Questa
storia è arrivata quarta al “Wolfstar Contest”.
Titolo
della storia:
I’ll stand by you
Autore: TittiValechan91
Fandom: Harry Potter
Pacchetto: Salazar (oggetto:
bacchetta; caramella tuttigusti+1: cioccolato; citazione: “La luna è come la
libertà: sta in cielo e in fondo al pozzo.” Di Antonio Delfini)
Rating: Verde
Genere: Romantico
Tipologia: One-shot
Avvertimenti: Shonen-ai
Introduzione: I Marauders
hanno scoperto da un po’ il segreto di Moony ed in
nome della loro amicizia vogliono stare con lui nelle notti di luna piena, ma Sirius ha un motivo in più per farlo.
Note dell'autore: //
~
I’ll
stand by you.
Mr. Moony, Mr. Wormtail,
Mr. Padfoot e Mr. Prongs.
Da un po’ di tempo a
quella parte, erano diventati quelli i nostri soprannomi. Insieme eravamo i Marauders, la
banda di scalmanati più famosa della scuola di magia di Hogwarts.
Era incredibile come fossimo capaci di metterci nei guai, facendo
inevitabilmente perdere punti alla nostra Casa; oppure come, almeno dieci volte
al giorno, gruppi di ragazzine sospirassero rumorosamente, fermandosi a
guardarci. In vita mia non ero mai stato un tipo popolare e che si metteva
troppo in mostra, eppure sembrava che tutto
quello fosse accaduto soltanto per causa mia.
Insomma, nell’incontrare per la prima
volta James, Sirius e Peter, non avrei mai valutato
la loro come una compagnia pericolosa per me; o meglio, non avrei mai ritenuto
possibile che si potessero immischiare in cose molto più grandi di loro. Tali
cose consistevano nel mio piccolo
problemino peloso – come lo chiamavano loro – e, sì, ho sempre creduto che
se non fosse stata per la loro capacità innata di ficcare il naso in faccende
che non li riguardavano, a quest’ora non saremmo Mr. Moony,
Mr. Wormtail, Mr. Padfoot e
Mr. Prongs. Saremmo semplicemente Remus
Lupin, Peter Pettigrew, Sirius
Black e James Potter.
Magari io sarei rimasto il solito ragazzo
studioso che se ne sta sulle sue; Peter il classico sfigato; James e Sirius invece si sarebbero contesi le più belle ragazze
della scuola. Invece a noi era capitato quel malaugurato destino. Malaugurato
dal mio punto di vista. Continuavo a ripetere loro che erano dei pazzi. La loro
ossessione, riguardante lo scorrazzare per la Stamberga Strillante in compagnia
del sottoscritto, nelle sembianze più mostruose e spregevoli, caratteristiche
delle notti di luna piena, aveva raggiunto l’apice qualche mese fa.
Senza che io ne sapessi niente, avevano
discusso animatamente con la professoressa McGonagall
sulla possibilità di diventare animagus per maghi del loro discreto calibro, e
successivamente avevano ottenuto il permesso, da parte del preside, di studiare
per ottenere risultati soddisfacenti in quella complicata branca degli
incantesimi.
Si può immaginare perfettamente
l’indignazione che ne seguì da parte mia, nello scoprire cosa stavano
architettando. Tenni loro il muso più a lungo, di quanto aveva fatto Sirius dopo aver smascherato il mio di segreto, un anno
prima; ma naturalmente ciò non bastò a dissuaderli dai propositi poco
allettanti che gli invadevano il minuscolo atomo che si ritrovavano per
cervello, in comune per giunta – quindi immaginate cosa potesse venir fuori.
Il mio sadismo, però, non rimase a lungo a
deturparmi il volto, già perennemente depresso, anzi acquistai un grande
entusiasmo quando i ragazzi mi mostrarono il loro progressi, pochi mesi dopo.
James riusciva già ad effettuare una trasformazione completa e a diventare un
cervo maestoso, con tanto di corna; a Peter mancavano solo delle orecchie
pelose per riuscire a sembrare un topo a tutti gli effetti; solo Sirius sembrava un po’ indietro con lo studio. A quei tempi, riusciva solo a farsi spuntare una enorme
coda da cane, e ciò non lo metteva certo di buon umore. Il suo – diciamo –
profitto nel conquistare quanti più esseri di sesso femminile stava calando
vertiginosamente, con l’aumentare della sua depressione. Non gli si vedeva più
un sorriso decente da quando i suoi due colleghi animagus avevano completato le
loro trasformazioni. Nemmeno le battutine di James su Rüf
riuscivano a divertirlo e spesso si emarginava.
Ricordo benissimo il giorno in cui Prongs fece la battuta più esilarante del suo repertorio di
battute sui personaggi storici famosi di quella materia. Il discorso, che la
maggior parte degli studenti riteneva quotidianamente tedioso, quella mattina
verteva sulla rivolta di Elfric l’Avido. Si stava
appunto accennando al fatto che il sopraccitato fosse un goblin,
che James affermò: ‹‹È ovvio che abbia messo in fuga tutti quei nemici. Essendo
un goblin, con la faccia che si ritrovava, doveva
averli spaventati. Non doveva essere affatto affascinante.››, ed inchiodò una
gomitata su un fianco a Sirius, in segno di
complicità. Il tono di voce era stato tale che tutti gli studenti in aula
avevano udito la frecciatina, e delle risate si erano alzate qua e là tra i
banchi, intervallate da sospiri e urletti da parte di qualche fan del moro.
Tuttavia, da parte di Padfoot non ci fu alcun segno
di ilarità, ma Prongs non ci fece granché caso,
sostenuto da Peter, al suo fianco, che si teneva la pancia dal troppo ridere.
In quei giorni avevo tenuto d’occhio Sirius e mi ero accorto di quanto fosse cambiato. Era come
se non riuscisse più a divertirsi. Fino a quel momento, tutti gli altri Marauders, compreso lui, mi avevano rimproverato in
continuazione il fatto che non mi sapessi divertire, e lo avevo sempre ammesso:
non andavo in giro a fare conquiste, non ingaggiavo liti con i Serpeverde ed ero sempre al passo con lo studio. Perfino
Peter risultava più trasgressivo di me. Ma da un po’ ero svettato al terzo
posto. Sirius era l’ultimo della classifica, mogio
com’era, ed era impossibile vederlo così.
James sosteneva che: ‹‹Ancora qualche
settimana e tornerà come prima!››, ma a parer mio sembrava irrecuperabile. Il
mio amico James poteva essere troppo impegnato a stare dietro a Lily Evans, la
sua bella dai capelli rossi; Peter troppo intento a proporgli sempre nuovi
stratagemmi di conquista; ma io dovevo fare qualcosa per Sirius,
prima che restasse come unica chance il San Mungo, reparto psicologia.
La mia occasione giunse una sera di metà novembre.
La notte successiva ci sarebbe stata la luna piena, e Prongs
e Wormtail mi avrebbero fatto compagnia per la prima
volta. Questo piccolo particolare rese ancor più irritabile Sirius,
che ormai era passato dalla malinconia all’asocialità più totale. Non rivolgeva
la parola a nessuno già da qualche giorno, neppure ai Marauders,
e il non vederlo in camera, quella sera, all’una di notte, mi fece impensierire
maggiormente.
Mi
avvicinai al letto dal quale proveniva il ronfare di James, scostai un po’ le
tende del baldacchino e scossi una spalla del moro con una mano.
‹‹James, James, svegliati.›› bisbigliai.
‹‹Mmh… Lils, mi hai portato la colazione a letto?›› fece quello
sorridendo, senza aprire gli occhi.
Scossi la testa e non riuscii ad evitare
che mi si dipingesse una smorfia divertita in volto.
‹‹È ancora presto per la colazione e poi
sono Remus››.
Quello aggrottò le sopracciglia,
continuando a tenere ben chiusi gli occhi.
‹‹Rem?››
‹‹Volevo solo sapere se avevi visto Sirius››.
James ci pensò per un po’, grattandosi la
testa con una mano.
‹‹Sì.›› rispose con voce impastata dal
sonno, ‹‹Penso che Alice sia una tipa corteggiabile
per te, Sir, ma fa’ attenzione a Frank››, e detto questo, si girò dall’altro
lato, riprendendo a russare.
Lo fissai sbigottito, poi scrollai le
spalle. Stavo perdendo tempo.
Scesi giù in Sala Comune. Non c’erano
molte possibilità su dove poter trovare Sirius. Non
poteva essere che lì. Era troppo giù per tentare di rallegrarsi con una notte
di fuoco trascorsa con la prima oca giuliva trovata; era troppo giù per andare
ad abbuffarsi nelle cucine del castello; ed era troppo giù anche per dormire, a
quanto pareva.
Come previsto, lo trovai nel bel mezzo
della Sala Comune, ma il suo aspetto non era del tutto normale, o meglio era
alle prese con la trasfigurazione del proprio corpo. Il problema era che
somigliava di più a un centauro che a
un cane, sorvolando il fatto che non possedeva gli zoccoli. Stava ritto in
piedi su delle zampe nere e pelose; la coda gli spuntava dai pantaloni ed era
rigida come una linea retta – probabilmente a causa del suo nervosismo; le
braccia umane ricadevano lungo il suo corpo, a mo di
rassegnazione; ed infine il suo sguardo, ora puntato su di me, possedeva un che
di terrore, misto a rabbia.
‹‹No!››
Non capii se quell’esclamazione fosse
scaturita dal fatto che avesse perso l’equilibrio, o per qualcos’altro. Più tardi
compresi che la causa ero io, perché l’avevo visto in quelle imbarazzanti
sembianze; ma non dissi nulla in proposito, mi limitai ad avvicinarmi a lui.
Ora stava disteso a terra, con la faccia immersa nella moquette per la
vergogna. Le sue gambe stavano tornando alla normalità e il suo respiro si
stava facendo pesante, per il troppo sforzo impiegato per quell’incantesimo.
‹‹Sirius…››
sussurrai.
Lui alzò la testa per guardarmi. Aveva gli
occhi lucidi.
‹‹Porco Snape!››
imprecò, ‹‹Non ci riuscirò mai.››
Gli tesi una mano e lo aiutai ad alzarsi.
Lui, una volta in piedi, barcollò un po’. Lo tenni saldamente, passandomi un
suo braccio intorno al collo, e lo accompagnai alla poltrona più vicina.
‹‹Ti eserciti troppo.››
Lui sembrò serrare le mascelle dietro le
labbra.
‹‹Mi
esercito troppo poco.›› ribatté, dopo qualche secondo, poi si passò una mano
sugli occhi e se li stropicciò.
Pensai che avesse ancora il giramento di
testa e così mi frugai nelle tasche ed ne estrassi una tavoletta di cioccolato
al latte. Ne avevo sempre una con me, dovunque andassi, soprattutto nei giorni
in prossimità della luna piena. In quelli, ero sempre troppo stanco e sembrava
che il cioccolato fosse l’unica cosa che mi tirasse un po’ su. Con l’andare
degli anni, esso era diventato il mio cibo preferito e non era mai successo che
ne fossi stato a corto. Avevo sempre una scorta personale, di tutti i tipi di
cioccolato immaginabili, e spesso capitava che i Marauders,
in particolare Peter, venissero a sgraffignarne qualche pezzo dal mio baule.
‹‹Mangia questo, Sirius.
Ti farà bene.›› dissi porgendo quella dolce tentazione al mio compagno.
Stranamente sorrise, per la prima volta
dopo molte settimane.
‹‹Tu e questo cioccolato…›› fece, scartando
la barretta e addentandola senza troppi complimenti, ‹‹Non fai altro che
mangiarne, tu.›› continuò poi tra un morso e l’altro.
‹‹Nemmeno a te dispiace, vedo.››
A quello scambio di battute, rise, anche
se in maniera sommessa. Sembrava sollevato, ma non abbastanza da cancellare
completamente l’evidente tristezza.
‹‹Volevo essere con te, domani notte.››
mugugnò ad un certo punto, portando alla bocca l’ultimo pezzo di cioccolato
rimasto e masticandolo con foga, ‹‹Gli altri ci saranno, mentre io…››
‹‹Non è colpa tua.›› lo interruppi, ‹‹È
una magia molto complessa, Sirius. È già molto che tu
sia arrivato a questo punto. Non serve che tu ti sforzi così tanto. Ce la
farai, ma hai bisogno dei tuoi tempi.››
Padfoot prese a
fissarsi le mani, intente ad accartocciare sempre di più l’involto della
cioccolata. Le mie parole non lo avevano tranquillizzato. Glielo leggevo in
faccia.
‹‹Sir…?››
‹‹Ci ho pensato, sai?››
Aggrottai le sopracciglia ed aprii bocca
per domandare a cosa avesse pensato, ma mi fermai. Sembrava stesse rimuginando
su come esprimersi.
‹‹Forse sarebbe tutto più semplice se
anche io…››
Prima che potesse concludere, mi alzai in
piedi, di scatto, e gli diedi le spalle, inspirando ed espirando più
velocemente del dovuto, per la rabbia e per la voglia matta che mi era venuta
di schiaffeggiarlo. Quello intuì il mio stato d’animo e mi si avvicinò, senza
tentare di fissarmi negli occhi.
Come poteva anche solo permettere che
un’idea del genere gli sfiorasse la mente?
Ora ero io a stringere i denti, mentre lui
cercava le parole giuste per continuare.
‹‹Basterebbe che mi mordessi!›› disse
quasi implorandomi, mentre il mio disprezzo per la sua folle idea cresceva a
dismisura, ‹‹Voglio stare al tuo fianco…››
Tornai a scrutarlo da sopra una spalla,
con un che di odio. Lui deglutì. Probabilmente nei miei occhi leggeva
facilmente l’amarezza che stavo provando.
‹‹Non pensavo fossi così stupido.››
borbottai.
Lui emise un forte sospiro e si passò una
mano tra i capelli, già abbastanza disordinati.
‹‹Okay, Remus… Scusa…
Non credevo di…››
Mi voltai completamente verso di lui e la
voce gli morì in gola. Il mio sguardo furente preannunciava pericolo.
‹‹La
luna è come la libertà: sta in cielo… e in fondo al pozzo.››
Sirius spalancò
la bocca. Non ero certo che avesse recepito il messaggio, ma doveva in qualche
modo sapere che il dolore che mi aveva costretto a provare era identico a
quello, misto a terrore, che avevo assaporato la notte in cui fui attaccato da quel mostro, e ciò mi aveva indotto a
pronunciare quella frase. Era la stessa che, tra le risate taglienti e spietate,
era fuoriuscita dalla bocca del lupo,
con una perversione tale da rimanere impressa nella mia mente fino a quel momento.
Era chiaro anche a Sirius
che la libertà concessami era rimasta a giacere chissà dove e risultava
pressoché nulla. Lo aveva sicuramente compreso dalla mia frase perché, dopo
qualche minuto di silenzio, mi aveva abbracciato e mi aveva sussurrato una
sfilza di scuse, che nessuno avrebbe immaginato potessero anche solo sfiorargli
le labbra.
Dopo un po’, si staccò da me e mi afferrò
il viso tra le mani, pieno di entusiasmo. Inspiegabilmente ebbi un tuffo al
cuore nel vedere il sorriso radioso che gli decorava il volto, a pochi
centimetri dal mio.
‹‹Ti prometto che sarò con te il mese
prossimo, Moony.›› fece mentre, dal canto mio, gli
rivolgevo una smorfia che voleva sembrare incoraggiante, ma che data la
vicinanza del moro si era limitata ad essere incorniciata da uno strano calore
alle gote.
Ringraziai Merlino che fosse buio in Sala
Comune quella notte. Una minima luce mi avrebbe fatto sentire ancor più
stupido, di come si era sentito Sirius qualche minuto
prima. Ovviamente quel maledetto aveva avuto la capacità di far sparire dalla
mia mente tutto il rancore che avevo racchiuso in quella frase metaforica, che
lo aveva indotto a fare marcia indietro. Ero sicuro al cento per cento che se
ne fosse accorto, anzi, che conoscesse da secoli il modo per farsi perdonare da
me. Non potevo di certo dimenticare il giorno in cui era saltato addosso a
James per ingaggiare una lotta all’ultimo
sangue e – casualmente – il mio libro di Incantesimi, poggiato su una
malcapitata poltrona, era finito nel caminetto acceso durante la colluttazione.
Black allora aveva afferrato la sua bacchetta e, pronunciando un ‹‹Accio
libro!››, si era ritrovato a dare fuoco alla moquette. Allora gli avevo
strappato la bacchetta di mano e con l’Aguamenti avevo salvato la situazione… ma non il mio libro.
Mi ero voltato verso di lui con un’espressione indignata, senza proferire
parola, e gli avevo reso la bacchetta, ma quello, invece di afferrarla, mi
aveva preso la mano con entrambe le sue. Qualcosa dentro mi si era attorcigliato,
mentre mi fissava serio, e man mano che il tempo passava, le sue sopracciglia
gli avevano donato un cipiglio dispiaciuto.
‹‹Scusami, scusami tanto, Remus. Scusa!››
In meno di due secondi mi ero ritrovato a
ridere del suo ridicolo grugno ed avevo completamente dimenticato il danno.
Qualche settimana dopo, avevo trovato un libro di Incantesimi nuovo di zecca ai
piedi del mio letto, nello svegliarmi, e mi ero ricordato all’istante che dovevo essere arrabbiato con lui, ma
ormai era troppo tardi.
Col passare del tempo, mi ero reso conto
che era quello il modo di fare di Sirius: farti
sentire in colpa di averlo fatto sentire in colpa. Buffo, no?
Ad ogni modo, due giorni dopo, stressato e
stanco dall’andamento della nottata maledetta,
riuscii comunque a notare che Sirius pareva molto più
rilassato, quasi su di giri. A lezione di Pozioni, lo sentii fare un paio di
battute sui Serpeverde, accompagnato dalle risa di
James e di Frank Longbottom, Grifondoro
anche lui. Il professor Slughorn ci aveva diviso in
gruppi da tre per produrre una fiala di
distillato di morte vivente – io e Peter lavoravamo con Mary Macdonald. Ogni tanto il cagnaccio mi scoccava degli sguardi radiosi e due erano le
possibilità: o aveva scoperto un nuovo passaggio segreto, che magari conducesse
da Honeydukes o da Zonko,
oppure Frank era diventato magicamente un asso in Pozioni, viste le scarse
capacità degli altri due nella suddetta materia. Tuttavia più tardi avrei
scoperto che non si trattava di nessuna delle due cose. In primis, non poteva
aver avuto tempo materiale per scorrazzare per il castello alla ricerca di
passaggi segreti, anche perché noi altri ci eravamo impossessati del mantello
dell’invisibilità la notte precedente. Inoltre la seconda ipotesi non poteva
essere valida. Il loro intruglio
infatti si guadagnò un banalissimo Troll, quella mattina.
Così, il pomeriggio, io e lui ci
ritrovammo a studiare in biblioteca, mentre James era agli allenamenti di Quidditch e Peter probabilmente in Sala Comune ad abbuffarsi
di caramelle mou. Era il momento giusto per chiedergli il perché fosse così di
buon umore, ma il mio buonsenso mi impediva di distrarmi dall’enorme volume che
avevo recuperato da uno scaffale poco prima.
Solo quando Sirius
mugugnò: ‹‹Facciamo una pausa, Moony?›› in tono
lamentoso, allora alzai lo sguardo dalle pagine ingiallite, borbottando un
assenso.
‹‹Dovresti cercare di migliorare in
Pozioni›› dissi alludendo a quella mattina.
Lui sbuffò, come a dire che pensavo
soltanto allo studio, e poi tornò a sorridere, esattamente come aveva fatto
qualche ora prima.
‹‹Non ho tempo per Pozioni.››
A quell’esclamazione gli rivolsi
un’occhiata severa. Conoscevo benissimo quella specie di esaltazione. L’avevo vista sul volto di James e di Peter alla loro
trasformazione finale in animagus.
‹‹Non starai trascurando gli studi per quello?››
Stavolta Sirius,
nello sbuffare, alzò gli occhi al cielo.
‹‹Quello››
fece imitandomi, ‹‹mi serve. Sono a buon punto, Remus,
e se mi fermo adesso, finirò per non riuscire a stare con te il mese prossimo!››
Quelle parole mi fecero sobbalzare e non
per il loro significato in sé, ma per il tono adottato nel pronunciarle. Avevo
capito fin dall’inizio che Sirius fosse decisamente
più fissato degli altri per la storia degli animagus,
ma quel tono battagliero e testardo era la prova effettiva che il suo proposito
di uscire di notte dal castello, a spassarsela in sembianze animali, non era
minimamente paragonabile al suo desiderio di non lasciarmi solo.
Iniziai a fissare di nuovo le pagine del
libro, come imbarazzato dalla situazione creatasi. Intanto Padfoot
si portò le braccia dietro il collo, in una posizione più comoda, continuando a
scrutarmi curioso, ma il mio silenzio lo indusse a proseguire.
‹‹Ascolta, Rem. Io non voglio sembrare più
figo con questa trasformazione, ma – come posso spiegarti? – ci tengo più di
qualsiasi altra cosa.››
Fece una pausa.
‹‹Anche l’altra notte, quando ti ho
proposto di…››
‹‹Non me lo ricordare!›› sbottai e lui
esitò un po’ prima di continuare.
‹‹Io volevo solo… che tu fossi felice.››
Lo aveva ammesso con semplicità, senza
troppi giri di parole, ed io temevo che il nodo che mi si era creato in gola
stesse per rubarmi qualche lacrima di commozione. Incrociai le braccia sul
tavolo e ci affondai dentro la faccia, tentando di bloccarle. Probabilmente Sirius era allarmato dalla mia reazione, perché chiamò il
mio nome almeno tre volte prima che tornassi a guardarlo in faccia e, di
conseguenza, sospirasse sollevato.
‹‹Odio ammetterlo ma, nonostante tutto… ti
voglio bene.›› mugugnai, mentre lui si accingeva ad arrossire alle mie parole.
‹‹A-anch’io.››
fece lui, volgendo lo sguardo altrove.
Il resto del pomeriggio proseguì normalmente,
dopo quello scambio di battute. Io e Sirius tornammo
a studiare con molta più dedizione, il che da parte mia poteva sembrare
normale, ma per la sua persona era
abbastanza preoccupante.
Il silenzio però non torreggiò soltanto
nell’ampio salone della biblioteca, ma anche nei luoghi che occupammo nei
giorni successivi, in particolare quando eravamo soli. Soltanto una volta si
era visto Sirius così silenzioso, se escludiamo
ovviamente il periodo di depressione pre-animagus: era
stato in seguito alla sua prima e ultima cotta.
Era il secondo anno ed una Corvonero del settimo si era azzardata a fargli gli occhi
dolci. Per qualche settimana Sirius era parso in
paradiso, ma quando aveva scoperto che la tipa era impegnata da ben tre anni
con un suo compagno di casa, si era messo a tacere, quasi in segno di protesta,
fino a che non aveva scoperto il bel
vivere delle storie a breve termine.
La differenza tra allora e adesso era che
la causa sembrava imbarazzo, e da parte di entrambi.
Quella specie di blackout fortunatamente
durò solo fino al mese successivo, quando Sirius
inaugurò la sua trasformazione completa nella nostra stanza e, tra le urla di
giubilo di James e Peter, il sacco di
pulci, dopo essere tornato in sembianze umane, annunciò: ‹‹E dopodomani ci
sarò anche io!››
Nel pronunciare quella frase mi aveva
rivolto il solito sorriso raggiante. Sembrava finalmente soddisfatto dei suoi
sforzi e forse, almeno lui, non vedeva l’ora che arrivasse la fatidica notte.
Così il pomeriggio, a cui sarebbe seguita
la notte di luna piena, ebbi la possibilità di ascoltare uno dei discorsi più
glicemici del suo repertorio. Ero in Sala Comune – indovinate un po’ – a
leggere. Trovavo che quell’occupazione mi aiutasse a scacciare i cattivi
pensieri riguardanti l’imminente incubo notturno ma, inaspettatamente e per la
prima volta, questo metodo sembrava non funzionare. Ero stanco, agitato,
nervoso. Non avevo mai provato tutte quelle cose insieme, prima di una
trasformazione, e tendevo a scorrere la decima riga di una pagina del libro di
Pozioni per l’ennesima volta, data la mia distrazione. L’arrivo di Sirius nella stanza non migliorò di molto il mio stato
d’animo, anzi mi fece venire la pelle d’oca.
‹‹Non venite stasera, vi prego.››
borbottai mentre si metteva a gambe incrociate sulla moquette davanti a me.
‹‹Perché?›› fece lui, in tono stranito.
‹‹Ho… un brutto presentimento.››
Sirius sospirò,
lisciando freneticamente il tappeto – immaginavo – per calmarsi.
‹‹Invece verremo.›› ribatté ad un certo
punto, alzandosi in piedi.
‹‹Ma…››
E poi si era avvicinato troppo, impedendo
alle mie labbra di continuare, occupate ad ospitare le sue, intente in un gesto
semplice e dolce, intente nel solo sfiorarsi.
Il battito del mio cuore era improvvisamente diventato più veloce, eclissando
così la stanchezza, l’agitazione ed il nervosismo, e non rallentò nemmeno
quando, nell’allontanarsi, Sirius aveva assunto un
cipiglio da malandrino. Poi si era abbassato, per guardarmi meglio in viso, che
credevo rasentasse il bordeaux ormai, e mi aveva preso una mano.
‹‹Ti prometto che la tua luna starà in cielo stanotte.››
Dischiusi la bocca per lo stupore, mentre
lui mi abbracciava, e non era il solito abbraccio – ce n’eravamo concessi tanti,
in quegli anni – ma era qualcosa di estremamente caldo e, per una volta, sentii
davvero l’affiorare di un barlume di libertà… qualcosa mai provato prima.
A seguito di quella nottata, l’unica cosa
che volevo era dormire fino all’ora di pranzo, ma un paio di fattori, ahimè, me
lo impedirono. Primo, il freddo micidiale che risiedeva nella Shrieking Shack; secondo, quella
cosa fastidiosa, seccante e viscida, chiamata lingua. Sì, perché tra i tanti modi in cui Sirius
poteva utilizzare la sua abilità di trasformarsi in un cane, magari modi utili
alla società, doveva proprio scegliere una specie di sveglia umida, da utilizzare ovviamente verso l’unico, povero,
essere vivente che si meritava un po’ di riposo.
‹‹Woff!››
Odiavo ufficialmente Sirius
Black, ma ciò non mi permise di rimettermi a dormire. Aprii gli occhi di
malavoglia ed intravidi una cioccorana incartata, in
bocca al suddetto cagnaccio, che me la porgeva tra un guaito e l’altro come a
dire: ‹‹Colazione, Moony››, e ce lo vedevo proprio a
dire quella frase. Accettai il dono di quell’adorabile animale e mi sedetti, non prima di ricevere un altro bacetto affettuoso.
‹‹Piaciuta la nottata?›› domandò quando fu
tornato normale.
‹‹Per i miei standard, decisamente.››
ammisi io.
Lui abbozzò una smorfia divertita, ma
sembrava che ci fosse ancora qualcosa a tormentarlo.
‹‹E a te?›› gli chiesi io, intuendo l’affiorare
di qualche strano pensiero nella sua mente.
Stavolta il suo sorriso si allargò.
‹‹Sinceramente?››
Annuii e lui mi fissò per un istante
interminabile negli occhi, senza dire una parola, ma presto riprese: ‹‹Mi è
piaciuto molto di più il pre-nottata.››
Persi un battito nel ricordare il bacio
che mi aveva dato la sera precedente e probabilmente arrossii perché lui
aggiunse: ‹‹E credo che neanche a te sia dispiaciuto.››
No, non mi era dispiaciuto e Sirius lo lesse nel sorriso che regalai, prima che potesse
depredarlo con un altro bacio.
Per una volta, la luna poteva eclissarsi.
Per una volta, non importava dove fosse
ubicata.
Per una volta, importava soltanto dove
fossi io e cosa provassi…
‹‹Uhm… Prongs
chiama Moony. Prongs chiama
Padfoot. Rispondete. Che dite? Credete sia il caso di
andare a fare colazione, prima che faccia notte?››
Un sorriso di circostanza e una poco
convincente nonchalance, prima di rispondere: ‹‹Perché no.››
The
end.
~