Salve
a
tutti! =D
Approfitto,
innanzitutto, per scusarmi della mia attuale condizione di ectoplasma
– sì,
insomma, mi dispiace ricomparire solo ogni tanto come un fantasma, ma
davvero,
uno crede di arrivare all’università e avere un
po’ di pace finché non si
accorge che in realtà la routine è ancora peggio.
Quindi mi
scuso per aver sospeso gli aggiornamenti delle mie varie fanfiction e
per non
aver più recensito le varie storie, ma mi è
mancato materialmente il tempo, e
se adesso pubblico questa shot è solo perché
l’avevo scritta tempo fa per il
contest. =)
Dopo questo,
una piccola introduzione alla shot: con mia profonda soddisfazione, si
è
classificata prima a pari merito con Emmevi (complimenti, a proposito,
mia
cara! =3) al contest Jinchuuriki e Bijuu
(come stai dentro di me?) di dreamwolf91.
È incentrata
sul rapporto tra il demone a zero code Reibi (cercoterio
che appare solo nel secondo film
di Naruto, può mutare forma a suo piacimento ma predilige
quella di verme nero
con una maschera, e può sottomettere il proprio jinchuuriki
solo in momenti di
particolare debolezza, paura o frustrazione) e la sua forza portante
Amaru
(ragazza del Paese del Cielo, compare anche lei nel secondo film).
Non avendo
io potuto vedere il film, tutto ciò che leggerete a parte le
informazioni che ho
inserito sopra tra parentesi fa parte di un contesto da me creato.
Il filo conduttore della shot
è la rabbia.
Preciso che
eventuali ripetizioni sono volute, e che lo stile è un
po’ intricato perché ho
cercato di rendere un dialogo che avviene praticamente attraverso il
pensiero.
Spero che vi
piaccia! =D
Panda
Freedom
Spalanco
gli
occhi all’improvviso, terrorizzata, rabbrividendo
all’eco sommesso di un urlo
stridulo che sicuramente avrò lanciato nel sonno.
Il tempo di
levarmi a sedere sul letto e mi accorgo che sto tremando; sudata
fradicia,
ovviamente, grazie all’effetto combinato incubo
più coperta pesante più vari
cambiamenti di posizione prima di svegliarmi.
Cerco di
calmarmi socchiudendo gli occhi e stringendo nel pugno un lembo di
coperta.
Inutile
cercare di rallentare il respiro, ci ho provato migliaia di volte e non
ha mai
funzionato, quindi semplicemente aspetto qualche momento
finché non avverto il
mio cuore rallentare le pulsazioni e i miei polmoni collaborare con il
resto
del corpo.
Ti ho fatto prendere un altro colpo,
ragazzina. Dei, ma quanto sei smidollata?
Ah, no. No,
che mi lasci almeno in pace…!
Ah, ti sei offesa. Femminuccia.
Devo fare
come se non ci fosse. Come non esistesse. Non è mica
impossibile. Basta solo
che io non gli risponda…
‘Come non ci fosse’? Che
fai, rifuggi la
realtà? Ma io ci sono, Amaru. Sono qui, dentro di te.
Dentro di
me. Non fa parte di me, lui. Lui è altro. Lui non ha a che
vedere con me.
Carina, ti piaccia o no io sono qui.
Cretinate.
Ti ci hanno costretto a stare dove sei, ma tu non fai parte di me.
Non faccio… Come sarebbe? Vivo in
te. Dove
tu vai, io vado. Dove tu sei, io sono. Ciò che tu pensi, io
lo sento, e lo so.
No. Tu sei
con me, certo, ma sei come una volgarissima zecca attaccata ad un cane.
Va dove
va il cane, sente quello che lui sente, vede ciò che lui
vede. Ma il cane e la
zecca non sono mica la stessa cosa.
Hahahahahahah! E questo sarebbe lo
stratagemmino logico che avresti creato per liberarti la coscienza,
ragazza?
Zecche e cani, ti facevo più sofisticata.
Vai al
diavolo.
Ah, no, Amaru, non essere così
scurrile. Non
mandarmi al diavolo, da brava. Non mandare al diavolo te
stessa…
Tu. Non.
Hai. A. Che. Vedere. Con. Me! Non sei me! Non-
Quante volte abbiamo agito in simbiosi,
stupida ragazzina? Quante? Quante volte ti ho dato il mio chackra in
combattimento,
quante volte non sei sopravvissuta che grazie alle mie
potenzialità? Quante
volte hai avuto salva la vita per un mio misericordioso intervento?
Quante
volte, tramite questo rapporto, le nostre esistenze sono state
indissolubilmente saldate in un legame imprescindibile che sfiorava la
fusione
totale?
Taccio. Che
potrei dire? Ha ragione. Un sacco di volte l’ho scampata solo
grazie alla sua
presenza, ma tante, davvero. In alcuni casi è bastato
unicamente che lui si
palesasse attraverso me perché il nostro nemico fuggisse a
gambe levate, senza
nemmeno guardarsi indietro.
Ha, pivellina, ti ho messo a posto, non
è
così? Non mi rispondi. Non rispondi. Sei solo una bimbetta
codarda.
Non posso
permettermi di raccogliere la sua provocazione. Non posso farlo. Pensa
ad altro
Amaru, distogli la tua mente…
Ormai ti ho messo il tarlo, pivellina. Che
vuoi farci. Puoi distogliere la mente adesso, ma ci ripenserai.
Ha ragione,
infatti in realtà non riesco nemmeno adesso a governare il
corso dei miei
pensieri.
Codarda, a
me. Codarda a me che affronto ogni giorno per colpa sua
discriminazione,
sguardi spauriti, sussurri malevoli, spaventati, voci che cospirano
alle mie
spalle. Mi vogliono morta, lo so.
Me e il mio
mostro.
Non sanno
che non si libererebbero di lui con la mia morte.
Lui è
speciale, lui vivrebbe con un corpo proprio.
Speciale… Parli come una ragazzina
innamorata, pivellina.
Zitto!
Devo
controllarmi. Sento già la rabbia sorda che mi monta nel
petto, che mi
rimescola le viscere. Non devo lasciarmi andare per nessun motivo.
Lui sfrutta
la mia rabbia. La usa. Se ne serve per rendere la mia mente
più malleabile, più
vulnerabile alle sue odiose intromissioni.
Lui attende
la mia furia con spasmodico entusiasmo, non vede l’ora che io
mi arrabbi per
cercare una fessura nel mio autocontrollo attraverso cui scivolare
fuori.
Adora le
situazioni instabili che potrebbero farmi arrabbiare, e il suo
passatempo
preferito è stuzzicarmi per irritarmi o approfittare dei
momenti in cui dormo
per tormentarmi, svegliarmi e infine godersi la mia frustrazione.
Povera ragazza.
Piantala.
No, davvero. La mia presenza deve averti
reso la vita impossibile, non è così?
Sì. Sì, è
così, ma tanto non cambierà nulla,
finché non mi sotterreranno, quindi è
inutile.
Parli così, ma ti ho fatto
arrabbiare.
Infuriare.
Infuriare, dannazione! Voglio una vita normale! Ti voglio fuori dai
miei
pensieri, estraneo alle mie azioni , lontano dal mio corpo. Puoi
creartene uno
tuo, e per di più in qualsiasi forma.
Fai attenzione, ragazza…
Attenzione?
Attenzione?! Hai voluto provocarmi, hai voluto che mi infuriassi, che
mi
lasciassi andare. Di solito è il momento in cui tu giungi a
prendere il
sopravvento su di me. Che c’è oggi? Non lo fai?
Non te la senti? E RISPONDIMI,
dannazione!
Tu non ti senti mai in trappola?
Cosa?!
Ti ho chiesto: tu non ti senti mai in
trappola?
La domanda
mi lascia interdetta. Cosa rispondere?
Sì, mi sono
sentita in trappola. Quando qualcuno mi guarda con una freddezza
perfino
superiore all’usuale, quando tu prendi il sopravvento mentre
dormo, o quando mi
sento debole, quando qualcuno decide per me perché sono una
forza portante e
devo obbedire a chi mi dice cosa fare, quando vorrei andarmene e
allontanarmi
da tutto questo e invece non posso farlo. Allora mi sento in trappola.
Bene, ti senti in trappola.
Pensa, allora, ragazzina.
Pensa a come dev’essere trovarsi confinato
in un corpo umano e mediocre, profondamente insignificante e limitato.
La mia
rabbia monta ancora di più. Mi rende la vita
impossibile… E si azzarda anche a
lamentarsi di me?
Arrabbiati ragazza, quanto vuoi. Per me non
fa differenza, davvero. Anzi, meglio.
Allora TACI,
te ne prego. Lasciami in pace.
E finalmente
tace. Mi lascia un po’ di tempo per riflettere in pace, da
me, da sola, o
quantomeno senza interferenze.
Non capisce.
Non sa.
Prendo a
respirare profondamente, come volessi soffiare fuori la rabbia,
espirazione
dopo espirazione, e in effetti dopo un po’ la rabbia pare
scemare a poco a
poco.
Devo dire,
però, che le sue ultime parole mi hanno colpito.
Perché io
non so cosa si provi ad essere incarcerati anche fisicamente, a non
potersi
muovere, ad essere, volente o nolente, parte di un corpo che non mi
appartiene.
Io, se
voglio, dopo una sfuriata, dopo una battaglia, dopo una delusione, un
dolore,
un’emozione, prima o poi posso fare qualcosa. Non importa se
è correre,
scoppiare in singhiozzi, urlare fino a lacerarmi la gola, prendere a
pugni il
muro fino a farmi sanguinare le nocche.
Posso fare
qualcosa.
Lui cosa può
fare? Che potere ha? Che sfogo ha? Tormentarmi.
Come io mi
sento viva cercando di dimostrare ogni volta che sono un corpo di carne
e
sangue che si muove pensa soffre capisce, lui si sente vivo attraverso
le
reazioni che mi provoca irritandomi.
Forse non ci
ho mai pensato. Forse non ci ho mai dato la giusta importanza.
Forse…
Reibi?
Mi sento
abbastanza un’idiota a fare questo, nemmeno parlassi col mio
amico immaginario.
Tra l’altro
lui ha sicuramente già percepito ogni mia emozione.
Non so
nemmeno se ha voglia di rispondermi ora, oltretutto. Non è
mai stato quel che
si dice un tipo condiscendente.
Reibi?
Credevo volessi essere lasciata in pace,
mocciosa.
Bingo. Reibi
uno, Amaru zero.
Non
chiamarmi mocciosa, comunque.
Ma tu sei una mocciosa.
Ho
vent’anni.
Hahahahahahahah! Ha vent’anni, lei.
Lei è
vissuta cinque lunghissimi lustri. Rendetele omaggio, inchinatevi!
Piantala.
Hai cominciato tu, stavolta.
Effettivamente.
Ma non per discutere. Volevo farti una domanda.
Una domanda?
Una domanda.
Strano che ti interessi a me.
Non dire cazzate.
Mi sono sempre interessata a te, anche perché trovo
difficile ignorarti, dato
che sei inquilino abusivo della mia coscienza. Ma devo ammettere che
non avevo
mai sentito la necessità di chiederti ciò che
voglio chiederti.
Cosa vuoi chiedermi?
Ma tu… Tu
come stai, dentro di me?
Silenzio.
Credo di
averlo messo ko con la domanda inaspettata. Ha. Reibi uno, Amaru uno.
Che razza di domanda è?
Una domanda
interessata.
Assurdo.
Come ti
pare. Libero di non rispondermi.
Ancora
silenzio.
Strano
davvero, in momenti come questi mi pare quasi di sentirlo sospirare
frustrato.
Come fosse una presenza anche fisica nel mio torace, come sentissi il
suo fiato
espulso stizzosamente contro le mie costole.
Va bene, mocciosa. Vuoi sapere? Te lo
dirò.
Grazie.
Non farci l’abitudine.
Ci
mancherebbe.
Immagina… Immagina. Sai immaginare,
no?
Volare con la fantasia e lasciarsi andare attraverso i sogni, e tutti
quei bla
bla idioti a cui vi lasciate andare voi umani. Insomma, pensa di essere
quello
che non sei. Immedesimati in me com’ero un tempo.
E com’eri un
tempo?
Un tempo? Un tempo ero energia. Cerca di
vedere, davanti a te, enormi masse di energia pura che sono quelle che
voi
definite cercoteri.
Un nostro cenno muoveva la terra, un salto
creava uragani, un sospiro appena più precipitoso
pestilenze, uno sguardo
faceva vibrare l’aria.
Degli dei, pivellina. Potere assoluto.
Capisco.
In realtà no, non puoi capire.
Dall’alto dei
tuoi vent’anni, Amaru, non sei per me che una bambina. Io
esisto
dall’inizio dei
tempi. Quando il tempo era
neonato io c’ero già. E spadroneggiavo, insieme a
tutti gli altri, su questo
mondo che non poteva essere più lontano da come lo conosci
tu oggi.
Qualunque nostro capriccio era nientemeno
che legge.
E poi?
E poi siete arrivati voi, gli umani. Avete
iniziato a intrecciare le dita in modo bizzarro, a creare strane
combinazioni
con le mani, a scrivere incomprensibili formule su interminabili
rotoli, a
forgiare armi, a combattervi tra voi, formando eserciti e riunendovi in
città.
Diventando ninja, e avvicinandovi a quanto siete ora.
Non rispondo
a Reibi.
In realtà
non dice nulla di speciale, ma non ha mai parlato in questo modo prima.
Così a
lungo, e così amaramente. All’improvviso, mi rendo
conto che se anche nel
quotidiano è la bestia che ho imparato a conoscere e a
sopportare, non è poi
tanto lontano da un vecchio stanco che rivanga il passato glorioso che
ha
vissuto e che ora è indiscutibilmente inafferrabile, eppure
gli danza ancora
davanti agli occhi.
Fu allora che cominciaste a temerci per la
minaccia che rappresentavamo per i vostri agglomerati urbani e per la
vostra
incolumità. Inoltre vi rendeste conto di quanto avreste
potuto trarre dalla
nostra potenza immensa, se solo foste riusciti a imbrigliarla.
Energia pura. Potere assoluto.
Mi sta
venendo la pelle d’oca. Possibile? Queste cose le sapevo
già, dannazione. Tutto
quello che mi sta dicendo è che ad un tratto i ninja hanno
iniziato a sigillare
cercoteri. Semplice.
Vennero da noi, uno ad uno.
All’inizio, le
rare volte che ci incontravamo – non amiamo le riunioni, noi
demoni, ci
limitavamo a scorrazzare ognuno per il suo spazio, e se ci si
incrociava si
prendeva unicamente atto della presenza dell’altro e si
proseguiva con le
nostre opere di distruzione – non facevamo altro che ignorare
il problema.
Cosa avreste potuto farci? Cosa può fare un
miliardo di formiche, contro un elefante?
Nulla, diresti. Sbagliato.
Sbagliato,
già.
Possono infastidirlo, tormentarlo, spingerlo
all’esasperazione ed infine braccarlo quando si getta a terra
esausto. Ne
schiaccerà un bel po’ di formiche
quell’elefante, puoi starne certa, ma prima o
poi cadrà a terra. Così è stato per
ognuno di noi.
Ognuno?
Ognuno. Da dove mi trovavo, ogni volta, mi
giungeva la voce del vento che mi sussurrava chi era stato il
malcapitato ad
essere sigillato, come si dice, quella volta. Io ero fortunato. Posso
crearmi
un involucro corporeo, un corpo, insomma, e posso mutarlo a piacimento,
quando
sono libero – questo già lo sapevi. Non sono un
semplice concentrato di chakra,
come lo sono gli altri. Per questo mi hanno braccato per ultimo.
E come l’elefante con le formiche, ad un
certo punto mi sono accasciato anche io.
E mi sono svegliato dentro un umano, che poi
eri tu, ragazza. Niente più corpo, niente più
trasformazioni.
Umile servilismo.
Non sei mai
stato servile.
No? NO? Oh, sì, Amaru, lo sono
stato. Sono
stato buono buono, no? Non ti ho mai fatto impazzire. Avrei potuto
farti
schizzare fuori di testa in un baleno. Non lasciarti dormire nemmeno un
minuto,
come fa Shukaku, o divorarti piano piano dall’interno, come
Kyuubi. Non l’ho mai
fatto. Non avrebbe avuto utilità. Mi avrebbero preso di
nuovo, perché ti
controllavano ben bene.
Allora stai
male, dentro di me.
Immagina di avere la consapevolezza di poter
plasmare il mondo e non poterlo fare perché ti hanno
rinchiuso. Staresti bene?
No. Mi
sentirei frustrata.
Esattamente. Morderesti le sbarre fino a
romperti tutti i denti. Cercheresti il modo di sentirti libera, anche
se non
effettivamente, non materialmente.
Bel modo hai
trovato tu. Tormentarmi. Farmi arrabbiare.
Non hai ancora colto il significato vero
della rabbia, pivellina. La potenza inimmaginabile della furia fredda.
Io prendo il sopravvento massimo quando ti
arrabbi, ancora più che quando dormi. Non ti sei mai chiesta
il perché?
Principalmente è il motivo per cui cerco sempre di farti
infuriare più spesso
che posso.
Me l’ero
chiesta, certo. Non che io sia mai arrivata ad una risposta.
L’uomo quando è
arrabbiato perde la propria
razionalità, e diventa la bestia che in cuor suo paventa e
disprezza. Si
avvicina alla sua natura di animale.
Si immedesima nell’anima feroce della
natura, diventa una fiera e si lascia andare al proprio impeto
selvaggio,
esattamente come facevo io.
Il momento in cui ti arrabbi è quello in cui
più mi assomigli. Quello
in cui
maggiormente mi sei affine, e in cui più facilmente io posso
infiltrarmi con
cautela nelle crepe che la foga crea nella tua volontà e
imporre invece la mia,
di volontà.
Curiosamente
non reagisco a questa rivelazione. Non mi arrabbio. Non so.
Forse ho
sempre saputo ciò che lui mi ha detto, in una misura o
nell’altra.
Non credo di
potergli dare torto.
Potesse
farlo, raderebbe al suolo il mondo. Ma non è anche lui, in
fondo, una creatura
imprigionata?
Darling, piantala con queste riflessioni
patetiche. Non avrei dovuto spiegarti un bel niente.
Ancora una
volta, rimango zitta e penso, rifletto.
Mio dio, cosa stai pensando?!
Adesso
nulla. Adesso agisco.
Te ne pentirai. Non sono così
idiota da
cercare di fermarti. Ma non credo che i tuoi amichetti del villaggio ne
saranno
felici, oh no. D’altronde, se è quello che
vuoi… Haha, per me è solo un favore!
Corro. Corro
a perdifiato, attraverso il villaggio, i campi, le campagne. Raggiungo
i
confini della provincia del villaggio, li varco, mantengo la rotta
diretta
verso la mia meta finché non la raggiungo.
Mi fermo.
La Valle del
Silenzio.
Rocce in
ogni dove, in questa valle. Sassi, e pietre, massi e pulviscolo che
costituiscono una specie di enorme conca.
Qui venivo
ad allenarmi.
Qui non c’è
mai nessuno, quindi non corro rischi nel caso lui decida di prendere il
sopravvento su di me.
E poi
comincio.
Ragazzina, sei assurda.
Taci.
Proseguo,
continuo. Ripenso. Ripenso a tutti i torti che ho subìto, ad
ogni singola
ingiustizia.
Ad ogni
lacrima che ho dovuto asciugarmi da sola, ad ogni insulto che ho dovuto
mandare
giù, ad ogni notte insonne.
Ed eccola,
la rabbia sorda.
Prima si
stiracchia pigra nel mio petto, quasi come un gatto che ancora non ha
deciso se
alzarsi dalla comodissima posizione che ha trovato su di un cuscino; ma
poi
sopraggiungono anche le immagini di mia madre che mi guarda con la
paura negli
occhi, di mio padre che mi sorveglia nemmeno fossi una criminale e
nemmeno
fosse colpa mia se sono una forza portante, e allora la collera
decolla, scuote
ogni mia fibra fino alle ultime terminazioni nervose, e quando le prime
lacrime
di rabbia solcano il mio viso comincio ad accorgermene.
Distruggi quel bosco. Radi al suolo quegli
alberi.
Vado.
Quell’unico laghetto… Ora
ci penseremo noi,
vero? Addio, pesciolini…
Mi avvicino
allo specchio dell’acqua. Farò come dice.
E poi, poi… Tutti questi ciottoli
da
sbriciolare, uno ad uno. Non capisco perché non ti opponi,
ma…
Se sei così condiscendente, andiamo.
Le mie gambe
si muovono verso una direzione che non ho scelto io.
Proseguono,
vanno, come mosse da un ninja marionettista.
E quando, al
ricordo di mia sorella che mi urla ‘mostro’, un
guizzo di collera mi acceca non
mi oppongo e lo lascio fare.
Vai, Reibi.
Invadimi. Ti regalo la mia libertà.
**********
Naturalmente,
trattandosi di un contest, ho già avuto il mio giudizio, ma
le impressioni di
chi legge sono sempre bene accette.
Grazie
mille! ^^
Alla
prossima,
Pandina