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Autore: daisichain    24/10/2011    0 recensioni
Era il nostro continuo sfiorarci con le braccia, il modo in cui intrappolava i miei capelli tra le dita, o quello in cui ci battevamo il cinque; erano gli sguardi che gli lanciavo mentre lui strimpellava con la chitarra, e quelli che mi mandava lui con la coda dell’occhio; era il nostro continuo cercarci, anche solo con un sorriso. Era quell’alchimia che c’era sempre stata, che c’era ancora, e che dubitavo si sarebbe mai sciolta. Tutto ciò era l’unica certezza che avevo: mi apparteneva nello stesso modo in cui io appartenevo a lui.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi Tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Se ci penso bene, l’unica cosa che mi rende felice come salire su un palco e cantare per ore, è stare con la mia famiglia.

Sto dietro le quinte, e sento le voci dei tecnici scandire il tempo rimanente prima che il concerto cominci. Le voci più forti, però, sono quelle dei nostri fans che ci chiamano. Ci invocano, quasi come fossimo degli dei. Ma forse per loro siamo degli idoli, e questa responsabilità me la porto dietro in ogni gesto che faccio.

«Mi spiace veramente per prima, so che non vedevi Chad da molto tempo», mi dice Josh a un orecchio, strimpellando qualcosa con la chitarra per vedere se è accordata bene.

Annuisco. Non riesco a capire se sia dispiaciuto a me, e al momento la cosa è più grave.

«Jenna, non c’è stasera?», chiedo. 

Jenna Rice, la fidanzata ufficiale di Josh, quella adorabile ragazza che gli sta appiccicata come una seppia ogni momento possibile, che ha una ricrescita spaventosa, e una personalità pari a zero. Per non parlare poi delle spalle da lottatore di sumo che si ritrova.

Hayley, controllati, su, e so che quella vocina dentro la mia testa ha ragione, ma non so se voglio ascoltarla. Infine il diritto di pensiero è ancora legale.

Josh alza le spalle. «Si trova dall’altra parte del paese, a casa dei suoi, credo».

«Credi? Ti chiama mille volte al giorno». Forse questo non dovevo dirlo. Miseriaccia.

Fortunatamente sembra non farci molto caso, e alza le spalle di nuovo. «Ho lasciato squillare il telefono un po’ di volte. Sai, ero concentrato sulla canzone».

«La canzone, sì», boffonchio tra me con una soddisfazione indicredibile dentro.

«Si comincia». Mi sorride, e salta sul palco assieme a Jerm – che so ci ha tenuti d’occhio tutto il tempo – che mi fa l’occhiolino, Zac e Taylor, che stasera sfoggia il capellino rosso.

Alzo gli occhi al cielo, poi, con un sorriso sincero stampato in faccia, corro fuori, davanti a migliaia di persone che non aspettano altro che cantare con me.

Faccio un respiro profondo, impugno stretto il microfono, e chiudo Josh, Chad, e tutto il dolore nel cassetto che oggi pomeriggio Jeremy ha aperto per me.

 

«Sorellina, questa sera sei stata meravigliosa», disse Taylor schioccandomi un bacio sulla guancia.

Sorrido, e gli scompiglio i ricci. «Anche tu sei stato un fico, puffo».

I suoi occhi s’illuminano, e io mi sento felice. Il mio Taylor, il mio piccolo Taylor. Che cos’è l’amore che provo per lui se non quello che una sorella prova per un fratello?

Ci raduniamo tutti dietro al palco, e abbracciandoci a cerchio, ci facciamo dei grossi sorrisi.

«E andata anche oggi, bravi ragazzi», dice Jerm.

Rimaniamo qualche secondo in selenzio, poi ci sleghiamo e andiamo a farci delle meritate doccie. I ragazzi mi lasciano farla sempre per prima, e non so se sia per un atto di galanteria o cosa, ma è senza dubbio uno dei tanti motivi per cui tutte le sere, prima di dormire, li ringrazio.

Uscita dalla doccia, avvolta stretta stretta in un asciugamano bianco, vado a sedermi sul divano del bus affianco a Jeremy che sta controllando la posta nel suo computer.

«Tutto okay, sì?», mi chiede.

Faccio un gran sorriso e annuisco. «Sto bene».

Guarda la mia faccia e qualcosa gli suggerisce che non sto mentendo. «Bene, allora posso andare in bagno dato che il mostriciattolo sta bene». Mi fa una carezza sulla guancia, e sparisce dalla mia visuale.

Chiudo gli occhi e appoggio la testa al grosso cuscino. È davvero andato tutto bene. Ho rivisto Chad – che se n’è andato subito dopo il concerto – e dopo nemmeno pochi minuto l’ho rinchiuso in un angolino della mia mente assieme ad un altro ragazzo che, riconoso il rumore dei passi, si sta avvicinando.

«Sonno, Hay?», chiede con la sua voce irresistibilmente morbida.

Scuoto la testa, senza aprire gli occhi. «Sto bene». Ripeto quelle due parole continuamente, ormai.

Si siede vicino a me. «Sembri stanca». Mentre lo dice sfiora con le dita le occhiaie che ho in volto.

Lentamente, apro gli occhi. «Un po’, in effetti. Troppo cose a cui pensare». Dicendo quelle parole lo inchiodo con lo sguardo, come per accusarlo, per fargli capire che la colpa è anche sua.

Lo capisce. «Mi mancano i tuoi sorrisi, Hay. Quelli per me». Gli sorrido, falsamente, e lui mi prende il volto fra le mani. «Davvero, dov’è finita la ragazza che c’era in te?».

Quelle parole mi bloccarono. Rimango ferma a fissarlo per minuti interi, poi la mia voce esce. «Te la sei portata via tu».

Lui chiude gli occhi, senza mai mollare la presa sul mio viso. «Lo sai che ti amo».

«Lo vedi che sei un idiota? Se ami me perché stai con lei?».

«Perché tu stai con Chad».

Rimango in silenzio, poi a stento la mia voce esce piena di speranza. «Se io domani lo lasciassi, tu torneresti di nuovo con me, Josh?».

Lui mi guarda, e sta in silenzio. Chiude gli occhi, fa un respiro profondo, e afferrando la mia nuca, avvicina la mia testa alla sua. I nostri nasi si sfiorano. «Non voglio continuare a farti del male. Io non sono quello giusto per te».

Scuoto la testa. Stupida stupida stupida. «Vedi, è qui che sbagli. Tu per me sei perfetto, e mi fai più male dicendomi che mi ami ancora quando invece non è così. Lascia solo che io ti dimentichi, okay?». Dicendolo mi alzo dal divano, e cercando qualcosa con cui coprirmi, esco dal pullman

Una lacrima mi scende calda e lenta sulla guancia, fino a bagnarmi le labbra.

Prendo l’Iphone dalla tasca e premo il tasto due in chiamata rapida. Attendo qualche secondo, poi lei risponde. «Dak, io non ce la faccio più».

  
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