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Autore: londra555    23/10/2011    4 recensioni
In una Lima avvolta da un incessante pioggia una serie di avvenimenti poco chiari stravolgono la routine quotidiana della piccola città di provincia.
Genere: Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash, Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Santana Lopez, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1
 
Aprì gli occhi di colpo, trovandosi a fissare incessantemente il soffitto bianco. Sentiva la testa scoppiarle e il corpo dolorante. Richiuse appena le palpebre ascoltando il leggero rumore della pioggia. Cercò di ricordare quello che era successo la notte prima sperando che il suo stato fosse dovuto ai postumi di una terribile sbronza. Ovviamente sapeva che non era così. Aprì di nuovo gli occhi ma senza muoverli dal soffitto, non voleva vedere nient’altro. Sapeva che ciò che avrebbe visto non le sarebbe piaciuto. Questa storia andava avanti da troppo tempo ormai. Il rumore incessante della pioggia cullò il suo pensiero che andò a ricostruire gli avvenimenti della sera prima. Ricordava chiaramente di aver mandato via Puck da casa sua di malo modo, mentre lui cercava disperatamente di convincerla ad andare alla festa organizzata da Kurt per l’imminente nuovo anno scolastico. Ricordava di aver cancellato, senza rispondere, tutti i messaggi che arrivavano dagli altri membri del glee che insistevano perché andasse anche lei. Ricordava di non aver risposto alle telefonate di Brittany che non si era data per vinta tanto da costringerla a spegnere il cellulare. Ricordava chiaramente di essersi messa a letto dopo aver chiuso la finestra a causa della pioggia che iniziava a battere sul vetro. Merda non di nuovo, cosa cazzo mi succede? pensò disperatamente mentre chiudeva gli occhi cercando di evitare che le scappassero le lacrime che sentiva pizzicarle sotto le palpebre sigillate mentre il cuore battere all’impazzata. Appena riprese un po’ di controllo su se stessa diresse lentamente lo sguardo verso i suoi piedi. Sapeva cosa aspettarsi ma cercava di convincersi che questa volta sarebbe stato diverso. Merda no, no, no la sua testa quasi urlava mentre aveva la conferma di quello che sospettava. Aveva addosso un paio di jeans e ai piedi delle semplici scarpe da ginnastica, ed era sporca di fango sin sotto le ginocchia. Si sedette di scatto sul letto portandosi le mani sul viso. Rimase così per alcuni minuti, inconsciamente sperava ancora che fosse un sogno. Si alzò per andare al bagno e farsi una doccia, mentre passava al lato della sveglia che indicava le sette della mattina. Sapeva di essere sola a casa come le succedeva spessissimo e, per l’ennesima volta nell’ultimo mese, ringraziò il lavoro che manteneva i genitori lontano da lei in quei momenti. L’acqua calda che batteva sui suoi muscoli tesi e doloranti aveva un effetto rigenerante per il fisico ma non per la sua mente stremata. Non era la prima volta che si svegliava la mattina con segni evidenti di essere uscita la notte. Ma allora perché non ricordava niente? Perché sentiva il corpo dolorante come se avesse sollevato enormi pesi per ore e ore. Sapeva che avrebbe dovuto parlare con suo padre, ma una paura folle e irrazionale la bloccava. Allora faceva l’unica cosa che le aveva sempre dato sollievo: si allontanava da tutti e si chiudeva in se stessa. Chiuse l’acqua e uscì dalla doccia fermandosi davanti allo specchio e accorgendosi che delle lacrime le solcavano il viso, non si era nemmeno accorta di aver iniziato a piangere. Si cambiò in fretta cercando di non pensare a niente anche se, di nuovo, cupi pensieri si inseguirono nella sua mente mentre metteva i jeans e le scarpe piene di fango nella lavatrice. Aprì la finestra della sua camera e buttò un’occhiata distratta al cielo ancora plumbeo, infine decise di andare in cucina e prepararsi un caffè. Cercava di concentrarsi davanti alla tazza fumante ma decisamente non era la giornata ideale. La testa le scoppiava ancora, tanto che prese una pastiglia del primo antidolorifico che incontrò per cercare di farselo passare. Mentre si trovava davanti all’armadietto dei medicinali pensò che, in quei casi, era una fortuna avere un padre medico e una scorta infinita di pastiglie e gocce per ogni evenienza. Per un attimo si fermò a leggere tutti quei nomi spesso impronunciabili, ripetendo tra se e se a cosa servivano e gli effetti collaterali che potevano avere. Era sempre stato il suo gioco preferito, o per meglio dire l’unico gioco, che divideva con il padre. Lui non le aveva mai letto una favola, non aveva mai visto un film al suo fianco, non l’aveva mai consolata quando piangeva. Solo quello la univa a lui e lei si era aggrappata tanto a quei momenti che adesso poteva far invidia a un enciclopedia medica. Era ancora presa dai suoi ricordi quando bussarono alla porta. Santana guardò l’orologio, le dieci di mattina dell’ultima domenica prima della scuola. Chi poteva essere? Pensò di non aprire, però la persona fuori dalla porta continuava insistentemente a bussare e lei non voleva che quel rumore risvegliasse il terribile mal di testa che aveva appena iniziato a sopirsi. Così si diresse verso la porta e l’aprì di scatto con la sua miglior espressione infastidita stampata nel volto, espressione che subito, anche se involontariamente, si addolcì alla vista di due enormi occhi azzurri.
-Perché non sei venuta ieri?- disse Brittany mentre entrava senza aspettare che l’altra la invitasse a farlo.
-Non devo dare spiegazioni a nessuno, tantomeno a te!
Brittany camminava nervosamente avanti e indietro, senza guardarla. Poi, di colpo, si fermò davanti a lei fissandola con occhi velati di tristezza.
-Perché fai così?
-Così come?
Brittany le si gettò al collo stringendola forte a se. Quando parlò la voce era spezzata e causa del pianto trattenuto
-Perché sei sparita? Non rispondi alle mie chiamate e praticamente non ti vedo da un mese! Un mese, San!
Santana chiuse gli occhi e, mentre ispirava profondamente il suo profumo, la strinse per consolarla. Ma fu solo un attimo. Doveva allontanarla sinché non avesse saputo cosa le succedeva esattamente. Aveva una paura folle che, quei momenti di vuoto, nascondessero qualcosa di terribile. Ma doveva affrontarlo da sola, non l’avrebbe mai fatta preoccupare, preferiva allontanarla piuttosto che immaginarla al suo capezzale in lacrime se qualcosa fosse andato davvero storto.
-Voglio solo stare per i fatti miei. Non mi sembra tanto difficile da capire! Magari puoi dirlo anche agli altri così evito di ripeterlo altre dieci volte?
Brittany la guardava, colpita dalla freddezza di quelle parole. Le mancava stare con lei e non capiva cosa stesse succedendo. Tutto era così confuso. Sapeva solo che, ultimamente nel suo giardino si inseguivano ombre spaventose e che Santana non era mai con lei per proteggerla come succedeva sempre. Poi c’era la pioggia. Quella pioggia continua e incombente che trasformava il suo mondo interiore di fate e folletti in un inferno di banshee e farshee urlanti.
-San… Io vorrei stare con te.
Santana si fermò di colpo, quella frase poteva significare tutto per lei, ma quello non era il momento opportuno.
-Vai via per favore.
Fu solo un sussurro, l’unica cosa che poteva dire in quel momento. Sapeva che le stava facendo male, ma non riusciva a fare altrimenti. Il mal di testa si faceva sentire di nuovo, pulsava con maggior violenza a ogni secondo che passava.
Brittany abbassò la testa, poi le prese la mano mentre si dirigeva verso la porta chiusa e se la portò sino alle labbra posando un lieve bacio, infine uscì senza voltarsi e senza aggiungere altro. Santana chiuse la porta e vi poggiò la schiena lasciandosi scivolare per sedersi al suolo. Manteneva gli occhi chiusi, sentiva la pelle della mano bruciarle. Sapeva che se avesse aperto la porta l’avrebbe trovata ancora li che aspettava. Passarono diversi minuti prima di sentire il rumore dei passi dell’altra che si allontanava sconfitta.
Allora prese coraggio e si alzò per raggiungere il telefono, digitò il numero del padre che le rispose dopo un paio di squilli.
-Buongiorno, cosa fai già sveglia a quest’ora di domenica?
-Ciao papà, senti ho bisogno di un favore.- rispose un po’ esitante.
-Dimmi.
-Ultimamente non mi sento molto bene, dormo male e mi sento stanca.
Dall’altro lato del telefono l’uomo rise.
-Stai tranquilla, è normale! Le vacanze stanno finendo e domani inizia il tuo ultimo anno. Credo che si possa chiamare stress!
Santana sospirò rumorosamente, non era stata troppo precisa con i sintomi, ma i suoi non c’erano quasi mai a casa non poteva dirgli che mentre la lasciavano sola lei se ne andava in giro di notte per poi ritrovarsi la mattina dopo distrutta come se avesse scaricato un intero camion di casse di frutta ma senza ricordare assolutamente niente. Ma il padre percepì in quel sospiro una reale preoccupazione e, ben sapendo che la sua unica figlia non era certo ipocondriaca, decise di aggiungere:
-Senti, facciamo così, prendi la macchina e vieni qui. Ho un’ora di tempo. Facciamo un paio di prelievi e vediamo se qualcosa non va.
-Ok, ci vediamo in un quarto d’ora.
Santana chiuse la conversazione e si diresse verso la macchina, era arrivato il momento di fare qualcosa.
 
 
Note: solo un paio di cose. Nonostante il primo capitolo molto Santana-centrico la storia non è solo su di lei. L’idea era di fare un thriller ispirato per l’atmosfera a un famoso videogioco (dieci punti a chi l’ha già indovinato!!) ma con i personaggi di glee! Ovviamente è una follia e ne sono consapevole, è venuta fuori questa storia che pubblico adesso che si sta avvicinando Halloween! Sono solo 13 capitoli quindi fatemi sapere se vi interessa e siete curiosi di sapere cosa diamine mi è passato per la testa!   
 
 
  
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