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Autore: Roxanne Potter    01/11/2011    2 recensioni
La notte di Halloween era tradizione tra i bambini della città una visita alla vecchia casa in rovina.
Cosa si troveranno ad affrontare una volta varcata la porta?
Una bambina sfrontata e coraggiosa, accettando di visitare la famosa villetta in rovina di Cotterfly, avrà per la prima volta un contatto con il suo vero mondo, un mondo che ancora ignora.
Scritta per Trick or treat?, la maratona organizzata dal « Collection of Starlight, » said Mr Fanfiction Contest.
[Lo so, può non sembrare una fanfiction su Harry Potter. Ma in realtà la è. Se leggerete fino in fondo ne avrete la prova.]
Genere: Generale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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-Secondo me in quella casa c'è qualcosa. Dai, persino la signora Bobbers dice di aver sentito dei rumori che venivano da qui... e sapete quanto è scettica quella stupida arpia, no?
-Lo sappiamo.
-Secondo me dobbiamo provare ad entrare, come tradizione. L'anno scorso ci sono stati i gemelli Saundres, quindi stavolta toccherebbe a uno di noi.
-Ma io ho paura! Metti che ci sia davvero qualcosa...
Fino a quel momento, Rachel era rimasta in silenzio ad ascoltare la discussione tra i suoi amici, pigramente appoggiata a un palo della luce. Ma quell'ultima frase la fece voltare di scatto, con gli occhi sgranati.
-Mary!- esclamò, muovendo un passo in avanti. -Sei una maledetta fifona e credulona... pensi davvero che quella stupida casa sia infestata?
I sei bambini raggruppati sul marciapiede si girarono a guardarla, interrompendo la loro discussione sulla casa che avevano di fronte, e Rachel riuscì a intravedere le loro espressioni sorprese oltre le maschere e il trucco dei loro costumi di Halloween.
-Se davvero pensi che nella casa non ci sia niente, perché non hai il coraggio di andare a controllare da sola?- disse il bambino più vicino a lei, calcando per bene il tono sulle ultime parole: era un ragazzino smilzo, il più grande del loro gruppetto. Aveva infatti quasi tredici anni e la sovrastava di un bel po' di centimetri. Quella notte, indossava un mantello rosso che non faceva altro che svolazzargli intorno al corpo, e in quel momento la fissava con un ghigno furbo a increspargli il viso imbrattato di ketchup che nessuno avrebbe mai scambiato per sangue.
Rachel ricambiò il suo sguardo con aria di sfida. Per un attimo, i suoi occhi saettarono verso il giardino pieno di erbacce alla sua sinistra e alla casa che si trovava in fondo: una villetta abbandonata, dalle tegole cadenti e i muri scrostati, che da sempre accendeva l'interesse dei bambini del villaggio di Cotterfly. Specialmente durante la notte di Halloween.
-Certo che posso farlo. Non sono certo una stupida vigliacca come te.- lo rimbeccò, quando tornò a fissare Erick.
-Cosa hai detto?
-Dai, stai zitto...- mormorò il minuto fantasma al fianco del ragazzino, tirandolo per un braccio: si trattava di Paul, il fratello minore di Erick.

-Tu non ti impicciare.- rispose lui, riservando al fratello un'occhiataccia. -Vedi di non insultarmi più, stupida ragazzina.
-Non mi fai affatto paura.- rispose Rachel. Parlava sinceramente; non sopportava di buon grado Erick Thompson e si trovava in sua compagnia solo perché Erick era amico degli altri bambini. Non aveva voluto passare Halloween chiusa in casa a mangiucchiare caramelle, perciò aveva dovuto accettare la sua presenza.
-Ah, a proposito...- aggiunse Rachel, quando vide le labbra di Erick schiudersi per dire qualcos'altro. -Se davvero non vuoi che io ti insulti, dimostrami che sei coraggioso. Entriamo insieme nella casa.
I bambini ridacchiarono, mentre Erick sbarrava gli occhi.
-Scommetto che non ne hai il coraggio.- disse in tono allegro una bambina vestita da strega, il cappello scuro storto sui capelli corvini attraversati da sottili mèches viola.
-Invece sì.- borbottò lui di rimando.
-Dimostralo!- esclamò la ragazzina accanto a lui. Era avvolta in un'ampia veste nera, impugnava un'ascia di plastica e la maschera bianca che indossava non permetteva di scorgere bene l'espressione del suo volto.
-Ma non dire cose stupide, Karen... è inutile. È Rachel che ha accettato di andarci.- rise Erick.
-Allora, forse, non sei poi così coraggioso.- ribatté fredda Rachel.
Lei non aveva davvero paura di entrare nella casa. Non aveva mai creduto alle storie su mostri e fantasmi, per quanto le piacessero era convinta di saper distinguere tra la realtà e la fantasia. Le considerava semplici passatempi e tutte le voci che giravano intorno a quella villetta abbandonata la facevano solo ridere.
-Va bene!- esclamò Erick, levando gli occhi al cielo. -Allora vengo con te. Tanto alla fine sarai tu che scapperai a gambe levate.
-Vedremo.- ghignò Rachel, sicura di sé come sempre. Per un breve istante, le era sembrato di scorgere uno scintillio di paura negli occhi scuri di Erick.
-Aspettate.- intervenne Thomas, alzando il braccio che reggeva il suo cestino colmo di dolcetti e caramelle. -Dobbiamo stabilire qualcosa. Il tempo che dovete metterci per esplorare la casa.
-Un quarto d'ora.- decise Karen. -Dovete stare lì almeno per un quarto d'ora. Paul, a te va bene?
Il bambino si strinse nel semplice lenzuolo bianco che indossava.
-Mi va benissimo.- annuì.
-Thomas, Mary?
Gli ultimi due annuirono, anche se la piccola Mary non faceva che lanciare occhiate timorose a quella casa dall'aria così lugubre, con le imposte tutte serrate e le erbacce del giardino che ricoprivano in parte persino i muri.
-Perfetto.- accettò Rachel. -Allora noi andiamo, ci vediamo tra un po'. Tanto non c'è niente.
Si voltò per lanciare un ultimo sguardo alla buia stradina deserta, poi al cielo completamente nero ma trapunto di piccole stelle. Le piaceva quel cielo, le piaceva il fatto che la luna splendesse alta e piena; a suo parere, il tutto contribuiva a dare una bella atmosfera a quella che era la notte di Halloween.
-Ci vediamo tra un po', ragazzi.- disse roco Erick, prima di avviarsi nel giardino.
-Aspetta!- esclamò Rachel. Rivolse ai suoi amici un cenno di saluto, poi seguì Erick tra l'erba selvaggia che tanto faceva inorridire sua madre, quando durante le loro passeggiate passavano accanto a quel giardino.
Imboccarono un vialetto polveroso e, mentre lo attraversavano, Rachel fissò attentamente la casa che si stagliava di fronte a lei. Un tempo doveva essere stata una villetta carina, simile a quelle di cui era pieno il villaggio di Cotterfly. Al tetto di un rosso sbiadito mancavano varie tegole, il camino era ormai ridotto a pietra sgretolata. Tutte le finestre avevano le imposte serrate, i muri grigi erano scrostati e macchiati in più punti, la polvere sembrava essersi addensata sui tre gradini che davano sulla porta d'ingresso; una porta di legno consumato ma tutto sommato ancora intatta.
-Ok, spiegami come facciamo ad entrare.- disse Erick, una volta che i due furono arrivati davanti ai gradini.
-Come hanno fatto tutti i bambini negli anni scorsi.- rispose tranquillamente Rachel, balzando sul primo scalino e fissando il pomello arrugginito. -Lo sai che la porta è un po' fuori dai cardini, basterà spingerla con forza.
Poggiò le mani sul legno ruvido, notando i punti in cui la porta pareva scardinata, e si voltò verso Erick.
-Avanti, aiutami.- gli ordinò, l'espressione seria come se stesse guidando un battaglione.
L'espressione seccata e timorosa di Erick le diceva che, forse, lui non aveva molta voglia di aiutarla, ma lo fece lo stesso: la raggiunse e i due iniziarono a spingere la porta, mettendoci tutta la forza che avevano. Rachel strinse i denti ed esercitò più pressione, e il suo cuore sembrò fare una capriola di felicità quando la porta cedette e si aprì, quasi cigolando, su un nero pastoso che non lasciava capire cosa avessero di fronte: un ingresso o un lungo corridoio?
-Entriamo, avanti!- esclamò Rachel, senza riuscire a trattenere una nota entusiasta nella voce. Va bene, non credeva ai fantasmi e alle leggende, ma... trovava parecchio avventurosa ed eccitante l'idea di entrare in una casa infestata, a detta di tutti, la notte di Halloween.
Varcò la soglia e rimpianse di non aver portato con sé una torcia o un qualsiasi altro oggetto che avrebbe potuto farle luce. Ma non ci volle molto prima che la luce di fuori si riversasse su un pavimento spoglio e polveroso e pareti dal colore indefinito.
-Quella sembra una scala.- disse la voce di Erick. Rachel udì i passi del ragazzino che entrava nella casa e il cigolio della porta che si chiudeva lentamente.
Anche la luce esterna svanì, lasciandoli al buio.
-Fantastico...- mormorò Rachel, muovendo un lento e cauto passo in avanti.
-Non dirmi che hai paura.- ridacchiò Erick, ma il suo tono sembrava pieno di nervosismo.
-No, affatto. Adesso mi chiedo solo dov'è che potremmo andare.- rispose lei.
-Ho una piccola torcia, aspetta...
Rachel si bloccò per poi voltarsi, un ampio sorriso che si disegnava sul suo volto. Peccato che il buio le impedisse di guardare in faccia il suo interlocutore.
-Davvero?- esclamò, con un'allegria che non si addiceva molto al luogo dove si trovavano.
-Sì.- rispose Erick. -Ora la cerco nella sacca.
Dopo pochi secondi, si udì un debole click e una cruda luce gialla illuminò l'ingresso in cui si trovavano. Erick lasciò scorrere la luce, e Rachel fissò affascinata il lampadario che pendeva dal soffitto, le cornici vuote appese alle pareti e la scala che portava ai piani superiori.
-Che ne dici di salire?- chiese.
-Tu sei matt...
Notò un movimento delle labbra di Erick, come se il ragazzo si fosse morso la lingua.
-Aspetta. Prima facciamo un giro qui.
Fu solo allora che Rachel avvertì un leggero spiffero di freddo. Si strinse intorno al mantello viola che sua madre le aveva cucito e rispose: -Sì, va bene.
I due bambini passarono oltre la soglia di una porta sparita da chissà quanto tempo e imboccarono un piccolo corridoio. Il freddo si insinuò sotto il costume di Rachel e la bambina ebbe dei piccoli brividi, ma continuò a camminare ignorandoli, fissando le pareti e le porte illuminate dalla luce della torcia di Erick, che avanzava al suo fianco.
Non aveva paura, no. Quella spedizione la stava facendo divertire, se doveva essere sincera.
-Ehi... qui, vediamo cosa c'è qui.- disse improvvisamente, bloccandosi. Si voltò verso una porta di legno e, senza attendere la risposta di Erick, abbassò la maniglia. La porta si aprì facilmente e Rachel entrò a passo svelto nella stanza.
Dopo un paio di istanti, Erick la seguì e puntò intorno a loro la torcia. La luce le permise di scorgere quello che sembrava un divano lacerato, un paio di poltrone di stoffa malandata, qualche sedia accatastata in un angolo. Probabilmente, in passato, quello era stato un salotto.
-Perché non andiamo? Qui non c'è niente.
-Taci, Erick...
Rachel avanzò lungo le pareti, scrutandole alla ricerca di qualcosa che attirasse la sua attenzione. Ma non c'era nulla: solo scrostature, solo polvere. Solo le imposte di qualche finestra.
-Hai ragione, non c'è niente.- sospirò infine, voltandosi verso Erick. -Allora possiamo andare di sopra.
-Ma... no, immagina quante stanze devono esserci qui...- protestò debolmente lui.
-Io voglio andare di sopra!- esclamò secca Rachel. Stava per dirigersi verso la porta, quando le sembrò di intravedere con la coda dell'occhio un movimento accanto a sé, come un minuscolo bagliore di luce che fluttuava nell'aria.
Si voltò, il cuore in gola, percorsa da un misto di eccitazione e timore. Ma non c'era niente davanti a lei, solo la luce della torcia che si spandeva sul pavimento impolverato.
-Che hai visto?
-Niente, niente...
Rachel si incamminò leggermente delusa verso Erick e i due bambini uscirono dal salotto, senza preoccuparsi di richiudere la porta.
Ripercorsero il corridoio e Rachel quasi corse sugli scalini della scala, la mano poggiata al corrimano di legno scheggiato, lo sguardo che si perdeva senza paura nel buio davanti a lei.
-Aspettami!- esclamò Erick, i passi dietro di lei che si facevano sempre più vicini.
Finalmente i gradini terminarono e loro si ritrovarono all'inizio di un nuovo corridoio. La torcia illuminava le pareti anonime e le ragnatele che percorrevano il soffitto.
-Speriamo che non ci siano ragni...- mormorò Rachel, la fronte aggrottata. Non l'avrebbe mai ammesso, ma tutti sapevano che quella bambina tanto vivace e coraggiosa impallidiva davanti a un ragnetto.
-Sbrighiamoci.- la spronò Erick, camminando davanti a lei. Rachel lo seguì, continuando a lanciare occhiate intorno a sé. Non c'era molto di interessante, sempre le solite porte.
-Guarda là.
-Sì?
Rachel vide Erick bloccarsi nel mezzo del corridoio, la mano che gli tremava leggermente.
-C'è... una porta già aperta.- mormorò il ragazzino. Manteneva un tono controllato, ma lei vi lesse comunque una nota di panico.
-Ah, allora andiamo a vedere... direi che hai paura, sai?- ridacchiò Rachel. Erick le rivolse un'occhiata assassina.
-Ma non dire sciocchezze.
-Dai, lo so che hai paura. Comunque non temere, forse i ragazzini che sono venuti qui l'anno scorso l'hanno lasciata aperta, non so.
Erick esitò un istante prima di riprendere il cammino. Raggiunsero la porta e Rachel si fermò, senza provare una paura particolare. Era semplicemente... curiosa, ecco. Chissà se nella stanza che stavano per visitare si trovava qualcosa di interessante.
Erick sembrava pallido, nonostante la debolezza della luce che raggiungeva il suo viso. Rachel per poco non ridacchiò, mentre lo fissava.
-Entro prima io?
-No, no, faccio io.- rispose Erick. Sembrò raccogliere tutto il suo coraggio, prima di spingere la porta già mezza spalancata, muovere un passo e... rimanere bloccato sulla soglia. I suoi occhi si spalancarono sempre di più, colmandosi di puro terrore, le labbra iniziarono a tremargli.

-Cos'hai, Erick?- mormorò Rachel, preoccupata.
Lui non rispose. Sembrava incapace di distogliere lo sguardo da un punto fisso. Rachel strinse i pugni, mentre un timore leggero si insinuava in lei. Era coraggiosa, ma umana. Non poteva rimanere indifferente davanti a quella scena, Erick aveva visto qualcosa.
Raccolse coraggio e anche lei fece un passo, affiancandosi al ragazzino. Lanciò uno sguardo oltre la soglia e sbiancò, il cuore che più che battere iniziava a scattarle nel petto.
Un fantasma.
Doveva essere un fantasma, quello che fluttuava davanti a loro, i piedi distaccati di alcuni centimetri dal pavimento. Era una figura di un bianco perlaceo, quasi argenteo, certamente non umana; dava l'impressione di essere fatta di luce, di essere incorporea e poter attraversare tranquillamente un muro.
Era la figura di un uomo, vestito con quelli che sembravano un pantalone e una giacca semplice, un paio di occhiali che gli coprivano gli occhi sfavillanti. Capelli scompigliati e ribelli incorniciavano quel volto che sembrava possedere la maturità di un anziano, una corta barbetta ispida gli copriva il mento. Sulla fronte, in mezzo a quei ciuffi disordinati, a Rachel sembrò di scorgere un segno sottile, come una cicatrice a forma di saetta che attraversava la fronte dell'uomo.
Si trovò bloccata. Incapace di fare qualsiasi cosa, persino di parlare. Mai, in vita sua, qualcosa l'aveva sconvolta tanto da farla rimanere ferma e toglierle persino il coraggio di urlare. Il cuore le batteva con tanta forza che le sembrava di avere le guance infiammate, si sentiva le gambe instabili.
Un fantasma.
No, no. Non poteva essere reale.
Perché i fantasmi non esistevano. E lei era una bambina normale. La sua vita era normale. Lei era solo una ragazzina che frequentava la scuola elementare locale, passava il tempo giocando in giardino e quella notte era andata in giro con i suoi amici per fare scorta di dolci.
Non poteva essere vero. Non poteva trattarsi di un fantasma, un autentico fantasma, di quelli di cui aveva sentito tanto parlare in televisione, nei programmi riguardanti il paranormale e i misteri.
Non poteva essere accaduto proprio a lei. Non poteva essere diventata la protagonista di una di quelle storie che per lei erano sempre state solo quello, storie. Invenzioni. Fiabe per spaventare i bambini più piccoli.
Erick urlò.
-Rachel, scappa!
Le afferrò il braccio, stringendolo forte, e Rachel ebbe il coraggio di distogliere lo sguardo dalla figura dell'uomo per voltarsi e iniziare a correre, insieme a Erick, con le mani che tremavano incontrollabili, il terrore che visitava veramente il suo cuore per la prima volta nella sua vita.
I loro passi scattanti rimbombarono nel corridoio e poi giù per la scala. Rachel correva veloce, sempre più veloce, affranta nell'accorgersi che la sua mente urlava invano alle gambe di muoversi ancora più rapidamente.
Eppure, lei e Erick arrivarono nell'ingresso. Spalancarono la porta, ignorando il tonfo della torcia che cadeva a terra, poi balzarono oltre gli scalini e ripresero a correre verso il marciapiede.
Lì, accanto al palo della luce, c'erano i loro amici. Thomas, Paul, Karen, Mary e Katherine erano in piedi vicino all'erba, e fissavano la corsa di Erick e Rachel con un'espressione a metà tra il divertimento e lo sconcerto.
-Ehi, così non vale!- esclamò Katherine, sbattendo le palpebre. -Non sono passati neanche dieci minuti...
-Andiamocene immediatamente!- ruggì Erick, interrompendola. -Là... c'era qualcosa... dobbiamo andare via!
Rachel si bloccò e trasse un respiro profondo, riprendendo fiato.
-Erick, calmati!- esclamò, fissando il ragazzo: era tremendamente pallido, scosso dai tremiti. Ricambiò il suo sguardo con un'occhiata sbigottita.
-Calmarmi? Abbiamo appena...
-Sì, ma adesso siamo fuori, è tutto a posto. Allontaniamoci.
Aveva paura, Rachel, questo non poteva negarlo. La gola le pulsava, il terrore le attanagliava ancora lo stomaco. Eppure, respirava a fondo e si imponeva di ritrovare la calma.
Non poteva essere vero.
Non poteva aver visto un fantasma.
-Cosa è successo?- domandò Thomas, preoccupato.
-Allontaniamoci, prima di tutto.- rispose Rachel, iniziando ad avviarsi lungo il marciapiede. C'erano il lampioni accesi ma la strada era deserta, in quel punto di Cotterfly. Non stava passando neanche un bambino o una macchina. Gli altri bambini la seguirono, lanciandosi occhiate perplesse.
-Andiamo verso la piazza, va bene?- mormorò Erick, il tono ancora terrorizzato.
-Va bene.- gli rispose Paul. -Ma dovete dirci cosa è successo.
Rachel chiuse gli occhi, sospirando.
-Abbiamo visto un fantasma.
Nei giorni a venire, la figura perlacea dell'uomo dai capelli scompigliati non avrebbe mai abbandonato Rachel Mallory. L'avrebbe rivista nei suoi sogni, dove il fantasma scivolava lungo il corridoio della villetta abbandonata. L'avrebbe tormentata, attanagliandola di dubbi.
Rachel era sempre stata razionale. Coraggiosa, sì, sempre attiva e curiosa, ma scettica e logica. Lei non aveva mai creduto a storie di fantasmi e vampiri. Era fermamente convinta che non esistessero gli alieni, che le favole fossero solo stupidaggini.
Eppure, la sua mente dovette accettare quel che vide quella notte: il fantasma di un uomo.
Non lo raccontò a nessuno. D'accordo con Erick, finse nel raccontare ai suoi amici che il loro era stato solo uno scherzo, che avevano mentito dicendo di aver visto il fantasma nella casa, giusto per impressionarli.
Non ne fece parola con i suoi genitori, che avrebbero sicuramente iniziato a temere dello stato di salute mentale della loro bambina.
La sua vita andò avanti come sempre, agli occhi di tutti era la solita, allegra e permalosa Rachel, ma il dubbio che la rodeva non svanì mai.
Chi era quell'uomo? Era davvero un fantasma?
Rachel Mallory ricevette le sue risposte solo dopo che furono passati mesi e mesi da quel bizzarro evento. Le ricevette la mattina del ventisei luglio 2133, nel giorno del suo undicesimo compleanno, quando davanti ai suoi stessi occhi un gufo planò davanti al vetro della sua finestra strigendo tra le zampe una grossa busta di pergamena gialla.
Ricevette quelle risposte la prima volta che, seduta sul suo letto nel dormitorio delle Grifondoro del primo anno, si rigirò curiosa tra le mani un libro il cui titolo recitava Vita e miracoli del grande Harry Potter e lo aprì, per poi sfogliarlo e scoprire tutto su dove Potter aveva vissuto e che aspetto aveva avuto durante la sua vita, spentasi nel 2086.
Fu solo allora che sorrise, sentendo che tutto ciò che aveva vissuto l'anno prima faceva parte del suo mondo, e che il fantasma dell'uomo smise di farle visita nei suoi incubi.

*

Questa storia partecipa alla maratona notturna
Trick or treat?,  un'idea del « Collection of Starlight, » said Mr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 »


Note: ... No, cioè, l'ho davvero pubblicata? Ho davvero pubblicato questa cosa? Ho davvero scritto una storia dalla trama tanto assurda?
Ok. Ho avuto il coraggio di pubblicarla, evidentemente, se voi state leggendo queste note. Duuunque... come avrete sicuramente già capito, la storia è stata scritta per la Maratona Horror organizzata dal Collection of Starlight. Ho preso ispirazione da una lista di Plot, a colpirmi è stato questo: La notte di Halloween era tradizione tra i bambini della città una visita alla vecchia casa in rovina. Cosa si troveranno ad affrontare una volta varcata la porta?
E m'è venuta l'ispirazione. Beh, spero che questa follia vi piaccia. Tanti saluti e buonanotte, che io sto cascando dal sonno, ma non ho alcuna intenzione di staccarmi dalla Maratona e continuerò a scrivere.<3 (Oh, piccolo appunto: Cotterfly è un villaggio inglese inventato da me, dove secondo la mia versione dei fatti Harry, Ron, Hermione e Ginny sono vissuti dopo la guerra, crescendo i loro adorabilissimi pargoli.)
   
 
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