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Autore: Iria    28/10/2011    4 recensioni
"L'odio deve rendere produttivi. Altrimenti è più intelligente amare." -Pro domo et mundo, Karl Kraus.
Dieci one-shot, per mostrare un amore maturato nel tempo.
L'altra faccia della medaglia di "Ten little things that make me love (hate) you ♥".
[Kei x Yurij]
#1- Pride; #2- Coldness; #3- Silence; #4- Winter; #5- Darkness; #6- Christmas; #7- Sunrise; #8- Gloom; #9- Scars; #10- Promises.
Aspetto le vostre opinioni, spero che questo lavoro possa piacervi! ^^
Un bacio!
Iria.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kei Hiwatari, Yuri
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ten little things that make me hate (love) you

#4- Winter [1415 parole]

L’inverno era il periodo dell’anno che Yurij forse più odiava; e ciò poteva risultare assai inaspettato, soprattutto considerando le origini slave del ragazzo.
Insomma, il freddo e la neve avrebbero dovuto quantomeno infondere al suo animo ed ai suoi ricordi un’agrodolce nostalgia.
Tra l’altro -fottuto scherzo del destino- persino nel suo beyblade, un tempo, era insito il potere del ghiaccio -ma, bhé, a sua discolpa poteva solo dire di non aver mai partecipato ad un torneo se non per cause di forza maggiore.
Eppure, nonostante ciò, il giovane Ivanov fissava con rancore i candidi fiocchi, desiderando solo che la smettessero d’imbrattare di bianco la sua esistenza.
Pregando che la finissero di perseguitarlo.
Supplicando che rinunciassero a soffocarlo.
Chiudeva tutte le tende alle finestre e, lasciando l’appartamento in una grigia penombra, aspettava semplicemente che la nevicata si dissolvesse e che quel candore si tramutasse in fango sporco.
Respirava il gelo, consentendo all’inverno di depositarsi con cura sulla sua anima e socchiudeva gli occhi.
Intorpidito, non aveva neanche più la forza di muoversi o di accendere il riscaldamento; di star sdraiato o seduto.
Rimanendo lì in piedi ed indifeso si limitava, quindi, a lottare contro le tempestose schegge di ghiaccio dell’inverno in ciò che assumeva sempre più le vaghe, ma spaventose sembianze d’un incubo senza fine.
C’era solo una mano bianca ed avvizzita in quella tormenta che, tendendosi verso di lui nell’angosciante caos, pareva volergli donare un aiuto e porgergli una promessa simile a gelido cristallo.
Lui, accettando in preda alla disperazione, gridava.
L’inverno lo stava divorando.
Il sangue deturpava la neve.

Kei non sapeva spiegarsi il perché, ma appena vi era la nevicata che preannunciava l’arrivo della fredda stagione il compagno, senza alcun apparente motivo, perdeva i sensi.
Negli anni aveva già notato che le uniche occasioni in cui Yurij sembrava avere seriamente bisogno del suo aiuto fossero solo quelle in cui il cielo si tingeva per la prima volta di bianco.
Infine, per il resto dell’inverno, il russo si limitava a rinchiudersi in un persistente e cocciuto malumore che metteva a dura prova i saldi nervi di Kei…
Quel giorno erano entrambi in casa, nella sala da pranzo, quando dei timidi fiocchi di neve iniziarono a macchiare l’asfalto delle strade.
Hiwatari vide subito Ivanov venir meno davanti ai propri occhi e, prima che il giovane battesse la testa, riuscì a passargli una mano intorno alla vita, attutendogli la caduta.
Sentiva il respiro del giovane regolare, certo, e sapeva che non vi era nulla di cui preoccuparsi, eppure
Yurij aveva tirato tutte le tende e la casa era nella penombra; già, in qualche modo pareva che Ivanov avesse tristemente desiderato ripararsi dalla neve.
Oh, Kei non riusciva proprio a comprendere quella situazione e ciò non faceva altro che frustrare ed irritare ancor più il giapponese il quale, rassegnato, con un sospiro dovette solo limitarsi a sedersi sul pavimento e, poggiando il capo di Yurij sulle proprie cosce, a chinare lo sguardo per fissare il volto corrucciato e dormiente del compagno.
“Che diavolo c’è in quella tua testa..?”

Quando Yurij si svegliò, doveva essersi fatto molto tardi.
Lo scoppiettio del camino rideva nelle sue orecchie ed avvertiva che la punta del proprio naso -con molte probabilità- si fosse completamente arrossata.
L’odore della legna ardente gli stuzzicava le narici, così come quello più dolce di qualcosa che vi veniva cotto sopra.
Aprì piano gli occhi, per evitare di restare accecato dalla luce del fuoco.
“Finalmente ti sei svegliato…”
Era sdraiato sul tappeto della sala da pranzo, avvolto in una coperta patchwork.
In quel momento, la sonnolenza ed il dolce tepore che l’avevano accolto parvero ritirarsi d’un tratto e Yurij, che aveva provato a sedersi, dovette necessariamente stendersi di nuovo a causa di un capogiro e del freddo che lo fece rabbrividire.
Appena disorientato per quel brusco cambiamento, il giovane si portò una mano alle tempie scuotendo la testa, quasi a voler scacciare un pensiero malevolo; poi, con fare inquisitorio rivolse lo sguardo a Kei come se pretendesse delle spiegazioni.
E subito.
Ma zittì di colpo la domanda che stava per affiorargli alle labbra, quando vide Hiwatari togliere via dal camino una fetta di pane imburrato fattasi dorata e porgergliela con l’accenno di un sorriso.
“Sei svenuto… ed io non ho potuto fare niente per evitarlo.”
Ivanov, provando ancora a sedersi e riuscendovi, prese ciò che Kei gli tendeva addentandolo affamato.
Nella voce del compagno aveva chiaramente distinto una nota di ostile rammarico e si incupì per questo.
Lui, Yurij, ormai poteva vantare di conoscere abbastanza approfonditamente Hiwatari, tanto da riuscire a distinguere e ad individuare la preoccupazione nella sua voce.
Sapeva di essere la causa di quel turbamento e si sentiva anche piuttosto incazzato con se stesso per tale motivo…
In silenzio, quindi, si era spostato al fianco di Kei che, piombato ovviamente nel proprio mutismo ed osservando il fuoco, di primo impatto non si accorse che la coperta lo avesse teneramente avvolto.
Quando, poi, avvertì il peso della testa di Yurij sulla spalla, si riscosse dai suoi pensieri.
“Puoi dirmi cosa ti prende ogni volta..?” La richiesta parve più rivolta alle fiamme che al giovane accanto a sé.
Distaccato com’era, sarebbe stato quasi comico se non offensivo provare anche solo a pensare che, in quel momento, Kei fosse sinceramente in pensiero.
“Mi fai la stessa domanda tutti gli inverni.”
Yurij si rigirò tra le mani il pane che non aveva ancora finito, anche lui discutendo pacatamente col fuoco che, scoppiettando, risultava assolutamente indifferente alle loro attenzioni.
“Bhé, forse è arrivato il momento di una risposta, non trovi?”
Hiwatari decise che stavolta la domanda andava posta al diretto interessato; quindi, piantandola di corteggiare le fiamme, si voltò a fissare Yurij con insistenza, provando ad eclissare in una remota regione del proprio cervello il pensiero che quell’istante fosse –tutto sommato- davvero bello.
Ivanov si limitò a ricambiare lo sguardo dell’amante, in silenzio.
Bhé, lui da anni sapeva a cosa fosse dovuto quell’annuale mancamento; e di certo non era particolarmente disposto a discuterne i motivi.
I medici le definivano tra di loro “fughe magiche”(*)… o svenimenti da trauma, che dir si voglia.
Tutta quella merda, in pratica, avveniva a livello subconscio: il suo cervello durante un dato evento –la prima nevicata- rievocava le memorie che aveva preferito stipare a forza in un cassetto troppo piccolo della mente, portandolo a perdere coscienza di se stesso.
Nulla di incurabile, per carità!
Aveva solo bisogno di qualche seduta da uno strizzacervelli, cosa che però non gli andava particolarmente a genio…
Quindi, ringraziando il buon Cielo -e Vorcov, naturalmente-, preferiva tenersi stretto le proprie stranezze ed i risvegli traumatici in ufficio/in strada/sul tappeto persiano in casa.
Che testardo.
“Penso che non cambierebbe nulla. Tu lasceresti comunque che sia io a decidere cosa fare; e già conosco le mie intenzioni e ciò che metto in ballo… rischierei solo di perdere le tue cure.”
L’ultima affermazione non era tinta di malizia come ci si sarebbe potuto aspettare; anzi, fu pronunciata appena ed anche con un pizzico di malcelato imbarazzo…
Sì, pure Yurij aveva ancora i suoi bei problemi nell’esternare le proprie emozioni, ma almeno ci provava.
Fallendo miseramente, certo.
Kei, da parte sua, non sapeva davvero cosa dire di rimando; allora, si limitò a fingere di non aver sentito quell’ultima frase, esaudendo persino le vane speranze di un Ivanov in preda ad assurdi scongiuri.
Però non si negò di sorridere né, inconsciamente, di stringere un po’ più a sé l’amato.

Yurij Ivanov non poteva fare a meno di odiare l’inverno.
Gli gelava il cuore, il corpo e la mente e, trascinandolo in un vortice di grotteschi incubi ed ammuffiti ricordi, lo piegava in ginocchio.
Molte volte quella sua irragionevole e sfrenata furia era stata causa di violenti litigi, durante i quali il giovane si era ritrovato spesso a sputare contro il compagno tutto l’odio –fasullo, fasullo, fasullo- che covava nei suoi confronti.
Però quella volta, anziché annegare nell’ira si ritrovò avvolto dal profumo di Kei, a nuotare in esso; e si disse che sarebbe stato bello restare aggrappato ad Hiwatari per tutto lo scorrere della stagione...
Oh, forse il Vecchio Signor Gelo stava iniziando ad affezionarsi anche lui.
Già.
Magari, l’anno seguente, non avrebbe più  torturato con glacialità ciò che restava del suo passato a brandelli.
Lo sperava ardentemente…
Quindi, augurandosi solo di poter tornare ad abbracciare Kei in quella stessa ed intima maniera –ossia anima contro anima-, volle solo sussurrare con gratitudine poche e faticose –soprattutto se rivolte a lui..!- parole.
“Spasiba, Ser Zima… (*)

*Owari*

Eccomi qui, finalmente =).
Anzi tutto, le due noticine.
La prima riguarda le “fughe magiche” che, come detto, sono dei mancamenti che colpiscono le persone in una data situazione che ricorda un trauma o in uno stesso momento traumatico.
L’ultima frase, in russo, significa “Grazie, signor Inverno”, o almeno credo… le mie conoscenze di russo sono assai –molto, troppo- limitate. XD
Bhé, che dire?
Questa shot mi è piaciuto scriverla, anche perché ho inserito un elemento “autobiografico”…
Quando ero piccola, andavo spesso da quella che all’epoca consideravo la mia migliore amica; aveva un camino ed ogni volta la mamma ci scaldava il pane sul fuoco col burro, del formaggio o con dei salumi.
Era bello e rilassante, d’inverno, mangiare e chiacchierare davanti al camino o solo osservare il fuoco.
Bei tempi, sul serio…
Bhé, dopo queste  chiacchiere un po’ inutli e forse noiose, vi saluto! =)
Spero di ricevere delle vostre opinioni, sono più gradite e fanno sempre piacere!
Un bacio!
Iria.

   
 
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