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Autore: fiorediloto87    28/06/2006    0 recensioni
Un romanzo medievaleggiante in cui ho investito moltissime delle mie energie e del mio tempo, e a cui tengo particolarmente. La vita di Raphael, studente nel monastero di Serven, e di Gregory, novizio dal passato oscuro e tormentato, sarà radicalmente sconvolta dalla scoperta dell'amore reciproco e dall'infinita serie di avventure che ne seguirà...
NOTE: Il contesto del romanzo è medievaleggiante, ma non medievale: i luoghi sono luoghi inventati, e così popoli, lingue, usi e costumi. Unico tratto reale è la religione cristiana. Al popolo gitano ho rubato soltanto il nome e la tradizione della vita nomade.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Gregory
Capitolo IX: "Amaro è il sapore della vendetta"
 

 

Si svegliarono verso l’alba, abbracciati insieme, nel piacevole tepore delle lenzuola. – Il mattutino… – mugugnò Raphael, con un sospiro scontento.
Gregory gli baciò il collo e mormorò che quel giorno non dovevano assistere al mattutino. Allora Raphael si riscosse. – Credevo che fossimo in monastero – mormorò, volgendosi verso di lui con un sorriso. – Me ne sarei dovuto accorgere. Il mio letto non è così caldo.
Gregory socchiuse gli occhi e se li riempì della sua immagine in penombra, appena sfiorata dalla luce soffusa del mattino. – Neanche il mio – sussurrò, abbassando le palpebre. – Sono troppo, troppo freddi, i letti di Serven… Qualcuno dovrebbe fare qualcosa per scaldarli…
– Io un’idea ce l’avrei… – mormorò Raphael, stringendosi a lui con sfrontatezza. Il risveglio lasciava sempre un segnale ben riconoscibile, lì nel basso ventre.
Era una bella mattina invernale, fredda ma soleggiata, senza vento. Quando si alzarono, già filtrava nella stanza un bel po’ di luce.
Ancora nudo, Gregory andò alla finestra, scostò le tendine e aprì le ante. Un’ondata di freddo raggelò l’aria calda della stanzetta. Richiuse, poi gettò un’occhiata a Raphael, che in quel momento si stava infilando la camicia. Alla luce del giorno, il suo corpo era più splendido e desiderabile che mai. Gregory distolse lo sguardo prima di eccitarsi. – È nevicato – commentò, andando a prendere i propri abiti, o meglio, quelli di suo padre, e indossandoli rapidamente. – Ti piace la neve?
Raphael sorrise. – Quando non devo sprofondarci dentro, sì.
Gregory ricambiò il sorriso. Si rimise al collo il sema, ma non il crocifisso. Quello lo ficcò in tasca, cupamente, e si ripromise di non pensarci per un po’.
Si accorse vagamente che Raphael faceva lo stesso. – Sei pronto ad affrontare una banda di gitani maliziosi? – mormorò Gregory, chinandosi per baciarlo. – Credo che ormai si sarà sparsa la voce.
Raphael lo abbracciò. – Sono pronto – disse allegramente.
Stretti nei mantelli, uscirono fianco a fianco dalla piccola casa, senza fretta. La luce del giorno, che si rifletteva in tutta la distesa candida di cui era ricoperta la strada, investì le loro pupille con particolare violenza.
Presero a camminare. – Hai freddo? – chiese Gregory.
– No – rispose Raphael, dopo un istante.
Si erano tutti raccolti nella piazza, quella mattina, e questo colpì Gregory molto più di Raphael. – Che strano – disse al compagno, che non capiva la sua perplessità. – Non sono mai troppo mattinieri, i figli del vento…
Ci volle loro solo un attimo per rendersi conto della ragione di tanto strepito. In mezzo ai soldati – donne e bambini non erano presenti, eccezion fatta per le Amazzoni – stava, solitario, legato e lacero, sanguinante, il capo dei predoni Ganelon.
Al vederlo, Raphael non riuscì a trattenere un brivido. Strinse la mano di Gregory come volesse spezzarla. – Lo… lo…
– Sì – mormorò Gregory, che non riusciva impedirsi di provare una cupa, feroce soddisfazione. Se gliel’avessero chiesto ora, sarebbe stato capace di ucciderlo lui stesso. A distanza di tempo, questa certezza l’avrebbe inquietato e tormentato a lungo. – È quel che si merita – aggiunse, con voce pacata.
– Ma… chi…
– Non lo so – rispose Gregory, scuotendo la testa. Come dirgli che l’avrebbe volentieri fatto lui stesso, quel lavoro?
La risposta giunse da sola. La folla schiamazzante si tacitò, mentre si avvicinava al bandito un giovane gitano dall’aria inquieta, malfermo sulle gambe e stanco, ma stretto alla sua stampella con caparbietà, il volto contratto in una smorfia di dolore e disgusto per quel rifiuto umano che gli sarebbe toccato giustiziare.
– Mi fai schifo – scandì il giovane, che non doveva avere più di venticinque anni, lasciando cadere la stampella a terra.
Ganelon lo squadrò con disprezzo e sputò ai suoi piedi.
In quel momento comparve Neekla. Aveva un’aria grave e fredda, da soldato, la stessa con la quale aveva interrogato Raphael. Scorse il figlio, si guardarono per un attimo, ma l’espressione pietosa di Raphael non mitigò in nulla la crudezza del suo sguardo. – Damian – disse al giovane, con rude cortesia. – Fai quello che devi.
I preparativi del giovane boia parvero interminabili. Mentre quello sguainava la spada – e solo Dio poteva sapere quanta poca forza gli fosse rimasta nelle braccia –, Gregory si guardò intorno, freneticamente, scorse Fedria e Katrina più in là e, accanto alla compagna, suo padre Julian.
Pareva che finalmente Ganelon si fosse reso conto di avere di fronte non un boia esperto ma un giovane distrutto, che mai e poi mai sarebbe riuscito a decapitarlo in un colpo solo. La paura tinse di follia i suoi occhi scuri, privandoli d’ogni baldanza. E cominciò a gridare.
– No – disse Neekla, con voce forte. – Spetta a Damian, è nel suo diritto. Cerca di morire con dignità, bandito!
Gregory si diresse verso i suoi, tirandosi dietro un Raphael sempre più angosciato. Non sapeva come consolarlo, se non tenendoselo vicino.
– Padre – mormorò a Julian.
Julian lo guardò, poi guardò Raphael, comprensivo. – Non costringerlo a restare, se non vuole – gli disse sottovoce.
Gregory si voltò. – Vuoi andar via?
Ma Raphael scosse la testa. – No. No. Voglio… devo guardare. – Katrina lo raggiunse alle spalle, e lo abbracciò dolcemente. Deglutendo, Raphael si strinse a lei con aria infelice.
Damian aveva terminato i suoi preparativi. Piantato sulle gambe per quanto le ferite e la stanchezza glielo permettevano, levò la spada in alto, mentre due gitani, tra cui Neekla, tenevano saldamente per le spalle il prigioniero folle di terrore, e scandì: – Questo è per Laurie, bastardo!
Il colpo, calibrato malissimo, anziché raggiungere l’incavo tra la quarta e la quinta vertebra andò a piantarsi più giù, tra le spalle. Ganelon urlò di dolore. Il medesimo ansito percorse una buona metà dei presenti, tutti soldati, è vero, ma non tutti abituati a questo genere di spettacoli.
– Dio mio – ansimò Gregory, ipnotizzato suo malgrado dalla scena della lama insanguinata che, metodicamente e senza orrore, Damian scalzava dal suo solco.
– Ce la fai? – chiese Neekla, chino sul prigioniero.
– Sì – ansimò Damian, tergendosi il sudore dalla fronte con la mano libera. Si rimise in posizione. – Sì.
Raphael mormorava accorate preghiere, con le lacrime agli occhi. Aveva le palpebre serrate e la croce era apparsa come per magia tra le sue mani. Katrina lo abbracciava stretto, pallida e turbata, ma senza tracce di orrore sul bel viso brunito dal sole.
– Dio mio – ripeté Gregory, vedendo profilarsi la replica di quanto già avvenuto. – È proprio necessario, padre? – riuscì a bisbigliare. – Che sia… così? Perché non…
– No, Rega – rispose Julian, imperturbabile. – Gli ha torturato il fratello a morte. Il ragazzo poteva far valere il suo diritto e l’ha fatto.
– Dio mio – disse Gregory, una terza volta.
Un altro colpo, stavolta meglio mirato, raggiunse la nuca di Ganelon: ma non era abbastanza forte da spiccare il capo dal collo. Comparvero al sole le vertebre insanguinate e divelte l’una dall’altra, schizzò fuori un fiume di sangue. Pallido come un morto, esasperato, Damian infierì ancora e ancora, ansimando, le lacrime agli occhi per lo sforzo, finché non ci fu più niente da fare. Era finita. Il ragazzo ondeggiò per un istante, un rivolo di sangue gli colò dalla fronte fino alla guancia, e poi svenne sul corpo del suo giustiziato.
Raphael, più pallido di lui, mandò un rantolo e svenne allo stesso modo, tra le braccia della madre.
– Lascia… lascia, lljenae, ci penso io – mormorò Gregory, felice di trovarsi qualcosa da fare.
Katrina si scambiò uno sguardo col compagno, che frattanto si rialzava dal cadavere di Ganelon, e scosse la testa. Neekla si avvicinò subito. – Non dovevi permettergli di assistere, Katri – sospirò.
– Ha scelto lui – replicò Gregory, prendendo il ragazzo tra le braccia.
– Sì. L’avevo capito – mormorò Neekla, rivolgendo al figlio una carezza sulla fronte. – Te ne occupi tu?
Gregory strinse i denti. – E chi, sennò? – Non avrebbe saputo dire perché, ma quella mattina provava per Neekla un’antipatia spiccata.
– Lascia che ti aiuti, lljenin.
– No, lljenae – disse Gregory, recisamente. – Faccio io. – E si allontanò con il suo peso tra le braccia. Mentre lo portava via, senza che se ne avvedesse, la piccola croce cadde dalla mano allentata di Raphael. Fu Neekla a raccoglierla, ma Gregory se n’era già andato.
Sistemò il giovane amante al sole, vicino a una piccola fontanella, e con l’acqua gli bagnò un poco il viso, per farlo rinvenire. Raphael riaprì gli occhi quasi subito, con un rantolo. – Gregory… – ansimò, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime.
Gregory l’abbracciò, con un sospiro. – Come stai?
– È stato… è stato… Dio mio, non avrei mai voluto… ma dovevo… – balbettava Raphael, tremando convulsamente.
– Dovevamo guardare – disse Gregory, con decisione. – Dovevamo. Ricordi quello che ci ha fatto? – Deglutì. – Dovevamo… – ansimò un’ultima volta.
– Era pur sempre un uomo! – gridò Raphael, staccandosi dal suo abbraccio. – Perché così? Perché? Non è umano, no, non è umano che sia morto così! Non lo sopporto… – si tirò in piedi, esasperato, guardandosi intorno come una belva in gabbia, senza sapere dove andare.
Gregory gli prese il polso, dolcemente, ma lo strinse con fermezza quando lui tentò di divincolarsi. – Raphael, ti prego. Non trattarmi come se la colpa fosse mia…
– Non ce l’ho con te! – gridò Raphael, isterico. – Lasciami!
Gregory si ritrasse, di scatto. – Scusa.
Il ragazzo si allontanò in una direzione a caso, fece una decina di passi e poi si voltò. Gregory era ancora lì dove l’aveva lasciato. Tornò indietro, angosciato. – Perdonami, oh ti prego, perdonami – bisbigliò abbracciandolo. – Non lo so, non lo so che mi prende, so solo che non riesco a controllarmi, io… io…
– Non fa niente – mormorò Gregory. Ciò a cui avevano assistito giustificava tutto. – Non ti angosciare. – Perché era così calmo? Non riusciva a provare un decimo del turbamento di Raphael, e di questo si sentiva terribilmente in colpa. – Ti passerà. Devi soltanto… calmarti un poco. – Gli pose un bacio sulla fronte. – D’accordo?
– … d’accordo – bisbigliò Raphael. Alzò gli occhi. – Per un momento… per un momento, mentre guardavo, ho desiderato tornare…
– A Serven?
– Sì.
– Torneremo presto.
Raphael parve intenzionato a dire qualcos’altro, ma li disturbò l’arrivo di una persona. Si voltarono. Era Katrina.
– Madre… – mormorò Raph.
La donna sorrise dolcemente, comprensiva. – Non vi voglio disturbare. Era venuta solo per questa. – Gli porse la sua croce. – Ti è caduta, prima.
– Grazie, madre – disse Raphael, infilandola in tasca. Sorrise debolmente. – Tu non disturbi mai.
– Torno da tuo padre – disse Katrina. – Vi lascio soli.
– No, no – replicò Raphael. – Veniamo anche noi. No? – chiese conferma, spiando il volto di Gregory.
Il compagno annuì, tranquillo, e si allontanarono tutti e tre insieme.
La piazza si era notevolmente svuotata, ora che lo spettacolo era finito, ma il cadavere era stato lasciato lì, impietosamente, alla voracità degli uccelli e delle bestie che ne avrebbero divorato le carni. Al vederlo, Gregory ebbe un moto di ripugnanza viscerale, e un conato di vomito gli squassò lo stomaco e la gola. Si impose di non guardare più in quella direzione.
Neekla era tra i pochi rimasti. Osservava ciò che era rimasto di Ganelon con un misto di indifferenza e disprezzo, senza dar segni di nausea, vagamente assorto. Neekla non sapeva cosa Ganelon avesse fatto a suo figlio. Ogni volta che aveva sfiorato l’argomento, Raphael era impallidito e aveva tentato di sviare il discorso. Ma Neekla era certo che gli avesse usato violenza, e per questo gioiva cupamente della fine del bandito.
– Come ti senti? – gli chiese, riscuotendosi.
Raphael annuì. – Bene. Non è stato niente, solo un attimo… – Fece per volgersi verso il cadavere, ma Gregory lo costrinse a non guardare, cupo.
– Lascia stare – mormorò. – È meglio.
– No. – Il ragazzo scosse la testa e si diresse verso il corpo di Ganelon, rigidamente ma con decisione. La mano, ancora intrecciata con le dita di Gregory, si tirò il compagno dietro.
– È orribile – bisbigliò Raphael, con un sospiro.
Gregory lo abbracciò alle spalle, fino a sentirlo abbandonarsi alla sua stretta salda. – Perché lo guardi?
– Non lo so… Mi faceva orrore da vivo, ma adesso mi fa solo pena…
– L’hai perdonato?
– Credo… credo di sì.
– Io no. – Raphael si voltò, ma non disse nulla. – Sono contento che sia morto.
Il ragazzo esitò. – Non ti fa pena il modo in cui è stato ucciso?
– No. – Sospirò. Era una bugia. – Sì – ammise. – Ma se si fossero limitati a un unico colpo netto… sarebbe stata troppo poco. Sarebbe stato… maledettamente poco. – Quella ferocia nella sua voce suonava alle orecchie di Gregory pura e giusta come l’ira divina. Oh, no, non se ne pentiva. Non si pentiva di odiarlo. Neppure Raphael… così tenero e malinconico, così privo di cattiveria… poteva convincerlo del contrario.
Raphael lo abbracciò, con una strana angoscia in viso. Gli faceva male sentir uscire quelle parole crudeli dalla bocca del suo amato. – Ma è stato per ciò che ha fatto che adesso… adesso ci possiamo amare. – Alzò gli occhi. – O no?
La voce di Gregory era più gelida della neve in cui affondavano i loro stivali. – Credi che avessi bisogno di essere violentato per capire che ti volevo?
– No! No, io…
– Non parlarmi così, Raphael. Non giustificarlo.
Il ragazzo si strinse a lui ancora di più, annaspando. – Non lo giustifico, no… però… mi negherai che è stata la sua lascivia a farci capire quanto ci desideravamo?
– No. Non lo nego – rispose Gregory. – Ma questo non lo rende più umano ai miei occhi. Tu non lo sai. Non lo sai… – Tentò di baciarlo, per annegare il dispiacere di quel ricordo, ma Raphael voltò il viso di lato, gli occhi bassi. – Mi trovi crudele?
– Gregory… ti prego. Fallo per me. Tenta di perdonarlo. Non sopporto di vederti odiare… anche se non è me che odi, non lo sopporto, mi fa male al cuore. Ti prego…
– Forse. Forse un giorno lo perdonerò. Ma non adesso, Raph, ti prego, non me lo chiedere. È troppo presto.
Raphael annuì, rassegnato. – Non te lo chiederò più.
– Non ti rattristare, ti prego, non per quel cane…
– Non sono triste, solo… io non so odiare nessuno. Anche Vicent, io non lo odio. Prego per lui tutte le sere da quando è morto.
– Perché sei una persona buona.
– Anche tu lo sei.
– Sì, ma perdonare mi riesce difficile. – Scosse la testa. – A volte mi chiedo che ci sto a fare, in mezzo ai cristiani, quando è ovvio che la mia indole è gitana. Sono feroce come loro. Certi momenti… non mi riconosco neanche.
Raphael si tese sulle punte dei piedi e lo baciò, tenero. – Io ti amo così. Tu hai scelto di percorrere insieme due vie, ed io non voglio che tu ne abbandoni una per l’altra. Mi basta che mi ami…
Se lo strinse al petto, confortato. – Vieni – mormorò poi. – Voglio cercare i miei genitori.
Il magazzino adibito ad infermeria era silenzioso e in penombra, le porte socchiuse. Entrarono senza problemi. Dentro c’erano già due o tre guaritori in piedi, che si occupavano dei feriti, e uno di loro – un giovane di una ventina d’anni, snello e d’aspetto gradevole – li raggiunse pregandoli di non fare rumore, poi si allontanò scoccando a Gregory un sorriso che lo fece arrossire fino alla radice dei capelli. Raphael squadrò il guaritore con astio.
– Vieni – mormorò Gregory. – Mio padre è più in fondo.
Lo raggiunsero subito. Lo ziin Julian era disteso sullo stesso giaciglio dove Gregory l’aveva visto la sera prima. Fedria era seduta accanto a lui.
Si inginocchiò. – Come ti senti oggi, padre?
Julian corrugò la fronte, andando con lo sguardo da lui a Raphael. – Potrei stare meglio e potrei stare peggio.
– Raphael, padre – disse Gregory, prevenendolo. – È l’amico di cui ti ho parlato. Raphael, mio padre.
Il ragazzo si inginocchiò a sua volta. – È un piacere – mormorò cortesemente, chinando il capo.
– Anche per me – borbottò Julian, riportando gli occhi sul figlio. Un sorriso vago gli attraversò le labbra, espressione di quello che Gregory riconobbe distintamente come orgoglio paterno. – Ti sei deciso a portare il tuo verinil – commentò Julian, compiaciuto. – E a vestirti decentemente. Ti sei ricordato tutt’a un tratto chi sei?
Gregory scosse la testa, imbarazzato. – Non l’ho mai dimenticato, padre, e tu lo sai.
– Sì – rispose Julian, con voce più dolce. – Sì, lo so. – Sollevò una mano e Gregory la prese e la baciò, con affetto.
Aleggiava tra loro, indimenticato, lo spettro di ciò che avevano visto, e tutto l’affetto e la cortesia possibili non potevano bastare a cancellare il ricordo, troppo vivido, dell’orrore provato.
– Domani ripartiremo, Rega – disse lo ziin. – I carri sono pronti. Verrai con noi?
Gregory sospirò. – Non lo so, padre. Devo pensarci. – Scosse la testa. Non aveva nessuna voglia di pensare anche a questo. Si sentiva svuotato e stanco. La dolce vendetta, aveva scoperto, ha un retrogusto sorprendentemente amaro.
– Via – mormorò Julian. – Rega, doveva andare così. Le nostre leggi le conosci.
– Sì – rispose Gregory, alzando gli occhi. – Lo so, padre, lo so. E da una parte le condivido, ma dall’altra… talvolta mi chiedo quanto siano giuste. – Scosse la testa. – Non è per nulla che mi sono fatto cristiano.
Julian non commentò questa affermazione, sulla quale avevano mille volte discusso. – Anche i cristiani giustiziano i loro criminali, e quei senzadio avevano ucciso molti dei nostri, specie donne e bambini.
Gregory cascò dalle nuvole. – Quando è successo?
– Tre mesi fa. Sulle colline. Ci hanno teso un’imboscata.
Quando lui aveva lasciato San Gloriano. Gregory deglutì. Al tempo si era chiesto se fosse il caso di andare a trovare i propri genitori; non rimanevano mai a lungo nello stesso posto, ma aveva pensato che inoltrandosi tra le colline avrebbe certo trovato qualche gruppo di gitani che potesse dargli un’indicazione. Poi, però, spaventato dalla possibilità di incappare nei banditi, aveva rinunciato a malincuore. Ora si rese conto che quell’esitazione gli aveva salvato la vita.
– Abbiamo riunito l’esercito per questo – continuò Julian. – Avevamo intenzione di colpirli nel loro covo, ma poi si sono spostati. Sono venuti qui. Per fortuna abbiamo i nostri esploratori, e li abbiamo seguiti.
– Grazie a Dio – mormorò Gregory. – Non so cosa sarebbe di noi, se… se… – La mano di Raphael si posò sulla sua, delicata. La strinse. – Non ha più importanza, ora.
– A Serven non sanno ancora niente di quel che è successo – interloquì Fedria – e quando lo sapranno noi saremo già andati via. Se scegliete di partire con noi, avrete a disposizione tutto il tempo che desiderate. – Sorrise, dolcemente. – Raphael ha il diritto di passare un po’ di tempo con i suoi genitori. Se lo vuole, naturalmente.
– Ci penseremo – disse Gregory. – Te lo prometto.
Raphael spiò con vaga ansietà il viso del compagno.
– Bene – annuì Fedria.
– A proposito, – disse Gregory – dove siete diretti?
Lo ziin sorrise. – Alla capitale. Balain eil’ Drake. – Il nome della città, deformato dall’accento gitano, sembrò fare le capriole nella sua bocca.
– Balain… – mormorò Raphael, mentre si allontanavano. – Dicono sia immensa.
Gregory annuì. Raphael non aveva voglia di incupirsi, come lui, perciò si impose di cancellare quell’espressione scura dal volto. – Certo, se la paragoni a Widefield. Sei, sette… no, di più… dieci volte più grande, credo. Non ricordo bene, è passato tanto tempo.
– Tu ci sei stato? – sussurrò Raphael, con ammirazione.
– Naturalmente. Ti stupisci? – Gregory fece un sorrisetto. – Ho vissuto da gitano per tredici anni.
Raphael sorrise a sua volta. – Allora ricorderai la città. Com’è?
– In realtà, non così bella come… – Gettò uno sguardo indietro, pensoso, e si interruppe. Il ragazzo di prima lo stava ancora fissando, in un modo fin troppo chiaro che gli risultò irritante.
– Cosa… oh – fece Raphael, rabbuiandosi. – Andiamo via?
Gregory lo attirò più vicino, lo abbracciò e poi lo baciò sulle labbra. Quando guardò nuovamente nella direzione del ragazzo, notò con soddisfazione che aveva distolto lo sguardo. – Questo perché capisca che una persona soltanto può avere il mio amore – bisbigliò all’orecchio di Raphael. – Andiamo?
– Sì. – Sorrise. – Ti amo.
– È ancora presto. Vuoi tornare a letto?
– No, adesso no.
Gregory annuì. – Come preferisci.
– Per quanto riguarda la partenza… – cominciò Raphael, esitante.
– Sì?
– Io… vorrei sapere cosa ne pensi tu – concluse il più giovane.
Gregory scosse la testa, giocherellando con la mano stretta nella sua. – Non lo so. Non mi dispiacerebbe passare un po’ di tempo con i miei, non li vedo da un anno, ma…
Raphael sorrise. – E dunque partiamo?
– … Serven?
– Non lo so – disse Raphael.
– Non dobbiamo partire per sempre – soggiunse Gregory. – Torneremo.
– Vuoi tornare?
Gregory non fece in tempo a rispondere che una voce familiare li richiamò. Era Katrina.
– Come ti senti, figlio mio? – chiese a Raphael. – Sei più tranquillo. In fede mia, la vicinanza di tuo cugino opera miracoli, su di te.
Raphael sorrise, imbarazzato. – Mi sento bene, madre. – Le baciò la guancia. – Voglio… se voi lo desiderate, vorrei partire con voi. E con Gregory e i suoi. Cosa ne dici?
Katrina sorrise. – Dico che sono felice – rispose, con gli occhi che le brillavano. – Lascia che lo dica a tuo padre. Non appena gli volterò le spalle farà i salti di gioia.
– Lascia che glielo dica io. Dov’è?
Katrina indicò una casa uguale a tutte le altre. – È tornato a letto, ma non preoccuparti, ha il sonno leggero. Vai pure.
Gregory si tirò indietro. – Io ti aspetto qui, Raph.
Il ragazzo annuì e corse verso il piccolo edificio. Una volta di fronte alla porta, alzò una mano con il pugno chiuso per bussare… poi cambiò idea e pensò di fargli una sorpresa. Aprì l’uscio con una spinta decisa.
La lama fredda di un pugnale scattò contro la sua gola, pericolosamente, e fece pressione appena sotto il mento. Una voce dura scandì: – Alza le mani.
Raphael obbedì, lentamente, poi balbettò con voce tremante: – Neekla… padre… sono io. Sono… Raphael.
Il pugnale si allontanò immediatamente. – Fammi e fatti un favore, figlio mio. Non cercare mai più di prendermi di sorpresa – disse Neekla. Gli giunse davanti, e la luce che penetrava dalla porta aperta rischiarò il suo viso gradevole, atteggiato in un raro sorriso. – Ti sei ripreso, a quanto vedo.
Raphael abbassò le mani con lentezza, ancora un po’ scosso, poi mormorò, risentito: – Potevi ammazzarmi.
– Oh, no – rispose Neekla, serio. – Non uccido mai a sangue freddo.
Raphael lo guardò meglio, e si accorse con un vago sgomento che suo padre era completamente nudo. L’unica cosa che lo copriva alla vista di chiunque passasse per strada era proprio lui, in piedi di fronte alla porta. – Padre, rivestiti, ti prego – mormorò, arrossendo. – Potrebbe vederti qualcuno.
L’uomo sbatté le palpebre. – Va bene – rispose dopo un attimo. Si voltò e sparì in una porta in penombra. – Perché sei venuto? – gli chiese dall’altra stanza.
Raphael alzò un poco la voce per farsi sentire. – Ti cercavo.
– Come mai?
– Volevo parlarti di una faccenda.
Neekla tornò nell’atrio, le vergogne pudicamente coperte. Era a torso nudo, con la camicia sul braccio nell’atto di indossarla. – Ti ascolto.
– Bene. – Raphael trasse un respiro profondo, poi disse: – Gregory ed io abbiamo… preso una decisione.
Neekla si rabbuiò, ma solo un poco. – Capisco – borbottò, infilandosi la camicia dalla testa. – Me l’aspettavo.
– Non sono sicuro che tu abbia capito – replicò Raphael, perplesso. – Abbiamo deciso di non tornare a Serven. Per un po’, almeno. Verremo con voi. Hai capito, adesso?
Gli occhi di Neekla si illuminarono come quelli di un bambino. – Dici sul serio? Vuoi… vuoi… – Lo abbracciò con forza, togliendogli il respiro. – È una splendida notizia – disse, tenendolo stretto a sé. – Splendida. Sangue degli dèi, tua madre lo sa?
Raphael stentò a divincolarsi. – Sangue… uhm… degli dèi, sì. Gliel’ho già detto. Però, – lo guardò dritto negli occhi – sia chiara una cosa, padre. Io non sono uno di voi. Be’… non ancora – soggiunse, colto dal pensiero che in fondo, essere uno di loro era ciò che desiderava di più, dopo l’amore di Gregory. – E rimarrò cristiano per tutta la vita. Voglio che tu mi prometta di non dimenticarlo.
– Sì, certo. Te lo prometto – disse Neekla, annuendo. – È giusto.
Raphael sospirò. – Bene, allora… io vado.
– Non c’è… – Neekla esitò, si schiarì la voce, poi riprese: – Non c’è nient’altro che vuoi dirmi, Raphael?
Raphael scosse la testa. – No – rispose dopo un attimo. – Niente che tu non sappia già, comunque.
– Ne sei sicuro?
– Sì.
Neekla chinò il capo, senza protestare. – D’accordo.
– A più tardi, padre…
– Aspetta.
Si voltò. – Vuoi chiedermi qualcosa?
– Sì, ma ti prego di rispondere. È qualcosa che devo sapere.
Al ragazzo tremò il cuore, tuttavia mormorò: – Dimmi.
– Ganelon…
– Padre, ti prego…
– Dimmi solo se ti ha toccato.
Raphael lo guardò con occhi colmi di tristezza. – Non lo dirai a nessuno?
– Hai la mia parola.
Inspirò. – Non mi ha toccato. Gregory… Gregory si è fatto fare tutto al posto mio. – Deglutì. – Tu non lo sai, e lui non dovrà sapere mai che te l’ho detto. Ho la tua parola.
Un sollievo inesprimibile, eppure ancora cupo, tingeva il viso di Neekla. – L’hai.
Uscì dalla porta in preda a tristi pensieri.
Gregory e Katrina erano seduti nella piazza, e parlavano sottovoce. Sembravano perfettamente a loro agio, tanto che Raphael per un poco li invidiò. Lui non era ugualmente in sintonia con sua madre, non ancora: parlare con lei gli procurava sempre imbarazzo o disagio, non quanto ne provava nei confronti di Neekla, ma comunque abbastanza da rattristarlo, se ci pensava. Avrebbe voluto riuscire a pensarli coscientemente come i suoi genitori, ma era più difficile del previsto. E poi… ogni tanto… non riusciva a impedirsi di provare del risentimento nei loro confronti, per averlo lasciato in fasce alle porte di Serven. Anche se l’avevano fatto a fin di bene, per non lasciarlo morire di fame in mezzo alla guerra civile, periodo in cui solo i monasteri e il Palazzo Reale, forse, non pativano gli stenti.
Si avvicinò lentamente. Gli occhi di Gregory scattarono subito verso di lui, prima ancora che li avesse raggiunti, e si illuminarono. Quello sguardo gli procurò una fitta di amore intenso.
– Tutto fatto – annunciò, sedendosi accanto al compagno. – L’ha presa bene.
Katrina annuì. – Ne ero sicura.
– Allora è deciso. Partiremo – disse Gregory, prendendo delicatamente la sua mano e stringendola con calore. Sospirò. – Al priore Ferdinand non piacerà affatto.
– Non me ne importa nulla – ribatté Raphael, con astio. – Per quanto ne so, sarà felice di non rivederci. E anch’io lo sarò.
Gregory scosse la testa, ma non in segno di diniego. Accostò le labbra all’orecchio di Raphael e gli mormorò poche parole, con stanca dolcezza: – Torniamo a letto, lljena
Il ragazzo arrossì per la presenza imbarazzante della madre, senza pensare che così facendo aveva dimostrato in modo inequivocabile la natura del messaggio di Gregory. Comunque annuì. – Tu ci scusi, madre, vero? – disse alzandosi.
Katrina sorrise dolcemente. – È molto presto, devinoi. Due ragazzi come voi dovrebbero dormire ancora qualche ora, per recuperare le forze. Non credete?
– Sì – assentì Gregory, alzandosi a sua volta. Basta pensare ai morti, basta disperarsi per il rimorso di aver goduto della vendetta, basta con quella tetraggine che gli rovinava la mattinata! Ganelon era morto. Avrebbe dovuto festeggiare, e non sentirsi in colpa!
– Sono d’accordo con te, lljenae. Vieni, Raph. – Arrossì nel dirlo, e anche Raphael arrossì, e paonazzi in viso si allontanarono rapidamente, le dita intrecciate, una dolcissima euforia nel cuore, condivisa, e le ali ai piedi una volta che, usciti dalla visuale di Katrina, poterono darsi a una corsa veloce per giungere prima al letto da riscaldare. La mano ancora nella mano di Gregory, Raphael scivolò incauto sulla neve, e cadendo si trascinò a terra il compagno, che allegro lo sovrastò con il proprio corpo e prese a baciarlo, incurante che qualcuno potesse vederli, perso nel gioco dell’amore appena scoperto che cancellava in lui ogni pudore e preoccupazione.
– No… – lamentò Raphael, nel ridere. – Non nella neve… Dio mio, congelerò…
Gregory allora si sollevò, premuroso, lo tirò su e se l’abbracciò stretto, per riscaldarlo, riprendendo infido a baciargli il viso e le labbra, e il collo tiepido e palpitante come quello di un uccellino, e tenendo le sue mani posate sul proprio petto, per riscaldare anche quelle, per avvolgerlo tutto in un solo calore. E cos’era questa voglia di lascivia che lo prendeva d’un tratto, questo immane desiderio di sconcezza, di amarlo in qualsiasi luogo, meglio se in vista, pure in quella stradina così fredda, dove chiunque poteva passare e vederli? Avrebbe voluto amarlo nell’infermeria, davanti agli occhi di quel ragazzo che gli aveva sorriso osceno, forse pregustando chissà quali avventure con lui, forse pensando che egli, per la sola ragione di aver già amato un ragazzo, si sarebbe offerto anche a lui, con disinvoltura, come un prostituto, come uno da niente, che si buttasse via col primo che capitava! Che pazzia. Lui amava Raphael. Avrebbe voluto amarlo di fronte a quello spudorato, per dimostrarglielo una volta per tutte.
Socchiuse le palpebre mentre lo baciava e tenero immergeva la lingua nella sua bocca, dischiudendo le labbra ad accogliere la sua. Trovò due pezzetti di cielo sprofondare nei suoi pozzi scuri, l’azzurro mescersi al nero, il Cielo perdersi nella Terra. Dio mio, quanta poesia, pensò carezzandogli i lati del collo con le mani. Ed io, che mi ritenevo immune alle infatuazioni – quanto stupido sono stato! – eccomi a spasimare per lui, io tanto più vecchio, sono solo tre anni ma che pena, sembrano così tanti, e Dio sa che morirei… sì, morirei, se egli volesse lasciarmi… E cercando di soffocare l’improvviso turbamento provato a questo pensiero, gli lasciò le labbra e mormorò, commosso: – Era destino che ci amassimo. Era destino. – E anche se non aveva mai creduto al destino, quella mattina vi credette, disperatamente.
– Sì – bisbigliò Raphael, schiudendo appena le labbra rosa chiaro, così deliziose da baciare e succhiare dolcemente, finché il fluido naturale non le inumidiva ed esse mostravano alla bocca amica la loro più intima morbidezza. – Hai ragione – aggiunse, inutilmente, ma che piacere vedere quelle linee sottili muoversi appena, tremanti d’amore, in trepidazione…!
Gregory gli sorrise, ogni paura presto dimenticata. Riprese la sua mano, intrecciò piano le dita nel modo che piaceva ad entrambi, e se la portò alle labbra. Poi con lui riprese la strada, fino alla casupola ormai loro che li accolse a porte aperte, ogni cosa pregna di una luce nuova eppure familiare, dolcissima.
Sorridendo appena, lo lasciò passare per primo e se la richiuse alle spalle, piano piano, appoggiandosi con la schiena al legno solido, portando vago una mano alla camicia, al colletto ampio che sembrava non aspettare altro che d’essere scostato per mettere a nudo la carne fremente che a stento copriva.
Raph non esitò neanche un istante. Quando se lo sentì addosso, Gregory reclinò il capo contro la porta e chiuse gli occhi.
Lo fecero lì per terra, di fronte all’uscio, lontano dal letto che non pensarono neppure di raggiungere. Passata la notte, si conoscevano adesso tanto bene che non avevano più timore di farsi male. Raphael si muoveva sul suo corpo leggero e sicuro, con quel misto di delicatezza e insolenza che sempre sfoggiava, anche nell’amore; Gregory, intimamente felice – solo adesso vi rifletteva – di aver raccolto, unico fra tutti gli esseri della terra, la sua verginità, studiava con amore il modo in cui il suo corpo di ragazzo accoglieva languido gli assalti che gli infliggeva, e dolcemente si ingegnava di muovere attacchi più forti o più deboli a seconda del momento, per ascoltare rapito il suono dei suoi gemiti variare d’intensità, e cogliere tra di essi le note di piacere più intense o più tenere che sempre vi trovava, facilmente, e che sommuovevano violente la sua eccitazione.
Alla fine, quando si furono quietati, lentamente si risollevarono dal pavimento sporco del loro seme mischiato in un orgasmo sincrono, e andarono a letto, sonnolenti, si infilarono sotto le coperte fredde che presto avrebbero riscaldate, si strinsero l’uno all’altro e rimasero così, fermi, a lasciar volare via nuvolette di vapore ogni volta che un mormorio affiorava tenero alle loro labbra, una parola d’amore, un semplice sospiro.
Si erano, per una volta, invertiti le posizioni. Gregory riposava quieto con il bel capo sul petto del ragazzo, tra il cuore e la spalla, i riccioli folti erano adesso un bel cuscino su cui poggiava la guancia, e gli bastava alzare un poco il viso per affondare il naso gelato nell’incavo bianco del collo di Raphael, e strappargli così un piccolo sussulto, un lamento, a volte soltanto un sorrisetto monello. Il ragazzo, da parte sua, si divertiva ad affondare una mano in quella matassa ricciuta, attorcigliando le dita sottili con i teneri boccoli, mentre l’altra, la destra, libera da ogni impedimento percorreva la pelle di Gregory e la carezzava piano, sfiorandogli il viso e la barba rada incolta, il collo anch’esso coperto dai riccioli più lunghi, liscio – forse levigato dei suoi baci troppo impetuosi? –, il braccio che gli circondava, lento, il petto, la mano addormentata sulle lenzuola, che alla sua carezza si ridestava e muoveva piano le dita perfette a cercare le sue, a imprigionarle e condurle alla bocca tiepida per depositarvi piccoli baci.
– Ti adoro – bisbigliò Gregory, socchiudendo le palpebre, nascondendogli alla vista i due pozzi neri in cui tanto amava immergersi. – Solo all’idea di farti male tremo. Vorrei morire, prima di fartene.
Raphael sorrise, gli posò la mano sulla guancia e lì la lasciò, mentre mormorava: – Pensi ancora a te stesso, egoista! Sai che te lo restituirei con gli interessi. Hai paura.
– Sì, ho paura. Che tu ti stanchi di me.
– Perché mai dovrei? Io ti amo.
– Sì – rispose Gregory. – Ma non sai quanto c’è di meglio.
Raphael, imperterrito, deciso a non lasciarsi guastare il buonumore da queste poche parole insensate, anche se mortalmente serie, replicò con tenerezza: – Se trovando di meglio vorrò lasciarti, significherà che ti amo troppo poco. Ma siccome io ti amo da impazzire, vedi che il problema non si pone.
– La fai semplice, tu.
– E tu dubiti di me.
– No. – Gregory esitò. – Sì. Ma non nel modo che pensi tu. Se tu trovassi uno meglio di me, che ti amasse, io ti lascerei andare, anche se soffrirei tanto da sentirmi morire. Ma tu sei ancora un ragazzo – non ti offendere, ti prego, per queste parole – e se poi l’infatuazione ti passasse e volessi tornare da me? Ti accoglierei, ma quanto ancora dovrei soffrire? Sapendo che il tuo cuore non è certo di me?
Raphael gli sollevò il viso, con decisione. – Il mio cuore è certo – tagliò corto, e poi, sulla scia delle sue parole di prima, aggiunse: – Non credere di essere tanto più maturo di me, amore. Se ancora non hai capito che le tue stesse paure le provo anch’io, e che muoio al pensiero di essere il secondo per te, solo il secondo, allora non hai capito niente.
Gregory stette in silenzio, immobilizzato in quella posizione scomoda, gli occhi persi nei suoi. Poi tornò a giacere sul suo petto. – Che stupido – mormorò, senza chiarire a chi si riferisse. – Tu non sei il secondo, perché non hai nessuno con cui gareggiare. Tu sei l’unico, per me, l’unico e il solo. Con Evan… con Evan non è stato… così. Non so spiegarlo, ma sento che tutto quello che viene prima di te non conta, non conta nulla.
Raphael chiuse gli occhi, sorrise. – Lo sai perché ti amo, Gregory?
– No, perché?
– Perché in te trovo la pace. Non so… non è facile da spiegare, però è così. Tu mi completi.
Gregory inclinò il capo di lato per rimirarselo bene alla luce del mattino. – Come posso darti la pace, se non ne trovo neanche per me? – mormorò, assorto.
– Non lo so, ma è così.
– Io non so portare pace, Raphael. A quelli che amo porto solo guai.
– Be’, non a me – replicò il ragazzo. – L’amore non è mai un guaio. Magari non tutti lo capiscono, ma l’amore è l’unica cosa che ci salva, noialtri.
– Noialtri chi?
– Noialtri che non sappiamo vivere senza – sorrise Raphael, rivoltandolo sul letto per ricoprirgli di baci il viso e la barba di quattro giorni. – Lo sai che morirei se mi lasciassi – disse dopo un bacio più lungo degli altri sulla bocca. – È solo perché ti amo che ho gettato via tutto quanto… Serven e tutto il resto. Non sarei mai rimasto con Katrina e Neekla, li avrei rifiutati, e forse me ne sarei tornato al monastero e lì… lì avrei ripreso la mia vita, ma qui… con te… è tutto diverso. È tutto più bello.
Gregory lo abbracciò forte. – Tu lo sai perché ti amo, Raphael?
Il ragazzo sorrise. – Dimmelo.
– Perché quando ti guardo non mi chiedo se sia sbagliato o no. Io so che è giusto così. Così è perfetto.
Raphael espirò, felice, rotolò sul letto e se lo tirò sopra, con dolcezza, le gambe intrecciate in un intimo abbraccio, il bacino a contatto, gli attributi virili che si carezzavano morbidamente, come vecchi amici. Lo baciò e lo baciò ancora, a lungo, come a volergli succhiare dalle labbra la linfa vitale. E infine si acquietò tra le sue braccia, appagato come se avessero fatto l’amore.
– Sai a cosa penso quando lo facciamo, Greg? – mormorò. – Penso a un giorno di… non so, vent’anni a venire, quando saremo entrambi uomini… Sai, si pensa sempre che il nostro sia un amore da ragazzi, o tra un uomo e un ragazzo, e invece io mi immagino che tra vent’anni noi ci ameremo nello stesso modo in cui ci amiamo ora, e non sarà affatto vergognoso o effeminato, perché noi due non siamo effeminati, e tra me e te non c’è da chiedersi chi sia l’uomo perché lo siamo entrambi in egual misura. E vedi, io penso sempre che sarebbe bellissimo se noi arrivassimo ad amarci così tanto da poterci riconoscere da un niente… non so… il rumore di un passo, o un respiro, oppure… oppure una carezza, anche un nulla, così, uno sfiorarsi appena… io capirei che sei tu a toccarmi, e ti farei un sorriso, non mi volterei neppure, non avrei bisogno di controllare… ti prenderei la mano, ti direi sottovoce che ho voglia di fare l’amore, e non avrei paura di sbagliarmi…
Gregory gli scostò i capelli dal volto, delicatamente. – Una carezza così? – bisbigliò.
Raphael gli prese la mano, se la portò alle labbra. – Non voglio che rimanga solo una fantasia, Gregory. Giurami che non mi chiederai di tornare a Serven. – Chiuse gli occhi, trattenendo la tristezza tra i denti. – Devi solo dirmi se scegli la tua vocazione o me. Solo questo. Non puoi averci entrambi, lo sai.
– Raphael…
– Dimmelo.
Gregory alzò il capo e fissò gli occhi nei suoi, chiusi, tremanti. Come poteva chiedergli di scegliere? Non si rendeva conto che quella scelta era già stata presa da tempo? Tutto quello che era stato detto nel frattempo… erano solo pietose menzogne. – Guardami. – Raph aprì gli occhi. – Ho già scelto. Non è questo il problema.
– È la verità? O lo dici perché pensi che non potrei accettare di venire dopo del mio Dio?
– È la verità.
– Ma tu continuavi a parlare di tornare… di Serven… Forse quella vita ti manca, in fondo te la sei scelta tu, mentre io… io ti sono capitato in mezzo alla vita e forse ho rovinato qualcosa…
Gregory gli prese il viso tra le mani, sorridendo. Quante stupidaggini avrebbe ancora detto, se non l’avesse fermato? Dolcemente, fu tentato di lasciarlo continuare. Gli piaceva che dicesse quelle cose… che si mostrasse così fragilmente attaccato a lui, così insicuro, così… se stesso. Era facile essere forte accanto a Raphael, quando gli si apriva in quel modo, mostrandogli ogni sua più intima paura… mostrandosi vulnerabile.
Ma non era giusto che soffrisse così scioccamente. Lo interruppe. – Mi stimi così poco?
– Cosa… che vuol dire?
– Credi che accetterei qualsiasi cosa mi capitasse… così… senza decidere nulla? Ancora non mi conosci? – Lo baciò. – Tu sei mio perché ti ho voluto, non perché mi sei capitato. E poi non te l’ho già detto che sei la cosa più bella della mia vita? – Il sorriso si allargò. – Ho penato per tre mesi nel dubbio se fosse lecito amarti o no… e adesso che sono qui non tornerò indietro. Non voglio e non lo farò.
Raphael sospirò, debolmente. – Allora perché parlavi sempre di Serven?
– Perché non sapevo cosa fare… per te. Non riuscivo a capire cosa tu volessi, hai scoperto più cose su te stesso in un giorno che in sedici anni, e pensavo che parlarti dell’unico punto sicuro della tua vita… Serven… sarebbe servito a rassicurarti almeno un poco. A farti capire che, se vuoi, un posto in cui tornare l’avrai sempre.
– Ma tu non vuoi che io torni, non è vero? Non è così?
Gregory esitò. – Io voglio che non ti manchi mai nulla.
– E…?
– E non so come fare a darti questo… da solo. Non so che vita potremmo condurre. Se penso al futuro, vedo solo una macchia nebulosa e scura… niente di certo, niente di affidabile.
– Ma non siamo soli. Io ho i miei genitori, e tu i tuoi. No?
– Sì… questa è l’unica cosa che mi conforta un poco. Ma dovremo lasciarli, prima o poi. Almeno… io lo farò. Non voglio essere un peso per loro, so quanto è dura sfamare un figlio, e in un periodo come questo, poi…
– È questo il problema? Ci troveremo un lavoro e inizieremo una vita nostra.
– E credi sia facile? Il mondo è uno schifo, specialmente per quelli come me e te. Gitani. Ripensa a tutto quello che ti hanno insegnato, e pensa che adesso tutto questo sarà riferito a te. Ladri, sanguinari, schiavisti, stupratori, assassini… la gente ti guarderà e penserà ognuna di queste cose. Lo puoi accettare?
Raphael lo guardò con aria infastidita. – Perché stai cercando di spaventarmi?
– Ti sto dicendo le cose come stanno. Non voglio che tu possa avere sorprese… amare.
– Io voglio vivere con te, del resto non m’importa. Ma tu lo vuoi? O attribuisci a me le paure che provi solo tu?
Gregory scosse la testa. – Io so di avere paura. Ho tanta… tante paure. Ma la più grande… è come poterti mantenere. Di cosa farti vivere. Io non so fare nulla, non ho mai fatto altro che il novizio, nella vita.
– Non ho bisogno che tu mi mantenga – replicò il ragazzo. – Non sarò la sposa fedele che ti aspetta a casa!
– Non era questo che…
– Non mi hai risposto. Lo vuoi o no? Vuoi provare a vivere con me? O… cos’altro? Cosa vuoi? Non vuoi tornare a Serven, e allora cosa farai? Vuoi restare? Vuoi essere il solo a restare? Io non capisco, davvero, non capisco cosa vuoi.
Gregory lo abbracciò, d’impulso, anche se non era il momento e la discussione avrebbe richiesto che si guardassero negli occhi. Tuffò il viso nell’incavo del suo collo e lo lasciò lì. – Lo capissi almeno io… – mormorò, con voce soffocata.
– Ti prego, Gregory… anch’io ho paura. Ma se fai così mi toglierai quel poco di sicurezza che ho acquistato… quel poco di decisione che ancora conservo. – Gli sollevò il viso. – Io voglio te, tutto il resto viene dopo. Se avessi la certezza che tornando a Serven potremmo essere felici, manderei al diavolo tutto il resto. Ma io sono certo che invece, se torniamo, sarà la fine di tutto… è in base a questo che voglio decidere. In base a te. Il resto non conta niente.
– Io non voglio che tu debba soffrire di nulla – mormorò Gregory. – Ho sofferto la fame, una volta, e tu non sai… davvero, non sai quanto poco voglia che tu la provi.
– Meglio soffrire la fame che stare senza di te.
– Non posso lasciarti… lo sai che morirei. Ma se decidi di non tornare…
– Ho già deciso, Gregory.
– … devi sapere che d’ora in poi sarà tutto più difficile.
Raphael annuì. – Non ho mai avuto niente di facile, in vita mia. Quanto al mestiere, io so cantare. Ho una bella voce, se mi procuri una cetra te lo dimostro.
– Raphael, ti prego…
Ma il ragazzo scosse la testa, con decisione. – Non abbiamo alternative, amore mio, lo sai. Io non voglio dipendere dai miei genitori proprio come non lo vuoi tu: ho sedici anni, sono abbastanza grande da staccarmi dalle gonne di mia madre. – Esitò. – Specialmente perché non mi ci sono mai attaccato, e non voglio cominciare ora.
Gregory chinò il capo. Aveva ragione Raphael: non c’erano alternative. Sospirò. – Ci proveremo. Per male che vada, sappiamo leggere e scrivere: qualcosa troveremo.
Raphael lo abbracciò stretto e gli baciò le labbra serrate con così tanta passione che gli ci volle un secondo per forzarle e raggiungere con la lingua la sua dolcissima, e ad essa unirsi in un umido amplesso languido d’amore e d’angoscia. In qualche modo avrebbero fatto. Tutto, pur di non doversi separare.



All’augusto priore Ferdinand,
monastero di Serven

Reverendo padre,
è probabile che quando vi giungerà questa missiva abbiate già ricevuto notizia della distruzione di Widefield, di cui siamo stati spiacevolmente testimoni. Come immaginerete, il momento non è stato facile, e a più riprese abbiamo temuto per la nostra vita, ma grazie a Dio siamo entrambi salvi e non abbiamo sofferto di nulla, se non della paura, perciò su questo punto rassicurate pure tutti coloro che si sono preoccupati per noi.
Purtroppo le circostanze ci impediscono di tornare a Serven. Confortatevi: non ci è stato fatto alcun male, né ce ne sarà fatto in futuro. Per il resto, augusto padre, perdonate la nostra reticenza ad affidare alla pergamena fatti tanto importanti. Vi preghiamo sentitamente di non mandare alcuno a cercarci, perché non ve n’è bisogno. E se talvolta vi sovviene, pregate per noi.
Vi lasciamo con la più sincera speranza che al monastero tutti i fratelli e voi stiate bene almeno quanto noi, e che la nostra assenza non provochi turbamenti.

 

  
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