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Autore: CatharticMoment    28/10/2011    1 recensioni
Tom arrivò ad un palmo dal suo naso.
Costringendola ad abbassare lo sguardo per non sostenere i suoi occhi imbestialiti e minacciosi, non sembrava lui quella sera.
- Tu, non osare mai più avvicinarti a lei. Lasciala perdere. Se ha qualche problema lo so prima di te, perciò limitati a farle capire i numeri o quelle cazzate che fai tu, e per il resto pensa alla tua di famiglia ok? -
Lis sentì il suo cuore spezzarsi in mille pezzi, e per altrettanti mille motivi diversi.
Si limitò ad annuire sconvolta e a tirare su col naso.
La prese malamente per un braccio dirigendola verso la sua auto.
- Adesso vattene. – ringhiò carico di disprezzo
Lei non oppose resistenza e non spiccicò parola mentre Tom la trascinava via.
Era troppo impegnata a controllare il suo dolore e la sua rabbia.
- Non ti voglio più vedere da queste parti. Non ti voglio vedere più – disse fissandola negli occhi.
Lis non si era mai sentita così schifata e disprezzata da qualcuno.
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa, Un po' tutti
Note: Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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QUINTO CAPITOLO
 





La vita non è quella che si è vissuta,
ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.

Gabriel Garcìa Marquez.







- Non puoi capire cosa mi è successo ieri!- esclamò Tom a Georg, all’improvviso durante la solita cena al Phantomrider con tutti gli altri.
- Cosa? - chiese l’amico masticando e ridendo.
- Te la ricordi quella ragazza dell’altro giorno? Quella davanti alla scuola? - chiese Tom con lo sguardo da pazzo infervorato mentre parlava.
Georg si soffermò un attimo a pensare fissando il vuoto.
Poi sgranò gli occhi ritornando con lo sguardo al suo amico, e raccontò il breve episodio anche agli altri.
Poi si voltò verso Tom, sghignazzava talmente tanto che i suoi occhi erano diventati delle piccole fessurine luminose.
- Non lo voglio sapere.. - disse il rosso portandosi una mano a coprirsi gli occhi.
- Da ripetizioni di matematica a Becca - esordì estasiato con un sorriso da ebete.
 
 
 
 
- Allora, ne vogliamo parlare? - chiese
- Di cosa? - deglutì nervosa l’altra
- Di quell’occhiataccia che mi hai mandato ieri sera- precisò mostrandosi più curiosa che alterata.
Becca si bloccò, e Lis insieme a lei, mentre nel corridoio un fiume di persone camminavano ancora tramortite dal sonno e dal freddo.
- Non posso dirtelo.. Non l’ho detto a nessuno. - ammise abbassando gli occhi Becca.
- Ho detto una bugia a tuo padre per te - sottolineò Lis inarcando un sopracciglio .
- Non posso – perseverò la più piccola mordendosi un labbro.
- Riguarda il tuo brutto voto in matematica, vero? -
- Si -
- Allora a me devi dirlo. Altrimenti non posso aiutarti come vorrei – ribatté secca.
Lis non demorse difronte lo sguardo impenetrabile dell’altra.
- Guarda che non è una cosa grave prendere un brutto voto, e non è neanche una tragedia dire qualche piccola bugia.. Però tu mi hai chiamata perché ti serve una mano, e io te la posso dare, ma se c’è qualcosa sotto, vorrei saperlo -
L’altra si torturò un l’interno della sua guancia incerta sul da farsi.
Aveva paura e non si fidava di nessuno.
Dal canto suo, a Lis si strinse il cuore a vederla così in difficoltà.
Non appena entrò nel bar la riconobbe subito, si diresse verso di lei senza neanche esitare.
I suoi occhi così scuri e profondi le ricordavano incredibilmente e dolorosamente gli occhi di qualcun altro.
- Io non credo che i tuoi sappiano che il tuo voto basso sia un bel quattro..- la incalzò guardandola torva.
Non voleva farle pressione, ne farsi gli affari suoi, ma lei era fatta così, e poi Becca l’attirava come un magnete impazzito, non poteva non fare a meno di interessarsi e preoccuparsi per lei.
Il carattere così timido ma acuto, e introverso della ragazzina era un qualcosa che lei aveva già vissuto, un ricordo tormentato e doloroso che qualcuno gli aveva strappato via.
- Il fatto è-è che se lo vengono a sapere, davvero si infurieranno a morte - iniziò col dire l’altra in tono turbato.
- I segreti in due si sopportano meglio - le donò il sorriso più dolce che Becca avesse mai ricevuto.
- Ho raccontato una grande bugia a tutti.. E credo di aver infranto anche un paio di leggi della scuola- ammise con un velo di pianto negli occhi.
- Occhei- disse Lis inspirando a fondo, di certo non era quello che si era aspettata di sentirsi dire, però la piccola si stava confidando con lei, e questo era l’importante.
 
 
 
 
 
 
 
 
- Buongiorno mio caro Wilhelm - pronunciò sobriamente Melanie, non appena Bill entrò nello studio.
- Buongiorno a te! Come ti senti oggi? - chiese di rimando posando la giacca.
- Divinamente - allargò le braccia con aria beata.
Bill tremò leggermente di paura, vedendo il suo boss con un aria così serena e pacata, e il ragazzo inevitabilmente si chiese se era per effetto della sua colazione a base di tranquillanti o solo la quiete prima della tempesta.
- Oh beh, si vede! - le disse in tono confidenziale ammiccandole con l’occhio.
- Sai, il mio completo bianco di Gucci ieri ha fatto faville.. Mi hai dato un consiglio davvero prezioso. Senza di te starei ancora accasciata per terra a strozzarmi con le mie stesse lacrime - disse scoppiando a ridere istericamente
- Ma ti pare - arrossì umilmente il ragazzo.
- No io ti devo proprio ringraziare. Sei stata la persona giusta, al momento giusto, e per quanto riguarda quella cosina… Non avere fretta, voglio gustarmi per bene il sapore della vendetta -
Bill sorrise tirato, si sentiva l’essere più malvagio e ambizioso della terra, ma in fondo non stava facendo niente di male.
O almeno questo era quello che si ripeteva per convincersi.
- Ho una gran bella notizia per te - la bionda si aprì in un sorriso smagliante.
- Un mio caro amico mi ha dato due inviti per la mostra di Patricia Lou alla fine del mese, al museo di Berlino -
A Bill venne a mancare il respiro.
Gli si prosciugò il sangue nelle vene non appena sentì quel nome.
Un leggero affanno si impossessò del suo cuore, non poté credere alle sue orecchie.
- Pa-patricia Lou dici? – chiese con voce tremante.
- Certo caro.. E’ l’artista più chic e in voga del momento. Uno dei due ci deve andare, ma io non posso, quindi ci andrai te a rappresentarmi. E poi vorrei che facessi anche una piccola recensione personale dei quadri. Che so, scrivi, o registrala con uno di quegli affari di voi studenti.. Quello che vuoi tu! E’ il solo compito che ti chiedo -
- Perché devo farlo? - chiese sempre più sconcertato il moro.
- Per tre motivi ben precisi - iniziò a parlare con un tono leggermente infastidito dall’incertezza del giovane - il primo, perché è un evento molto importante al quale siamo stati invitati e ci faremo un bel po’ di pubblicità, cosa che in questo momento ci serve. Il secondo è perché sarai pagato per farlo. Ed il terzo, è perché Patricia è incredibilmente brava, e questa esposizione le serve solo ad accaparrarsi una galleria dove vendere la sua collezione -
La donna si interruppe solo per inforcare i suoi occhiali di Bulgari con miriadi di diamanti incastonati sulle stecche, e bruciare in seduta stante Bill con i suoi occhi di ghiaccio.
- Vorrei che quella galleria fosse la mia.  Strappale un appuntamento.. Poi al resto ci penso io - concluse stringendosi nelle spalle.
Bill sentì il rancore e l’odio infrangersi contro le pareti del suo stomaco come onde di lava incandescente.
Non voleva andare a quella dannata esposizione.
E soprattutto non voleva avere niente a che fare con quella donna.
 
 
 
 
 
 
Tom guardò perplesso la sua agenda di appuntamenti, e sbuffò pensieroso.
Aveva un miliardo di cose da fare, ed era quasi l’ora di pranzo.
Aveva trascorso la mattinata a sistemare gli accordi, a trovare e selezionare per ogni singolo allievo gli spartiti delle canzoni o delle melodie accuratamente scelti per loro.
Ne aveva dodici.
Con sua stessa sorpresa, era molto affezionato ai suoi ragazzi.
Era così appassionato e dedito a quello che faceva, e questo Gordon lo aveva notato fin da subito, ecco perché ci aveva tenuto così tanto a farlo lavorare nella scuola.
Mentre ripassava l’orario delle lezioni che avrebbe avuto nel pomeriggio il suo cellulare squillò:
- SI..? - rispose con tono distratto mentre cercava un foglio che gli era sparito da sotto il naso.
- Tom - Bill dall’altro capo del telefono pronunciò il suo nome come una richiesta d’aiuto.
Il ragazzo percepì immediatamente un tono di disperazione nella voce del fratello, che lo fece subito scattare sull’attenti.
- Bill.. Che succede? - chiese guardando il vuoto di fronte a se.
- Io-io.. Ti devo parlare Tom, è una cosa importante - disse con voce incerta il moro.
- Se è per quel favore che mi hai chiest- -
- No.. Non si tratta di quello - Bill dopo aver interrotto il fratello prese un lungo respiro e poi riprese a parlare - è una storia lunga.. - disse con tono evasivo.
- Cioè? - chiese innervosito allargando le braccia.
- Vediamoci a pranzo - gli propose frettolosamente Bill
- Non posso muovermi, ho la giornata piena.. Prendi qualcosa da mangiare e vieni qua no? - rilanciò Tom
- Papà c’è? - chiese intimorito senza rispondergli.
Tom sentì la pazienza abbandonare il suo corpo e il suo cervello, e svanire in un secondo netto, chiudendo pesantemente le palpebre.
Odiava quando suo fratello si comportava come il protagonista di un film di spionaggio internazionale.
- No, papà non c’è a pranzo - esalò rassegnato.
- Esce ancora con quella? - azzardò sorpreso dimenticandosi già del discorso precedente.
- Non lo so.. E’ già uscito! - mentì Tom coprendo la tresca innocente di suo padre.
- Va bene.. Allora tra un’oretta al massimo sto da te - e Bill chiuse la comunicazione.
Posò il cellulare sul ripiano lucido della sua fantastica scrivania, l’aveva scelta da solo con Georg, quando suo padre gli offrì il lavoro appena diplomato.
Ma il pezzo forte era la sua adorata scrivania, montatura in acciaio spesso e solido, larga quasi tre metri, in perenne disordine.
Una lastra di vetro infrangibile che gli faceva da ripiano.
Il telefono, la foto della sua famiglia, una scorta ben rifornita dei suoi plettri preferiti.
C’era il suo tocco di stile che dava un tono all’intera stanza.
Incastrate nel sottovuoto, tra il vetro e la montatura, c’erano una serie infinita di foto sovrapposte, intere, ritagliate, ritoccate, che decoravano il tutto.
Foto dei suoi amici, di lui, di Bill, di Gordon, recenti, vecchie, di feste, di vacanze, concerti, tutto.
C’era tutta la sua vita sotto quel vetro. E così si sentiva a casa.
Si sentiva bene dietro a quel tavolo, lo faceva sentire importante, impegnato e orgoglioso, che gli dava un tono.
Tom si stava realizzando, stava cercando una sua posizione nella vita, uno scopo, un lavoro che gli piacesse, e voleva farlo con le persone più importanti della sua vita.
Si sentiva sicuro, e padrone del suo destino mentre guardava quella distesa di occhi che gli sorridevano.
 
 
 
 

- Ho fatto una cosa orribile e non ne vado per niente fiera.. Mi vergogno a morte, e se solo penso a come ho preso in giro i miei mi sento ancora peggio - disse Becca con un filo di pianto negli occhi, lisciandosi nervosamente con la mano la sua frangia para.
Lis guardò l’orologio e fissò la ragazza che aveva di fronte.
-Abbiamo cinque minuti-
- Hofalsificatoilmiopagellino - disse tutto d’un fiato Becca.
- Come? - chiese credendo di non aver sentito bene .
- Ho falsificato il pagellino- ammise più lentamente la mora.
La prima domanda che venne in mente alla maggiore non appena sentì il fatto, era come fosse riuscita a farlo, in che modo.
Le sarebbe davvero piaciuto saperlo, ma poi fece appello al suo buon senso e decise che, per il momento non voleva approfondire la questione sul come, e chiese semplicemente il perché.
- Non lo so.. Ho avuto paura- si strinse nelle spalle
- Paura? - chiese sempre più allibita.
- Si cioè, non che mio padre sia uno che badi a queste cose.. Ma quando ho visto quel quattro scritto la, io-io sono entrata nel panico e l’ho fatto.. -
- D’accordo - sospirò compassionevole verso Becca - Adesso è meglio che andiamo in classe o facciamo tardi -
Mentre Lis saliva le scale per andarsene in classe ripensò a tutto quello che le aveva detto Becca, a quanto fosse assurda la storia che le aveva appena raccontato.
Ma c’era qualcosa nei suoi occhi e nel suo atteggiamento, che la spingevano a crederci.
- Lis! - si sentì chiamare.
- Nora.. Entriamo? - chiese alla mia migliore amica.
- Non mi va - si lamentò svogliatamente, mentre si aggrappava alla sua spalla.
- Neanche a me- sbuffò guardandola complice.
Un’idea ballerina si affacciò nelle loro menti simultaneamente.
Ma neanche il tempo di girare i tacchi che il professore le sorpassò frettolosamente salutandole.
Si guardarono rassegnate, oltrepassando la soglia della loro aula.
- Che palle…- bofonchiò trascinandosi fino al banco.
- Dai su.. Prendendo appunti il tempo passerà più velocemente -
- Sei sempre la solita secchiona - la ammonì Nora sedendosi.
- Non è vero! Cerco solo di ottimizzare i tempi.. In classe ci dobbiamo stare per forza, tanto vale seguire no? - cercò di giustificarsi gonfiando le guance l’altra.
- Secchiona - sentenziò l’altra guardandola torva, e poi scoppiare a ridere.

 
  
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