The LOST
Life Of Sunsheltered Tokyo
O2. Cigarettes
& Alcohol
La sveglia suonò con insistenza una, due, tre volte, e Sanzo si rigirò nervoso nel letto dando, nel frattempo, una pesante manata sull’innocente oggetto che faceva il suo dovere sul comodino lì accanto. Ma gli squilli non s’interruppero, e il biondo fu costretto ad alzarsi del tutto per capire, dunque, da dove provenissero: qualcuno stava scampanellando alla porta. La sveglia doveva aver suonato già da un pezzo.
- Arrivo, arrivo – bofonchiò Sanzo avviandosi
ad aprire, senza curarsi di avere indosso solo i boxer.
Si ritrovò davanti un paio di occhiali lucenti
e un giovane uomo bruno della sua stessa età, vestito con cura, che gli augurò
il buongiorno con uno dei suoi soliti smaglianti sorrisi. Il biondo sbuffò.
- Hakkai, ti rendi conto di che ore sono? – lo
aggredì.
Il moro rise appena: - Stranamente tardi,
considerato che in casi normali ti alzi all’alba –
Sanzo sollevò un sopracciglio sottile: - Non
fare sempre del sarcasmo, è irritante. Cosa vuoi? –
- Posso entrare? – e prima ancora che l’altro
annuisse avanzò all’interno, recando con sé una ventata di aria calda. Il sole
era già piuttosto alto e prometteva un’ennesima giornata di aria torrida.
Mentre Hakkai si toglieva la giacca e si accomodava su una sedia della cucina,
Sanzo andò a infilarsi un paio di jeans e a lavarsi il viso, rimuginando.
Cho Hakkai era così da quando lo conosceva.
Gentile fino all’esasperazione, intelligente, fin troppo acuto, e assieme privo
di scrupoli e remore se la situazione lo richiedeva; nessuno lo avrebbe
indicato come membro di quella struttura spietata che era la Yakuza, eppure nel
giro di pochi anni si era fatto strada tanto quanto lui, benchè in diversa
direzione: Cho Hakkai era sfruttato principalmente per le sue doti intellettive
e strategiche, non per la sua bravura nello sparare o nel maneggiare una katana
o un pugnale.
L’assassino professionista, ormai, era Hoshi
Sanzo, lo stesso che fino a nove anni addietro era un quindicenne che faceva la
spola tra un boss e l’altro e si nascondeva pure nei cessi per spiare ed
origliare.
Quello che uccideva era lui, e non andava poi
così fiero. Ma era lavoro, e lo svolgeva senza ribattere.
- Un po’ di caffè? – chiese Hakkai porgendogli
una tazza quando Sanzo tornò in cucina.
- Sei in casa mia – gli fece notare questi –
Non dovrei offrirtelo io? -
- Già che c’ero… - si giustificò il moro,
pacato. Aveva persino acceso la radio, e una sinfonia classica particolarmente
famosa riempì la stanza. Sanzo scosse la testa, deciso a lasciar correre, e si
sedette al tavolo.
Hakkai sorseggiò il caffè: - Ti chiedo scusa
per essere piombato qui senza avvisarti. Ieri sera ho provato a telefonarti, ma
non ti ho trovato. E non potevo aspettare il pomeriggio perché dobbiamo
muoverci – disse.
Il biondo lo guardò in tralice da sopra l’orlo
della tazzina: - Muoverci a o per fare cosa, dannazione? –
- Fujiwara vuole vederci – rispose l’altro –
Dobbiamo andare da lui entro l’ora di pranzo -
- Fujiwara? – ripetè Sanzo in tono strozzato.
Hakkai annuì senza parlare.
Il nome non era nuovo a nessuno dei due.
Hiroki Fujiwara era il capo, il perno del clan, quello che dettava le
leggi e gli ordini e che pochi avevano l’ardire di contraddire, come uno shogun
dei tempi andati. Gestiva gli intrighi della yakuza dell’intero Kantō e
controllava giri immani di denaro, e né Sanzo né Hakkai lo avevano ancora mai
incontrato di persona. Il fatto che desiderasse parlare direttamente a dei suoi
sottoposti era solitamente segno di sventura o, al contrario, di grandiose
opportunità: eppure, i due amici lo avrebbero volentieri evitato.
- Perché vuole vederci? – incalzò il biondo,
la fronte aggrottata.
- Non lo so. Rossini mi ha riferito soltanto
il messaggio principale, ovvero quello di recarci all’Hotel -
Sanzo sbuffò per la seconda volta: - Rossini…
non sopporto la sua boria – ringhiò.
- Silenzio, Sanzo… anche le tazzine nascondono
microspie – sorrise Hakkai.
- Se c’erano, le ho bevute assieme al caffè –
replicò secco lui, alzandosi – All’Hotel, hai detto? -
Il moro fece un cenno d’assenso: -
Direttamente nell’appartamento di Fujiwara – precisò.
- Allora vediamo di sbrigarci – concluse
Sanzo, e si avviò verso la propria camera per finire di prepararsi. Hakkai rise
in silenzio, stando ben attento a non ricordare al compare che gli aveva detto
esattamente la medesima cosa nell’arrivare. L’orgoglio di Sanzo Hoshi non aveva
limiti.
L’orgoglioso in questione ricomparve una
decina di minuti dopo, abbigliato come si confaceva all’occasione, la giacca
nera in una mano e una piccola pistola argentata nell’altra. Hakkai le gettò
un’occhiata:
- Non credo sia necessario che porti la tua
Smith&Wesson – disse, ragionevole.
Il biondo la fece scomparire in una tasca
interna: - Preferisco non esagerare con la fiducia – replicò.
Fece il giro dell’appartamento, spense la
radio e chiuse le tapparelle, poi afferrò il mazzo di chiavi poggiato su una
mensola dell’ingresso e si mise le scarpe; il moro lo imitò e attese che
aprisse la porta.
- Sei venuto in macchina, Hakkai? – s’informò
Sanzo, uscendo.
- No, ho preso la metropolitana, non avevo
benzina -
La porta si chiuse con un colpo e il biondo
inforcò un paio di occhiali da sole: - Prenderemo la mia –
Quindi si avviarono giù per le scale che
conducevano al parcheggio del condominio, senza parlare.
L’Hotel in cui Hiroki Fujiwara aveva stabilito
il suo quartier generale era, a tutti gli effetti, un ex albergo, tra i
migliori di Tokyo: si trovava nella zona residenziale della parte ovest della
città, e vantava un’architettura unica, mescolando stile giapponese e dettagli
europei; Fujiwara lo aveva acquistato dopo l’abbandono dei proprietari caduti
in rovina – c’era chi sospettava che ne fosse lui il diretto responsabile – e
adesso si era trasformato nella sede centrale del clan. Era però molto raro che
semplici pedine come Sanzo e Hakkai vi venissero invitate: era considerato un
luogo d’élite e pressochè proibito.
Il biondo accostò la macchina al marciapiede
con un’unica manovra, e i due scesero quasi di fronte alla grande porta
d’ingresso. Alla destra di questa, oltre alla vecchia targa dell’albergo,
spiccava un manifesto incorniciato che pareva pubblicizzare un locale: “Moon
Indigo – aperto dalle ore 23.00 in poi. Welcome in.”. Una scritta dorata in
campo nero, e più in basso il disegno stilizzato di un bicchiere da cocktail
circondato da petali scarlatti.
- Ne sapevi qualcosa, tu? – domandò Sanzo ad
Hakkai, indicando il manifesto.
Il moro lesse velocemente: - No. Ma credo
esista da diverso tempo – rispose enigmatico.
Sanzo scrollò le spalle: - Non è importante.
Entriamo e facciamola finita –
Salirono tre gradini e si ritrovarono nella
fresca hall dell’albergo, mentre una sentinella si muoveva subito loro
incontro. Si accertò che fossero davvero i signori Hoshi Sanzo e Cho Hakkai,
poi parlò rapido al cellulare e infine chiese ai due di aspettare cortesemente
lì l’arrivo di Akira-san. Quest’ultimo non si fece attendere troppo: comparve
in cima alla scalinata che portava al primo piano e li salutò con un sorriso
cordiale, stringendo la mano di entrambi quando fu loro vicino. Era un ragazzo
di circa vent’anni, magro e dai capelli piuttosto lunghi, ed era il figlio di
Fujiwara: - Mio padre vi sta aspettando – disse infatti – Vi prego di seguirmi
–
I due giovani obbedirono, e salirono l’ampia
scalinata tenendosi prudentemente al fianco del loro imberbe cicerone;
camminarono facendo poco rumore attraverso i corridoi silenziosi dell’Hotel e
si fermarono finalmente davanti ad una porta di lucido legno scuro. Akira
sorrise e spinse giù la maniglia:
- Signori, accomodatevi – li invitò, più
simile ad un maggiordomo che all’erede di tutta quella fortuna.
Sanzo e Hakkai, ancora, fecero come era stato
loro detto ed entrarono nella stanza mentre il ragazzo richiudeva la porta. E a
quel punto lo videro: Hiroki Fujiwara li attendeva in piedi, le mani incrociate
dietro la schiena, guardando fuori da una finestra, ma si voltò non appena li
sentì entrare. Era molto alto, dalle spalle larghe, e il viso affilato e
intelligente lo faceva rassomigliare pericolosamente ad un falco intento nella
propria caccia. Si mosse incontro al biondo e al moro, i quali s’inchinarono
lievemente: - Fujiwara-san – lo salutò Hakkai; Sanzo invece non parlò. Non era
capace, lui, di ostentare una gentilezza che non possedeva.
- Molto bene. Signori, sono contento che siate
venuti così presto – esordì l’uomo, sorridendo.
- Abbiamo fatto quanto più in fretta potevamo
– confermò il moro ricambiando il sorriso. Sanzo annuì.
Fujiwara fece loro cenno di sedersi sui
cuscini che circondavano un basso tavolino dall’aspetto antico, e subito dopo
li imitò, ordinando contemporaneamente al figlio di andare a chiamare qualcuno
che li servisse con tè e sake. Akira uscì in silenzio, e suo padre riprese a
parlare: - Immagino non sappiate il motivo per cui vi ho fatti venire qui. Innanzitutto,
ritengo sia doveroso da parte mia accertarmi che siate a conoscenza di ciò che
sta accadendo ultimamente – disse, scrutandoli con occhi penetranti.
- So quel poco che mi è concesso sapere –
rispose Sanzo, sostenendo lo sguardo – Avete da gestire spostamenti più
impegnativi del solito di merce e denaro, e pare che la polizia ci stia
stranamente alle costole, stavolta -
Fujiwara sospirò, stizzito: - Esatto, Hoshi.
Non ci hanno mai dato troppo fastidio, ed ecco invece che, proprio adesso,
cominciano a fare il loro dovere – scoppiò in una breve risata sarcastica – Li
trovo ridicoli ma, purtroppo, non posso permettermi di sottovalutarli. Per
fortuna so a chi principalmente è dovuto questo repentino cambiamento –
Estrasse da una tasca della giacca una foto
scattata con una Polaroid e la tese ad Hakkai:
- Cho, il compito che intendo affidarti è il
seguente. Dovrai avvicinarti alla persona in questione e scoprirne piani,
conoscenze, punti deboli e punti di forza, cose che dovrai puntualmente
riferirmi. Non ti sto ordinando di uccidere nessuno – precisò, cogliendo
l’espressione dubbiosa che si era dipinta negli occhi verdi del moro – Quello
non sarà compito tuo. Sarai il nostro infiltrato. Del resto, quattro anni fa
eri un detective al loro servizio, no? -
La bocca di Hakkai, per un istante, assunse
una strana piega, prima di tornare a stendersi in un mezzo sorriso:
- Giusto. La persona su cui devo raccogliere
informazioni è l’uomo della foto? – chiese.
- Sì. È il nuovo ispettore capo, si chiama Sha
Gojyo -
Il moro si concentrò sull’istantanea. Il
soggetto avrà avuto più o meno la loro età, sui venticinque anni, e un’aria
talmente poco seria, con una sigaretta in bocca e i capelli lunghi di un
incredibile colore scarlatto, da sembrare uno yakuza piuttosto che un
poliziotto. Ed era anche, notò Hakkai stupito, molto bello.
Sanzo, che gli sedeva accanto, gettò
un’occhiata svogliata alla fotografia e si accese una delle sue Marlboro rosse
senza fare commenti; Akira rientrò nella stanza, seguito da un’anziana donna
che posò sul tavolino tre tazze di tè fumante e una bottiglia di sakè freddo.
Soltanto allora il moro si riscosse:
- Quando dovrò iniziare, Fujiwara-san? – volle
sapere.
L’uomo sorseggiò il tè e poi rispose: - Oggi è
sabato. Da lunedì andrà benissimo –
Hakkai chinò la testa, sistemando la foto
dentro la propria agenda tascabile, e Fujiwara, soddisfatto, si rivolse a
Sanzo: - Veniamo a noi, Hoshi. Non mi sono mai complimentato direttamente con
te per l’eccellente lavoro che svolgi, e me ne rammarico. Sei il miglior
sicario che il clan vanti da diverso tempo, e hai la stessa stoffa di tuo
padre. Eravamo amici, sai, io e lui – disse, ma evitò di guardare il biondo
negli occhi. Questi rimase in silenzio, e Fujiwara continuò: - Non ti
sorprenderai dunque dell’incarico che sto per affidarti. Ci sono una quindicina
di persone che hanno preso a collaborare con la legge, che sanno troppo, e sono
perciò diventate obsolete. Sai come funziona, ormai. Dovrai ucciderle, tutte e
quindici –
- Ovviamente – ribattè Sanzo, asciutto, la
sigaretta tra le dita – Chi sono queste persone? -
Il suo interlocutore sorrise e si girò verso
il figlio, in piedi accanto alla porta: - La scatola, Akira –
Il ragazzo prese un contenitore rettangolare
di materiale nero e lo portò al padre. Fujiwara tolse il coperchio, mostrando
ai due ciò che vi era sotto: più di una dozzina di lucenti proiettili dorati
adatti ad una S&W.
- In ognuna di queste cartucce – spiegò l’uomo
– ho inserito un pezzo di carta con su scritto un nome della lista. Del primo
bersaglio ti dirò io l’identità, ma dopo, ogni volta che avrai eliminato una
delle quindici persone, dovrai venire da me e prendere la cartuccia successiva.
Guarderai il foglio, e poi userai il proiettile assieme agli altri -
Sanzo lo fissò in tralice: - Sta dicendo che
non devo sapere in anticipo il nome delle vittime? Perché? –
Fujiwara chiuse la scatola con un colpo secco:
- Limitati a fare il tuo lavoro, Hoshi. I ‘perché’ non servono –
Gli tese una cartuccia, informandolo che anche
lui avrebbe iniziato da lunedì, e Sanzo fece subito scomparire il piccolo
oggetto dorato in una tasca della camicia. Il discorso sembrava concluso.
L’uomo difatti si rilassò, e versò ai due
un’abbondante dose di sake: - C’è un favore che dovrei domandarvi. Gradirei che
vi trasferiste qui all’Hotel, per il periodo necessario allo svolgimento dei
vostri compiti. Ho già fatto preparare due stanze, al piano di sopra, in cui
trasferirvi oggi stesso. Potrete andare a casa a prendere quello che vi serve,
dopodichè tornerete qui. È un modo come un altro per proteggervi –
Più che un favore era chiaramente un ordine
indiscutibile, e i due si ritrovarono loro malgrado ad acconsentire, sebbene
non avessero alcuna voglia di stare lì al quartier generale. La soddisfazione
di Fujiwara fu tangibile.
Continuarono a bere e a fumare, mentre
parlavano di argomenti leggeri, e solo quando giunse il momento di congedarsi
Hakkai si sovvenne di una cosa: - Fujiwara-san. Il Moon Indigo… che genere di
locale è? –
Fujiwara parve lusingato dalla domanda: - Non
ci eravate mai venuti? È il più in voga tra i membri del clan, ormai. Lo feci
aprire circa cinque anni fa, dopo aver consacrato l’Hotel a nostra sede
principale. Mi chiedi di che genere sia, Cho… stasera fatemi compagnia e lo
vedrete. La serata del sabato è la migliore – concluse.
Il resto della giornata trascorse velocemente,
immersa nella calura estiva e nel frinire delle poche cicale che resistevano in
città. Sanzo e Hakkai tornarono ai rispettivi appartamenti per raccogliere
indumenti, armi, qualche libro e cd, e si recarono nuovamente all’Hotel, dove
il solito Akira li aspettava per mostrar loro le stanze. Vennero anche a sapere
che nel palazzo alloggiavano molti dei più stretti collaboratori di suo padre,
oltre a lui medesimo, e che la maggior parte di “quelli come loro”, le pedine,
vi capitavano in occasioni particolari o per passare un paio di serate al Moon
Indigo; pure la “servitù” viveva lì.
Le stanze dove Akira li condusse erano in
realtà due suites sfacciatamente enormi che, da sole, occupavano quasi metà del
secondo piano: avevano il pavimento coperto dal tatami ed erano arredate in
stile puramente giapponese, il che acuì l’impressione del moro di trovarsi nel
castello di un potente feudatario dell’epoca Edo; le grandi finestre si affacciavano
sull’ampio giardino interno dell’Hotel, e su un ben mimetizzato mobile a parete
si trovavano alcune comodità moderne quali telefono, televisore a schermo
piatto e frigobar; il bagno, meno antiquato, era vasto il doppio di quelli a
cui Sanzo e Hakkai erano abituati. Inoltre, le due stanze erano comunicanti.
- Spero che vi troverete bene. Per qualsiasi
cosa non esitate a chiamare i domestici – li salutò Akira prima di dileguarsi
nel corridoio in penombra. Era estremamente disponibile pur essendo il figlio
dello shogun, pensò Hakkai, ma non appariva poi così felice.
Indubbiamente, non era capace di essere spietato.
I due presero possesso ciascuno della propria
suite. Sanzo si sedette sulla pedana rialzata su cui stava il letto,
cominciando a tirar fuori dalla borsa ciò che si era portato dietro. E nel
frattempo, rimuginava.
Uccidere, uccidere, ancora uccidere. Uccidere
per altre quindici volte come minimo, uccidere e avere conferma del fatto che
tale azione non gli faceva né caldo né freddo: quando uccideva, lui era un
automa. Sebbene suo padre fosse morto colpito da un proiettile, a lui non
provocava repulsione l’usare una pistola. Forse era folle, come quegli
assassini dei tempi andati che imparavano a conoscere e a non temere il sapore
del sangue di cui si bagnavano le loro lame, ma non gl’importava: l’unico suo
interesse era scoprire, un giorno, la verità, trovare colui o coloro che
avevano ammazzato suo padre. E sfogava intanto la sua rabbia e il suo dolore
sottraendo vite con indifferenza.
- Nobile Hoshi, gradite un goccio di sake? -
La voce pacata di Hakkai lo distolse dai suoi
cupi pensieri. Il moro era entrato nella stanza passando per la bassa porta
scorrevole che le univa, indossando un bel kimono bianco chiuso da una fascia
verde.
- Nobile Cho, piantala con questa pantomima da
samurai fallito – borbottò il biondo.
- Come siete scortese, nobile Hoshi –
ridacchiò Hakkai – Allora, niente sake? -
Sanzo si alzò e andò alla finestra: -
Preferisco una sigaretta –
Aprì il vetro in modo da far filtrare quel
poco d’aria che soffiava all’esterno e si appoggiò alla parete, lo sguardo
apparentemente perso tra le fronde scure degli alberi del vasto cortile; Hakkai
si accomodò su un cuscino lì vicino.
- Ti stai pentendo di aver accettato
l’incarico? – saltò su all’improvviso.
Il biondo lo fulminò: - Ma figuriamoci. E poi,
avevamo scelta? – replicò.
- Hai ragione – convenne il moro con un
sospiro – Nella nostra posizione è impossibile -
- Dimmi – proseguì Sanzo, fissando di nuovo il
vuoto – Ti fidi di Fujiwara, tu? -
Hakkai sorrise senza allegria: - Per
principio, non mi fido granchè di nessuno – rispose.
L’altro non ribattè, pur trovandosi d’accordo
con ciò che il compagno aveva appena detto. In quel momento, la sua attenzione
fu catturata dai riflessi delle carpe rosse e dorate che nuotavano nel laghetto
del giardino e, inspiegabilmente, gli tornarono alla mente un paio d’occhi
ambrati che gli erano rimasti nascosti tra le pieghe della memoria. Chissà
perché, poi. Non aveva più visto il ragazzino, da quando l’aveva lasciato a
Makoto-san quel giorno di nove anni prima, e non ci aveva nemmeno più pensato.
Si chiese per quale motivo se ne fosse ricordato proprio adesso. “Come se me ne
importasse qualcosa…” si costrinse a bofonchiare.
- Sanzo – lo chiamò Hakkai – Andremo allora a
questo Moon Indigo, stasera? -
Il biondo si riscosse: - Ripeto, abbiamo
scelta? Non ne ho assolutamente voglia, ma fa lo stesso –
- Bene, alle undici passo a bussarti – disse
il moro, deciso, e con un cenno di saluto se ne tornò nella sua stanza,
lasciando Sanzo da solo con le sue odiate elucubrazioni mentali che si
perdevano nel fumo della Marlboro.
Hakkai fu estremamente puntuale – e non c’era
da stupirsene. Alle undici precise si presentò alla porta, e i due amici si
recarono con andatura indolente al piano terra dell’Hotel: il palazzo era molto
più affollato di quel che avevano visto quella mattina, con un viavai di uomini
più o meno giovani e di inservienti che si affrettavano lungo i corridoi e le
scale recando vassoi e messaggi. La maggior parte della folla si concentrava
sul lato destro della hall, dove, come Sanzo e il moro notarono subito, si
trovava l’ingresso al tanto decantato locale, indicato da una scritta argentea
e da due buttafuori che controllavano che gli avventori non recassero armi con
sé. Quando giunse il loro turno, Hakkai riferì il nome suo e quello del biondo,
e i due cerberi li fecero subito passare chinando addirittura la testa in segno
di rispetto: - Fujiwara-san vi attende al tavolo dieci – disse il primo.
Il Moon Indigo era, in effetti, un locale
notturno di tutto rispetto. Anch’esso in uno stile che s’ispirava alla
tradizione, era decorato da drappi scarlatti, scritte, ventagli e antiche armi
affissi alle pareti, illuminato da luci soffuse sistemate in maniera strategica
e disposto su due livelli: nella zona rialzata, una specie di largo palco
d’onore, stavano i tavoli, alcuni divani e i privés separati da tende sottili;
la zona più bassa era occupata dal banco-bar, dall’angolo riservato ai
musicisti, da altri divanetti e grandi cuscini, e al centro da quella che aveva
tutta l’aria di essere una pista da ballo. C’era già molta gente, un brusio
diffuso, e tra i tavolini si aggiravano una mezza dozzina di avvenenti
camerieri, ragazze e ragazzi. Gli avventori erano principalmente di sesso
maschile, e le uniche donne presenti erano chiaramente le mogli di taluni di
essi. Sanzo sbuffò piano.
- Ah, eccovi, signori! Avanti, accomodatevi al
nostro tavolo! – li interpellò a gran voce Hiroki Fujiwara.
Non era solo: con lui sedeva un uomo di poco
più giovane, castano e occhialuto, di bell’aspetto ma dall’espressione
sprezzante. Era Rossini, “l’italiano”, il braccio destro di Fujiwara. Salutò il
biondo e Hakkai con un cenno del capo mentre questi prendevano posto accanto a
loro e l’altro ordinava da bere per tutti e quattro.
- Che ve ne pare, dunque? – volle sapere
Fujiwara, riferendosi al locale.
- Ci piace molto, ne conveniamo – rispose il
moro per entrambi, sebbene Sanzo non avesse espresso alcun parere in proposito
e se ne stesse in silenzio con lo sguardo corrucciato – È un interno di grande
gusto -
L’uomo sorrise sornione: - Me ne compiaccio. E
non avete ancora visto il pezzo forte – disse.
Rossini scoppiò in una risata: - E ne
rimarrete positivamente colpiti, credo – aggiunse.
In quell’istante partì la musica. Il complesso
ospite della serata attaccò un noto brano swing, nella penombra, e da due porte
laterali al banco-bar che né Sanzo né Hakkai avevano notato prima uscirono
diverse giovani donne inguainate in abitini che poco lasciavano
all’immaginazione e che riprendevano la moda degli anni ’40: difatti, le
ragazze iniziarono a ballare a ritmo della musica swingata del complesso,
esibendosi in una specie di tip-tap più sensuale del normale. Erano tutte molto
graziose, e dagli uomini seduti ai tavoli e sui divani si alzò un lungo
applauso accompagnato da fischi di approvazione. Anche Fujiwara e Rossini
batterono le mani compiaciuti.
- Devo dire che lo spettacolo è apprezzabile –
commentò Hakkai sorridendo, ma il biondo capì subito che, come lui, il compagno
non era rimasto poi così “positivamente colpito”.
Fujiwara lo squadrò ammiccando: - Abbiamo le
signorine migliori del clan a nostra disposizione – spiegò, sebbene nessuno
glielo avesse chiesto – Tutto merito di Rossini, che si occupa da anni della…
faccenda –
L’italiano agitò una mano: - E certo voi non
disprezzate la cosa – disse soddisfatto.
Sanzo evitò di intromettersi nella
conversazione, concentrandosi sul bicchiere di gin tonic da cui stava bevendo.
Trovava assolutamente squallida l’ossessione della stragrande maggioranza degli
uomini per il sesso e per le belle donne che si offrivano loro senza problemi,
e non si era mai entusiasmato di fronte ad occasioni simili, per quante gli se
ne fossero presentate. Se non altro, la musica era trascinante e gradevole.
- Ma non ci sono solo le signorine, sapete? –
proseguì Rossini – Molti, qui dentro, preferiscono… -
Un secondo applauso si levò dagli avventori:
alle ragazze si erano ora uniti cinque ragazzi in pantaloni neri e camicia
bianca, che si misero a ballare con movimenti sciolti e accattivanti al pari di
quelli delle altre. Il pubblico esultò, mentre Sanzo e Hakkai si scambiavano
un’occhiata perplessa.
- … loro. Cinque mocciosi dannatamente
attraenti – terminò l’uomo – Siete sorpresi? Gran parte dei nostri li
preferiscono alle donne. La ritenete una cosa da biasimare? -
Il moro fece un cenno di diniego: - Non vedo
perché dovremmo – rispose affabile – Vero, Sanzo? –
Il biondo, però, non li stava ascoltando. Si tirò su in piedi di scatto, rischiando di rovesciare il bicchiere di gin tonic, e mosse un passo verso la pista, dove il balletto continuava. Guardò bene, e sussultò appena.
Rispetto a nove anni prima era cambiato in
modo impressionante, eppure Sanzo ne era sicuro: il giovane al centro del
gruppo, che si muoveva con inconsapevole languore, aveva un viso bello e dolce,
ed era slanciato e ben fatto, sulla ventina, ma i corti capelli color castagna
e i grandi occhi d’ambra erano inconfondibili.
Quel ragazzo era Son Goku.
٭ Second Chapter
Ends ٭
Note
dell’autrice:
orbene,
siori e siore, sono riuscita a scrivere in tempi accettabili il secondo
capitolo XP.
Se
vi state già scandalizzando per ruolo che ho affibbiato a Goku non vi
preoccupate, please, ha tutto un suo perché… e poi non posso farci nulla,
l’influenza (anche minima) del sacrosanto Moulin Rouge! non mi abbandona
mai! Comunque in questo caso l’idea m’è venuta ascoltando un paio di canzoni,
più avanti vedrete quali… Sorry, sorry.
Ho
presentato alcuni personaggi fondamentali: ovviamente Hakkai, poi Fujiwara,
Rossini (l’italiano famoso – non prendetevela, non vuole essere cattiva
pubblicità, è realismo ^^’’) e Akira, che sarà piuttosto importante; Gojyo
stavolta fa “l’uomo della legge” (molto per dire ¬_¬), sì, per cambiare le
carte in tavola. Presto farà il suo ingresso in scena!
Spero
vi sia piaciuto pure questo capitolo… ho cercato di puntare particolarmente
sulle atmosfere *me influenzata dai troppi film che vede* e mi auguro siano
riuscite bene. E la storia… è entrata nel vivo *-*"
Aspettate
la prossima puntata, e cominceranno anche maggiori interazioni tra Sanzo e
Goku… (oooops!)
Grazie
a tutte le bimbe che hanno commentato finora, continuate a seguirmi
nell’impresa ^_-
Piiiiiiiccole
(e inutili) curiosità: ho scritto il capitolo sulle note di alcune Ouvertures
d’opera di Rossini – il compositore, non ci confondiamo XD – e della Sinfonia
n.8 in sol maggiore di Dvořak; ora mi sto allegramente sparando in
cuffia una sequela di brani jazz stupendosi… come espediente per rilassarsi son
fantastici =ç=
La
canzone del titolo, Cigarettes and alcohol, è degli Oasis.
Ci
sentiamo alla prossima! yours BlackMoody~
♥