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Autore: Robiz    27/10/2011    4 recensioni
Sono Usagi Tsukino, ho 19 anni, frequento la 5a liceo quindi tra poco avrò gli esami di maturità e...sono obesa!
Contatti con il genere umano maschile: nessuno.
CAP.3 MODIFICATO!
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Cap. 7: Incontro- Minako


Avevo ascoltato tre racconti, tre storie di persone apparentemente normali ma che nascondevano dentro di sé una sofferenza enorme. Storie di maschere cadute, di lotte e di rinascite. Quante persone incrociamo ogni giorno e valutiamo superficialmente basandoci solo sul loro aspetto? In realtà ogni volta che ci troviamo davanti a qualcuno, siamo di fronte a una fitta trama di fili sottili che si intrecciano andando a formare la psiche e, assieme ad essa, l' apparenza. Ognuno di noi sostanzialmente è un inganno, l'inganno che ci siamo costruiti per sopravvivere in questa realtà fatta di giudizio e superficialità. Ogni istante è una perenne battaglia per l'affermazione di sé, per urlare al resto dell'oceano, l'esistenza di una goccia preziosissima e identica solo a se stessa, seppur apparentemente uguale alle altre.


Mancava soltanto un racconto, quello della ragazza che sin da subito aveva attirato la mia curiosità per la sua somiglianza con i miei tratti principali. Lunghi capelli biondi, nel suo caso raccolti in parte con un delizioso fiocco rosso. Grandi e profondi occhi azzurri. Indossava un vestitino di seta rosa che scivolava dolcemente mettendo in risalto la sua linea perfetta e le decorazioni glitterate dello stesso le donavano una luce particolare che sottolineava la delicatezza del suo viso. Si poteva tranquillamente definire una venere. A parte l'abissale differenza di chili, quella ragazza rifletteva la potenziale me stessa. Sul serio potevo diventare come lei? Eppure se si trovava proprio qui di fronte a me, voleva dire che anche la sua vita non era stata facile.

Quando mi vide pronta, iniziò a parlare.


- Ciao Usagi, sono Minako, sono figlia unica e abito qui a Tokyo con i miei genitori. Quando ho iniziato a stare male, abitavamo in una casa decisamente piccola e con muri sottili, il che significava, nella vita quotidiana, la totale mancanza di privacy e di libertà. Unisci questa condizione al fatto che il rapporto tra i miei era una continua lite e che il rapporto tra me e loro non fosse mai stato idilliaco ed ecco la bomba pronta ad esplodere. I miei genitori si volevano bene, ma nel corso degli anni il carattere di mio padre era decisamente peggiorato, diventando di un pignolo maniacale, parlandoti sempre con un tono perennemente giudicante, rendendo un problema qualsiasi cosa che evadesse dalla routine quotidiana. Lui, avendo cominciato presto a lavorare, era andato in pensione altrettanto presto quindi si era assunto la responsabilità della casa. Era un perfetto casalingo, si occupava di tutto a 360°gradi, faceva le lavatrici, stendeva, cucinava, ma lo faceva solo per dovere verso la famiglia. Il problema era che se tentavi di fare qualcosa ti criticava perchè non la facevi come lui oppure, se non la facevi, ti criticava lo stesso perchè “nessuno muoveva il culo”. Decideva lui cosa mangiare e bisognava essere tutti assieme, per cui alle 18.30 tutti a casa, guai a tardare, pena urla e critiche per mezzora. Pessimista di natura, ti caricava dei suoi pensieri nefasti.

Mia madre lavorava e lavora tuttora tutto il giorno. La vedevo di sera e con lei mi sfogavo, in parte trovando comprensione, in parte scontrandomi anche con lei che non capiva il mio punto di vista. Io sono cresciuta in questa atmosfera. Insicura, immotivata, depressa, non in grado di prendere una decisione che fosse mia al 100% e di spezzare questa dipendenza, soprattutto psicologica che avevo nei loro confronti. Il fatto poi che la casa fosse piccola e “aperta” complicava ulteriormente le cose, impedendomi anche di fare cose semplicissime, come invitare un'amica per qualche sana risata, chiacchierata o confidenza, ascoltare musica dallo stereo o ascoltare la tv normalmente, attività che dovevo svolgere sempre con le cuffie. Inoltre ero perennemente sotto la vista dei miei. Non potevo esprimermi né verbalmente, poiché avrei rischiato il finimondo, né materialmente, poiché non potevo per esempio personalizzare la stanza o uscire la sera senza essere rimproverata pesantemente, come se avessi chiesto la luna. La mia personalità era completamente soppressa. Esasperata da questa situazione decisi di realizzare il mio sogno: diventare un idol.

Volevo guadagnare soldi sufficienti a comprare una casa con spazi adeguati per tutti, volevo diventare indipendente economicamente, volevo dimostrare ai miei genitori quanto valessi e avere su di loro una sorta di vendetta, quindi mi presentai ad un casting di una famosissima agenzia di Tokyo. La concorrenza non mi intimoriva, ero pronta a rischiare il tutto per tutto. Inoltre sin da piccola avevo una innata predisposizione al canto e quindi puntavo su quello. Quando fu il mio turno, tutto andò per il meglio, almeno per me. Cantai divinamente e ricevetti molti applausi dai presenti, ma la giuria non fu dello stesso parere: ero troppo grassa. La mia taglia 44 non andava bene; per loro requisito essenziale era la taglia 40 o al massimo la 42; della 44 non se ne parlava proprio. Mi dissero quasi con disgusto che la pancetta avrebbe rovinato la piega perfetta dei vestiti di scena, che quei fianchi erano troppo tondi per indossare un abito d'alta moda, che non dovevo più presentarmi ai casting se non fossi prima dimagrita in maniera considerevole. Non mi ero mai posta alcun problema per il mio fisico, mi consideravo una ragazza normale, ma carina. Tuttavia da allora l'aspetto, ma soprattutto il peso divennero la mia ossessione. Decisi di mettermi a dieta.

Litigai con mio padre per avere la libertà di scegliere cosa mangiare. In realtà i miei genitori non videro più cibarmi e nemmeno io vidi più l'ombra di un alimento. Ero rimasta talmente scioccata dai quei commenti così acidi da voler dimagrire a tutti i costi e il più in fretta possibile per ripresentarmi da loro e, detto ironicamente, “fargli rimangiare tutto”. All'inizio fu durissima ignorare i morsi della fame, piangevo per ore per i crampi che avevo, ma pian piano questi divennero i miei compagni di vita. Mi abituai, perchè la ricompensa emotiva era fortissima: i compagni di classe iniziavano a vedermi finalmente come una donna, per strada mi fischiavano dietro e i conoscenti mi facevano i complimenti per la nuova forma acquisita. I loro elogi divennero una vera e propria droga, una roba da sballo. Finalmente ero la protagonista della mia vita, finalmente godevo di un'attenzione mai ricevuta e venivo ammirata dagli altri.

Però ogni droga ha il suo prezzo, crea dipendenza e assuefazione.

E così non mi fermai e continuai a dimagrire. Sulle mie guance iniziarono a formarsi dei solchi profondi, guardandomi era possibile contare il numero delle costole e delle vertebre. Ma per me ero semplicemente bellissima e questo mi bastava a far tacere il dolore che provavo nello stomaco da ormai un paio di mesi. I miei ovviamente si erano accorti che qualcosa non andava e cercarono invano di parlarmi e convincermi a riprendere a mangiare. Per la prima volta dopo anni i miei genitori erano concordi, erano tornati una coppia unita di fronte al dramma della loro figlia; tutto ciò non fece altro che rafforzare il mio desiderio di andare avanti nel rifiutare il cibo, perchè se ero riuscita a compiere questo miracolo allora non mangiare faceva davvero bene e non solo a me.

Non sentivo mia madre che piangeva la notte, non sentivo mio padre che la consolava.

Andai avanti così per mesi, finché il corpo stremato si ribellò alla mia volontà e svenni in bagno. Fui portata all'ospedale, il che fu decisamente una fortuna. I medici innanzitutto iniziarono a reidratare il mio corpo, mi fecero numerose flebo e mi alimentarono in endovena al fine di stabilizzare i miei livelli ematici. Per una settimana non vidi altro che flebo 24 ore su 24, tanto ero devastata fisicamente. Il difficile arrivò dopo, quando dovetti affrontare per la prima volta dopo tanto tempo il confronto col cibo. Mi presentarono una porzione di verdure bollite e un po' di pasta in bianco; qualcosa di leggero che permettermi di riabituarmi pian piano al sapore, alla masticazione e alla digestione. Nonostante la quantità del cibo portatomi fosse decisamente esigua, feci fatica a ingerire anche quella, anzi ne lasciai persino un po'. Mangiavo lentissimamente, quasi stessi imparando per la prima volta a farlo. Però volevo mangiare! Mi ero resa conto che avevo toccato il fondo e dopo il fondo c'era soltanto un'altra cosa: la morte...e io invece avevo ancora il mio sogno da realizzare. I medici erano contenti di questa reazione, ma sapevano che era solo l'inizio e che la strada per la guarigione sarebbe stata lunga.

Un giorno chiesi a mia madre di portarmi uno specchio. Lei rimase interdetta, vidi nei suoi occhi il terrore. La rassicurai: ero pronta per affrontare questo passo anche se, ne ero sicura, sarebbe stato un pugno nello stomaco... e così fu. Appena vidi la mia immagine riflessa scoppiai a piangere. Mia madre mi abbracciò, iniziò a piangere anche lei e rimanemmo strette l'una con l'altra per minuti infiniti, in un pianto liberatorio per entrambe. Da troppo tempo non sentivo...o non volevo sentire la vicinanza di mia madre e fu bello ritrovarla e percepire di nuovo il calore umano.

Rimasi in ospedale per due mesi e lì piano piano imparai a rialimentarmi quasi normalmente. Fu allora che i medici mi prescrissero un vero e proprio piano psicoterapeutico presso questo centro di disturbi alimentari. Come potrai immaginare lo psicologo da cui entrai in cura fu Mamoru. Qui dovetti affrontare alcuni fantasmi del mio passato, alcuni scherzi del mio inconscio e dei dolori mai superati. Oggi posso affermare di essere guarita, il che mi permette di essere serena nel parlare della mia malattia che come avrai capito, anche nel mio caso, era l'anoressia. Tuttavia continuo a venire qui una volta al mese. Non sai quanto faccia bene sfogarsi! E per questo, Usagi, io ti prego dal profondo del cuore; se ti vuoi un minimo di bene, intraprendi questo percorso e scoprirai dentro di te delle risorse e delle energie inimmaginabili che ti permetteranno di cambiare radicalmente la tua vita! Ti prego Usagi, fidati di noi! Lo so che quello che stai provando in questo momento è la sensazione di non essere compresa e di essere sola, ma sappi che non c'è nulla di più sbagliato. Innanzitutto se vuoi avere delle nuove amiche, noi siamo qui a tua disposizione. Ovviamente non ti diciamo che saremo amiche per la pelle da un giorno all'altro, ma perché non provarci e negarti questa possibilità? Quando ti sentirai pronta, potrai chiedere i nostri contatti a Mamoru e noi saremo ben felici di rivederti e passare un pomeriggio assieme, in sala giochi, a fare shopping, a bere un caffé o a fare una chiacchierata. Senza impegno, ma se te la senti ne saremmo davvero onorate, giusto ragazze?-


Si voltò verso le altre ragazze che prontamente annuirono.

Non sapevo se accettare la loro offerta, ma alla fine che cosa avevo da perdere? Nel caso non mi fossero piaciute, avrei sempre potuto dirglielo. Che dire dopo tutto ciò che avevo ascoltato? Sicuramente era stata una giornata pesante e avevo molto su cui riflettere. Mi sentivo stanca, quasi le loro storie mi si fossero caricate sulle spalle e mi era venuto anche mal di testa. Tuttavia quel peso paradossalmente aveva allentato quel groppo alla gola che mi attanagliava da tanto tempo.


-Ragazze, io vi ringrazio per tutto, per la sincerità con cui mi avete confidato dei vostri momenti così difficili e per la disponibilità che avete dimostrato pur non conoscendomi. Ora tocca a me, ma ho bisogno prima di smaltire un po' di emozioni. Vi chiedo scusa, ma vorrei andare a casa. Mamoru...direi che mi hai portato delle buone motivazioni per continuare!-


Sorrisi.


-Prima di andarmene...posso abbracciarvi?-

-Ma certo!- risposero in coro.


E così le abbracciai. Le abbracciai una a una. Avevo bisogno anch'io di contatto fisico, di sentirmi voluta bene. Volevo sentire accolto questo mio grande corpo. Vissi degli istanti di strane sensazioni. Percepivo chiaramente che i loro abbracci erano sinceri e speravo che anche loro provassero lo stesso, perchè era così.

Uscii dall'ambulatorio stanca, confusa, ma felice e ottimista.

Cosa che non mi capitava da decisamente tanto tempo.


Scusate l'attesa, ma come detto nel capitolo precedente l'ispirazione é a tratti alterni...E con questo capitolo ho finito i racconti delle inner. Spero di non avervi deluso. Ringrazio sempre chi legge e commenta! Arigato !^^

  
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