più o meno la mia età, teneva in mano un tizzone di legno acceso sull'estremità.
< Mi serve solo per un giochetto, non si preoccupi > aveva detto al proprietario, dirigendosi verso l'uscita, ma quello l'aveva afferrato per il cappuccio. Il ragazzo, sbalzato all'indietro, si fece scivolare di mano ciò che avrebbe dato vita all'inferno.
Il tizzone acceso cadde con un tonfo sordo sulle scale in legno, che cominciarono ad ardere lentamente. Il mio sguardo corse velocemente alle impalcature, al soffitto, ai mobili. Erano tutte in legno. L'aria si riempì di urla diverse da quelle del mercato, urla che prendevano vita da dentro di me.
< Scappate! > urlai, ma erano già quasi tutti fuori. Velocemente, girai l'angolo e trovai il portone del condominio. Suonai al citofono almeno cinque nomi diversi, venti volte quello di casa Suzuno. Risposero un sacco di voci contemporaneamente ed io urlai di aprire, annunciando a gran voce l'incendio imminente. Mi fu aperto immediatamente e cominciai a correre su per le scale.
Quinto piano. Quinto piano continuavo a ripetermi.
Inciampai nei miei piedi più volte e quando giunsi di fronte alla porta della mia vecchia casa. Bussai forte ma nessuno venne ad aprirmi: che fosse già troppo tardi? Cominciai a prendere a calci la porta, poi mi ci buttai contro di peso e quella cedette. Un'improvvisa esplosione di calore mi colpì in viso. Un tonfo al cuore.
Parte del soffitto era crollato dentro l'appartamento e, oltre le alte fiamme, scorsi due figura accucciate in un angolo.
< No! > urlai, < Fuggite! >. Mia madre, la riconobbi subito, puntò i suoi occhi nei miei. Mi sentii sprofondare: quella era l'ultima volta che l'avrei vista. Un'altra trave crollò dal soffitto ed io feci appena in tempo a schivarla. Mi feci largo nella stanza, evitando le fiamme, mentre il caldo mi soffocava. Mi acquattai a terra per non respirare la coltre di fumo nero che andava addensandosi all'altezza della mia testa, tentando di raggiungere i miei genitori. Un muro di fiamme si stagliò di fronte a me, mentre le loro urla riempivano la mia testa.
Rialzatomi in piedi, premendo la maglietta sul naso, presi la rincorsa e saltai, serrando gli occhi. Atterrai rotolando sulla schiena ed un improvviso silenzio mi fece tremare. Quando riaprii gli occhi, non c'erano più fiamme né urla. Solo cenere e polvere grigia che aleggiavano nell'aria.
i miei genitori non c'erano più, cenere anche loro. Mi poggiai con le spalle al muro e cominciai a piangere convulsamente, come un bambino. Perché, perché?
Dove sono? Perché sono qui?
< Vedi, Suzuno, non avresti potuto fare nulla per salvarli >.
Alzai gli occhi sul ragazzo-fiamma, di nuovo di fronte a me e sentii la rabbia montare dentro di me.
< Cosa hai fatto? Come hai osato! Hai ucciso i miei genitori! Li hai uccisi! > gli corsi contro e feci per tirargli un pugno, ma quel forte calore che emanava mi fermo a poca distanza. Caddi in ginocchio a terra, impotente di fronte a ciò che avevo appena visto, ciò che stava accadendo.
< A questo punto, uccidi anche me... perché mi vuoi risparmiare >.
< Perché mi parli come se fossi io l'assassino dei tuoi genitori? >.
Sentii che si inginocchiava davanti a me, ma io rimasi con lo sguardo fisso a terra gli occhi pieni di lacrime.
< Perché è vero. Tu sei il fuoco, hai bruciato vivi mia madre, mio padre... la mia vita >.
< Io non ho mai fatto nulla di tutto ciò >. Lo guardai sorpreso mentre lui poggiava una mano bollente sulla mia guancia; io mi scostai bruscamente, balbettando che non doveva toccarmi.
< Non devi aver paura, non ti faccio nulla > poi sorrise, < Perché rifiuti così ostinatamente ciò di cui hai bisogno? >.
< Non ho bisogno del fuoco >.
< Non parlo del fuoco, infatti >.
Esitai un istante, il fiato sospeso a metà tra la bocca ed i polmoni.
< Chi sei? > domandai.
Continuammo a guardarci, ed il suo sguardo fu capace di farmi intuire la risposta. Tesi lentamente una mano verso di lui, sfiorai il suo viso con un dito, mentre avevo l'impressione di essere sul punto di bruciarmi. Eppure non bruciava, era solo caldo, quasi piacevole al contatto. Mi venne da piangere di nuovo e mi sentii stringere dalle braccia di quel ragazzo senza volto. Contraccambiai la stretta, mentre mi sentivo pervadere da una sensazione insolita. Nuova. Diversa.
Ma non per questo fastidiosa.
< Tu non sei solo, Fuusuke-kun > lo sentii sussurrare nella mia testa.
Poi tutto fu nuovamente bianco e freddo. Una voce sembrava chiamarmi, distante, e giungeva ovattata alle mie orecchie. Del tutto simile a quella che avevo udito fino a pochi attimi prima, mi riportò alla realtà.
Quando aprii gli occhi, riconobbi un soffitto bianco, delle coperte, un ragazzo dai capelli rossi che sedeva ad una sedia accanto al mio letto.
< Ti sei svegliato, finalmente > mi disse Haruya, con un sorriso sul viso.
< D-dove sono? > sussurrai con le poche forze che avevo.
< In ospedale... mentre attraversavi la strada di corsa un autobus ti è venuto addosso. Non hai nulla di grave, ma mi hai fatto stare molto in pensiero... > disse passandosi una mano tra i capelli, imbarazzato.
Sorrisi. Finalmente consapevole di quanto fosse importante vederlo in quel momento.
< Perché stavo correndo? > feci, sedendomi sul materasso.
< Non affaticarti > si affrettò a dirmi, poi, vedendo che esigevo una risposta, soggiunse: < Fuggivi da me perché... ti avevo detto... che... che mi piaci e... tu sei... corso via >.
Guardò altrove ed io rimasi in silenzio, consapevole che ciò che mi aveva appena detto era vero. Sentii uno strano sentimento accendersi nel mio petto, ricordai la paura che avevo provato avvertendolo prima dell'incidente. Mi vergognai della mia stupidità.
< Comunque > mi disse, < se non vuoi, non sei costretto a dirmi di sì, lo sai. E mi dispiace per ciò che è successo >.
Si alzò in piedi e fece per andare verso la porta, ma io afferrai il bordo della sua giacca, richiamando la sua attenzione: < Rimani qui. Ho... bisogno di te > dissi piano.
Fissò i suoi occhi nei miei. Poi sorrise, cogliendo l'imbarazzo che mi arrossava le guance.
< Mi dispiace... ho... gli allenamenti e devo dare tue notizie anche agli altri. Sono molto preoccupati >.
< Ah... > sussurrai abbassando lo sguardo.
Ma lui si piegò sulle ginocchia, prese il mio viso fra le mani e premette la sua bocca sulla mia, dischiudendola. Non mi opposi, mi feci pervadere da quella sensazione di piacere che sentivo crescermi dentro. Avvertii le orecchie bruciare e le poche forze che avevo venirmi meno. Quando Haruya sciolse il bacio avvicinò le labbra al mio orecchio: < Non sarai mai solo, Fuusuke-kun. Io ci sarò sempre per te, in qualunque istante >.
Poi se ne andò lentamente ed io mi ridistesi sul letto. L'amore faceva male, scavava ferite profonde, a volte incancellabili. Ti toglieva ogni forza, ogni volontà. Ma, forse, per me stava per cominciare un altro momento della mia vita. Quello in cui l'amore non era più mio nemico, ma il mio compagno.
Ci sarebbe voluto del tempo per abituarmi. Ma, in fondo, si parlava sempre di Haruya Nagumo. Per lui avrei fatto di tutto e non avrei più temuto quel calore che avevo sempre evitato. Solo perché era lui. E per lui avrei vinto ogni paura, ogni istinto di fuggire; avrei messo da parte il passato per far posto al presente e alla sua splendente e calorosa realtà.


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Buon giorno. Beh, che ne dite? Era da un po' che non scrivevo e questa shot mi è sembrata mooooolto alternativa. Poi non so dire se è bella o meno. Scusate il titolo banale, infinitamente simile a "Non è tutto oro ciò che luccica". Non avevo fantasia, scusatemi!!
Comunque, a me è piaciuto scriverla e spero che per voi sia stato un piacere leggerla.
Detto questo, vi lascio!
Grazie a tutti quelli che leggono e a quelli che recensiranno (se recensiranno)

un bacio!
Claire.

  
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