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Autore: Emily Kingston    29/10/2011    4 recensioni
Bere una coca con te
È ancor più divertente che andare a San Sebastian
Irun, Hendaye, Biarritz, Bayonne
Sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di trovare un senso a quelle parole.
Sembrava il testo di una poesia.
Poco più in là, sulla soglia dell’aula, sentì una voce tentare di attirare la sua attenzione.
“Psst, Hermione.”
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Bere una coca con te
 

I rilucenti raggi della luna si riflettevano sulla superficie liscia del tavolino, mentre il soffio caldo del vento muoveva lentamente i ciuffi d’erba del prato e le cime scure della Foresta Proibita.
Non avrebbe dovuto trovarsi lì; il coprifuoco era passato da un pezzo. Ma non riusciva a dormire e l’unico posto nel quale riuscisse a sentirsi in pace con se stessa – ignorando quella vocina nella sua testa che le ricordava il perché non stesse dormendo nel suo letto e che la cosa le avrebbe causato dei guai la mattina seguente, durante le lezioni – era la biblioteca.
Forse era causa della grande quantità di libri, o forse era a causa del fatto che quel posto era sempre silenzioso cosa che, diversamente da quello che si potrebbe pensare, la aiutava a non ascoltare il suo cervello.
Con un sospiro riabbassò gli occhi verso le pagine del libro che aveva sotto il naso. Lesse con avidità ogni parola, assorbendone il significato.
Gli incantesimi di Empatia sono una delle categorie più complesse di incantesimi verbali. Per la buona riuscita il corretto movimento del polso e la pronuncia della formula sono essenziali.
Al di sotto dell’introduzione stava un’immagine in movimento che mostrava come il polso doveva essere mosso: un colpo secco a destra, uno a sinistra e poi un mezzo giro verso destra, in modo che il palmo risultasse rivolto verso l’alto.
Hermione afferrò la bacchetta, che teneva arrotolata tra i capelli, e provò il movimento un paio di volte, finché non fu soddisfatta del suo lavoro.
Il professor Vitius non aveva ancora affrontato l’argomento degli incantesimi di Empatia che, secondo il programma del libro di testo, avrebbero incontrato soltanto alla fine del secondo semestre, poco prima degli esami.
Ma Hermione aveva sempre avuto una sete di conoscenza non comune ai ragazzi della sua età.
Stava provando di nuovo il movimento del polso quando, inaspettatamente, un aeroplanino di carta incantato planò vicino al suo libro.
Hermione sobbalzò, guardandosi intorno con circospezione, domandandosi chi, oltre a lei, si fosse avventurato in biblioteca a quell’ora di notte.
Continuando a muovere gli occhi negli angoli più bui e lontani della biblioteca, aprì il pezzetto di pergamena che le era volato vicino e lesse il suo contenuto.
Bere una coca con te
È ancor più divertente che andare a San Sebastian
Irun, Hendaye, Biarritz, Bayonne
Sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di trovare un senso a quelle parole.
Sembrava il testo di una poesia.
Poco più in là, sulla soglia dell’aula, sentì una voce tentare di attirare la sua attenzione.
“Psst, Hermione.”
Era poco più che un bisbiglio, ma Hermione l’aveva udito bene.
Eppure la biblioteca era vuota.
“C’è…c’è qualcuno?” domandò, la voce che tremava appena, ottenendo come risposta solo la bassa eco delle sue parole.
“Hermione.”
Di nuovo quel richiamo, di nuovo quella voce a tratti familiare.
Infilò i suoi libri nella borsa e si alzò, stropicciando il foglietto con la poesia e mettendolo dentro ad una delle tasche del mantello.
Si avviò verso l’uscita e sporse con titubanza il capo nel corridoio.
Era deserto. All’infuori del lieve brusio causato dal russare degli abitanti dei ritratti, il castello sembrava tacere.
“Signorina Granger!” esclamò una voce all’improvviso.
Hermione sobbalzò, portandosi una mano sul cuore.
Davanti a lei, fluttuante, stava il fantasma di Nick-quasi-senza-testa.
“Non urli!” lo ammonì, sussurrando.
“Scusa,” rispose Nick, abbassando anch’egli il tono. “Ma un giovanotto mi ha chiesto di darti questa.”
Con un mezzo sorriso le porse un foglio e, facendole un cenno di riverenza con il capo, si allontanò.
“Sir Nicolas!” lo richiamò Hermione, prima che sparisse in fondo al corridoio.
Il fantasma si voltò, attendendo.
“Mi stava chiamando lei, prima?”
Nick sorrise e scosse il capo, attraversando la parete prima che Hermione potesse ribattere.
Incuriosita e timorosa, aprì il foglio che le aveva dato il fantasma.
O star male di stomaco sulla Traversera de Gracia a Barcellona.
Un po’ perché con quella tua camicia arancio sembri un più beato, più felice San Sebastiano
Un po’ per il mio amore per te
Hermione arrossì. La calligrafia era la stessa e, quello, sembrava essere la continuazione del biglietto precedente.
La ragazza avanzò lungo il corridoio, infilandosi il bigliettino in una delle tasche del mantello, insieme a quello che aveva ricevuto in biblioteca.
Camminò per un po’, guardandosi intorno con fare intimorito.
Se da una parte moriva dalla voglia di scoprire chi fosse il misterioso ragazzo che le mandava quei bigliettini, dall’altra aveva paura che potesse trattarsi di qualcuno che non aveva buone intenzioni.
La guerra era finita, era vero, ma non significava che tutto il male era stato estirpato dal mondo; “Solo quello più grande,” ripeteva sempre il signor Weasley.
Menzionare la famiglia Weasley nella sua mente la fece fermare di botto. Improvvisamente, quando quel nome prese vita nella sua testa, un paio di profondi occhi blu, ombrati da una zazzera rossa, fecero capolino tra i suoi pensieri.
Non avrebbe dovuto continuare a cercare il ragazzo dei bigliettini, avrebbe dovuto tornarsene in dormitorio e basta, andare a letto e sperare di non essere troppo stanca per seguire con attenzione le lezioni del mattino seguente.
Pensare ai Weasley le aveva fatto pensare a Ron e le aveva ricordato che lui era alla Tana e che la stava aspettando, per costruire insieme il loro futuro.
“Quando tornerai io sarò qui ad aspettarti, non vado da nessuna parte.”
“Promesso?”
“Promesso.”
Sentì un groppo bloccarle la gola al ricordo di quel momento, mentre gli occhi le si facevano umidi appena.
Solo in quel momento, al buio di uno sconosciuto corridoio all’interno di Hogwarts, si rendeva realmente conto di quanto Ron le mancasse, di quanto sentisse il bisogno della sua presenza sempre al suo fianco.
Hogwarts senza di lui non era davvero la stessa cosa.
Ingoiando la curiosità fece dietro-front e s’incamminò dalla parte dalla quale era venuta, ben decisa a tornarsene nella sua Sala Comune.
Arrivata alla Sala d’Ingresso un altro areoplanino, come quello della biblioteca, le fluttuò sotto al naso, ponendosi sul suo cammino.
“Spostati, devo passare,” sussurrò.
Quello rimase lì, a fluttuare beffardo ad un palmo da suo viso.
Rivolgendo un’occhiata inviperita all’oggetto stregato lo sorpassò, iniziando a salire i gradini che portavano verso il primo piano.
Solo quando fu davanti alle scale, si accorse che l’aeroplanino la stava seguendo.
Con un sbuffo si voltò e, nel farlo, le parve di aver visto una scia rossa che spariva dietro ad una delle colonne dell’ingresso.
Sbatté gli occhi, sicuramente l’aveva immaginato.
Tornò a posare gli occhi sul pezzetto di carta che volava all’altezza della sua testa e, con un sospiro, lo prese, dispiegandolo.
Nella luce calda delle quattro di New York
Scivoliamo avanti e indietro, tra l’uno e l’altro alla deriva
Come un albero che respira dagli occhiali
Infilò anche quel biglietto in tasca e, maledicendosi, ridiscese gli scalini e si avvicinò all’ingresso, dove le era parso di notare qualcosa che si muoveva.
Sporse il volto fuori, ma non c’era nulla.
Si sentiva solamente il frusciare calmo del vento ed il frinire di qualche insetto notturno in lontananza.
Dai comignoli della capanna di Hagrid il fumo aveva smesso di salire da un pezzo, e pure le luci all’interno delle serre erano spente da ore.
Tutto taceva; c’era forse la McGranitt affacciata alla finestra dello studio del preside, intenta ad osservare il giardino.
Stava guardando verso la superficie increspata del Lago Nero quando lo notò.
Era un puntino chiaro che pendeva dai rami del pioppo bianco ai piedi del lago. Controllando che non ci fossero né fantasmi né ritratti svegli nelle vicinanze, si calò il cappuccio del mantello sul capo e s’incamminò verso le sponde del lago.
Solo quando fu ai piedi del pioppo si accorse che l’oggetto fluttuante che aveva visto, non era altro che un grande foglio bianco attaccato ai rami dell’albero.
Era vergato con la solita grafia sgangherata e anche questo, come i precedenti, sembrava essere il pezzo di una poesia.
E la mostra di ritratti sembra non avere neanche una faccia, solo pittura
Che improvvisamente ti chiedi perché qualcuno al mondo li abbia mai fatti
Sospirò, strappando il foglio dal ramo, e lo infilò insieme agli altri nella sua tasca.
Si voltò indietro ma non c’era nessuno, né dietro a lei né in qualsiasi altro luogo del giardino.
Controllando le finestre del castello che si affacciavano sul parco fece per avviarsi nuovamente verso l’entrata, questa volta sicura che niente avrebbe interrotto il suo cammino verso il dormitorio.
“Ciao, ‘Mione.”
Rabbrividì, fermandosi di botto.
Il saluto rimase sospeso nell’aria, come congelato, mentre le sue orecchie si riabituavano a quella voce così familiare che aveva cullato i suoi sogni più dolci da quando era tornata ad Hogwarts.
Si voltò lentamente, pizzicandosi il palmo di una mano con le unghie, tanto per essere sicura che non si trattasse solo di un qualche bel sogno.
Ma il breve dolore che sentì sulla pelle fu solo la prova che non stava sognando, che lui era lì davvero, appoggiato al tronco dell’albero che la guardava con aria strafottente.
In un primo momento il suo primo istinto fu quello di balzargli addosso e stringerlo forte, così forte da fargli perdere il respiro.
Poi, però, le sue sopracciglia s’inarcarono ed anche il sorriso sul volto del ragazzo s’incrinò un poco. Tirava aria di guai.
“Sei un disgraziato!” sbottò Hermione, lasciando che la cartella piena di libri le scivolasse giù dalla spalla. “Ti rendi conto che se ci scoprono io sarò espulsa! Espulsa, Ronald! Es-pul-sa!”
Ron fece un balzo in avanti, tappandole la bocca con una mano prima che potesse riprendere a sbraitare. Per un po’ Hermione mugolò contro il suo palmo, cercando di liberarsi, poi si arrese.
“Ti rendi conto che se urli come una Banshee inferocita ci scopriranno di sicuro?” ribatté lui, con un mezzo sorriso vittorioso sul volto. “Se prometti di non urlare ti libero.”
Hermione annuì, sentendo la sua mano che si allontanava dalla propria bocca.
“Cosa ci fai qui?” domandò, brusca.
“Sai, devo dire che mi aspettavo qualcosa di meglio. Una cosa un po’ più tipo: ‘Ciao, Ron, sono contenta di vederti’.”
Hermione sbuffò, alzando gli occhi verso il cielo.
“Sei tu che hai mandato tutti quei foglietti in giro?” domandò di nuovo, ignorando le sue lamentele.
Con uno sbuffo un po’ infastidito Ron annuì, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans.
“Come facevi a sapere che ero in biblioteca?”
“Ho i miei mezzi,” rispose, vago.
Hermione avrebbe voluto saperne di più ma sapeva, dall’espressione sul volto di Ron, che non gli avrebbe scucito alcuna informazione a riguardo.
“Grazie,” pigolò la ragazza dopo un po’, abbassando lo sguardo verso la punta dei suoi piedi. “Per i bigliettini,” specificò, notando il suo sguardo confuso.
Lui le si avvicinò un poco e lei arrossì ancora più furiosamente, non osando alzare il viso.
Era ridicolo il modo in cui, dopo un’estate passata a sbaciucchiarsi sotto al pesco nel giardino della Tana, o la sera di fronte al camino – quanto tutti erano andati a dormire -, riuscissero ad essere così impacciati ed imbarazzati.
Con un sospiro frustrato Ron afferrò Hermione per i fianchi e, ignorando il battito violento ed accelerato del suo cuore ed il rossore delle sue orecchie, appoggiò le labbra su quelle di lei, riassaporandole dopo tanto tempo.
Hermione allacciò le braccia attorno al suo collo e lasciò che la stretta di Ron la spingesse un po’ più verso il suo corpo, in modo da sentire il suo petto combaciare con il proprio.
“Mi sei mancata,” sussurrò Ron contro le sue labbra, rompendo il bacio ma senza aprire gli occhi.
“Mi sei mancato anche tu, tantissimo.”
Ron sorrise sotto ai baffi, compiacendosi di quella sua affermazione.
Si allontanò da lei quel tanto che bastava per vederla in viso e la osservò riaprire gli occhi ed umettarsi le labbra, ora umide ed un po’ più gonfie di prima.
“Quindi saresti andata alla ricerca di uno sconosciuto poeta,” ridacchiò.
Hermione gli pizzicò un braccio con le unghie, rivolgendogli un’occhiata di rimprovero.
“Ero solo curiosa,” si giustificò.
“Ti saresti potuta trovare alle prese con Viktor – calcò con particolare enfasi il nome del ragazzo, arricciando il naso mentre lo pronunciava – amato di rose rosse e dichiarazione,” ipotizzò, guardandola. “O, nel peggiore dei casi, si sarebbe trattato solo di quella zucca vuota di McLaggen, vittima di un ritorno di fiamma.”
“In tal caso, avrei gentilmente declinato le loro, ehm, offerte spiegandogli che ho già un ragazzo.”
Ron arrossì sulla punta delle orecchie, ma sorrise, gonfiando appena il petto a quelle parole.
“Sei un imbecille, lo sai?”
“Se anche non lo sapessi, c’è una strega piuttosto rompiscatole che me lo ripete sempre.”
Hermione alzò le sopracciglia.
“Ah, sì? E la conosco?”
Ron ridacchiò, accarezzandole la schiena con la punta delle dita.
“Non lo so. È la strega più intelligente del mondo e sta sempre con il naso tra i libri.”
“Devo essere gelosa?”
Il fiato di Ron le arrivò diritto sulle labbra quando le rispose: “Sì, assolutamente.”
Con un mezzo sorriso la baciò di nuovo, abbandonando le incertezze di qualche minuto prima, riacquistando familiarità con quelle labbra che aveva imparato a conoscere e accarezzare mesi prima.
“Dove hai trovato quella poesia?” domandò Hermione, quando si allontanarono.
“Non credi che possa aver sviluppato una vena poetica mentre tu eri qui a fare la cervellona?”
Hermione rise e scosse il capo.
“Okay, l’ho trovata su un libro di poesie babbane che hai lasciato alla Tana,” confessò, grattandosi il capo ed abbassando lo sguardo.
“E come finisce?”
Ron alzò di nuovo il capo verso di lei, tanto velocemente che gli scrocchiò il collo.
Le sorrise e si avvicinò a suo orecchio, spostando delicatamente una ciocca di capelli con le dita.
Io guardo te, e preferisco guardar te che tutti i ritratti del mondo.”
 
 
*Bere una Coca con te, poesia di Frank O’hara.
 
 

 

   
 
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