Lasciarsi vivere…
Quello che sentiva non gli era possibile descriverlo,
nemmeno con metafore o eleganti giri di parole: quello che sentiva non era ben
chiaro nemmeno a lei. Era seduta e le gambe le prudevano per la terra e il
fango che le si stavano lentamente asciugando addosso.
Questo lo sentiva più di tutto, con chiarezza. L'orologio sul comodino smise di
ticchettare, bisognava di nuovo dargli la carica. Si scosse un attimo a quel
pensiero. Le mani posate sul grembo le dolevano addormentate. Con un scatto incontrollato le mosse cercando di riacquistare
sensibilità. Si lasciò andare su un lato, abbandonandosi sul letto e si
stiracchiò ancora un po', sino ad afferrare il vecchio orologio sul comodino.
Lo caricò. L'intricato groviglio di rami e foglie che riposavano sul suo grembo
si sparpagliò toccando il pavimento con poca grazia. Come una scia di sangue e
terra, brandelli d'edera carminea segnavano e
scompigliavano il pavimento della stanza e si aprivano la strada fino alla
porta d'ingresso e al giardino, sino a poche ore prima sede del loro rigoglioso
germogliare.
Voleva dormire, anche lei. Ne aveva
un bisogno forte, quasi impellente, ma l'indistinta fonte del male che cresceva
in lei le impediva di dare riposo ai propri occhi sbarrati. Stesa su un fianco,
con le gambe ancora giù a sfiorare il terreno, mise a fuoco accanto al vecchio
orologio una boccettina, lesse: "Distillato della Morte Vivente. Soluzione
Diluita. Una sola goccia per una notte di pace".
Voleva dormire, ma voleva
anche riposare. Le gambe le prudevano. L'orologio ticchettava, alcuni rami
sparsi ancora sul letto matrimoniale scricchiolavano sotto il suo inconsistente
peso. Guardò ancora la soluzione di Distillato della Morte Vivente al di là della plastica arancione della boccetta. Desiderava
obliviarsi, dare un senso a
quel dolore che la rendeva catatonica. Debolmente sporse il braccio verso la pozione,
ma poi si fermò e lasciò ricadere l'arto sulle lenzuola scomposte.
No. Non l'avrebbe mai fatto.
Mai avrebbe cercato quella soluzione facile, ovvia,
spaventosamente semplice. Quella era la strada che Harry
aveva seguito, non quella che lei avrebbe scelto. Mille volte l'aveva
minacciata, pregata, sgridata, con lo sguardo annebbiato da tutte le pozioni
che prendeva. Se lei lo avesse lasciato, nulla avrebbe
avuto senso per lui. Ma Ginny
ben sapeva che per Harry nulla aveva un senso, una
ragione da molto tempo. "Sei tutto per me" le diceva, ma per lui solo
i farmaci erano una certezza. Non era più il suo seno a dargli rifugio e
conforto, ma il Distillato della Morte Vivente o l'Artiglio di Drago o…chissà
cos'altro prendeva. Non aveva mai accettato di farsi modificare la memoria:
sarebbe bastato un semplice incantesimo, ma Harry non aveva voluto…Desiderava consumarsi così, fra i
suoi ricordi più dolorosi e le consapevolezze più angoscianti.
L'azzurro pastello di quelle mura era ora il ceruleo
cielo di una prigione. La sua amata edera, un ragno rampicante che la soffocava
ogni notte. Quando Harry
l'aveva piantata sulla logora facciata di Grimmauld Place, vi aveva riposto la gioia e la fiducia di chi spera
in una nuova vita rigogliosa e felice. Dopo quella dannata seconda guerra c'era
stato solo dolore e tristezza.
Ginny non voleva vivere così, come Harry
si stava lasciando vivere.
E lentamente aveva incominciato ad odiarlo, a
sopportarlo per pura pietà per colui che un tempo era
e amava. "Se mi lasci, non avrò più ragione di
vita. Se mi lasci morirò, lo so." E così, in
quelle minacce oscure, strisciate e biascicanti erano passati gli anni e
l'edera che, rigogliosa continuava a crescere in giardino, stringeva sempre più
le sue morse attorno a lei.
Un giorno prese meccanicamente la decisione di
andarsene. Harry la guardava sprofondato nel suo
divano, nel suo apatico e patetico guscio. Non le
disse niente. Non si alzò. Non l'accompagnò alla porta. Solo quel suo sguardo
annebbiato, dietro gli occhiali graffiati. Solo un sussurrò
dalle sue labbra screpolate. "Sai cosa succederà ora, vero?"
Lo sentì, ma non volle ascoltarlo. "Si
trascinerà così in eterno. Non avrà mai il coraggio di fare qualcosa, come non
ha avuto nemmeno il coraggio di fermarmi". In cuor suo Ginny
sapeva che non era vero: che il coraggio lo avrebbe trovato nella forza di una
disperazione buia e vischiosa che non lo aveva mai abbandonato da quando la guerra era finita, da quando molte vite amiche
erano state dilaniate.
Ora, dopo la morte di Harry,
aveva distrutto quella fottutissima edera, ma ne era pentita. L'aveva trascinata con sé sin dentro casa:
era un suo ricordo e un monito allo stesso tempo. Era libera e probabilmente
anche Harry lo era: liberi dal peso delle troppe
responsabilità che la vita gli aveva affidato precocemente.
Forse solo ora Harry era
libero dalla feroce tristezza che lo aveva risucchiato, dal vuoto che la
guerra, combattuta troppo presto, gli aveva lasciato. Anche per Ginny forse era possibile vivere una vita libera ma non priva di fantasmi, rimpianti e rimorsi.
Allungò di nuovo il braccio verso il Distillato della
Morte Vivente: almeno avrebbe dormito un po', si disse.
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L'ispirazione per questa storia mi è venuta guardando
questa triste e inquietante fotografia. Se volete
deprimervi un altro po', visitate il link in basso.
Grazie a tutti quelli che vorranno lasciarmi una
recensione!