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Autore: CinderNella    27/10/2011    1 recensioni
Si guardò intorno, lasciandosi cadere su una poltrona: era finita anche quella. Era strano recitare senza di lui, mancavano le battute stupide che scambiava con Zach e la sua faccia da giullare. Quando iniziava poi a recitare e a fare il duro era ancora più ilare, perché sapendo come in realtà fosse, vederlo serio o... stronzo –perché lo era stato per una serie intera– era strano.
[Candice x Micheal]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Qui c'è un bell'e buono turning point, spero vi piaccia! Buona lettura!


Non ci stava capendo più niente, all'improvviso iniziavano a comparire su internet e sulle Tv notizie e video sulla catastrofe in Giappone, ma non sapeva nemmeno di che tipo: sembravano un terremoto e subito dopo uno tsunami, o viceversa.
Era così apocalittico che non voleva nemmeno crederci, sembravano immagini fasulle!
Con quella sensazione di choc misto a incredulità raggiunse il suo letto, gettandocisi senza poche cerimonie.

Il sogno che aveva fatto le aveva messo un senso di ansia esagerato, s'era svegliata con il battito del cuore a mille e la fronte bagnata dal sudore: mandò un messaggio a Michael, ma non rispondeva; probabilmente stava dormendo.
Era tornata a casa per il week-end, aveva portato pochissime cose con sé, doveva tornare entro domenica ad Atlanta: svegliarsi così non avrebbe giovato alla sua giornata.
Scese le scale fino ad arrivare in cucina, dove si sarebbe aspettata un'atmosfera completamente diversa da quella che s'era ritrovata davanti: l'ultima volta che aveva visto i suoi genitori e sua sorella maggiore tutti insieme attorno al tavolo della cucina con un'espressione così grave era stato alla caduta delle Torri Gemelle.
Allora cosa diavolo era cambiato dalla sera prima, quando erano tutti tranquilli e rilassati?
«Ma'? Pa'? Cosa succede?» chiese lei, grattandosi la testa ed iniziando a prepararsi una parca colazione, finché la sua attenzione non fu catturata da una serie di catastrofiche immagini naturali.
Quella era una grande città occidentale scossa da un terremoto disumano, e la cosa peggiore era che c'era acqua ovunque, cittadine sommerse da quantità enormi di acqua.
«Papà? Mamma?»
La sorella intervenne al loro posto: «Circa due ore fa c'è stata una scossa di poco meno che nove Richter, in Giappone. Ha scatenato un'onda anomala che ha sommerso intere città della costa nord-orientale... era alta dieci metri.»
Soffermò lo sguardo su quelle immagini terrorizzanti, e si accorse che era proprio Tokyo la città che in quel momento stavano riprendendo: «Non si è fermato lo tsunami, vero?»
«Perché dovrebbe? C'è chi dice che a breve, massimo cinque ore, arriverà anche sulle coste della California, passando per le Hawaii.» rispose la sorella, preoccupata.
California? No!
«California? Come? Perché?»
«Perché non arriva ad un certo punto e si arresta, la natura non funziona così.» rispose quella, la cui attenzione era fossilizzata sulla televisione.
California... Michael!
«Scusatemi un attimo.» raggiunse in poche falcate la sua camera, iniziando a tartassare l'amico di messaggi, mail e chiamate, ma non rispondeva.
Si stava preoccupando tantissimo, non stava considerando nemmeno l'ipotesi che  l'amico potesse semplicemente non rispondere perché impegnato a fare altro.
Continuò così all'impazzata finché non le venne in mente di cercare il primo volo per Los Angeles, non le importava quanto costasse, Michael sarebbe dovuto stare lì.
Scese di casa, senza aver mangiato ma essendosi lavata e cambiata: «Cosa vorresti fare?»
«Ho prenotato un volo per le dieci, devo andare in California.»
Tutti sapevano chi ci fosse lì, e nessuno azzardò ipotesi che riguardassero entrambi i ragazzi, nell'accezione più romantica della loro “coppia”: coppia di amici, null'altro di più.
Ma non poteva rimanersene lì con le mani in mano senza sapere dove stesse Michael, cosa stesse facendo, se stesse bene, in che parte di Los Angeles si trovava... al solo pensiero si sentiva male.
Nemmeno il padre osò dirle qualcosa, fermarla con le sue preoccupazioni riguardo quello che poteva arrivare in California: sapevano che sarebbero stati lievemente scossi. Non così danneggiati come nel paese del Sol Levante per antonomasia. Non restò loro che raccomandarsi di stare attenta e ad augurarle un buon viaggio.

Non aveva chiuso occhio, aveva pensato le cose peggiori, con tutta l'ansia generata da quel deficiente dell'amico che non rispondeva al telefono si era anche dimenticata di regolare l'orologio: fortunatamente, dopo aver chiesto ad una ragazza all'aeroporto si rese conto del fatto che dalla partenza a quel momento era passata solo un'ora e mezza. Al ritorno sarebbe stata quasi cinque ore in “ritardo”.
Riuscì a prendere un taxi solo dopo averlo aspettato dieci minuti, e non poté non osservare tutte le persone accalcate attorno ai maxi-schermi per avere le ultime notizie su ciò che accadeva al di là dell'oceano Pacifico, per sapere cosa si dovessero aspettare.
Entrata in auto con il suo zainetto che custodiva poco più di quello che generalmente portava in borsa, prese l'I-Phone per controllare le chiamate e vedere quale fosse l'indirizzo di Michael: lo riferì al conducente e si lasciò cadere sulla spalliera dei sedili posteriori.
Sperava per il meglio. E quel deficiente ancora non aveva richiamato, né nulla.
Nemmeno un cenno di vita.

Arrivata davanti la casa –non poteva sapere se fosse quella giusta, non l'aveva mai vista nemmeno in foto, quella facciata– si armò di tutta la pazienza e il coraggio che mai aveva posseduto per andare a suonare il campanello.
Era sicuramente fuori-luogo, tutta quella preoccupazione non l'aveva fatta ragionare e ora si trovava dall'altra parte degli States senza un posto dove alloggiare, senza un reale motivo se non quello dettato dalla sua ansia per lo stato dell'amico, che doveva essere sicuramente ottimo data la tranquillità che quella zona poteva suscitare: bussò alla porta ed attese, evitando di mangiarsi le unghie per non rendere la situazione maggiormente infantile.
«Ehm, salve!» salutò la tozza donna dalla carnagione più scura di quella del figlio e i capelli bruni. Chissà se la conosceva. Chissà se Michael le aveva mai mostrato una sua foto.
«Ma tu non sei l'amica di Michael?...»
«Ehm, sì, sono Candice.» doveva smetterla di fare quegli “ehm” che non dimostravano altro se non insicurezza «Io... avevo sentito la notizia dello tsunami, sapevo che sarebbe arrivato a breve, e Michael non mi rispondeva...»
Ora era arrivata anche ad essere patetica. Perfetto.
«Entra in casa, tesoro. Lui ha portato Bentley a passeggio, tornerà a breve... O preferisci aspettarlo fuori?» chiese la donna, vedendo che la ragazza non muoveva un passo per entrare in casa.
In che situazione assurdamente illogica si era andata ad infilare.
Quella che presupponeva fosse la madre dell'amico la fece accomodare in salotto, e rimase lì, sola, per un po', finché la donna non andò a farle compagnia: le tolse di mano il cappotto e le sue cose, lasciandola con una tazza di tè ed un ulteriore ansia dovuta alla sua posizione.
In casa di un'estranea, per colpa di un amico.
Doveva ricordarsi di ammazzarlo, non appena l'avrebbe visto.

«Ma', sono a casa!»
Non appena udì la sua voce, pacata e normale, si tranquillizzò: era la solita, non era cambiato nulla e lui non stava male, né era ferito o scomparso.
C'erano stati lievi danni per lo tsunami anche in alcuni stati della costa occidentale, anche in California, ma lui stava bene.
«Oh, Michael...! Sei tornato!»
Il ragazzo, sguinzagliando il cane, strabuzzò gli occhi: era successo qualcosa? Perché la madre lo aveva chiamato “Michael”, non lo stava prendendo in giro come al suo solito ed in casa c'era una sorta di atmosfera tesa?
Bentley corse immediatamente in salotto, iniziando ad abbaiare contro il divano: «Ehi, Bent! È solo la mam...» s'interruppe anche lui, rimanendo impalato sulla porta. Bentley abbaiava solo in presenza degli estranei, e sul divano di casa sua si trovava qualcuno che per il cane lo era.
Candice lo fissava con un'espressione che era un misto tra ansia alleviata, contentezza ed il suo solito sorriso genuino, ma anche un po' malandrino.
Il cane continuava ad abbaiarle contro, sebbene lei cercasse di calmarlo accarezzandogli il muso: «Vengo in pace!...»
«Lo porto a mangiare, sennò continuerà ad abbaiare come un cane rabbioso.» non appena la signora si mosse, Bentley lasciò perdere la biondina: doveva aver capito molto bene che seguendola ne avrebbe tratto solo benefici.
La signora si girò un'ultima volta per puntare il dito contro il figlio: «Con la porta aperta.»
Candice trattenne una risata, mentre Michael alzava gli occhi al cielo e chiudeva la porta a vetri appena attraversata dalla madre «Sì, certo, mamma...». Con molta lentezza, si voltò verso il divano: non sapeva né perché né come lì si trovasse l'amica, ma a dirla tutta, non riusciva neanche a credere che fosse reale la sua presenza.
«Procione, mi hai stupito. Come mai sei qui?»
Prima o poi sarebbe scoppiata. Ora che era certa che tutta l'ansia e la preoccupazione erano state inutili, che era sollevata dalla sua presenza viva e vegeta davanti a lei... non si sentiva meglio. Le girava la testa, ed era stanca. Un senso di spossatezza dovuto sia allo stato di tensione psicologica che fisica la pervase completamente, e riuscì soltanto a lasciarsi cadere sulla morbida spalliera imbottita del divano sul quale era seduta.
Michael la raggiunse e le si sedette accanto, sfiorandole un braccio e facendola sobbalzare con quello stesso contatto: «Candice? Tutto a posto?»
Da dove doveva iniziare a dare spiegazioni? Non parlava, era muta, non sapeva cosa dire, perché c'erano troppe cose insensate da riferirgli, che gli avrebbero trasmesso tutto e niente.
«Se continui a non rispondere mi preoccupo sul serio.» la osservò con il suo sguardo concentrato, prendendole una mano e stringendogliela «Cosa c'è che non va?»
«Io...» voleva solo piangere. Voleva davvero soltanto piangere.
Si gettò ad abbracciarlo, tirandogli pugni sulla schiena, piangendo e ridendo contemporaneamente: «È solo colpa tua! Se mi avessi risposto non sarei venuta fin qui!»
«Ehi... Ahio! Ferma, non tirarmi i pugni!» quelle mani sembravano leggere e delicate, ma picchiavano forte se volevano: e forse lei aveva appena dimenticato quale fosse la sottile linea che c'era tra lo scherzo ed il dolore.
Candice s'arrestò, rimanendo a singhiozzare nascosta dietro al suo collo. «Posso sapere perché stai così? Perché dici che è stata colpa mia? Di cosa, poi?» Michael non stava davvero capendo nulla, poteva solo abbracciarla e farla sfogare com'era capitato poche altre volte, ma sapeva che avrebbe funzionato.
«Se ti fossi fatto sentire, se mi avessi mandato un messaggio dicendomi che stavi bene non mi sarei preoccupata! Tutte quelle notizie catastrofiche, lo tsunami che si sarebbe abbattuto anche qui, tu che non mi rispondevi... Non potevo che correre fin qui per vedere se stessi bene! È stato stupido, perché tu stavi dormendo, era certo che tu lo stessi facendo, ma avevo paura, mi ero svegliata con quell'atroce senso di perdita, di terrore, e temevo ti fosse accaduto qualcosa, non riuscivo a razionalizzare nulla, ed è solo colpa tua se ora sono...» venne interrotta dalla risata di Michael, che oramai si era staccato dal suo abbraccio per riderle sonoramente in faccia: «Cosa c'è?!»
«Ma ti sei vista in faccia?! Sei qui, sul divano di casa mia, un cane ti ha abbaiato contro per mezz'ora, e tutto è normalissimo, non c'è stata alcuna catastrofe ambientale, nucleare o di altro tipo qui! Stiamo tutti bene! Quella che sta peggio sei tu!»
Candice gli tirò uno schiaffo sul braccio, avvicinando le gambe al petto e stringendosele con le braccia: «Sei uno stronzo, ridi anche di me!»
Il ragazzo non riusciva a smettere di ridere, più cercava di fermarsi, più non ci riusciva: «Scusami, davvero! È che sembra tutto così... assurdo!»
«Non sei l'unico a sentirti così. E questo non è nemmeno tè al bergamotto!» esclamò lei a bassa voce, per poi continuare «E ho bussato a casa di tua madre, sono stata con lei dieci interminabili minuti in salotto, non sapendo che dire o che fare! Ha accolto una perfetta sconosciuta amica del figlio in casa solo per colpa tua! Sei uno stronzo!» gli schiaffeggiò un'altra volta il braccio, che l'amico iniziò a massaggiarsi: «Ahio! Ma sei decisa a farmi male? E comunque ti conosce...»
«Sì, infatti non c'è nemmeno stato bisogno di presentarci.»
«Davvero?»
«Sì, perché ero così preoccupata per te che ho anche perso la buona educazione!» fece lei, raggiungendo un acuto nel controbattere a voce troppo bassa: Michael riprese a ridere, terminando dopo poco.
«Scusa. Anche se so che non dovrei chiederti scusa perché non ho fatto nulla di male, scusa! Ora ti va di fare una passeggiata?»
Candice si posò sulla sua spalla, stanca: «Sinceramente? No. Sono stanchissima, vorrei solo accasciarmi sul divano e non rialzarmi per almeno due ore...»
«Procione nell'animo!»
«Ehi, lupo, tu sei stato fuori col tuo simile finora, non ti sembra basti stare all'aria aperta?!»
«L'aria aperta non fa mai troppo male!»
«...Disse il lupo. Ed ululò.» continuò lei, pronta ad alzare un sopracciglio mentre lo guardava di sbieco: si meritò una cuscinata così forte da far rimbalzare il morbido oggetto a terra.
«Ehi!»
«Zitta» ribatté lui, alzando gli occhi al cielo e gettandosi a farle il solletico, mentre lei gli tirava il cuscino ripetutamente in testa.
«Trevino ti odio, sai quanto mi fa ridere il solletico e—
Qualcuno tossì di proposito: nella medesima posizione non propriamente consona nella quale si trovavano si voltarono a guardarlo.
«Papà! Sei tornato a casa?»
«Direi di sì... visita dal dentista, ho lasciato prima il lavoro.» l'uomo continuò ad osservarli sbalordito, e Michael ritornò al suo posto: «Ah, okay. Comunque lei è Candice.»
La ragazza, rossa dalle risate e dall'imbarazzo, si alzò per andare a stringergli la mano: «Piacere di conoscerla, signor Trevino!»
«Questo è decisamente più normale. Ci vediamo dopo, ragazzi!» l'uomo li salutò, raggiungendo la moglie in cucina.
«Ed io non ti dovrei ammazzare?» ritornò dal ragazzo con un luccichio malefico negli occhi e il cuscino incriminato in mano come arma.
«Pietà, abbi pietà di me!» rispose lui con le braccia davanti al volto, prima di essere sommerso dalle cuscinate della ragazza.

Avevano sostanzialmente passato la giornata a non fare nulla. Candice si era tranquillizzata, l'aveva portata “a spasso col cane”, così come lui stesso aveva definito la passeggiata, e l'aveva sfidata alla Play Station, facendosi battere clamorosamente.
Quella sera Anna non era andata a trovarli, sebbene fosse già l'ora di cena e sicuramente era molto improbabile che si presentasse a quell'ora.
«Hai sicuramente barato! Nessuno mi batte, sono dieci anni e passa che gioco!»
«Lo chiamavano il lupo dalle zampe umane.» lo incalzò Candice, pavoneggiandosi per la sua vittoria: erano a tavola e mangiavano l'insalata, l'unica cosa effettivamente leggera che si trovasse su quel tavolo.
Michael le tirò un calcio leggero sotto al tavolo, ma il padre lo intercettò: «Da stamattina mi sono ritrovato davanti a comportamenti che non avevi da circa quindici anni, Michael.»
La ragazza ridacchiò, mangiando compiaciuta: «Ci sono alcune persone che crescono molto poco, mentalmente...»
«Sta parlando quella che se ne va in giro a fare “Il mio papà è tanto bravo, salva le vite umane, gnaaaaa gnaaa”!» ribatté lui, facendole la lingua.
«Dio, forse Candice ha ragione.» convenne la madre, strabuzzando gli occhi non appena sentì i versi che faceva il figlio.
«Ehi!»
L'amica rise, arrivando in suo soccorso: «Stavo scherzando, ma forse è vero che non vedendoci dopo tanto tempo abbiamo dato il meglio di noi.»
Michael annuì, sorridendo: «Questo è vero, non facevo il deficiente e ridevo così tanto da parecchio.»
La signora Trevino lanciò un'occhiata maliziosa al marito da sopra la bottiglia di vino: che l'uomo colse subito, e forse non solo lui.
«Perché non andate di là? Così qui sparecchiamo noi...»
«E con la porta aperta!» ribadì la madre, guardando Michael severamente.
«Dio, ora mi sento davvero a dieci anni fa!»
I genitori del ragazzo risero, mentre lui e Candice si allontanavano nel corridoio.
«Ma io non ho manomesso la tua camera!»
«No!» urlò l'amico, ma fu troppo tardi: la ragazza era già corsa sulle scale, evitando la camera degli ospiti, dove la mamma di Michael aveva sistemato le sue robe, ma non quella del ragazzo.

Rimasero lì anche dopo che entrambi si furono cambiati per il letto: l'intera giornata era sembrata una che sicuramente avevano già vissuto in passato, quando erano bambini.
A Candice fu rifilato un pigiamone caldissimo di Michael, che la madre trovò nel suo armadio: era orrendamente grigio, e la ragazza preferì indossare un paio di leggings che aveva trovato nel suo zainetto piuttosto che i pantaloni deformi del ragazzo.
«Ma tu esci di casa così, con questa roba?» la tirò nuovamente, prendendola con due dita, con un'espressione schifata in volto «Ti giuro, mio padre si veste meglio!»
«Tuo papà fa sempre tutto meglio di tutti!» ribatté lui, sorridendo malizioso.
«Non perché sia la sua cocca, ecco.»
«Sì, certo...» fece Michael, con tono di sufficienza e le sopracciglia alzate.
«È vero! E poi guarda!» l'amica scese la zip del maglione che le opprimeva il collo, facendosi ballare l'intera maglia addosso «Se volessi mettermi il deodorante senza togliermela, potrei benissimo! È larghissima!»
Michael rise per l'ennesima volta quel giorno, soffermandosi a guardare la biondina che macchinava con i suoi vestiti e dentro la sua camera con fare curioso: era proprio un procione.
Non aveva altro modo per definirla.
Se ne andava in giro in calze per la sua camera, come un animale in cerca di qualcosa, ma che non sapeva cosa.
«E poi sei un grassone, se porti queste cose assurdamente larghe...»
«Candice?»
«Mh?» rispose la ragazza, mentre metteva mani tra i suoi libri. Si voltò vedendo che Michael s'era alzato dal letto e le veniva incontro: «Sei davvero venuta fin qui perché eri preoccupata per me?»
«Ti pare che mi sarei fatta venire l'ansia apposta per te, per venire qui e coglierti di sorpresa? Ma sei scemo?! Almeno se fosse stato così, avrei evitato di stare male e piangermi—
Era troppo vicino. Non che la minima distanza le desse fastidio o fosse inusuale, si erano abbracciati altre volte, ma c'era qualcosa di diverso, una tensione differente. E le stava stringendo dolcemente un polso, come se volesse bloccarla, ma anche lasciarle lo spazio di separarsi da lui, se ne avesse avuto voglia.
«Candice?» ripeté il suo nome, apparentemente senza un vero motivo: avvicinò l'altra mano ad una spalla della ragazza.
«...Sì?» sentiva la mensola sulla sua schiena, che si infilava non molto piacevolmente tra le sue scapole «Hai davvero delle mensole scomode, fa quasi male starci poggiata, sembra una—
«Shh.» le sussurrò, non interrompendo il contatto visivo con lei. Se non avesse voluto, avrebbe battuto le palpebre. Ma lo stava fissando, sapeva cosa stava per accadere e non si era tirata indietro. «Michael...» mormorò, ma non le diede la possibilità di dire altro, insinuandosi tra le sue labbra con sicurezza, mentre le mani le sfioravano di proposito il viso ed un suo braccio.
Non era un bacio casto, o almeno, non si stava tramutando in quello. Forse lo era stato, all'inizio, ma ora... non riusciva proprio a pensare. Si sentiva solo completamente accaldata, aveva un brivido lungo la schiena e non voleva lasciare la presa intorno al suo collo. Era tutto perfetto così com'era.
Sapeva di non essere più contro la mensola – non ne era però tanto sicura, perché anche se non sentiva il fastidio tra le scapole, probabilmente anche se quella ci fosse stata, non se ne sarebbe accorta– però era andata da qualche parte... ce lo aveva condotto lei sul letto?
Pregò di no.
Ma il sapore delle sue labbra era così buono...
«Candice.» non sembrava volesse fermarsi, tutt'altro. Era completamente non predisposto a fermarsi; ma lo fece comunque.
«Mh?» il battito del suo cuore correva velocissimo, e Michael che la sovrastava in quel modo non faceva che aumentarglielo. Sentiva pulsare il suo stesso cuore.
«Penso che non potremmo... i miei sono di sotto... non—non vorrei fosse così.» il ragazzo si fece cadere pesantemente sul letto, cercando di nascondere al meglio la sua delusione.
«Posso rimanere, stesa qui con te?»
Lui sorrise, sinceramente: «Sì, rimani qui con me.» coprì entrambi con una coperta pesante ed abbracciò l'amica. Non ne avrebbe fatto a meno, assolutamente.
If I lay here
If I just lay here
Would you lie with me and just forget the world?


Duunque come potrete vedere ho scritto e ambientato questa storia anche quando c'è stato il disastroso terremoto in giappone, e non volevo trattare la catastrofe ma ciò che ha scatenato in Candice che poverina stava pensando solo a una cosa... questo perché c'è voluto un terremoto per farle capire i suoi sentimenti. Ah, e Candice ha solo un fratello reale, la sorella è stata inventata da me!
  
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