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Autore: InkSoul    23/10/2011    0 recensioni
Quello che vi presento è un one-shot. Sono fatto così, sono capace di inventare storie o molto corte o terribilmente lunghe.
Ho scritto questo piccolo monologo pensando allo straordinario potere delle foto, così piccole eppure talvolta così importanti.
Così ho descritto come una semplice immagine possa ispirare allo stesso tempo dolcezza e tremenda colpa.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una Foto


Nella vita ci troviamo non di rado ad avere a che fare con oggetti piccoli. Francobolli, penne, tazzine del caffè, noccioline, semi e via discorrendo. Spesso li consideriamo così insignificanti e banali da dimenticarci che anche essi hanno una loro storia, talvolta anche più avventurosa della vita di qualche uomo.
Di tutti gli oggetti piccoli, però, senza dubbio quello che ha più vicende alle spalle, quello che ha più bisogno di storie per essere creato è una foto.
Non si tratta di semplice meccanica, poiché se si vuole essere precisi, una fotografia non è altro che colore. Non è neanche semplice estetica, in quanto è frequente che foto fatte a caso  e antiestetiche raccontino più di tanti paesaggi meravigliosi.
Ciò che intendo è proprio la vicenda umana, o meglio le vicende umane che la muovono, ma anche il luogo, i sentimenti dei soggetti, gli oggetti e l’inesistenza del tempo.
Mentre noi, infatti, siamo soggetti allo scorrere infinito e incessante del tempo, il soggetto di una foto è fuori da esso, colto in un istante immobile ed eterno. Per questo ho desiderio di narrarvi di una foto che ha segnato una netta linea di demarcazione nella mia vita.
Si tratta di una foto sbiadita, poiché anche se il momento che raffigura è fuori dal tempo, i materiali di cui è fatta non lo sono.
Un ambiente scuro. Nella penombra si distingue una figura vissuta, brizzolata. Seduto ad una scrivania, ha le mani callose poggiate con dolcezza su una tastiera di computer, acceso davanti a lui. Con il suo abbigliamento elegante di colore grigiastro e i capelli un po’ sconvolti sembra essere un dolce pianista, folle di genialità. La sua dolcezza, in realtà, era sfiorita nel tempo fino a dissolversi in quella foto.
L’unica luce è quella dello schermo che illumina elettronicamente di bianco il suo sguardo basso e angosciato, fa anche quasi luccicare i suoi occhi azzurri. A un primo sguardo sembra rivolto verso la tastiera, ma seguendo gli occhi si giunge ad un oggetto nero, i cui contorni si confondono con l’oscurità del pavimento.
Alle sue spalle una finestra semi aperta, anch’essa con i contorni sfumati nel buio e con piccoli tocchi di luce bianca proveniente dal PC. Sotto di essa si estende una serie di mensolette piene di piccoli oggetti timidamente luccicanti di vari colori, purtroppo poco distinti per via della poca luce. Sono souvenir comprati in posti diversi. Frank aveva infatti l’abitudine di comprare piccoli oggetti caratteristici dei posti in cui andava. Lo fece sempre, tranne in un viaggio il cui ricordo preferì affossare. Era da qualche parte in Asia. Fu lì che gli inganni furono svelati. Accanto alla finestra vi è una grossa cassettiera di legno, con alcuni cassetti tolti e rovesciati a terra davanti ad essa. Nella penombra si distinguono calzini, magliette, asciugamani, e in mezzo quasi affossata un’altra foto. So di mio che in quella cornice vi era una coppia, felice, immortalata in una giornata luminosa di un posto lontano. Ho sempre desiderato che quel momento ritornasse.
Un uomo, un sentimento mascherato, un oggetto mancante, un viaggio, un’ombra nera ai suoi piedi. Sono tutti sintomi di rimorso e colpa. Per terra, vicino ai panni in disordine sul pavimento, una larga chiazza scura. Così nera da sembrare pece, se non ci fosse una mano macchiata ed esanime a spargerla. Un delitto tremendo, eppure così lieve e pacato da sembrare una finzione.
Da sola quella foto non ha valore; ha bisogno di me per avere la forza che gli spetta.
Chi sono io? Ciò che da sempre viene ignorato. Io ho scattato la foto, sono l’autore di quella sottilissima fetta di realtà. La feci tremando, appena vidi Frank a terra. Volevo incolpare quell’uomo, brizzolato ed elegante, che un tempo avevo amato. Ora era lì seduto, con al dito la fede che molto tempo fa gli avevo donato insieme al mio cuore e al mio sì.
Su quello schermo i miei messaggi per Frank e i miei piani per poter far sembrare le mie fughe con lui, innocenti viaggi di lavoro.
In quella stanza morirono tante cose.
  
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