CHORUS:
It's
like one of
those bad dreams,
when you can't
wake up.
I'm
not dead just floating..
Underneath
the ink of my tattoo,
I've
tried to hide my scars from you.
I'm
not scared just changing,
right
beyond the cigarette and the devilish smile,
You're
my crack of sunlight, oh.
~
Dopo appena tre giorni, Tommy stava già molto meglio.
La febbre era scesa drasticamente, e raramente si alzava sopra i 37°; erano ormai più di ventiquattr’ore che non tossiva più così spesso, anzi, succedeva abbastanza raramente, ed era ritornato ad avere un colorito sano e non più bluastro come nei giorni precedenti. Aveva riacquistato già le forze e nonostante fosse ancora un po’ debilitato, avrebbe potuto tranquillamente tornare alle sue solite abitudini.
Ma
Adam si occupava di lui con uno zelo ed un’attenzione persino
eccessivi: gli misurava la temperatura tre volte al giorno, dormiva
poco e nulla per controllare che stesse bene e prendesse le medicine
all’ora giusta, che mangiasse, che non andasse in giro da
solo, che
non fumasse e che non facesse sforzi eccessivi. Inutile dire che gli
impediva di uscire, spaventato da una possibile ricaduta, ed in
più
aveva una fisima particolare per il dover ‘cambiare
l’aria’
nella stanza: ogni sei ore, puntualmente, lo faceva spostare nella
camera degli ospiti perché nella sua doveva aprire la
finestra e
lasciar ventilare la stanza. Persino per farsi la doccia impiegava il
minimo possibile, quasi come se fosse potuto accadere davvero
qualcosa a Tommy nei dieci minuti che non lo teneva d’occhio.
Per
non parlare di quando era Tommy a dover fare la doccia! Doveva
chiedergli il permesso – da quando in qua uno deve chiedere
il
permesso di lavarsi a ventinove anni, bah – ed Adam, seppur
con un
po’ di imbarazzo, aspettava che uscisse, poi lo asciugava, lo
aiutava addirittura a vestirsi ed insisteva anche per asciugargli i
capelli!
Una
noia terribile, insomma.
Eppure – Tommy non lo avrebbe ammesso mai a voce alta – gli piaceva. Amava essere il soggetto di tutte quelle attenzioni, amava il tocco delicato di Adam quando cercava di obbligarlo a prendere quelle disgustose pillole, o a mangiare, amava la sue parole dolci, e amava il fatto che fosse così infinitamente paziente, e calmo, come se vederlo in quella situazione gli avesse fatto raggiungere la pace dei sensi. Ma – perché c’é sempre un ma – un problema c’era. Ed era il confine che Adam non accennava a voler superare, quello dell’amicizia. Neanche un bacio, neanche sulla guancia, e gesti sempre misurati al millimetro, molto spesso imbarazzanti proprio per via di quella barriera che il cantante pareva essersi auto-imposto. E poi le scuse che Tommy ancora aspettava, che da quello che sembrava, non avevano sfiorato la mente di Adam neppure per sbaglio.
Tra loro spesso c’era una tensione così palpabile che Tommy era convinto che avrebbe potuto persino toccarla, mentre appestava l’aria tutta intorno e oscurava tutto. Adam sembrava essere lì solo perché gli voleva bene. Non perché volesse tornare con lui o cazzate simili. Faceva quello che avrebbe fatto Isaac, o Sutan. C’era qualcosa di peggio?
Avrebbero
dovuto parlarne, ma forse per timidezza o mancanza di coraggio, non
lo facevano.
“Vuoi
fare una mossa o hai deciso di aspettare che mi spunti un capello
bianco?”
I pensieri di Tommy furono bruscamente interrotti da
Adam.
“Ma
tu hai già i capelli bianchi, Adam.” Tommy
snocciolò la sua
risposta sempre pronta,
in tono canzonatorio; era impegnativo nascondere i sentimenti, ma
poteva farcela. Doveva mostrarsi forte, fargli vedere che stava bene
anche senza lui accanto. Doveva.
Scacciò
via i pensieri, seppellendoli sotto quella maschera di apparente
tranquillità, e tornò a concentrarsi sulla
scacchiera: si era
distratto ed ora, ovviamente, non aveva idea di che fare. Decise di
muovere un pezzo a caso, l’alfiere. Tanto, la cosa peggiore
che
avrebbe potuto succedergli sarebbe stata perdere, per la decima volta
di fila. Non che gli importasse, si era rassegnato ormai: aveva
sempre avuto problemi a mantenere la concentrazione, e ogni volta,
puntualmente, si distraeva e faceva mosse idiote.
Adam
lo guardò inarcando un sopracciglio, poi spostò
la propria regina a
qualche casella di distanza dal re avversario. “Scacco
matto.”
scandì, guardandolo negli occhi.
Tommy
fece spallucce e sorrise, distogliendo lo sguardo e fingendo
indifferenza anche se un brivido lo aveva scosso tutto a quell'occhiata.
Prese
a raccattare tutti i pezzi sparsi per il tavolo, rimettendoli in
ordine. Adam fece lo stesso, e si scoccarono qualche sguardo di
sottecchi, ogni tanto, a turno.
Dovevano
decisamente parlare, e al più presto.
Tommy
pensò a cosa dire per mettere fine a
quell’orribile silenzio che
parlava del discorso che non avevano mai iniziato eppure restava in
sospeso, e della loro vigliaccheria a starsene zitti e lasciare
scivolare via le ore in quella situazione di merda, incapaci di
lasciarsi e lasciarla perdere e incapaci di risolvere il problema che
continuava a fluttuare sulle loro teste, nuvola scura, tanto
invisibile quanto pesante.
Prese
fiato per dire qualcosa, ma Adam lo anticipò.
“Secondo
me lo fai apposta. Mi fai vincere.”
Tommy
rimase interdetto per qualche istante: tutto si sarebbe aspettato,
tranne che Adam si mettesse a parlare di scacchi. Chi se ne fregava?
Ma
poi, inevitabilmente, quando guardò Adam negli occhi,
sorrise.
Cos’altro
poteva fare, d’altronde? Era Adam.
“O forse sei tu ad essere più bravo di me...”
Quando
si svegliò, Adam lo osservava. Era seduto sul letto, accanto
a lui,
e teneva una mano poggiata sul suo petto. Tommy provò a dire
qualcosa, ma il moro lo zittì, scuotendo la testa. Si
chinò su di
lui e gli baciò le labbra, dolcemente, sfiorandole appena.
“Forse
non l’hai capito, ma ti amo.”
Tommy sorrise, il cuore gli si dibatteva nel petto, e stava sudando, ed era certo di essere arrossito; corpo traditore, come si fa a nascondere al mondo i propri sentimenti se uno sfiorare di labbra ti riduce ad un pazzo lobotomizzato sbavante e felice come una Pasqua?
Allungò
una mano e la posò sulla nuca di Adam, intrecciando le dita
tra i
suoi capelli corvini, morbidi e profumati, che l’odore poteva
sentirlo da lì, e facendolo si sentì come uno che
riprende a
respirare dopo lunghissimi minuti di apnea.
“Anche
io.” Disse in un mormorio e sorrise, ed Adam era salito sul
letto,
a cavalcioni su di lui, così in fretta che era bastato un
battito di
ciglia per trovarselo sopra.
“E mi dispiace tanto di tutto, davvero...” Adam lo disse con un sorriso, sincero, bellissimo, con gli occhi che gli brillavano. Tommy si tirò su, appoggiandosi sui gomiti e avvicinando le labbra alle sue, schiudendole appena. Lo guardò negli occhi, gli sembrò di aver aspettato una vita per riavere quelle labbra sulle sue, e quando Adam lo baciò, non volle più lasciarle andare via, le avrebbe semplicemente baciate per sempre, perché non poteva essere possibile?
Il moro lo strinse a sé, dolcemente ma con decisione, e lui si sentì finalmente bene per davvero. E lo desiderò, tremendamente, improvvisamente, desiderò essere suo e il suo odore dappertutto, e lussuria nei suoi occhi e il piacere in ogni fibra del corpo. E glielo disse, semplicemente, stupendosi di sé stesso, ma lo fece.
“Voglio
fare l’amore con te.”
Lo
sussurrò piano, guardandolo in quegli occhi magnifici, e poi
fu solo
dolcezza, e amore, e passione, in un singolo bacio, e i loro gesti
frettolosi ma intrisi di una certa dolcezza, mentre si spogliavano
l’un l’altro e poi rimasti nudi, la
fisicità e l’incredibile
naturalezza di quando si strinsero l’uno all’altro,
e le loro
erezioni si sfiorarono. Tommy ansimò, sussurrando
più volte il nome
del suo amante, mentre quello faceva scivolare la mano tra i loro
corpi e lo toccava, e le sue dita parevano bollenti e scivolavano
lungo la sua erezione con una sapienza tale che avrebbero potuto
essere quelle di Tommy stesso.
CRASH!
Spalancò
gli occhi di scatto, svegliato da un’assordante rumore di
vetri
rotti.
Porca
puttana.
Era
nel letto, la camera era illuminata perfettamente, doveva essere
mattina. Ma soprattutto, cosa decisamente più importante,
aveva il
fiatone, una bella erezione costretta nelle mutande e la mano
infilata nei pantaloni; la sfilò fuori come se bruciasse e
cercò
senza molto successo di mimetizzare il gonfiore dei suoi pantaloni
con le lenzuola.
Porca
puttana.
Si
affacciò appena al di sopra del letto, ed Adam era
lì, chinato a
raccogliere i cocci di chissà che.
Porca
puttana,
non poteva essere un sogno anche quello? Voleva sprofondare,
diventare parte del materasso, sparire per un centinaio buono di anni
e tornare solo quando tutti si fossero dimenticati persino il suo
nome.
“Ehm,
io... stavo.. sono inciampato.” Adam borbottò,
rosso in viso,
evitando il suo sguardo. Perfetto, se ne era accorto. Fantastico.
Scese
dall’altro lato del letto e se ne andò
direttamente in bagno,
senza dire una parola. Si chiuse di scatto la porta dietro e vi si
appoggiò contro, mettendosi le mani tra i capelli e
lasciandosi
scivolare a terra.
Che
terribile figura di merda.
Ma
non ebbe il tempo di rimuginarci su ed arrossire per la vergogna
bruciante, perché Adam bussò alla porta
praticamente l’istante
dopo che lui l’ebbe chiusa. Una volta, due, tre.
Perché non lo
lasciava in pace? Non era imbarazzato almeno un po’? Si
divertiva o
che?
“Tommy..
ehm.. tutto bene?” disse il cantante, dall’altro
lato della
porta, con un tono preoccupato.
Tommy
strinse la presa tra i propri capelli e gli venne da piangere. Non
era mai stato più imbarazzato in tutta la sua vita, ed Adam
si
comportava come se nulla fosse? Non capiva che voleva essere lasciato
in pace?
“Vattene.”
Mezz’ora dopo, Tommy se ne stava sotto la doccia, gli occhi chiusi, appoggiato al muro freddo, ed era da circa un quarto d’ora che lasciava che l’acqua gli scivolasse addosso e poi via, giù, nelle tubature. Piano piano, anche i suoi pensieri avevano fatto lo stesso, e avevano abbandonato la sua mente, uno dopo l’altro, lentamente, erano scivolati via e l’avevano lasciato ad ascoltare il rumore dell’acqua scrosciante, e a sentire il freddo delle piastrelle dietro la schiena e a confrontarsi con quell’assurdo mal di pancia, con l’ansia e la vergogna.
Non
era successo nulla.
Andava
tutto bene.
Ora
sarebbe uscito dalla doccia, con il sorriso sulle labbra, e si
sarebbe comportato come se nulla fosse successo.
Sarebbe
uscito dalla doccia, e Adam avrebbe fatto finta di niente, si sarebbe
comportato come sempre.
Sarebbe
uscito dalla doccia, e ben presto l’imbarazzo sarebbe
scomparso.
E
magari, poi, Adam sarebbe andato via. E lui lo avrebbe lasciato
andare, di nuovo.
Forse era per questo che era lì, Adam. Per ucciderlo più lentamente. Per assicurarsi che il suo corpo restasse forte ed in salute e che il suo cuore pompasse con tutta la forza che aveva, mentre lui lo uccideva dentro, lo svuotava.
Perché
era quello,
che sentiva adesso. Un dolore tremendo, un vuoto,
forse peggiore di quello che aveva provato quando suo padre era
morto. Peggiore di tutto quello che aveva mai provato.
Perché Adam
era lì, era fottutamente
lì, era tornato, ma di lui non pareva volerne sapere nulla.
Avrebbe
dovuto essergli
grato
per avergli salvato la vita? Beh, non gli era grato proprio per
nulla. Magari poteva sembrare
ancora
vivo, ma sapeva che non sarebbe stato davvero
così per molto tempo. E Adam anche lo sapeva, Tommy ne era
certo, e
tutto quel prendersi cura di lui, probabilmente era solo un modo per
addolcirgli la pillola.
Il
fatto è che quella era la fottutissima pillola
più disgustosa del
pianeta; un po’ di zucchero non sarebbe mai bastato.
Peccato
che si possa nascondere il proprio stato d’animo, ma non ci
si
possa
nascondere
da esso.
Tutto
quello lo stancava, lo sfibrava, gli toglieva la forza, la grinta e
il sorriso. Per quanto quella tortura avrebbe dovuto andare avanti?
Quanto doveva soffrire per scontare la sua colpa di
essere
stato felice?
Era
tutto lì, alla fine: in quel momento non era felice, anzi,
non lo
era da un po’, ma era da quando conosceva Adam che aveva
scoperto
cosa voleva dire felicità. E cosa voleva dire dolore.
Ma
non aveva rimpianti, no, quello no. Se ripensava a quanto era stato
bene, be’, forse un po’ ne valeva la pena di
soffrire così.
Forse se ne sarebbe stato sotto la doccia ancora un po’. Ad aspettare che quella schifosa sensazione di stare per vomitare sparisse.
Mentre si passava l’asciugamano tra i capelli, tamponandoli dall’acqua, gli parve di sentire la porta aprirsi. Si voltò di scatto. La porta era chiusa, proprio come prima. Si passò l’asciugamano sul viso, poi tornò a voltarsi verso lo specchio e scosse la testa, era diventato anche paranoico adesso?
Okay,
non aveva chiuso a chiave, ma Adam non si era mai permesso di entrare
senza bussare, in quei giorni. Perché avrebbe dovuto farlo
proprio
in quel momento?
Sospirò
scuotendo la testa e continuò a massaggiarsi i capelli,
chiudendo
gli occhi e appoggiandosi alle piastrelle fredde, cercando di
rilassarsi. Stava decisamente esagerando. C’era bisogno di
angosciarsi e torturarsi a quel modo per un sogno? Aveva ancora il
diritto di sognare il cazzo che gli pareva (letteralmente
e non), era Adam che avrebbe dovuto lasciarlo dormire in pace!
Sentì
di nuovo la porta aprirsi e qualcuno entrare nella stanza. Non
aprì
gli occhi per controllare se se lo fosse immaginato, anzi, li strinse
ancora di più e si disse che appena uscito di casa avrebbe
dovuto
seriamente andare da uno psicologo: non c’era nessuno nella
stanza,
men che meno Adam! Figurarsi, sicuramente aveva di meglio da fare!
Ma
non poté negare l’evidenza quando sentì
una mano posarsi sul suo
petto attraverso la stoffa dell’accappatoio.
Poteva
sentire il suo calore, ed il suo inconfondibile odore.
“Adam,
esci immediatamente.”
Lo
disse freddamente, senza aprire gli occhi, né muoversi di un
millimetro e scandendo per bene l’ultima parola. Ma Adam non
dette
segno di aver sentito, anzi, Tommy lo sentì avvicinarsi.
Sentì le
sue labbra e il suo fiato caldo vicino al proprio orecchio e poi le
sue dita scivolargli lungo un fianco. Fremette e si morse forte le
labbra, poi aprì di scatto gli occhi.
“Quale
parte di ‘esci immediatamente’ non ti è
chiara?”
Cercò
di mantenere un tono freddo, distaccato, seppure alla fine la sua
voce tremò.
Ancora una volta, nessuna risposta. Le labbra calde e morbide di Adam si posarono sulle sue, dolcemente. Tommy non si mosse, ma non riuscì a trattenere un sospiro. Come sempre, bastava che lo sfiorasse e lui diventava incapace di intendere e di volere. Socchiuse lentamente gli occhi, pienamente consapevole di quanto il proprio fosse un segno di resa.
“Perché
ti vergogni?”
Adam
parlava con un tono di voce così tranquillo che
calmò anche Tommy.
Il biondo lo guardò negli occhi e abbozzò un
sorrisino timido.
“Perché
non dovrei..?”
Sussurrò timidamente, si sentiva a disagio, voleva mandarlo
via e
restare solo, ma ovviamente non ci riusciva. Maledisse mentalmente la
bellezza di quell’uomo, e il suo fascino, e il potere che
esercitava su di lui probabilmente senza neppure rendersene conto.
Adam gli baciò ancora le labbra, spingendolo contro la parete. Gli diede giusto il tempo di rendersene conto, però, staccandosi da lui quasi subito e guardandolo negli occhi. Tommy si mordicchiò le labbra.
“Adam...
Ti... Ti prego...”
Vai via. Solo questo voleva dirgli. Non
perché non volesse le sue labbra, non perché non
desiderasse più
di ogni altra cosa averlo accanto sempre, ma perché tutta
quella
situazione era troppo ambigua, e incasinata, e strana. Voleva solo
che Adam gli chiedesse scusa. Tutto lì.
“Shh,
Tommy.” Quel dannato sorriso che lo stregava.
“Volevo solo...
Spero che tu un giorno possa perdonarmi per tutto questo.”
Buio.
Sentì
il rumore di una porta chiudersi di colpo.
Aprì
gli occhi.
Un
altro sogno. Di nuovo Adam.
Non
si poteva andare avanti così.
“Non si può andare avanti così, Tommy!”
Adam urlava. Sembrava arrabbiato, ma forse era solo frustato, o stressato. Tommy, dal canto suo, si mostrava innaturalmente calmo: sinceramente, non aveva la forza di litigare. Non aveva la forza di combattere per poi arrivare ad ottenere.. be’, nulla. Si sentiva totalmente svuotato delle proprie forze, di tutto. Pazienza inclusa.
“Cosa vuoi da me, Adam?” scandì lentamente, alzando lo sguardo verso di lui. Se ne stava seduto su una sedia, in cucina, i gomiti poggiati sul tavolo e le dita intrecciate tra loro, e seguiva Adam con lo sguardo, squadrandolo da sotto in su, mentre lui girava attorno al tavolo nervosamente.
“Cosa voglio?!” sbottò il cantante, come se fosse più che normale che si fosse messo a sbraitargli contro senza alcun motivo apparente pretendendo che lui sapesse di cosa stavano parlando. Adam scosse la testa e proseguì. “Che tu la smetta, forse? Smettila di guardarmi in quel modo, di... di provare a farmi sentire in colpa, di comportarti come se la nostra storia funzionasse e io sia lo stronzo che ha messo fine al tuo sogno, smettila di.. di pensarmi in continuazione, o per lo meno di sognarmi!”
Tommy
sospirò. Se precedentemente pensava che non fosse possibile
sentirsi
peggio di come stava, in quel momento si ricredette. Era possibile
eccome.
Ma chi era quell’uomo? Dov’era il suo Adam, che
fine
aveva fatto? Perché si comportava in quel modo,
perché diceva
quelle cose? E cosa avrebbe dovuto fare lui? ‘Smettere di
pensarlo’, bah! Come se lui potesse farci qualcosa!
“Quando scopri il modo di scegliere che sogni fare, fammi sapere, perché risparmierei un botto in film porno, sai com’è. Fino ad allora, be’, sono libero di sognare il cazzo che mi pare.” Rispose con freddezza – anche se la voce gli tremò un po’ all’inizio – ma non aveva intenzione di dare a vedere ancora quanto stava male per lui. Non lo meritava, non più. Non meritava nulla di tutto quello.
Adam
ringhiò e batté i palmi delle mani sul tavolo,
mettendosi proprio
di fronte a lui e avvicinandosi pericolosamente. Tommy non
batté
ciglio.
“Vaffanculo,
Tommy.”
“Sì, ti amo anche io, Adam.” Tommy rabbrividì, la risposta gli era uscita spontanea, e sì, era provocatoria sicuramente, ma dire quelle parole, in quel momento, con quel nome accanto... Gli fecero male per quanto erano vere nonostante tutto. Lo guardò negli occhi, per un istante, e non si aspettava di vedere ciò che vide. Si aspettava rabbia, quasi furia, e frustrazione, e qualcosa di tremendamente distante da quello che aveva sempre visto in lui – sempre che l’avesse davvero visto e non avesse semplicemente voluto vederlo.
Invece, trovò quello che aveva sempre visto in lui: quello era ancora il suo Adam. In quegli occhi non c’era furia, né frustrazione, né nulla di quello che si era aspettato: c’era rabbia, sì, ma una rabbia offuscata da tristezza e dolore, e senso di colpa, e Tommy davvero non capiva. Era Adam a ferirlo sempre in quel modo, a trattarlo senza riguardo dei suoi sentimenti, come un giocattolo, e poi stava anche così male? Perché lo aveva lasciato, perché si comportava in quel modo se poi soffriva così? Sembrava volesse essere disprezzato, quasi lo facesse apposta. Cos’era, un modo di metterlo alla prova?
Adam
chiuse gli occhi, e scosse piano la testa, con l’aria
improvvisamente stanca. “Non sei divertente.”
“Non
voglio essere divertente.” Tommy rispose, ancora una volta in
automatico, mentre la fredda rabbia di prima se ne scivolava via,
dopo quello sguardo, lasciando il posto ad una malinconia che
sembrava prendergli a calci l’intestino.
L’altro
sbuffò, roteando gli occhi, e si sedette. Si guardarono
negli occhi,
in silenzio.
Fu
Tommy il primo a parlare: “Tu stai male quanto me, non
è così,
Adam? Tu non vuoi davvero lasciarmi. Non hai mai voluto.”
Adam
scosse la testa, e si prese il viso tra le mani. “Ti ho
già
lasciato. Accettalo.”
Oh,
certo. Ma Tommy ricordava quella chiamata, con chi parlava, con il
suo manager? L’aveva mandato a fanculo perché
doveva stare con
lui. E poi tutte quelle cose sussurrate quando pensava che lui non
ascoltasse? E tutta quella dolcezza nei suoi gesti? E il modo in cui
si preoccupava per lui?
C’era
qualcosa che Adam gli nascondeva. Non si stava semplicemente
illudendo, era così! Doveva essere
così.
“E perché
l’hai fatto, Adam?”
Il
moro guardò dovunque tranne che verso Tommy.
“Dovevo.
E tu dovresti lasciarmi andare.”
A quel punto Tommy sentì nuovamente la rabbia montargli dentro. Cosa significava che ‘doveva’? Era una motivazione, quella? Non era neppure capace di usare una banale scusa del cazzo? Lo fulminò con lo sguardo, poi chiuse gli occhi e si morse le labbra, con forza, cercando di mantenere la calma, almeno apparentemente.
“Ah, dovevi. Ora si spiega tutto.” Fece una breve pausa, guardandosi le mani. “Credi che io non sia capace di stare senza di te, Adam? Che io non sia abbastanza forte? Credi che se ti ho sempre perdonato, ogni cazzo di volta, è stato perché non riesco a lasciarti andare? Ne sei davvero convinto?”
“No, non è questo, Tommy. Io.. lo faccio..” Adam iniziò a parlare, interrompendolo e iniziando a mettere confusamente in fila le parole, balbettando e incespicando, gesticolando, visibilmente nervoso. Cercava di giustificarsi? Di mentirgli ancora? No, grazie, non aveva più bisogno delle sue cazzate. O si decideva a dirgli la verità o la faceva finita.
Lo interruppe a sua volta, senza riuscire a trattenersi un secondo di più, e iniziando ad urlare: “Non mi interessa, Adam! Ne ho abbastanza delle tue bugie e della tua presunzione, del tuo modo di trattarmi, di essere sottovalutato... Ne ho abbastanza di darti tutto e di ricevere solo sofferenza in cambio! Sai perché ti perdono sempre tutto, Adam? Non perché non riesco a fare a meno di te o non mi rassegno al fatto che non mi vuoi, ma perché ti amo. E non sono io a trattenerti qui con me, quindi se mi hai lasciato, se puoi fare a meno di me, se davvero non vuoi più che la nostra relazione vada avanti, vattene.”
Adam alzò lo sguardo verso di lui. Silenzioso e con l’aria afflitta, lasciava che qualche lacrima gli colasse lungo le guance e neanche sembrava accorgersene; scosse la testa e sembrò voler dire qualcosa. Tommy però non aveva ancora finito.
“Sto
dicendo sul serio, Adam. Vattene via, se è così.
Alzati, apri
quella porta, esci da casa mia e non tornarci mai
più.
Ti lascio libero di andare.” E nel dire quelle parole, Tommy
non
riuscì a trattenere le lacrime, né un vago
tremolio della voce; “Ma
se resterai qui, allora avrai la prova che non sono io quello che ha
bisogno di te.” Concluse infine, e si sentiva esausto, e
anche
ridicolo.
Aveva trasformato la loro discussione in un monologo
melodrammatico, degno delle telenovelle
più inguardabili del piccolo schermo. Una raffica di parole,
ma
soprattutto di emozioni e sentimenti, repressi fino a quel momento,
che avevano trovato sfogo in parole messe in fila senza neanche
pensarci, allineate con la loquacità della rabbia e
dell’impulsività. Era per questo che era anche un
po’
spaventato: non era sicuro di essere davvero pronto ad un addio
così
definitivo, ma in fondo sapeva che Adam non se ne sarebbe andato. Ne
era certo: aveva promesso!
Una certezza, la sua, a cui si aggrappò disperatamente con ogni fibra del corpo, mentre osservava l’altro dirigersi verso la porta, fermarsi sulla soglia e guardarsi indietro, con gli occhi tristi. Una certezza che, testardamente, gli teneva le radici piantate nel cuore e non voleva saperne di essere sradicata via, mentre il suo proprietario non riusciva a provare nulla, nessun sentimento: sapeva solo che quell’allontanamento lasciava in bocca un sapore amaro, simile a quello della sconfitta, ma anche a quello del dolore.
Guardò
impotente Adam che usciva da casa sua e dalla sua vita. Per
sempre.
Quel
giorno imparò che gli addii sapevano di lacrime e sangue,
lacrime
amare, e sangue versato come fosse acqua, e che le delusioni, quelle
vere, non sono quelle che ti svuotano: sono quelle che ti spezzano. E
una volta spezzati, be’, non si torna più indietro.
Note di fine capitolo:
SCUSATEMI!
Vi prego, vi supplico, sono in ginocchio qui davanti a voi a
scongiurarvi, scusatemi
se Adam fa così terribilmente schifo e Tommy è un
povero caro che le passa tutte lui, e se avete pianto come delle
coglione/dei coglioni.. eccetera.
Mi dispiace. çç
Il capitolo vi piace tanto lo stesso, non è così?
*-* ♥
Baci!!
P.S.: La
canzone del capitolo è I Don't Believe You di P!nk,
azzeccatissima a mio parere! :P
P.P.S.: Vi
toccherà aspettare almeno un'altra settimana per il quinto e
due per il sesto in quanto uno ancora non è finito e
l'altro non è neppure iniziato .__.