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Autore: Madapple    30/06/2006    3 recensioni
[ EDIT: pubblicata nel 2006 con il nickname Arcadia_Lovegood ]
E' la prima fanfiction che ho scritto su Harry Potter ed è una trama tutta mia che mi venne in mente qualche tempo fa e che ho scritto man mano che macinavo idee... la trama è più o meno questa: l'arrivo di una nuova ragazza ad Hogwarts sconvolge la vita del Trio, dando vita ad enigmi, dubbi, perplessità... e portando addirittura ad un presagio di morte.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Draco Malfoy, Il trio protagonista, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nessun contesto
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Questa è una versione non ufficiale di un racconto su Harry Potter. La Cronologia degli eventi non è fedele ai racconti della Rowling. La storia prende spunto solo dai personaggi. Vi Auguro una Buona Lettura, spero vi piaccia! ^^

1. Ancora sul Nottetempo, ancora al Paiolo Magico.

Soffiava il vento in Privet Drive 4 e il freddo pungente teneva l’intera famiglia Dursley intorno al camino acceso, con tè caldo in tazze bianche e biscotti appena sfornati in piatti lunghi, sul tavolino al centro del soggiorno.

Vernon era intento a leggere il giornale, mentre Petunia cercava di terminare l’ennesimo maglione per suo figlio.

In cucina, a lavare i piatti sporchi e a scrostare le pentole, c’era lui: Harry.

Era tornato dai Dursley dopo la morte di Sirius e si chiedeva se quello sarebbe stato per sempre il suo destino.

Era felice di poter andare via da quella casa, ma ora non aveva alcun motivo per essere allegro. Non faceva altro che pensare a lui.

Vederlo morire, era stata una delle cose più brutte della sua vita.

Pensava a Sirius, mentre terminava di asciugare le ultime posate. Improvvisamente, Petunia lo chiamò in soggiorno per chiedergli (o meglio ordinargli) di prenderle della lana dallo scaffale più alto della cucina.

- Sto lavando i piatti – rispose scontrosamente Harry – Quante cose vuoi che faccia?

I Dursley si meravigliarono della sua risposta così sfacciata.

Non era mai capitato che Harry reagisse in quel modo, escludendo la storia con zia Marge.

Vernon posò il suo giornale e si tolse gli occhiali da lettura – Giovanotto, come ti permetti di rispondere così a mia moglie. Chiedi immediatamente scusa e vai a prendere quel maledetto gomitolo!

Harry ingoiò frettolosamente più volte, quasi a voler lanciare uno schiantesimo su suo zio, ma si voltò di scatto e prese una sedia per salirci sopra.

Guardò nella cesta, situata nello scaffale indicatogli da Petunia e vi trovò due soli gomitoli. Nessuno corrispondeva a quello che sua zia voleva.

Tornò in soggiorno e con aria soddisfatta per non aver trovato quello che ella cercava, disse – Non c’è. Dudley è talmente enorme che forse l’hai già finita.

Vernon si alzò nuovamente dalla sua poltrona e prese Harry per il colletto della camicia – Harry! Basta con questo atteggiamento di superiorità verso di noi. Ti diamo da mangiare – disse spingendolo in corridoio – ti vestiamo, ti…

- Mi vestite?! – urlò Harry, cercando di divincolarsi dalla sua presa, ma zio Vernon era troppo robusto e forte per potergli sfuggire – Indosso la stessa camicia da due settimane e i miei jeans sono strappati e sporchi! Me li devo lavare da solo! E non parliamo del cibo! I cani mangiano molto meglio!

Vernon arrossì dalla rabbia, forse, anche perché le parole di Harry erano del tutto vere.

Continuava a strattonarlo, arrivando accanto alla scalinata che portava al piano superiore della casa, indicando al ragazzo di salire in camera sua – Vai a fare le valigie! – urlò Vernon.

Petunia sbucò alle sue spalle e spalancò gli occhi. Non credeva alle sue orecchie, il ché era veramente strano. Spesso era stata proprio lei a proporre di mandare Harry via di casa, mentre ora era lì che non si

capacitava delle parole appena pronunciate da suo marito.

- Vernon, cosa stai dicendo?

Il signor Dursley si voltò verso la moglie, tenendo ancora Harry per la manica della camicia – Petunia, io sono stanco! Stanco di essere in combutta con questo qui… sono stanco marcio! Muore un uomo che neanche conosceva e sembra di assistere ad un dramma senza precedenti!

- Non rivolgerti a Sirius in quel modo! – gridò Harry – Non parlare di lui!

- Sirius! – Vernon pronunciò il nome del padrino di Potter con disprezzo.

Petunia si avvicinò all’orecchio di Vernon e sussurrò delle parole che Harry capì benissimo – Non puoi trattarlo così. Cerca di ragionare: sai, quelli della sua razza potrebbero venire qui e vendicarsi contro di noi.

Vernon sembrò ragionarci seriamente sopra ed Harry ebbe l’impressione che suo zio avesse mollato leggermente la presa, ma durò solo qualche breve istante.

Dopo un po’, il signor Dursley prese nuovamente Harry per il colletto e lo trascinò su di qualche gradino – Prepara le valigie e va via da questa casa! Torna in quello strano posto dove andasti l’ultima volta che scappasti! Non mi importa dov’è, come ci arriverai e se sarai tutto intero. Adesso ne ho abbastanza di te! Harry Potter, vattene! Via da casa mia!

Harry rimase lì qualche istante. Fissò zia Petunia, forse sperando che lei gli dicesse di restare e di non andare da nessuna parte, ma la donna si voltò e andò in cucina e non disse nemmeno una parola.

Zio Vernon era lì a fissarlo, attendendo che il ragazzo si apprestasse a salire le scale e a preparare le sue cose.

Harry cambiò espressione. Da arrabbiato con suo zio e addolorato per Sirius, si impose di sembrare pronto ad affrontare quella nuova sfida che gli si era presentata davanti.

Corse in camera sua, prese la valigia e piegò distrattamente i suoi pochi e già stropicciati vestiti. Si infilò le scarpe e le allacciò velocemente.

Scese in soggiorno, per mostrare a zio Vernon che mancavano solo pochi

istanti e poi sarebbe andato via, senza tornare mai più.

Petunia lo vide e abbassò in fretta lo sguardo. Ad Harry non sembrava che fosse dispiaciuta per lui, come invece voleva far sembrare.

Forse sperava che, parlandone "con quelli della sua razza", Harry avrebbe speso parole gentili verso sua zia, magari aggiungendo, tra un insulto e l’altro per zio Vernon, che "zia Petunia si era sinceramente dispiaciuta per lui". Questo suo tentativo di preservare la sua incolumità non attaccava. Harry aveva capito benissimo che la sua era solo scena.

Il signor Dursley era seduto di spalle, sulla sua poltrona e non si degnò nemmeno di voltarsi.

Le uniche parole che disse, furono rivolte a sua moglie – Petunia, hai sentito l’ultima? Vogliono ripulire la rete fognaria. Era ora! Dopo tutte le mie lettere di protesta!

Harry fissò ancora una volta lo sguardo di zia Petunia e scosse leggermente il capo. Prese le sue cose e chiuse violentemente la porta di casa.

Vernon non poté fare a meno di commentare l’accaduto – Era ora che se ne andasse da questa casa. Spero che non ci torni mai più.

Petunia stavolta non trattenne il suo pensiero e urlò verso suo marito con tutto il disappunto che aveva verso di lui – Vernon, spero che ti sia reso conto della gravissima cosa che hai fatto! Non mi interessa se hai mandato via il ragazzo! O meglio, mi interessa, ma non perché mi preoccupi per lui, sia chiaro.

- Petunia, non ci faranno alcun male! – disse Vernon, pulendosi il labbro inferiore da alcune briciole di biscotti alle mandorle – Non ho paura di Harry e dei suoi amici strampalati!

- Ma del preside di quella scuola… di lui dovresti avere timore, Vernon!

Il signor Dursley tirò un sospiro teso e insicuro, poi rispose a sua moglie in tono autoritario – Un vecchio dalla lunga barba bianca non mi fa alcuna paura. Il ragazzo non doveva restare un secondo di più. È quasi maggiorenne nel suo mondo; era già tanto che fosse ancora qui. Non ero

più tenuto a fargli da "tutore"… non è più un mio problema!

Ed era vero.

Harry era quasi maggiorenne nel suo mondo. Non aveva più bisogno di vivere lì, ma con la morte di Sirius non sapeva dove andare. Non aveva più l’entusiasmo di scappare, anche perché sarebbe stato da solo nel fuggire.

Camminava con la testa bassa, trascinando la pesante valigia marrone con le chiusure in cuoio e contava di arrivare al Paiolo Magico entro la mattina seguente.

A piedi ce l’avrebbe fatta sicuramente, anche se desiderava tanto di poter salire sulla sua Firebolt e volare sui tetti di Londra a metri e metri di altezza.

Gli sembrò di rivivere i momenti del passato, quando anni prima era scappato da casa dei Dursley ed era diretto sempre al Paiolo Magico.

Quella notte, arrivò uno strano autobus in suo soccorso.

Che anche questa volta ci fosse stato il Nottetempo in giro per le strade londinesi ad offrire il suo aiuto a maghi e streghe in difficoltà?

Harry si sedette ancora una volta sul marciapiede e attese ore intere.

Non si fece vivo nessun Nottetempo.

Il giovane Potter, sconsolato per aver perso tempo prezioso ad aspettare il mezzo di trasporto che l’altra volta gli fu così d’aiuto, si alzò in piedi, si guardò intorno e non vide altro che la desolazione.

Prese la sua valigia e si incammino in una strada buia che portava ad un’altra strada solitaria e senza illuminazione.

I passi di Harry diventarono sempre più svelti, gli sembrava di essere seguito da ombre strane e credeva di doversi preparare al peggio.

Odiava quella situazione ed odiò zio Vernon in quegli istanti.

Quand’ecco che improvvisamente, una luce brillò dal fondo della strada e un autobus di un viola-blu scuro, a più piani e che correva veloce nella notte, si fermò proprio accanto al ragazzo.

Dietro, proprio come la volta precedente, c’era lui. Lo strano Stan Picchetto, che si preparava a recitare ancora una volta il suo monologo.

- Benvenuti sul Nottetempo, mezzo di trasporto di emergenza per maghi e s… - Stan guardò per un secondo al di sopra del suo taccuino, dove teneva tutto segnato in caso se ne dimenticasse, e notò il volto del giovane ragazzo. Ovviamente, lo riconobbe, anche se Harry non si aspettava di essere riconosciuto da uno che non ricorda cosa dire ogni volta che il Nottetempo preleva qualcuno.

- Ancora tu? – chiese Stan.

- Non è certo colpa mia.

- Cos’è quel tono scontroso… ehm… come hai detto che ti chiami?

Harry sospirò. Non aveva tempo per discutere con Stan – Non te l’ho mai detto.

- E pure ero sicuro di sapere il tuo nome… vediamo… qualcosa che comincia per N…

Harry si ricordò di aver dato a Stan un nome falso. Disse di chiamarsi Neville, ma poi il bigliettaio aveva scoperto la sua vera identità.

- Stan, lascia perdere – disse Harry, facendo per salire a bordo, ma Picchetto gli bloccò la strada con un braccio.

- Eh no, no! Devo prima ricordare il tuo nome. Non correrò il rischio di farti salire e di farti scendere dal Nottetempo, prima che mi abbia detto come ti chiami.

- Lasciami passare! – disse Harry insistentemente.

Stan non sembrava intenzionato a farlo.

- E va bene. Se ti dico il mio nome mi lascerai passare? – chiese.

- Naturalmente.

Harry non ci pensò più di un nanosecondo. Disse il primo nome che gli venne in mente – Cedric Diggory.

Stan lo guardò per un secondo e poi rise – Certo! Cedric! Come ho potuto dimenticarlo! Avanti, salta su.

Harry si era sentito in colpa per aver usato il proprio il nome di Cedric, ma era stato il primo ad essergli venuto in mente, dopo Sirius Black. Ma quello non poteva certo usarlo come nome falso. Fu proprio Stan a dirgli

per la prima volta il suo nome.

Il nome del suo padrino. Dell’uomo che aveva vissuto dodici anni nella prigione di Azkaban, sopravvissuto solo grazie al desiderio di vendicarsi di Peter Minus, il vero responsabile della morte dei suoi genitori.

Harry abbassò lo sguardo e con il pensiero cercò di immaginarsi il volto di Cedric Diggory, sperando che l’avrebbe perdonato per il suo gesto.

- Scusa, Cedric… - sussurrò a voce bassa tra sé e sé.

Stan udì le sue parole e si voltò – Ma cosa fai? Chiedi scusa a te stesso?

Harry si trovò spiazzato. Non pensava che Stan potesse sentire.

"E adesso?" pensò Potter "Cosa gli rispondo!?".

- Ehm… spesso parlo da solo.

Stan Picchetto sembrò cascarci in pieno. Del resto non era noto per essere l’uomo più perspicace del mondo e quindi farsi beffa di lui, non era stato un problema per Harry.

Il Nottetempo correva, come al solito, ad una velocità impressionante ed Harry rimase ancora una volta sorpreso del fatto che quello strano mezzo di trasporto fosse del tutto invisibile per i babbani.

Era sempre stato affascinato dalla cosa e lo era anche allora.

- Dov’è che vai stavolta, Cedric? – chiese Stan, continuando a leggere La Gazzetta Del Profeta.

Harry, in un primo momento, non si voltò, anzi. Aspettava che "Cedric" rispondesse alla domanda di Picchetto.

Poi, ricordò che Stan si riferiva proprio a lui – Oh…al Paiolo Magico.

Stan sbuffò – Amico, sei noiosissimo! Vai sempre negli stessi posti.

Harry non apprezzò l’ironia, forse perché di ironia non si trattava.

Poteva anche essere noioso, ma in quel momento aveva ben altri pensieri per la testa.

Come, ad esempio, chiedere dove fosse la sua Edvige – Stan, dov’è la mia civetta?

Il bigliettaio si guardò intorno distrattamente e poi rivolse lo sguardo verso Harry – Non c’è. Se è quella dell’altra volta, una civetta bianca così

sicuramente non passerà inosservata.

Harry sospirò, ancora. La prima volta sul Nottetempo gli era sembrata piuttosto breve, ma questa volta, il tragitto per il Paiolo Magico gli sembrò veramente lungo.

Improvvisamente l’autobus frenò bruscamente ed Harry cadde per terra.

Stan, invece, era sempre in piedi e non si era scomposto minimamente.

- Come mai ci siamo fermati? – chiese Potter.

Stan guardò dal finestrino - C’è una giovane strega che ha bisogno di un passaggio. Tocca a me…

Harry restò lì seduto, a guardare Ernie l’autista che si puliva i grandi e spessi occhiali con un panno giallo piuttosto malridotto .

Udiva Stan Picchetto, dal fondo del Nottetempo, attaccare con la solita cantilena, quando udì la voce della giovane strega – Stan Picchetto, ho solo bisogno di sapere se Harry Potter è su questo autobus!

Harry riconobbe quella voce e non poteva credere che proprio la sua migliore amica, Hermione, fosse a pochi metri da lui.

- Non c’è nessun Harry Potter sul Nottetempo, signorina. Crede che se Potter fosse su questo autobus non l’avrei riconosciuto?

Harry sbucò alle spalle di Picchetto e fece l’occhiolino ad Hermione.

La ragazza quando lo vide, sentì l’irrefrenabile desiderio di abbracciarlo forte, ma capito il gesto del suo amico, cercò di trattenersi.

- Stan, perché non ripartiamo? – chiese Harry.

- Questa ragazzina è convinta che Harry Potter sia su questo autobus. Diglielo tu, Cedric… dille che Potter qui non c’è e potremo ripartire.

Hermione guardò Harry, come a voler dire "Cedric Diggory???", ma capì che doveva esserci una ragione ben precisa se aveva usato quel nome e decise di aiutare Harry nel tenere in piedi la sua falsa identità.

- Cedric! Cercavo proprio te! – disse la ragazza, mostrando un sorriso convincente.

- Padma! – esclamò Harry.

Hermione storse il naso, ma capì che fingere di essere Padma avrebbe

aiutato Harry a mantenere molto più segreta la sua identità.

- Vi conoscete? – Stan Picchetto sembrava piuttosto confuso da tutta la faccenda. Poi, pensando che quelli non fossero fatti suoi, chiese alla giovane strega se avesse intenzione di salire.

- Certo – rispose Harry, al suo posto.

- Har…ehm… Cedric, non ho un soldo – fece notare Hermione, sperando che Stan non avesse sentito la sua gaffe.

- Tranquilla, Padma. Pago io per te.

Stan staccò il biglietto ad Hermione, che, aiutata da Harry, salì all’interno del Nottetempo.

Quando il bigliettaio si fece abbastanza lontano da non poterli ascoltare, Harry ed Hermione si abbracciarono forte.

La ragazza era rimasta più o meno la stessa: fisico magro, capelli dello stesso colore, ma leggermente più corti dell’anno prima e sembrava essere cresciuta di due o tre centimetri, ma Harry non notava la differenza più di tanto, visto che anche lui era diventato più alto.

Hermione glie lo fece notare – Ti trovo più alto, sai?

- Anche tu sei cresciuta – disse Harry sorridendo alla sua amica.

- Senti, me la spieghi questa storia? – Hermione parlava a bassa voce per non farsi sentire da nessuno dei passeggeri del Nottetempo.

- Quale storia?

- Questa delle false identità – disse la ragazza, in tono ancora più basso.

Harry si schiarì la voce – Non voglio che Stan si ricordi chi sono, l’ultima volta mi sembrava anche troppo entusiasta di avermi conosciuto. Ed ero appena sceso dall’autobus. Figuriamoci adesso che sono ancora a bordo.

Hermione capì – Ed io sono Padma…perchè dire di essere Hermione Granger sarebbe stato rischioso.

- Ecco, hai capito perfettamente… Padma.

I ragazzi risero.

Stan ed Ernie parlavano delle strade superaffollate di Londra e i due maghi ne approfittarono per parlare più tranquillamente e senza la

paura di poter essere ascoltati.

- Hermione, ma come sapevi che ero qui?

- E’ stata Edvige. Lei mi ha condotto fin qui. Ho capito che eri a bordo del Nottetempo quando si è appollaiata su una fermata dell’autobus. Ho capito che c’entrava qualcosa con te. E sono corsa immediatamente.

Ad Harry, però, qualcosa non tornava – Hermione, non voglio dire che sia impossibile, ma come ha potuto Edvige volare da te in così poco tempo e darti la possibilità di arrivare al momento giusto da me?

La ragazza ci pensò su un attimo e la risposta le sembrò talmente ovvia, che si meravigliò del fatto che Harry glie l’avesse fatta.

- Harry, da ieri ad oggi ho avuto tutto il tempo di arrivare.

Potter spalancò gli occhi – Ieri?

- Certo, ieri sera. Edvige mi ha portato la lettera che hai scritto chiedendomi di venire a cercarti – cominciò Hermione – L’idea di scrivere non usando la tua calligrafia è stata geniale, perché se la lettera fosse arrivata nelle mani sbagliate, sarebbe stato un vero guaio.

Harry guardò l’amica, scosso dalle sue parole. Hermione non scherzava, era vero quello che diceva. Non era solita fare ironia su cose del genere.

- Harry, mi sembri perplesso. C’è qualcosa che non va?

- Non ti ho mai mandato Edvige. E non ti ho scritto nessuna lettera, ieri sera. Non sono stato io.

Hermione rise – Dai, non è il momento di scherzare. Chi altro avrebbe potuto? Era anche firmata con le tue iniziali "PH"… Potter Harry.

Harry si fece ancora più serio – Non sono stato io.

La Granger ci pensò ancora un po’ su. Poi capì che l’amico non stava fingendo – Davvero non sei stato tu?

- Hermione, te lo posso assicurare. È da ieri sera che non trovo Edvige. L’ultima lettera che ti ho scritto risale ad otto giorni fa. E non mi sono mai firmato "PH" …in nessuna lettera.

- Però, tu eri davvero qui sul Nottetempo. Quindi…

- Chi ha scritto sapeva che sarei andato via di casa – disse Harry, mentre

cercava, nella sua mente, di fare una lista di tutti quelli che avrebbero potuto scrivere ad Hermione al suo posto.

- Stai dicendo che la persona che ha scritto al tuo posto e ha mandato una civetta bianca, probabilmente Edvige, a casa mia… è qualcuno che può prevedere il futuro?

Harry fece di sì con la testa – E chi è l’unica persona che conosciamo in grado di farlo?

Entrambi si guardarono negli occhi ed esclamarono insieme il nome di Sibilla Cooman.

- La Cooman avrebbe avuto una visione dell’accaduto e avrebbe scritto a me per venirti in aiuto?

- Hai una tesi più accettabile da proporre? – chiese Harry sarcastico.

- Mmm… no, ma la cosa non quadra in tutto e per tutto.

- Tipo?

Hermione si aiutò con le dita delle mani – Prima cosa, non vedo il motivo per cui abbia scelto di firmarsi "PH" e non semplicemente come la Professoressa Cooman. Seconda cosa, perché avrebbe scelto di mandarmi la lettera proprio con una civetta bianca?

Harry si gratto il capo – Forse perché voleva che credessi che fossi io a scriverti e che in questo modo ci avresti creduto di più.

- E così è stato. Credevo proprio che si trattasse di Edvige.

Hermione sembrava sentirsi in colpa per quello che aveva fatto.

- Ehi, non è mica colpa tua? – disse Harry poggiandole una mano sulla spalla.

- Ero così preoccupata per te, che alla prima richiesta di aiuto… sono corsa. Quando Stan Picchetto mi ha detto che non eri sul Nottetempo, credevo di essere arrivata troppo tardi e… - la ragazza tirò su con il naso.

Fu proprio in quello momento che l’autobus fece una delle sue brusche frenate ed Harry, guardando dal finestrino alla sua destra, vide di essere arrivato a destinazione. Stan si avvicinò ai due ragazzi – Cedric, Padma… siamo al Paiolo Magico.

Poi si voltò verso gli altri passeggeri del Nottetempo – Prossima fermata, Abergavenny!! – gridò.

Harry prese le sue cose e scese dall’autobus, poi aiutò Hermione a scendere e si voltò per salutare Stan – Allora, addio!

Stan Picchetto scese dal Nottetempo e si avvicinò ad Harry, con un sorriso furbo stampato sul volto – Addio… signor Potter.

Harry gli sorrise a sua volta – Come lo hai capito?

- Non sono così smemorato. Volti noti come il suo non si dimenticano e poi, fare finta di essere un po’ strano fa parte del mio essere.

- E perché dicevi ad Hermione che nessun Harry Potter era a bordo?

- Perché volevo difendere il signor Potter da un qualsiasi potenziale nemico. Non avevo riconosciuto la signorina Granger.

Hermione incrociò le braccia – Harry, andiamo?

Harry stese la mano verso Stan – Allora, addio e grazie di tutto.

Picchetto rispose al saluto, si aggiustò il cappello e risalì velocemente a bordo del Nottetempo, che scomparve immediatamente dopo una curva.

Harry ed Hermione entrarono nel Paiolo Magico, portandosi dietro le loro valigie. Hermione, a dire il vero, aveva solo una borsa con qualche vestito e portava una sacca con dentro alcuni libri.

Anche in questi casi, la Granger non si privava mai delle sue letture.

Al Paiolo Magico, Harry incontrò Tom, il proprietario, che lo riconobbe immediatamente – Signor Potter! – disse, mostrando un sorriso privo di quasi la maggior parte dei denti.

- Avremmo bisogno di restare qui, per un paio di giorni.

- Due singole, ovviamente – disse Tom sarcastico.

Hermione inarcò un sopracciglio – E’ ovvio.

- Ha visto la mia civetta bianca? – chiese Harry speranzoso di un sì.

Tom rispose di non averla vista.

Alla sera, Harry ed Hermione entrarono nelle loro rispettive stanze e, mentre la ragazza terminava una ricerca per Occlumanzia, il giovane Potter si chiedeva dove potesse essere la sua adorata Edvige.

  
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