Ten
little things that make me hate (love) you ♥
#4- Winter [1415 parole]
L’inverno era il
periodo dell’anno che Yurij forse più odiava; e ciò poteva risultare
assai
inaspettato, soprattutto considerando le origini slave del ragazzo.
Insomma, il freddo e la neve avrebbero dovuto quantomeno infondere al
suo animo
ed ai suoi ricordi un’agrodolce nostalgia.
Tra l’altro -fottuto scherzo del destino-
persino nel suo beyblade, un tempo, era insito il potere del ghiaccio
-ma, bhé,
a sua discolpa poteva solo dire di non aver mai partecipato ad un
torneo se non per cause di forza maggiore.
Eppure, nonostante ciò, il giovane Ivanov fissava con rancore i candidi
fiocchi,
desiderando solo che la smettessero d’imbrattare di bianco la
sua esistenza.
Pregando che la finissero
di perseguitarlo.
Supplicando che rinunciassero
a soffocarlo.
Chiudeva tutte le tende alle finestre e, lasciando l’appartamento in
una grigia
penombra, aspettava semplicemente che la nevicata si dissolvesse e che
quel
candore si tramutasse in fango sporco.
Respirava il gelo, consentendo all’inverno di depositarsi con cura
sulla sua
anima e socchiudeva gli occhi.
Intorpidito, non aveva neanche più la forza di muoversi o di accendere
il
riscaldamento; di star sdraiato o seduto.
Rimanendo lì in piedi ed indifeso si limitava, quindi, a lottare contro
le
tempestose schegge di ghiaccio dell’inverno in ciò che assumeva sempre
più le
vaghe, ma spaventose sembianze d’un incubo senza fine.
C’era solo una mano bianca ed avvizzita in quella tormenta che,
tendendosi verso
di lui nell’angosciante caos, pareva volergli donare un aiuto e
porgergli una
promessa simile a gelido cristallo.
Lui, accettando in preda alla disperazione, gridava.
L’inverno lo stava divorando.
Il sangue deturpava la neve.
Kei non sapeva spiegarsi il perché, ma appena vi era la
nevicata che
preannunciava l’arrivo della fredda stagione il compagno, senza alcun
apparente
motivo, perdeva i sensi.
Negli anni aveva già notato che le uniche occasioni in cui Yurij
sembrava avere
seriamente bisogno del suo aiuto
fossero solo quelle in cui il cielo si tingeva per la prima volta di
bianco.
Infine, per il resto dell’inverno, il russo si limitava a rinchiudersi
in un
persistente e cocciuto malumore che metteva a dura prova i saldi nervi
di Kei…
Quel giorno erano entrambi in casa, nella sala da pranzo, quando dei
timidi
fiocchi di neve iniziarono a macchiare l’asfalto delle strade.
Hiwatari vide subito Ivanov venir meno davanti ai propri occhi e, prima
che il
giovane battesse la testa, riuscì a passargli una mano intorno alla
vita,
attutendogli la caduta.
Sentiva il respiro del giovane regolare, certo, e sapeva che non vi era
nulla
di cui preoccuparsi, eppure…
Yurij aveva tirato tutte le tende e la casa era nella penombra; già, in
qualche
modo pareva che Ivanov avesse tristemente desiderato ripararsi
dalla neve.
Oh, Kei non riusciva proprio a comprendere quella situazione e ciò non
faceva
altro che frustrare ed irritare ancor più il giapponese il quale,
rassegnato, con
un sospiro dovette solo limitarsi a sedersi sul pavimento e, poggiando
il capo
di Yurij sulle proprie cosce, a chinare lo sguardo per fissare il volto
corrucciato e dormiente del compagno.
“Che diavolo c’è in quella tua testa..?”
Quando Yurij si svegliò, doveva essersi fatto molto tardi.
Lo scoppiettio del camino rideva nelle sue orecchie ed avvertiva che la
punta
del proprio naso -con molte probabilità- si fosse completamente
arrossata.
L’odore della legna ardente gli stuzzicava le narici, così come quello
più
dolce di qualcosa che vi veniva cotto sopra.
Aprì piano gli occhi, per evitare di restare accecato dalla luce del
fuoco.
“Finalmente ti sei svegliato…”
Era sdraiato sul tappeto della sala da pranzo, avvolto in una coperta
patchwork.
In quel momento, la sonnolenza ed il dolce tepore che l’avevano accolto
parvero
ritirarsi d’un tratto e Yurij, che aveva provato a sedersi, dovette
necessariamente stendersi di nuovo a causa di un capogiro e del freddo
che lo
fece rabbrividire.
Appena disorientato per quel brusco cambiamento, il giovane si portò
una mano
alle tempie scuotendo la testa, quasi a voler scacciare un pensiero
malevolo;
poi, con fare inquisitorio rivolse lo sguardo a Kei come se pretendesse
delle
spiegazioni.
E subito.
Ma zittì di colpo la domanda che stava per affiorargli alle labbra,
quando vide
Hiwatari togliere via dal camino una fetta di pane imburrato fattasi
dorata e porgergliela
con l’accenno di un sorriso.
“Sei svenuto… ed io non ho potuto fare niente per evitarlo.”
Ivanov, provando ancora a sedersi e riuscendovi, prese ciò che Kei gli
tendeva
addentandolo affamato.
Nella voce del compagno aveva chiaramente distinto una nota di ostile
rammarico
e si incupì per questo.
Lui, Yurij, ormai poteva vantare di conoscere abbastanza
approfonditamente
Hiwatari, tanto da riuscire a distinguere e ad individuare la
preoccupazione
nella sua voce.
Sapeva di essere la causa di quel turbamento e si sentiva anche
piuttosto
incazzato con se stesso per tale motivo…
In silenzio, quindi, si era spostato al fianco di Kei che, piombato
ovviamente
nel proprio mutismo ed osservando il fuoco, di primo impatto non si
accorse che
la coperta lo avesse teneramente avvolto.
Quando, poi, avvertì il peso della testa di Yurij sulla spalla, si
riscosse dai
suoi pensieri.
“Puoi dirmi cosa ti prende ogni volta..?” La richiesta parve più
rivolta alle
fiamme che al giovane accanto a sé.
Distaccato com’era, sarebbe stato quasi comico se non offensivo provare
anche
solo a pensare che, in quel momento, Kei fosse sinceramente
in pensiero.
“Mi fai la stessa domanda tutti gli inverni.”
Yurij si rigirò tra le mani il pane che non aveva ancora finito, anche
lui discutendo
pacatamente col fuoco che, scoppiettando, risultava assolutamente
indifferente alle loro attenzioni.
“Bhé, forse è arrivato il momento di una risposta, non trovi?”
Hiwatari decise che stavolta la domanda andava posta al diretto
interessato;
quindi, piantandola di corteggiare le fiamme, si voltò a fissare Yurij
con
insistenza, provando ad eclissare in una remota regione del proprio
cervello il
pensiero che quell’istante fosse –tutto
sommato- davvero bello.
Ivanov si limitò a ricambiare lo sguardo dell’amante, in silenzio.
Bhé, lui da anni sapeva a cosa fosse dovuto quell’annuale mancamento; e
di
certo non era particolarmente disposto a discuterne i motivi.
I medici le definivano tra di loro “fughe
magiche”(*)… o svenimenti da trauma, che dir si voglia.
Tutta quella merda, in pratica, avveniva a livello subconscio: il suo
cervello durante
un dato evento –la prima nevicata- rievocava le memorie che aveva
preferito
stipare a forza in un cassetto troppo piccolo della mente, portandolo a
perdere
coscienza di se stesso.
Nulla di incurabile, per carità!
Aveva solo bisogno di qualche seduta da uno strizzacervelli, cosa che
però non
gli andava particolarmente a genio…
Quindi, ringraziando il buon Cielo -e
Vorcov, naturalmente-, preferiva tenersi stretto le proprie stranezze
ed i
risvegli traumatici in ufficio/in strada/sul tappeto persiano in casa.
Che testardo.
“Penso che non cambierebbe nulla. Tu lasceresti comunque che
sia io a decidere
cosa fare; e già conosco le mie intenzioni e ciò che metto in ballo… rischierei solo di perdere le tue cure.”
L’ultima affermazione non era tinta di malizia come ci si sarebbe
potuto
aspettare; anzi, fu pronunciata appena ed anche con un pizzico di
malcelato
imbarazzo…
Sì, pure Yurij aveva ancora i suoi bei problemi nell’esternare le
proprie
emozioni, ma almeno ci provava.
Fallendo miseramente, certo.
Kei, da parte sua, non sapeva davvero cosa dire di rimando; allora, si
limitò a
fingere di non aver sentito quell’ultima frase, esaudendo persino le
vane
speranze di un Ivanov in preda ad assurdi scongiuri.
Però non si negò di sorridere né, inconsciamente, di stringere un po’
più a sé
l’amato.
Yurij Ivanov non poteva fare a meno di odiare l’inverno.
Gli gelava il cuore, il corpo e la mente e, trascinandolo in un vortice
di
grotteschi incubi ed ammuffiti ricordi, lo piegava in ginocchio.
Molte volte quella sua irragionevole e sfrenata furia era stata causa
di
violenti litigi, durante i quali il giovane si era ritrovato spesso a
sputare
contro il compagno tutto l’odio –fasullo,
fasullo, fasullo- che covava nei suoi confronti.
Però quella volta, anziché annegare nell’ira si ritrovò avvolto dal
profumo di
Kei, a nuotare in esso; e si disse che sarebbe stato bello restare
aggrappato
ad Hiwatari per tutto lo scorrere della stagione...
Oh, forse il Vecchio Signor Gelo
stava
iniziando ad affezionarsi anche lui.
Già.
Magari, l’anno seguente, non avrebbe più torturato
con glacialità ciò che restava del
suo passato a brandelli.
Lo sperava ardentemente…
Quindi, augurandosi solo di poter tornare ad abbracciare Kei in quella
stessa
ed intima maniera –ossia anima contro anima-, volle solo
sussurrare con gratitudine poche e faticose
–soprattutto se rivolte a lui..!-
parole.
“Spasiba, Ser Zima… (*)”
*Owari*
Eccomi qui,
finalmente =).
Anzi tutto, le
due noticine.
La prima
riguarda le “fughe magiche” che, come detto, sono dei mancamenti che
colpiscono le persone in una data situazione che ricorda un trauma o in
uno
stesso momento traumatico.
L’ultima
frase, in russo, significa “Grazie, signor Inverno”, o almeno credo…
le mie conoscenze di russo sono assai –molto, troppo- limitate. XD
Bhé, che dire?
Questa shot mi
è piaciuto scriverla, anche perché ho inserito un elemento
“autobiografico”…
Quando ero
piccola, andavo spesso da quella che all’epoca consideravo la mia
migliore amica; aveva un camino ed ogni volta la mamma ci scaldava il
pane sul
fuoco col burro, del formaggio o con dei salumi.
Era bello e
rilassante, d’inverno, mangiare e chiacchierare davanti al camino o
solo osservare il fuoco.
Bei tempi, sul
serio…
Bhé, dopo
queste chiacchiere un po’
inutli e forse noiose, vi saluto! =)
Spero di
ricevere delle vostre opinioni,
sono più gradite e fanno sempre piacere!
Un bacio!
Iria.