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Autore: Blackmoody    01/07/2006    6 recensioni
Imprecò di nuovo dentro di sé contro le nuvole che lo sovrastavano, rovesciandogli addosso la loro ira. E lui, a sua volta, covava una rabbia cieca contro di esse. Odiava la pioggia, quelle implacabili stille d’acqua che cadevano senza quasi far rumore. Erano piccole, leggere e letali, come proiettili. E il ragazzo le detestava con forza.
In una Tokyo "senza sole" – e forse senza speranza – s'intrecciano e scontrano quattro vite, quattro storie d'amore, morte e vendetta.
Enjoy the danger.
| incompiuta |
Genere: Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Cho Hakkai, Genjo Sanzo Hoshi, Sha Gojio, Son Goku
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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The LOST

The LOST

Life Of  Sunsheltered Tokyo

 

 

 

 

 

 

O2. Cigarettes & Alcohol

 

 

 

La sveglia suonò con insistenza una, due, tre volte, e Sanzo si rigirò nervoso nel letto dando, nel frattempo, una pesante manata sull’innocente oggetto che faceva il suo dovere sul comodino lì accanto. Ma gli squilli non s’interruppero, e il biondo fu costretto ad alzarsi del tutto per capire, dunque, da dove provenissero: qualcuno stava scampanellando alla porta. La sveglia doveva aver suonato già da un pezzo.

- Arrivo, arrivo – bofonchiò Sanzo avviandosi ad aprire, senza curarsi di avere indosso solo i boxer.

Si ritrovò davanti un paio di occhiali lucenti e un giovane uomo bruno della sua stessa età, vestito con cura, che gli augurò il buongiorno con uno dei suoi soliti smaglianti sorrisi. Il biondo sbuffò.

- Hakkai, ti rendi conto di che ore sono? – lo aggredì.

Il moro rise appena: - Stranamente tardi, considerato che in casi normali ti alzi all’alba –

Sanzo sollevò un sopracciglio sottile: - Non fare sempre del sarcasmo, è irritante. Cosa vuoi? –

- Posso entrare? – e prima ancora che l’altro annuisse avanzò all’interno, recando con sé una ventata di aria calda. Il sole era già piuttosto alto e prometteva un’ennesima giornata di aria torrida. Mentre Hakkai si toglieva la giacca e si accomodava su una sedia della cucina, Sanzo andò a infilarsi un paio di jeans e a lavarsi il viso, rimuginando.

Cho Hakkai era così da quando lo conosceva. Gentile fino all’esasperazione, intelligente, fin troppo acuto, e assieme privo di scrupoli e remore se la situazione lo richiedeva; nessuno lo avrebbe indicato come membro di quella struttura spietata che era la Yakuza, eppure nel giro di pochi anni si era fatto strada tanto quanto lui, benchè in diversa direzione: Cho Hakkai era sfruttato principalmente per le sue doti intellettive e strategiche, non per la sua bravura nello sparare o nel maneggiare una katana o un pugnale.

L’assassino professionista, ormai, era Hoshi Sanzo, lo stesso che fino a nove anni addietro era un quindicenne che faceva la spola tra un boss e l’altro e si nascondeva pure nei cessi per spiare ed origliare.

Quello che uccideva era lui, e non andava poi così fiero. Ma era lavoro, e lo svolgeva senza ribattere.

- Un po’ di caffè? – chiese Hakkai porgendogli una tazza quando Sanzo tornò in cucina.

- Sei in casa mia – gli fece notare questi – Non dovrei offrirtelo io? -

- Già che c’ero… - si giustificò il moro, pacato. Aveva persino acceso la radio, e una sinfonia classica particolarmente famosa riempì la stanza. Sanzo scosse la testa, deciso a lasciar correre, e si sedette al tavolo.

Hakkai sorseggiò il caffè: - Ti chiedo scusa per essere piombato qui senza avvisarti. Ieri sera ho provato a telefonarti, ma non ti ho trovato. E non potevo aspettare il pomeriggio perché dobbiamo muoverci – disse.

Il biondo lo guardò in tralice da sopra l’orlo della tazzina: - Muoverci a o per fare cosa, dannazione? –

- Fujiwara vuole vederci – rispose l’altro – Dobbiamo andare da lui entro l’ora di pranzo -

- Fujiwara? – ripetè Sanzo in tono strozzato. Hakkai annuì senza parlare.

Il nome non era nuovo a nessuno dei due. Hiroki Fujiwara era il capo, il perno del clan, quello che dettava le leggi e gli ordini e che pochi avevano l’ardire di contraddire, come uno shogun dei tempi andati. Gestiva gli intrighi della yakuza dell’intero Kantō e controllava giri immani di denaro, e né Sanzo né Hakkai lo avevano ancora mai incontrato di persona. Il fatto che desiderasse parlare direttamente a dei suoi sottoposti era solitamente segno di sventura o, al contrario, di grandiose opportunità: eppure, i due amici lo avrebbero volentieri evitato.

- Perché vuole vederci? – incalzò il biondo, la fronte aggrottata.

- Non lo so. Rossini mi ha riferito soltanto il messaggio principale, ovvero quello di recarci all’Hotel -

Sanzo sbuffò per la seconda volta: - Rossini… non sopporto la sua boria – ringhiò.

- Silenzio, Sanzo… anche le tazzine nascondono microspie – sorrise Hakkai.

- Se c’erano, le ho bevute assieme al caffè – replicò secco lui, alzandosi – All’Hotel, hai detto? -

Il moro fece un cenno d’assenso: - Direttamente nell’appartamento di Fujiwara – precisò.

- Allora vediamo di sbrigarci – concluse Sanzo, e si avviò verso la propria camera per finire di prepararsi. Hakkai rise in silenzio, stando ben attento a non ricordare al compare che gli aveva detto esattamente la medesima cosa nell’arrivare. L’orgoglio di Sanzo Hoshi non aveva limiti.

L’orgoglioso in questione ricomparve una decina di minuti dopo, abbigliato come si confaceva all’occasione, la giacca nera in una mano e una piccola pistola argentata nell’altra. Hakkai le gettò un’occhiata:

- Non credo sia necessario che porti la tua Smith&Wesson – disse, ragionevole.

Il biondo la fece scomparire in una tasca interna: - Preferisco non esagerare con la fiducia – replicò.

Fece il giro dell’appartamento, spense la radio e chiuse le tapparelle, poi afferrò il mazzo di chiavi poggiato su una mensola dell’ingresso e si mise le scarpe; il moro lo imitò e attese che aprisse la porta.

- Sei venuto in macchina, Hakkai? – s’informò Sanzo, uscendo.

- No, ho preso la metropolitana, non avevo benzina -

La porta si chiuse con un colpo e il biondo inforcò un paio di occhiali da sole: - Prenderemo la mia –

Quindi si avviarono giù per le scale che conducevano al parcheggio del condominio, senza parlare.

 

 

L’Hotel in cui Hiroki Fujiwara aveva stabilito il suo quartier generale era, a tutti gli effetti, un ex albergo, tra i migliori di Tokyo: si trovava nella zona residenziale della parte ovest della città, e vantava un’architettura unica, mescolando stile giapponese e dettagli europei; Fujiwara lo aveva acquistato dopo l’abbandono dei proprietari caduti in rovina – c’era chi sospettava che ne fosse lui il diretto responsabile – e adesso si era trasformato nella sede centrale del clan. Era però molto raro che semplici pedine come Sanzo e Hakkai vi venissero invitate: era considerato un luogo d’élite e pressochè proibito.

Il biondo accostò la macchina al marciapiede con un’unica manovra, e i due scesero quasi di fronte alla grande porta d’ingresso. Alla destra di questa, oltre alla vecchia targa dell’albergo, spiccava un manifesto incorniciato che pareva pubblicizzare un locale: “Moon Indigo – aperto dalle ore 23.00 in poi. Welcome in.”. Una scritta dorata in campo nero, e più in basso il disegno stilizzato di un bicchiere da cocktail circondato da petali scarlatti.

- Ne sapevi qualcosa, tu? – domandò Sanzo ad Hakkai, indicando il manifesto.

Il moro lesse velocemente: - No. Ma credo esista da diverso tempo – rispose enigmatico.

Sanzo scrollò le spalle: - Non è importante. Entriamo e facciamola finita –

Salirono tre gradini e si ritrovarono nella fresca hall dell’albergo, mentre una sentinella si muoveva subito loro incontro. Si accertò che fossero davvero i signori Hoshi Sanzo e Cho Hakkai, poi parlò rapido al cellulare e infine chiese ai due di aspettare cortesemente lì l’arrivo di Akira-san. Quest’ultimo non si fece attendere troppo: comparve in cima alla scalinata che portava al primo piano e li salutò con un sorriso cordiale, stringendo la mano di entrambi quando fu loro vicino. Era un ragazzo di circa vent’anni, magro e dai capelli piuttosto lunghi, ed era il figlio di Fujiwara: - Mio padre vi sta aspettando – disse infatti – Vi prego di seguirmi –

I due giovani obbedirono, e salirono l’ampia scalinata tenendosi prudentemente al fianco del loro imberbe cicerone; camminarono facendo poco rumore attraverso i corridoi silenziosi dell’Hotel e si fermarono finalmente davanti ad una porta di lucido legno scuro. Akira sorrise e spinse giù la maniglia:

- Signori, accomodatevi – li invitò, più simile ad un maggiordomo che all’erede di tutta quella fortuna.

Sanzo e Hakkai, ancora, fecero come era stato loro detto ed entrarono nella stanza mentre il ragazzo richiudeva la porta. E a quel punto lo videro: Hiroki Fujiwara li attendeva in piedi, le mani incrociate dietro la schiena, guardando fuori da una finestra, ma si voltò non appena li sentì entrare. Era molto alto, dalle spalle larghe, e il viso affilato e intelligente lo faceva rassomigliare pericolosamente ad un falco intento nella propria caccia. Si mosse incontro al biondo e al moro, i quali s’inchinarono lievemente: - Fujiwara-san – lo salutò Hakkai; Sanzo invece non parlò. Non era capace, lui, di ostentare una gentilezza che non possedeva.

- Molto bene. Signori, sono contento che siate venuti così presto – esordì l’uomo, sorridendo.

- Abbiamo fatto quanto più in fretta potevamo – confermò il moro ricambiando il sorriso. Sanzo annuì.

Fujiwara fece loro cenno di sedersi sui cuscini che circondavano un basso tavolino dall’aspetto antico, e subito dopo li imitò, ordinando contemporaneamente al figlio di andare a chiamare qualcuno che li servisse con tè e sake. Akira uscì in silenzio, e suo padre riprese a parlare: - Immagino non sappiate il motivo per cui vi ho fatti venire qui. Innanzitutto, ritengo sia doveroso da parte mia accertarmi che siate a conoscenza di ciò che sta accadendo ultimamente – disse, scrutandoli con occhi penetranti.

- So quel poco che mi è concesso sapere – rispose Sanzo, sostenendo lo sguardo – Avete da gestire spostamenti più impegnativi del solito di merce e denaro, e pare che la polizia ci stia stranamente alle costole, stavolta -

Fujiwara sospirò, stizzito: - Esatto, Hoshi. Non ci hanno mai dato troppo fastidio, ed ecco invece che, proprio adesso, cominciano a fare il loro dovere – scoppiò in una breve risata sarcastica – Li trovo ridicoli ma, purtroppo, non posso permettermi di sottovalutarli. Per fortuna so a chi principalmente è dovuto questo repentino cambiamento –

Estrasse da una tasca della giacca una foto scattata con una Polaroid e la tese ad Hakkai:

- Cho, il compito che intendo affidarti è il seguente. Dovrai avvicinarti alla persona in questione e scoprirne piani, conoscenze, punti deboli e punti di forza, cose che dovrai puntualmente riferirmi. Non ti sto ordinando di uccidere nessuno – precisò, cogliendo l’espressione dubbiosa che si era dipinta negli occhi verdi del moro – Quello non sarà compito tuo. Sarai il nostro infiltrato. Del resto, quattro anni fa eri un detective al loro servizio, no? -

La bocca di Hakkai, per un istante, assunse una strana piega, prima di tornare a stendersi in un mezzo sorriso:

- Giusto. La persona su cui devo raccogliere informazioni è l’uomo della foto? – chiese.

- Sì. È il nuovo ispettore capo, si chiama Sha Gojyo -

Il moro si concentrò sull’istantanea. Il soggetto avrà avuto più o meno la loro età, sui venticinque anni, e un’aria talmente poco seria, con una sigaretta in bocca e i capelli lunghi di un incredibile colore scarlatto, da sembrare uno yakuza piuttosto che un poliziotto. Ed era anche, notò Hakkai stupito, molto bello.

Sanzo, che gli sedeva accanto, gettò un’occhiata svogliata alla fotografia e si accese una delle sue Marlboro rosse senza fare commenti; Akira rientrò nella stanza, seguito da un’anziana donna che posò sul tavolino tre tazze di tè fumante e una bottiglia di sakè freddo. Soltanto allora il moro si riscosse:

- Quando dovrò iniziare, Fujiwara-san? – volle sapere.

L’uomo sorseggiò il tè e poi rispose: - Oggi è sabato. Da lunedì andrà benissimo –

Hakkai chinò la testa, sistemando la foto dentro la propria agenda tascabile, e Fujiwara, soddisfatto, si rivolse a Sanzo: - Veniamo a noi, Hoshi. Non mi sono mai complimentato direttamente con te per l’eccellente lavoro che svolgi, e me ne rammarico. Sei il miglior sicario che il clan vanti da diverso tempo, e hai la stessa stoffa di tuo padre. Eravamo amici, sai, io e lui – disse, ma evitò di guardare il biondo negli occhi. Questi rimase in silenzio, e Fujiwara continuò: - Non ti sorprenderai dunque dell’incarico che sto per affidarti. Ci sono una quindicina di persone che hanno preso a collaborare con la legge, che sanno troppo, e sono perciò diventate obsolete. Sai come funziona, ormai. Dovrai ucciderle, tutte e quindici –

- Ovviamente – ribattè Sanzo, asciutto, la sigaretta tra le dita – Chi sono queste persone? -

Il suo interlocutore sorrise e si girò verso il figlio, in piedi accanto alla porta: - La scatola, Akira –

Il ragazzo prese un contenitore rettangolare di materiale nero e lo portò al padre. Fujiwara tolse il coperchio, mostrando ai due ciò che vi era sotto: più di una dozzina di lucenti proiettili dorati adatti ad una S&W.

- In ognuna di queste cartucce – spiegò l’uomo – ho inserito un pezzo di carta con su scritto un nome della lista. Del primo bersaglio ti dirò io l’identità, ma dopo, ogni volta che avrai eliminato una delle quindici persone, dovrai venire da me e prendere la cartuccia successiva. Guarderai il foglio, e poi userai il proiettile assieme agli altri -

Sanzo lo fissò in tralice: - Sta dicendo che non devo sapere in anticipo il nome delle vittime? Perché? –

Fujiwara chiuse la scatola con un colpo secco: - Limitati a fare il tuo lavoro, Hoshi. I ‘perché’ non servono –

Gli tese una cartuccia, informandolo che anche lui avrebbe iniziato da lunedì, e Sanzo fece subito scomparire il piccolo oggetto dorato in una tasca della camicia. Il discorso sembrava concluso.

L’uomo difatti si rilassò, e versò ai due un’abbondante dose di sake: - C’è un favore che dovrei domandarvi. Gradirei che vi trasferiste qui all’Hotel, per il periodo necessario allo svolgimento dei vostri compiti. Ho già fatto preparare due stanze, al piano di sopra, in cui trasferirvi oggi stesso. Potrete andare a casa a prendere quello che vi serve, dopodichè tornerete qui. È un modo come un altro per proteggervi –

Più che un favore era chiaramente un ordine indiscutibile, e i due si ritrovarono loro malgrado ad acconsentire, sebbene non avessero alcuna voglia di stare lì al quartier generale. La soddisfazione di Fujiwara fu tangibile.

Continuarono a bere e a fumare, mentre parlavano di argomenti leggeri, e solo quando giunse il momento di congedarsi Hakkai si sovvenne di una cosa: - Fujiwara-san. Il Moon Indigo… che genere di locale è? –

Fujiwara parve lusingato dalla domanda: - Non ci eravate mai venuti? È il più in voga tra i membri del clan, ormai. Lo feci aprire circa cinque anni fa, dopo aver consacrato l’Hotel a nostra sede principale. Mi chiedi di che genere sia, Cho… stasera fatemi compagnia e lo vedrete. La serata del sabato è la migliore – concluse.

 

 

Il resto della giornata trascorse velocemente, immersa nella calura estiva e nel frinire delle poche cicale che resistevano in città. Sanzo e Hakkai tornarono ai rispettivi appartamenti per raccogliere indumenti, armi, qualche libro e cd, e si recarono nuovamente all’Hotel, dove il solito Akira li aspettava per mostrar loro le stanze. Vennero anche a sapere che nel palazzo alloggiavano molti dei più stretti collaboratori di suo padre, oltre a lui medesimo, e che la maggior parte di “quelli come loro”, le pedine, vi capitavano in occasioni particolari o per passare un paio di serate al Moon Indigo; pure la “servitù” viveva lì.

Le stanze dove Akira li condusse erano in realtà due suites sfacciatamente enormi che, da sole, occupavano quasi metà del secondo piano: avevano il pavimento coperto dal tatami ed erano arredate in stile puramente giapponese, il che acuì l’impressione del moro di trovarsi nel castello di un potente feudatario dell’epoca Edo; le grandi finestre si affacciavano sull’ampio giardino interno dell’Hotel, e su un ben mimetizzato mobile a parete si trovavano alcune comodità moderne quali telefono, televisore a schermo piatto e frigobar; il bagno, meno antiquato, era vasto il doppio di quelli a cui Sanzo e Hakkai erano abituati. Inoltre, le due stanze erano comunicanti.

- Spero che vi troverete bene. Per qualsiasi cosa non esitate a chiamare i domestici – li salutò Akira prima di dileguarsi nel corridoio in penombra. Era estremamente disponibile pur essendo il figlio dello shogun, pensò Hakkai, ma non appariva poi così felice. Indubbiamente, non era capace di essere spietato.

I due presero possesso ciascuno della propria suite. Sanzo si sedette sulla pedana rialzata su cui stava il letto, cominciando a tirar fuori dalla borsa ciò che si era portato dietro. E nel frattempo, rimuginava.

Uccidere, uccidere, ancora uccidere. Uccidere per altre quindici volte come minimo, uccidere e avere conferma del fatto che tale azione non gli faceva né caldo né freddo: quando uccideva, lui era un automa. Sebbene suo padre fosse morto colpito da un proiettile, a lui non provocava repulsione l’usare una pistola. Forse era folle, come quegli assassini dei tempi andati che imparavano a conoscere e a non temere il sapore del sangue di cui si bagnavano le loro lame, ma non gl’importava: l’unico suo interesse era scoprire, un giorno, la verità, trovare colui o coloro che avevano ammazzato suo padre. E sfogava intanto la sua rabbia e il suo dolore sottraendo vite con indifferenza.

- Nobile Hoshi, gradite un goccio di sake? -

La voce pacata di Hakkai lo distolse dai suoi cupi pensieri. Il moro era entrato nella stanza passando per la bassa porta scorrevole che le univa, indossando un bel kimono bianco chiuso da una fascia verde.

- Nobile Cho, piantala con questa pantomima da samurai fallito – borbottò il biondo.

- Come siete scortese, nobile Hoshi – ridacchiò Hakkai – Allora, niente sake? -

Sanzo si alzò e andò alla finestra: - Preferisco una sigaretta –

Aprì il vetro in modo da far filtrare quel poco d’aria che soffiava all’esterno e si appoggiò alla parete, lo sguardo apparentemente perso tra le fronde scure degli alberi del vasto cortile; Hakkai si accomodò su un cuscino lì vicino.

- Ti stai pentendo di aver accettato l’incarico? – saltò su all’improvviso.

Il biondo lo fulminò: - Ma figuriamoci. E poi, avevamo scelta? – replicò.

- Hai ragione – convenne il moro con un sospiro – Nella nostra posizione è impossibile -

- Dimmi – proseguì Sanzo, fissando di nuovo il vuoto – Ti fidi di Fujiwara, tu? -

Hakkai sorrise senza allegria: - Per principio, non mi fido granchè di nessuno – rispose.

L’altro non ribattè, pur trovandosi d’accordo con ciò che il compagno aveva appena detto. In quel momento, la sua attenzione fu catturata dai riflessi delle carpe rosse e dorate che nuotavano nel laghetto del giardino e, inspiegabilmente, gli tornarono alla mente un paio d’occhi ambrati che gli erano rimasti nascosti tra le pieghe della memoria. Chissà perché, poi. Non aveva più visto il ragazzino, da quando l’aveva lasciato a Makoto-san quel giorno di nove anni prima, e non ci aveva nemmeno più pensato. Si chiese per quale motivo se ne fosse ricordato proprio adesso. “Come se me ne importasse qualcosa…” si costrinse a bofonchiare.

- Sanzo – lo chiamò Hakkai – Andremo allora a questo Moon Indigo, stasera? -

Il biondo si riscosse: - Ripeto, abbiamo scelta? Non ne ho assolutamente voglia, ma fa lo stesso –

- Bene, alle undici passo a bussarti – disse il moro, deciso, e con un cenno di saluto se ne tornò nella sua stanza, lasciando Sanzo da solo con le sue odiate elucubrazioni mentali che si perdevano nel fumo della Marlboro.

 

 

Hakkai fu estremamente puntuale – e non c’era da stupirsene. Alle undici precise si presentò alla porta, e i due amici si recarono con andatura indolente al piano terra dell’Hotel: il palazzo era molto più affollato di quel che avevano visto quella mattina, con un viavai di uomini più o meno giovani e di inservienti che si affrettavano lungo i corridoi e le scale recando vassoi e messaggi. La maggior parte della folla si concentrava sul lato destro della hall, dove, come Sanzo e il moro notarono subito, si trovava l’ingresso al tanto decantato locale, indicato da una scritta argentea e da due buttafuori che controllavano che gli avventori non recassero armi con sé. Quando giunse il loro turno, Hakkai riferì il nome suo e quello del biondo, e i due cerberi li fecero subito passare chinando addirittura la testa in segno di rispetto: - Fujiwara-san vi attende al tavolo dieci – disse il primo.

Il Moon Indigo era, in effetti, un locale notturno di tutto rispetto. Anch’esso in uno stile che s’ispirava alla tradizione, era decorato da drappi scarlatti, scritte, ventagli e antiche armi affissi alle pareti, illuminato da luci soffuse sistemate in maniera strategica e disposto su due livelli: nella zona rialzata, una specie di largo palco d’onore, stavano i tavoli, alcuni divani e i privés separati da tende sottili; la zona più bassa era occupata dal banco-bar, dall’angolo riservato ai musicisti, da altri divanetti e grandi cuscini, e al centro da quella che aveva tutta l’aria di essere una pista da ballo. C’era già molta gente, un brusio diffuso, e tra i tavolini si aggiravano una mezza dozzina di avvenenti camerieri, ragazze e ragazzi. Gli avventori erano principalmente di sesso maschile, e le uniche donne presenti erano chiaramente le mogli di taluni di essi. Sanzo sbuffò piano.

- Ah, eccovi, signori! Avanti, accomodatevi al nostro tavolo! – li interpellò a gran voce Hiroki Fujiwara.

Non era solo: con lui sedeva un uomo di poco più giovane, castano e occhialuto, di bell’aspetto ma dall’espressione sprezzante. Era Rossini, “l’italiano”, il braccio destro di Fujiwara. Salutò il biondo e Hakkai con un cenno del capo mentre questi prendevano posto accanto a loro e l’altro ordinava da bere per tutti e quattro.

- Che ve ne pare, dunque? – volle sapere Fujiwara, riferendosi al locale.

- Ci piace molto, ne conveniamo – rispose il moro per entrambi, sebbene Sanzo non avesse espresso alcun parere in proposito e se ne stesse in silenzio con lo sguardo corrucciato – È un interno di grande gusto -

L’uomo sorrise sornione: - Me ne compiaccio. E non avete ancora visto il pezzo forte – disse.

Rossini scoppiò in una risata: - E ne rimarrete positivamente colpiti, credo – aggiunse.

In quell’istante partì la musica. Il complesso ospite della serata attaccò un noto brano swing, nella penombra, e da due porte laterali al banco-bar che né Sanzo né Hakkai avevano notato prima uscirono diverse giovani donne inguainate in abitini che poco lasciavano all’immaginazione e che riprendevano la moda degli anni ’40: difatti, le ragazze iniziarono a ballare a ritmo della musica swingata del complesso, esibendosi in una specie di tip-tap più sensuale del normale. Erano tutte molto graziose, e dagli uomini seduti ai tavoli e sui divani si alzò un lungo applauso accompagnato da fischi di approvazione. Anche Fujiwara e Rossini batterono le mani compiaciuti.

- Devo dire che lo spettacolo è apprezzabile – commentò Hakkai sorridendo, ma il biondo capì subito che, come lui, il compagno non era rimasto poi così “positivamente colpito”.

Fujiwara lo squadrò ammiccando: - Abbiamo le signorine migliori del clan a nostra disposizione – spiegò, sebbene nessuno glielo avesse chiesto – Tutto merito di Rossini, che si occupa da anni della… faccenda –

L’italiano agitò una mano: - E certo voi non disprezzate la cosa – disse soddisfatto.

Sanzo evitò di intromettersi nella conversazione, concentrandosi sul bicchiere di gin tonic da cui stava bevendo. Trovava assolutamente squallida l’ossessione della stragrande maggioranza degli uomini per il sesso e per le belle donne che si offrivano loro senza problemi, e non si era mai entusiasmato di fronte ad occasioni simili, per quante gli se ne fossero presentate. Se non altro, la musica era trascinante e gradevole.

- Ma non ci sono solo le signorine, sapete? – proseguì Rossini – Molti, qui dentro, preferiscono… -

Un secondo applauso si levò dagli avventori: alle ragazze si erano ora uniti cinque ragazzi in pantaloni neri e camicia bianca, che si misero a ballare con movimenti sciolti e accattivanti al pari di quelli delle altre. Il pubblico esultò, mentre Sanzo e Hakkai si scambiavano un’occhiata perplessa.

- … loro. Cinque mocciosi dannatamente attraenti – terminò l’uomo – Siete sorpresi? Gran parte dei nostri li preferiscono alle donne. La ritenete una cosa da biasimare? -

Il moro fece un cenno di diniego: - Non vedo perché dovremmo – rispose affabile – Vero, Sanzo? –

Il biondo, però, non li stava ascoltando. Si tirò su in piedi di scatto, rischiando di rovesciare il bicchiere di gin tonic, e mosse un passo verso la pista, dove il balletto continuava. Guardò bene, e sussultò appena.

Rispetto a nove anni prima era cambiato in modo impressionante, eppure Sanzo ne era sicuro: il giovane al centro del gruppo, che si muoveva con inconsapevole languore, aveva un viso bello e dolce, ed era slanciato e ben fatto, sulla ventina, ma i corti capelli color castagna e i grandi occhi d’ambra erano inconfondibili.

Quel ragazzo era Son Goku.

 

 

 

٭ Second Chapter Ends ٭

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice:

orbene, siori e siore, sono riuscita a scrivere in tempi accettabili il secondo capitolo XP.

Se vi state già scandalizzando per ruolo che ho affibbiato a Goku non vi preoccupate, please, ha tutto un suo perché… e poi non posso farci nulla, l’influenza (anche minima) del sacrosanto Moulin Rouge! non mi abbandona mai! Comunque in questo caso l’idea m’è venuta ascoltando un paio di canzoni, più avanti vedrete quali… Sorry, sorry.

Ho presentato alcuni personaggi fondamentali: ovviamente Hakkai, poi Fujiwara, Rossini (l’italiano famoso – non prendetevela, non vuole essere cattiva pubblicità, è realismo ^^’’) e Akira, che sarà piuttosto importante; Gojyo stavolta fa “l’uomo della legge” (molto per dire ¬_¬), sì, per cambiare le carte in tavola. Presto farà il suo ingresso in scena!

Spero vi sia piaciuto pure questo capitolo… ho cercato di puntare particolarmente sulle atmosfere *me influenzata dai troppi film che vede* e mi auguro siano riuscite bene. E la storia… è entrata nel vivo *-*"

Aspettate la prossima puntata, e cominceranno anche maggiori interazioni tra Sanzo e Goku… (oooops!)

Grazie a tutte le bimbe che hanno commentato finora, continuate a seguirmi nell’impresa ^_-

Piiiiiiiccole (e inutili) curiosità: ho scritto il capitolo sulle note di alcune Ouvertures d’opera di Rossini – il compositore, non ci confondiamo XD – e della Sinfonia n.8 in sol maggiore di Dvořak; ora mi sto allegramente sparando in cuffia una sequela di brani jazz stupendosi… come espediente per rilassarsi son fantastici =ç=

La canzone del titolo, Cigarettes and alcohol, è degli Oasis.

Ci sentiamo alla prossima! yours BlackMoody~

 

 

 

 

 

 

  
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