Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: CupOfEternitea    23/10/2011    12 recensioni
Sandor Clegane teme il fuoco sin da quando era un bambino, lo stesso fuoco che lo ha sfigurato e gli ha indurito il cuore, finché un calore più intenso non inizia a scioglierglielo.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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SANDOR

“Stupido moccioso”, ringhiò a denti stretti non appena al sicuro nella sua stanza, o la sua cuccia, a giudicare dall’arredamento essenziale. Aveva accettato perfino di occuparsi dell’incendio al Fondo delle Pulci, pur di stargli alla larga il tempo necessario a far sbollire la rabbia e assopire il desiderio di prendere la sua bionda testa coronata e fracassarla contro il Trono di Spade. Unico lato positivo, aveva ritrovato Straniero, il suo stallone.
Non aveva mai conosciuto nessuno tanto desideroso di essere ammazzato come lo era il suo padrone, né tanto talentuoso nell’attirare su di sé l’odio e il disprezzo di chi lo circondava. Forse il nuovo re non ricordava che sorte era spettata ad Aerys Targaryen, il Re Folle, quando le sue insane stravaganze arrivarono a livelli tali da non poter più essere tollerate. Una folla affamata poteva essere ben più pericolosa di un’armata nemica, anche senza il bisogno di alimentare la rabbia popolare. Di certo c’era già abbastanza gente che non aspettava altro che avere la sua testa. Se ne sarebbe volentieri sbarazzato lui stesso se non fosse stato un buon cane, e i cani non mordono chi li nutre.
Gli aveva ordinato di scendere tra la folla in rivolta. Lui l’aveva fatto, così come prima di allora aveva eseguito ciecamente ogni ordine, fino ad abbassarsi a giustiziare sommariamente un semplice garzone di un macellaio.
Gli aveva ordinato di portargli un uomo colpevole solo di avergli gettato dello sterco sul viso. Lui aveva obbedito, nonostante sentisse la flebile voce della giovane Stark tentare di placare le ire del suo promesso. Nonostante fosse conscio che la sua discesa in campo sarebbe stata la scintilla che avrebbe dato fuoco all’assalto.
Che altro avrebbe potuto fare? Disobbedire al re? La sua testa sarebbe stata esposta su una picca sulle mura come quella dell’ultimo Primo Cavaliere. No, lui era decisamente più furbo di Eddard Stark per farsi ammazzare in quel modo. Messa in questi termini, c’era più gusto a morire lapidato da una folla inferocita piuttosto  che cedere senza opporre resistenza a quel brutto muso di Illyn Payne per ordine di un ragazzino viziato, codardo, perverso e stupido come Joffrey Baratheon.
Eppure, nonostante il lungo elenco delle sue mancanze e delle sue efferatezze, Re Joffrey – che gli Estranei se lo portino alla dannazione! – non sarebbe mai stato additato come un mostro. Nessuno avrebbe mai distolto lo sguardo digustato dal suo volto, sensazione che al Mastino era fin troppo familiare, sensazione che aveva l’effetto di una lama affondata e ritorta nelle sue viscere. Soprattutto, perfino Lei era capace di sorridergli nonostante l’odio che dissimulava, mentre continuava a non riuscire a sostenere la vista delle cicatrici che deformavano la metà sinistra del viso di Sandor.
L’avevano ammaestrata davvero bene. Un uccellino capace di cinguettare quella sua canzone, senza requie, senza tentennamenti o cedimenti. Davvero encomiabile!
Spesso si era chiesto se non fosse semplicemente stupida, come pensava la regina Cersei; ma la dignità che la ragazzina dimostrava di fronte alle più furiose umiliazioni era qualcosa di talmente estraneo al mondo che lui serviva, che ben presto si era arreso all’evidenza dei fatti: Sansa Stark era quanto di più nobile Approdo del Re avesse ospitato dai tempi dei Targaryen, per quanto lo ripugnasse associare la nobiltà a un qualcosa di ammirevole.
Lord e cavalieri… Ego, arroganza e ipocrisia: ecco cosa riempiva le loro armature.  Avesse potuto, li avrebbe calpestati tutti. Riusciva a immaginare i loro volti deformarsi sotto gli zoccoli scalpitanti di Straniero, i loro stemmi e i loro nomi affondare nel fango e nello sterco. E Lei davvero credeva ancora nelle sue belle leggende e nelle ballate cavalleresche? O forse aveva smesso quando gli stessi cavalieri che lei avrebbe tanto voluto ammirare l’avevano malmenata e schernita, dopo che l’altrettanto nobile re, il suo promesso, l’aveva denudata davanti a tutti loro? Gli stessi nobili cavalieri che l’avevano abbandonata tra i rivoltosi nella loro fuga verso le mura della città?
Era toccato ancora a lui.
Aveva tagliato di netto il braccio dell’uomo che aveva provato a tirarla giù dal cavallo. Non contento aveva infierito, finché non era stato certo di non vederlo più muoversi. Non era stato un lavoro pulito come al solito, una commissione ben svolta. Aveva colpito l’uomo con una rabbia cieca, massacrandolo, poi ne aveva sventrato un altro, finché era stato certo che nessun altro avrebbe provato a seguire l’esempio dei due, finché non aveva visto tutto tingersi di un rosso cupo e cancellare quello tenue della chioma di Lei, del terrore che aveva letto nei suoi occhi, sul suo viso insanguinato, mentre tentava di spiegare alla folla che non aveva pane con sé; la stessa folla che era decisa a linciarla per il solo crimine di essersi accompagnata al suo carceriere.  Sciocca! La gentilezza non l’avrebbe difesa, né l’avrebbe fatto il suo bel viso, i suoi occhi persi in chissà quale immaginazione o…
Sandor Clegane si lasciò andare a un ringhio rabbioso, rovesciando un tavolino. Il piano circolare rotolò verso la finestra, scheggiandosi, senza causare ulteriori danni all’arredamento spartano. Appoggiata la fronte alla fredda parete di pietra, chiuse gli occhi e strinse la morsa delle dita attorno ad alcune pietre sporgenti, sperando quasi di riuscire a scalfirle, di poter perforare quella durezza con la sola forza della sua frustrazione.
Quella stupida!
Era colpa sua, della sua incapacità di difendersi, di tirarsi fuori dai guai, se si sentiva in dovere di occuparsi di lei. Quasi si pentiva di averle suggerito di assecondare i desideri del re, per evitarle umiliazioni ben peggiori di quelle che già subiva. Forse avrebbe dovuto lasciare che lui la torturasse, che la uccidesse per il reato di tradimento, così che lui potesse nuovamente sentirsi libero da questa sorta di schiavitù a cui si sentiva incatenato. Aveva sempre avuto padroni, ma non era mai appartenuto a nessuno quanto sentiva, suo malgrado, di appartenere a lei.
Si voltò, appoggiandosi con la schiena alla parete, respirando affannosamente. La sua mano si sollevò fino a posarsi sul suo petto, stringendo la sua tunica tra le dita ancora sporche di sangue. Lì, dove le mani di Sansa lo avevano stretto per non cadere da cavallo, poteva ancora sentire la pelle bruciare, corrodergli il petto e straziarlo di una fiamma più instinguibile dell’altofuoco, più spaventosa dei sette inferi.
E lo temeva altrettanto, questo lo aveva capito.
  
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