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Autore: Camelia Jay    27/10/2011    4 recensioni
Quando la sorpresa è dietro l'angolo...
Violet si rifugia in una nuova città iniziando a frequentare un nuovo istituto, convinta di poter ricominciare tutto daccapo. Tuttavia i guai continuano a seguirla e ben presto accade l'inaspettato: David Kincy, la star del momento, cantante rock amato dal pubblico femminile, un giorno bussa alla porta di casa sua. Nonostante l'immenso sconcerto di Violet, le sorprese ancora non sono finite.
Le cose si complicano con vecchi rancori che tornano a galla, inimicizie, bugie e vendette. Cinque ragazze, ognuna delle quali ha uno scopo da raggiungere.
Il culmine verrà raggiunto non appena Violet scoprirà di un diario, il diario di Annabelle.
[...] Ma si sentiva debole e spossata. Decise che per un po' sarebbe stata al suo gioco.
Poi, solo poi, si sarebbe vendicata.
Una vendetta pianificata, inaspettata e spietata.
Okay.
Questa fu la risposta. E fece partire la musica, stavolta una melodia più gradevole al suo orecchio stanco [...]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Giovedì 11 febbraio 2010

Jennifer Evergreen si stava dirigendo a passo spedito verso l’aula che l’attendeva, con la sua solita camminata decisa e disinvolta che la caratterizzava in qualsiasi contesto.

Era alta e snella, i capelli raccolti in una coda di cavallo e vivaci occhi castani, e indossava un top che mostrava più di quel che nascondeva e una minigonna. Il rumore dei suoi tacchi si poteva udire da lontano. Raggiunse in pochi istanti Violet Ross, che si era girata avendo avvertito la sua presenza dietro di sé. Violet si sentiva bassa a confronto di Jennifer, ma era quest’ultima che era più vicina di chiunque altra in quella scuola a una modella.

«Violet! Pronta per la lezione?» chiese lei, mostrando la dentatura bianca in un sorriso.

«Ciao Jen. Sì, abbastanza pronta.» Violet ricambiò il sorriso a sua volta. Jennifer Evergreen da un po’ di tempo l’aveva presa in simpatia, la invitava alle sue feste esclusive, rivolgeva la parola molto di più a lei rispetto alle altre ragazze, cominciava a confidarle alcuni piccoli segreti, ma lei era sempre stata titubante. Pur essendo socievole, sapeva che non bisognava fidarsi delle tipe come lei. Jennifer, infatti, era capace di mandarti sms affettuosi il giorno prima, e farti subire una terribile umiliazione pubblica il giorno dopo, senza un apparente motivo. Non sarebbe stata la prima volta che succedeva. Perciò si vedeva costretta a stare sempre all’erta.

«Che hai intenzione di fare questo weekend? Io vado alla festa di Vincent, sarà uno spasso. Io ci vado perché sono la sua ragazza.»

Sì Jennifer, lo sappiamo che sei la ragazza di Vincent.

«Oh.» Violet si grattò distrattamente la nuca. I suoi programmi non erano nemmeno paragonabili a quelli di Jen. «Credo che uscirò e andrò a mangiare una pizza con le altre.»

Jennifer arricciò il naso. «Chi sarebbero le altre

«Mah non so; le amiche con cui esco di solito, e poi vediamo.» Per un momento pensò se fosse il caso di invitare anche lei. Ma aveva paura che la sola proposta l’avrebbe disgustata.

Dalla sua faccia capì infatti che neanche per tutto l’oro del mondo si sarebbe voluta unire a loro. «Ah, quelle sfigate» commentò, facendo finta che le fosse scappato.

«Come scusa?» Violet fece finta a sua volta di non averla sentita.

«No, dico solo che non sarebbe meglio venire alla festa di Vincent, questo sabato? Posso dirgli che sei una mia cara amica così inviterà sicuramente anche te.»

Violet non si sentiva nella posizione di declinare la proposta. Non sapeva come l’altra avrebbe potuto prenderla. «Be’, potrebbe essere… carino. E che mi dici delle altre?»

Fortunatamente erano già davanti alla porta dell’aula. Jennifer assunse l’espressione di qualcuna che era a disagio, ma Violet sapeva che era pura finzione. «Mmm, non so se Vincent… ehm… senti, Violet, tu sei una tipa a posto. Credimi, ti porterei con me a tutte le feste del mondo ed è quello che sto cercando di fare, come puoi vedere. Sai cosa dire e come comportarti, in poche parole, sei okay. Perciò perché non cominci a frequentare le compagnie giuste? Così almeno tutti potranno vedere quello che vedo anch’io in te. Io intanto chiedo quella cosa a Vincent, poi ne riparliamo. D’accordo?»

Violet annuì, ammutolita. Ci mise qualche secondo, giusto il tempo che Jen aprisse la porta ed entrasse, per assimilare la risposta. Realizzò cosa le aveva detto, ma in poche parole. Si chiese se davvero desiderasse la sua amicizia.

Ma va’ al diavolo, Jennifer Evergreen. Nessuno mi viene a dire quali sono le compagnie giuste e quali le compagnie sbagliate. Chi saresti tu, se non stessi da più di tre mesi con quel Vincent Carter dei miei stivali? Nessuno!

Riformulò quel pensiero svariate volte nella stessa giornata, ma ancora non riusciva a placarsi. Dopo una lunga riflessione, decise che avrebbe rifiutato l’offerta con gentilezza. Jennifer non se la sarebbe presa.

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Pochi giorni dopo, una Jennifer Evergreen furiosa percorreva il corridoio con i tacchi che producevano sul pavimento un rumore ancora più forte e sordo del solito. Violet non l’aveva mai vista così incollerita. Per un momento si domandò se non fosse colpa sua. Decise che si sarebbe avvicinata a lei all’armadietto, controvoglia.

«Ciao Jen. Che cos’hai?» fece con voce tremante.

Lei si posò un indice sulle labbra, facendole segno di stare in silenzio. Ma ormai mezza scuola sapeva, e l’argomento era sulla bocca di tutti. Si avvicinò al suo orecchio con circospezione. «Vincent mi ha lasciata» mormorò, in modo che a Violet arrivasse poco più di un sussurro.

Violet finse la sorpresa. Non era strano che Vincent Carter si prendesse una bella ragazza e poi la lasciasse. Anzi, era la norma. «Oh, mi dispiace…»

«Grazie Violet, tu sei così comprensiva!» esclamò con un entusiasmo quasi teatrale.

Vincent Carter era senza ombra di dubbio lo studente più fastidioso della scuola. Fastidioso perché Violet non sopportava il suo modo di comportarsi. Eppure tutte le ragazze gli correvano dietro sbavando, in preda agli ormoni. Non le biasimava, in fondo: sembrava un angelo scolpito nella pietra, aveva il viso perfetto di una di quelle bellissime statue greche dell’era classica, e i capelli color platino accompagnati da due brillanti occhi castani. Ed era anche un gran narcisista, forse il peggiore di quella categoria. A volte Violet si chiedeva quanto tempo passasse davanti allo specchio.

«Be’, non è questo il momento di rimpiangere il mio ex. Dimmi un po’, Violet, invece tu quando hai intenzione di andarti a cercare seriamente un ragazzo, anziché fantasticare su quel cantante, come si chiama… David Kincy?»

Violet arrossì. «Non è vero! Io non fantastico su di lui!»

«Però hai tutte le sue foto appiccicate nell’armadietto, ammettilo.»

Non aveva tutti i torti… «Ma questo non c’entra proprio niente!» Insomma, non si poteva nemmeno essere fan di qualche persona famosa al giorno d’oggi?

Jen ridacchiò. «Va be’, comunque il prossimo sabato ci imbuchiamo a una festa e conosciamo qualcuno. Non è grandioso?»

Violet riuscì a stento a trattenere una risata di scherno. Ora che Jennifer Evergreen si era lasciata con Vincent Carter, lei non era più nessuno. Per andare alle feste adesso aveva bisogno di imbucarsi. La notorietà le aveva dato alla testa, e non aveva ancora accettato il crollo definitivo della sua breve carriera da reginetta scolastica. «Suppongo di sì…» ma sapeva che a quella festa sarebbe stato presente anche Vincent. Tutte quelle che si mettevano con lui rimanevano scottate a tempo indeterminato, e Jen ancora non poteva fare a meno di vederlo.

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Quella stessa sera, a distanza di miglia e miglia da lì, Annabelle Jenner entrò nel parco distante pochi isolati da casa sua, che godeva di alti alberi e del canto delle cicale. Cercava di non fare troppo rumore, con i suoi tacchi sul terreno, e sperava di riuscire a mantenere un’aria il meno ansiosa possibile. Il suo piano stava procedendo alla perfezione. Le scappò un ghigno.

Era tanto bella quanto sicura di se stessa, si truccava sempre in maniera precisa, e i suoi capelli erano stati appena piastrati. Faceva invidia anche alle stelle del cielo. Ad Annabelle piaceva pensare che fosse per quello che ve ne erano poche, quella sera, a punteggiare il manto nero sopra la sua testa.

Si sedette su una panchina di legno e aspettò. Intanto si guardò intorno. Sulla panchina dei ragazzi avevano scritto dei nomi o delle frasi con dei pennarelli colorati indelebili, dalle espressioni come ti amo alle parolacce di ogni genere. L’unica cosa che la illuminava era la luce fioca della luna e un lampione un po’ distante. Si stava pentendo di aver indossato una minigonna invece dei comodi jeans: faceva un freddo cane e le stava venendo la pelle d’oca.

Tirò fuori il cellulare: una chiamata persa e un sms. La chiamata era di un certo John, un “amichetto” che si era fatta l’estate prima in vacanza e con cui aveva passato solo un paio di notti. Non si era ancora perso d’animo. L’sms era di Martin.

Ma chi diavolo è questo Martin? Boh, e chi si ricorda.

Eliminò la chiamata e poi l’sms senza nemmeno leggerlo, e cancellò il numero del misterioso Martin dalla rubrica. Non le andava di sforzarsi per ricordare chi fosse e dove l’avesse conosciuto.

Quando sentì la voce limpida di David Kincy chiamarla dietro di sé, si girò spazzando via il sorriso di compiacimento. Sì, procedeva tutto liscio come l’acqua.

Lei si alzò, raggiungendolo. Era a pochi metri di distanza da lei. «Ciao» disse fingendo la sorpresa. Rimase un istante in silenzio, capendo che doveva cominciare lei il discorso, e arrivare dritta al punto. «Volevi parlarmi?» Cerca di sembrare un po’ più timida, si disse.

Lui annuì, poi rimase qualche secondo in silenzio, non sapendo cosa dire in quel momento.

«Tutto bene?» chiese Annabelle, abbassando un po’ il capo e giocherellando con una ciocca di capelli. «Hai un’espressione così cupa…»

«In effetti.»

«Su» lo esortò lei «raccontami cos’è successo.»

A David sembrò che Annabelle fosse quasi consapevole di quello che voleva dirle. Ciò era sospetto. Tuttavia lasciò perdere, e pronunciò finalmente più frasi messe insieme per la prima volta da quand’era arrivato. «Sono preoccupato. È da ieri che non vuole più parlarmi. Per caso sai cosa potrebbe essere successo? Cosa potrei averle fatto?»

Annabelle si morse un labbro, alzando lo sguardo. La sua recita era molto credibile. «Ah… quindi avevo ragione… da un po’ di giorni mi sembrava un po’ strana, ma non credevo che fosse il caso di preoccuparsi, invece…»

«Sul serio?»

«Sì. E, conoscendola, so perfettamente che quando fa così significa che vuole interrompere tutti i contatti.»

«Quindi… secondo te è davvero finita.»

Annabelle simulò il dispiacere. «Non vorrei essere pessimista. Ma lei con tutti i suoi altri ragazzi ha fatto così.»

«Aveva altri ragazzi? Lei mi aveva sempre affermato il contrario!»

Certo che non aveva altri ragazzi, ma a volte inventarsi una piccola bugia non fa male. «Ops, forse non dovevo dirlo! Io credevo che te l’avesse detto!» esclamò posandosi una mano sulla fronte. «Sapendo quanto poco tempo è stata con ognuno loro, forse capisco perché non voleva dirtelo.»

Funzionava. David pendeva dalle sue labbra. Si stava guardando nervosamente intorno. Non poteva pensare che la sua ragazza l’avesse mollato così, rifiutando ogni chiamata e senza rispondere agli sms e alle mail. «Ma perché

«Forse è colpa mia.» Fare l’innocente funzionava sempre.

«Ma no! Perché dovrebbe essere colpa tua? Lei non sa di… noi.» Assalito da un improvviso senso di colpa, preferì guardare altrove. «Sono sicuro che non l’ha scoperto.»

Come volevasi dimostrare. «No ma è che… tu mi piaci, David. Io non gliel’avevo mai detto, ma lei lo sapeva, l’aveva capito.»

Fu a quel punto che David Kincy cadde in pieno nella ragnatela di Annabelle Jenner, senza possibilità di fuga.

_

5 mesi più tardi.

Giovedì 15 luglio 2010

Per Violet fu come se si fosse appena svegliata da un lungo sonno, un sonno con tanto di un lunghissimo sogno interessante. Chiuse il prosperoso libro di quattrocento pagine, e si sentì come se avesse fatto una bella dormita. Ma non era così. Era seduta sul divano, immersa nella lettura, e metteva a fuoco solo le parole, tanto che dopo un po’ aveva perso la cognizione del tempo e sembrava che fosse letteralmente entrata nel libro.

Era riposata, e pensò seriamente di essersi addormentata durante la lettura e di aver solo sognato la trama, poi vide che aveva letto oltre cinquanta pagine e si ricredette. Guardò in maniera fugace l’orologio appeso al muro che i suoi avevano acquistato un paio di anni prima. Segnava le sei del pomeriggio e Violet sgranò gli occhi facendo uno sbadiglio. Aveva letto per un’ora e mezza e non se ne era neanche accorta. Purtroppo aveva perso più tempo nella lettura del romanzo del previsto, tempo che avrebbe dovuto dedicare allo studio. Cominciava sempre così, solo cinque minuti, poi altri cinque e altri cinque ancora, finché non si rendeva conto che aveva già perso un’intera giornata. Sorrise di questa sua sgradevole abitudine. Si stiracchiò le braccia e le gambe intorpidite sorprendendosi nel vedere quanto la luce, fuori, fosse cambiata, perché il tempo era volato per lei, che non aveva alzato lo sguardo dal libro per così tanto tempo.

Andò a mettere via il libro, le cui pagine profumavano ancora di stampa fresca, in camera sua, domandandosi come facesse qualcuno a scrivere così tanto senza perdere la pazienza. Appoggiò il volume su uno scaffale, mettendolo in mezzo tra una commedia di Shakespeare e un romanzo giallo che aveva già letto due mesi prima. Sentendo il tipico rumore di una serratura quando vi si gira dentro la chiave in lontananza, capì che suo padre era tornato a casa, alla solita ora con puntualità.

Violet scese le scale e si diresse a salutarlo. Vide subito che aveva qualcosa di strano: cercava di contenere un sorrisetto, ma non sapeva come interpretarlo.

«Ho due notizie, una buona e una cattiva» esordì.

Violet suppose che fosse per la buona notizia che aveva quel leggero sorriso, per quella cattiva che cercava di non farlo trasparire.

«Prima quella buona» disse sua madre, ansiosa, che si era appena seduta su una sedia.

«Okay. La buona notizia è che oggi mi hanno dato una promozione.» Prima che le altre due potessero esultare, continuò il suo discorso. «Mi hanno quasi raddoppiato lo stipendio, il che è una cosa molto buona, immaginate i vantaggi.»

Eh già, qui gatta ci cova pensò Violet. «E la brutta notizia?» domandò, passandosi le mani tra i capelli, e sperando che non fosse una notizia così brutta. Come se la sua vita non fosse già fatta di continue brutte notizie. Erano trascorsi cinque mesi da quando…

«Che ci dovremmo trasferire, se accettassi questa promozione. Lì dove ho frequentato io il liceo, distante circa tre ore da qui, verso sud, altrimenti mi sarebbe abbastanza difficoltoso andare a lavorare.»

La città in questione era una zona che suo padre conosceva molto bene, avendovi passato la maggior parte della sua vita. Violet non sapeva nemmeno dove si trovasse di preciso. Ma le non importava. Nello stesso momento in cui lui aveva pronunciato quelle parole, il suo cuore era balzato talmente forte che era sembrato uscirle dal petto.

Gli occhi le traboccarono di lacrime, mentre i suoi pensieri diventavano sempre più irrazionali, e rimase in silenzio.

«Però c’è Violet che ha tutte le amicizie qui, quindi non credo che lei sarebbe d’accordo» disse poi il padre.

Violet cominciò a borbottare. «Ma stai scherzando? Io, le amicizie?» poi perse totalmente il controllo e strinse forte i pugni. «Che vadano al diavolo, le amicizie! Papà, andiamocene! Ti prego!» e quasi gi saltò addosso per convincerlo. «E la chiami cattiva notizia questa?»

Effettivamente era un bel po’ che Violet non aveva motivo di essere così gioiosa. Era tutto cominciato molto tempo prima, poco dopo che Vincent Carter aveva lasciato Jennifer Evergreen. A scuola Violet non aveva più amici, solo bullette che non perdevano occasione per punzecchiarla. Le capitavano cose di ogni tipo. Faceva sempre finta di niente perché si sentiva come se nessuno potesse aiutarla. Forse avrebbe anche potuto far fronte a tutti quei piccoli atti di bullismo psicologico che le venivano inferti, ma non avrebbe mai potuto cambiare le opinioni della gente su di lei. Non avrebbe mai potuto controllare i pensieri degli altri facendo in modo che tutti le dimostrassero affetto. Era per questo che si era decisa a scappare.

Violet era, caratterialmente, una ragazza che tendeva spesso a fuggire dai suoi problemi. E, quando questi erano grossi, lo faceva il più in fretta possibile e in maniera ostinata. Quello era uno di quei casi. Il coraggio non era mai stato il suo punto di forza.

Nel giro di poche settimane tutta la famiglia si trasferì, lontano dai guai, lontano da quella scuola, lontano da Jen e da Vincent, lontano dai suoi compagni e dai suoi ex amici, lontano da tutti quelli che conosceva e che voleva dimenticare.

Violet aveva adesso una seconda possibilità.

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Jade’s place:

Eccomi con un nuovo capitolo… ecco, ora conoscete sia Violet che Annabelle!

Ecco una domanda che ora potreste porvi...

"Cosa ti ha ispirato per scrivere questa storia"? Be', la risposta è semplicissima: un sogno! Sì, in stile Stephanie Meyer. Una notte ho sognato una circostanza simile ai capitoli che vedrete tra poco... e mi sono chiesta, una volta sveglia "Cosa sarebbe successo se...?" e allora, prendendo libera ispirazione da questo sogno, ecco che è partita la storia!

Qui viene omesso il perché Violet ha così voglia di andarsene dalla sua vecchia città… e l’ho fatto apposta, chiaro ;) dal prossimo capitolo niente più sbalzi temporali, promesso! Ci trasferiremo anche noi nella nuova città di Violet e incominceremo a seguire le sue avventure! Se ci sarete ;D ciao!

Jade

   
 
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