Eccomi
qui
con un altro capito!
Questo è
più lungo del precendente, e
scopriremo qualcosa sulla vicenda che tormenta il nostro adorato
frontman.
Ed
entrerà in
scena un personaggio un po’, come dire, particolare.
Bene,
non
anticipo nient’altro.
Fatemi
sapere
che ne pensate (nessun obbligo eh! XDDD)!
Vi
lascio alla
storia…buona lettura!
Continuava a
fissare il suo caffè,
ormai freddo. Aveva già perso due coincidenze, e ne avrebbe
perse ancora, se
non avesse avvertito una presenza accanto a lui. Un uomo dalla pelle
scura e la
barba grigia era sbucato quasi dal nulla.
Indossava un
cappotto nero, un
cappello un po’ demodé, e una sciarpa rossa.
Teneva un bastone con entrambe le
mani. I suoi occhi erano talmente scuri da risucchiarti dentro, come un
buco
nero.
Jared non
riusciva a distogliere il
suo sguardo da quella figura che sembrava racchiudere in sé
una saggezza
millenaria.
“Salve
Jared.”
Il tono
confidenziale di quell’uomo
turbò il cantante, che per lo stupore sbarrò gli
occhi.
“Scusi?”
“Non
sei tu Jared Leto?”
“Sì
ma…come fa a conoscermi?” chiese,
corrungando la fronte.
La risata
cristallina dell’uomo
spezzò la tensione che si era creata.
“Semplice
figliolo, sono un amante
del rock! – esclamò accompagnando la parola rock
con il tipico gesto della mano – Ammetto di non seguirlo
assiduamente dai tempi
d’oro dei Beatles e dei Rolling Stones, ma le mie orecchie, -
e le indicò -
nonostante l’età, funzionano perfettamente. Riesco
ancora a riconoscere il
talento quando lo sento, e la tua band, caro mio, è davvero
eccezionale.”
“Oh,
beh…la ringrazio signor?”
“Jeremia…Spencer”
Lo disse come se
l’avesse pensato sul
momento, ma Jared pensò semplicemente che
l’età gli avesse giocato un brutto
scherzo.
“La
ringrazio Signor Spencer.”
“Chiamami
pure Jeremia, figliolo!- e
gli diede una pacca sulla spalla- Senti, è da un
po’ che ti tengo d’occhio…ti
ho visto fissare per minuti infiniti quel caffè, che con
tutta franchezza io
getterei nel cestino, ma vabbè, de
gustibus…Comunque, la mia domanda è:
“Cosa
ti turba?””
Ma che diavolo
voleva da lui
quell’uomo? Non poteva semplicemente salutarlo, chiedergli un
autografo per la
nipote, se ne aveva una, e andarsene? Jared era infastidito, ma decise
comunque
di rimanere rispettoso. Era pur sempre un uomo più grande di
lui, nonostante
l’invadenza.
“Nulla.”
“Nulla
è sempre sinonimo di donna.
Non è così?”
Bingo. Il
vecchio aveva centrato il
punto. Ma questa volta il tono comprensivo di quell’uomo non
lo infastidì, e i
suoi occhi tornarono ad esercitare la loro attrazione su di lui.
Jared
annuì.
“Ti va
di parlarne?”
Quella domanda,
quel modo quasi
paterno di pronunciarne le parole, distrusse ogni barriera e
vanificò ogni
tentativo del frontman di rimanere solo con il proprio dolore.
Le parole
uscirono da sole.
“Si
chiama Kate, ed è…bellissima. La
creatura più meravigliosa che abbia mai visto. Mi ha rubato
l’anima
nell’istante stesso in cui ha incrociato i miei occhi. Mi
seguiva da tempo. Era
un’Echelon. In un certo senso l’ho vista crescere,
ma il ricordo di lei da
ragazzina è così flebile che quasi non esiste.
Il mio primo,
vero, ricordo di lei
sono i suoi occhi, luminosi e pieni di vita, che cercavano i miei
quella notte
di un anno e mezzo fà a Santa Cruz, in California, durante
lo show.
Mi
aveva aspettato fuori nonostante la
stanchezza.
Era insieme ad
altre ragazze,
groupies forse, molto belle ma mai quanto lei. Lei era come un diamante
tra i
rubini, non so se mi spiego. Ero accecato.
Quella stessa
notte avrei rotto il
patto che avevo stipulato con me stesso tempo addietro, se non mi
avesse
rifiutato: sesso con chiunque ma non con le Echelon.
Ciò
nonostante non mi arresi.
La
desideravo più di qualsiasi altra cosa e il
suo no era un motivo sufficiente
per
continuare a provare.
Mi
disse che sarebbe stata presente a molti
altri show della California.
Finii col
contare i giorni che mi
separavano da lei.
Cercavo
i suoi occhi, la sua bocca, e suoi
capelli lunghi e setosi, nelle mie amanti. Tutto inutile.
Ogni volta che
la rivedevo mi rendevo
conto di quanto quelle donne fossero distanti dalla sua bellezza.
Mi stavo
innamorando
irrimediabilmente.
Lei
era unica. E labile.
Mi
sfuggiva dalle mani come acqua cristallina.
Ero talmente
abituato a perderla che
non mi resi nemmeno conto di averla conquistata. Probabilmente fu anche
colpa
dell’alcol che avevo deciso di trangugiare quella notte.
La notte del
nostro primo bacio.
Il suo sapore,
sulle mie labbra, era
afrodisiaco.
Una droga.
Più
ne avevo, più ne volevo.
E il suo corpo.
Dio, se solo
avessi potuto possederlo
ogni attimo della mia vita.
Se fosse stato
possibile vivere
unicamente di passione, l’avrei fatto.
Ma
tutto era sul punto di cambiare.
“The
Kill” aveva varcato i confini dell’America,
e con essa si erano aperte nuove possibilità.
I Thirty Seconds
To Mars sarebbero
sbarcati in Europa, e poi in Oceania, Asia e Sud America.
Gli ultimi tre
show americani, prima
del tour europeo, si tenevano in California.
La
portai via con me.
Mi
ci erano voluti cinque giorni e un
centinaio di dollari di telefonate per convincerla ad usufruire del
tourbus
della band, per quel minitour californiano.
Sa
essere così testarda a volte.
Le
parlai della nuova avventura che ci
aspettava e le chiesi di venire con me.
Disse
che non poteva.
Potevo leggere
nei suoi occhi il
desiderio di seguirmi e il peso della sua scelta.
Ero triste e
deluso, ma non potevo
biasimarla
. È
giovane ed impegnata nella
costruzione del suo futuro. Il College. La sua amata Medicina.
Diventerà un
grande medico, ne sono sicuro.
La fine di
gennaio arrivò in fretta,
forse anche troppo.
Le
chiesi nuovamente di partire con me. Non
avevo nulla da perdere in fondo.
Ricevetti un
altro no e una nuova
chance: mi aveva concesso la libertà di andare con altre
donne se l’avessi
reputato necessario.
Sapeva quanto
gli uomini potessero
essere deboli, e io non facevo eccezione.
C’era
una sola condizione: lei non
avrebbe mai dovuto saperlo.
Nessuna
voce. Nessun sospetto.
Notti segrete in
cui ero solo un corpo
senz’anima che soddisfava i suoi bisogni più
impuri.
I primi due mesi
non furono
difficili.
Le date erano
poche ed intervallate
da lunghe pause che mi permettevano di tornare a LA, e di stare con lei
abbastanza a lungo da imprimermi nella mente l’odore della
sua pelle e il
calore del suo corpo.
Ma poi
arrivò aprile, che avrebbe
portato con sé tre settimane di astinenza dalla mia droga
preferita.
Provai
a restarle fedele, ma con il passare
del tempo l’intensità dei miei propositi si
affievoliva. Insomma, certe
abitudini non muoiono mai, e l’essere circondato da belle
donne che avrebbero
fatto qualsiasi cosa per una notte con me non mi aiutava.
Era un circolo
vizioso: più passava
il tempo, più cresceva la mia fama;
più
cresceva la mia fama, più aumentavano le donne;
più passava il tempo, più
saliva il mio desiderio.
Cedetti una
volta, poi due, poi tre,
e così via, ogni notte; come un assassino al quale non
cambiava nulla uccidere
una persona, o ucciderne cento.
Avevo il suo
benestare, ed ero sempre
stato bravo a nascondere alla gente le mie avventure.
Di me si
è sempre e solo saputo ciò
che volevo si sapesse.
Continuavo ad
amare Kate ma qualcosa
si era rotto.
“Lontano
dagli occhi, lontano dal cuore”.
Riuscivo a
gestire fin troppo bene la
sua mancanza, e Kate tornava ad essere il centro del mio universo solo
per il
tempo di una telefonata.
Se fossi stato
abbastanza bravo,
avrei avuto tutto: la musica, i viaggi, il sesso promiscuo e
l’amore di Kate.
Ero cambiato, o
forse ero
semplicemente tornato quello di sempre.
Mi
sentivo una versione romantica di Dr Jekill
e Mr Hyde : fidanzato perfetto in America, bastardo senza cuore
all’estero.
Ma
la situazione mi sfuggì di mano: non avevo
previsto la vendetta di una donna.
Era la
più tenace di tutte.
Quella
modella bionda sarebbe stata capace di
conquistare qualunque uomo. Ammaliatrice per passione, voleva essere
unica per
chiunque la tenesse tra le sue braccia. Ma io appartenevo a
qualcun’altra e lei
non riusciva a sopportarlo.
Così
decise di intervenire.
Si
presentò a casa mia in una calda
giornata di giugno, mentre ero impegnato per un altro giorno in Europa,
e
raccontò a Kate della notte che avevamo trascorso insieme
dopo il NovaRock, in
Austria, descrivendola come l’ultimo di una lunga serie di
incontri.
Kate
avrebbe voluto non crederle, ma i
dettagli del mio tatuaggio nascosto* erano una prova sufficiente.
Il mio ritorno a
Los Angeles fu
semplicemente terribile.
Non era venuta
in aeroporto sebbene
sapesse l’ora del mio arrivo. La chiamai al cellulare ma era
spento.
Avevo un
terribile presentimento,
così mi diressi il più velocemente possibile a
casa.
Uno strano
silenzio mi accolse.
Nessun
abbraccio.
Nessun bacio
appassionato.
Mi catapultai in
camera mia.
Kate
sedeva ai piedi del letto, con una nostra
foto in mano. Aveva il volto distrutto, come se avesse trascorso una
notte
insonne. O forse due.
Mi avvicinai
lentamente. Non volevo
spaventarla. Sembrava sconvolta, e non ne conoscevo il motivo.
“Kate,
tesoro, sono
qui…sono tornato.”
Passai
una mano sui suoi lunghi capelli. Si
irrigidì ancora di più. Pensai subito al peggio.
“
È successo qualcosa?
Ti hanno fatto del male mentre io non c’ero?”
La sua risposta
fu il silenzio. La
strinsi forte a me.
“Parla.
Dì qualcosa.
Qualunque cosa sia, la supereremo insieme amore…”
A quelle parole
si voltò di scatto
verso di me. Potevo leggere la rabbia nei suoi occhi.
“Non.
Chiamarmi.
Amore.”
Sbarrai gli
occhi per la sorpresa.
“C-Cosa?”
“Non
chiamarmi Amore!
Smettila di mentirmi! E lasciami! Mi fai schifo!”
Mi spinse
lontano da lei, strappò la
foto e si alzò dal letto.
“Ma
che ti prende?”
“Lo
sapevo. Lo sapevo.
Lo sapevo. Lo sapevo!”
Camminava
nervosamente avanti e
indietro, portandosi le mani tra i capelli.
“Cosa
sapevi Kate?
Spiegati! Fammi capire!”
Si
fermò e puntò i suoi occhi nei
miei.
“ Che
dovevi rimanere
chiuso in quel fottuto cassetto. Che avresti dovuto continuare ad
essere
soltanto la voce di un cd. Un poster. Il mio idolo.
Che tutto questo
era
sbagliato.
Che noi due
eravamo
sbagliati.
Che
io ti avrei amato sempre e comunque, senza
ricevere nulla in cambio. Che tu mi avresti amata per un’ora
o due al massimo,
ricevendo tutta me stessa.
Che saresti
partito.
Che non avresti resistito.
Che
non avresti tenuto fede alle tue
promesse.”
Ecco
perchè continuava a mantenere
delle distanze fra di noi: aveva paura di quello che rappresentavo.
Dell’uomo
che ero.
Darmi
totale fiducia e abbandonarsi
completamente alla mia vita, rinunciando alla sua, era un rischio che
non
poteva correre. Non c’erano garanzie nel mio modo di amarla.
L’avrei
distrutta lentamente.
Questo
pensiero mi raggelò il sangue. Ero
pietrificato, attonito. Non riuscivo a proferire parola. E lei
continuava a
parlare con le lacrime che le offuscavano la vista.
“ Ti
avevo chiesto una cosa, Jared, una sola!
Nessun vincolo,
nessun
obbligo, ma un semplice atto di rispetto nei miei confronti: non farmi
venire a
conoscenza delle donne con cui vai a letto.
E invece, ecco
che mi
ritrovo una modella bionda davanti alla porta di casa, che mi vomita
addosso i
dettagli della vostra pseudorelazione!”
Capii subito a
chi si riferiva.
Quella
puttana le aveva mentito, ma ciò non
annullava le mie colpe. Avrei voluto urlare la mia rabbia a causa di
quella
maledetta donna, ma mantenni la mia stoica calma. Avevo una buona carta
da
giocare per uscire indenne da quella storia.
Per
risolvere tutto.
“Non
c’è nessuna
“pseudorelazione”.
Una
notte, una sola notte insieme. Sesso e
nient’altro.
Sapevi che
l’avrei
fatto, no? Sapevi che non avrei resistito a lungo senza di te.
Me
l’hai detto tu
stessa, o l’hai dimenticato?”
Senz’alcun
dubbio la miglior difesa rimane l’attacco.
Ero
stato semplice, diretto, e apparentemente
disinteressato. Come se non fossi stato io. Come se non
l’avessi tradita.
“
Sì…ma…”
Non sapeva cosa
dirmi. Era tutto
vero: era consapevole che io, come tutti gli uomini, fossi un debole
con dei
bisogni e mi aveva dato il permesso di soddisfarli. Non le lasciai il
tempo di
replicare, e continuai ad infierire.
“ E
allora perché te la
prendi così tanto??
Io
non posso controllare le azioni degli
altri!
Non le ho mica
detto io
di venirti a cercare! Non ne sapevo nulla.
Io
ho fatto il mio dovere.
Nessun
paparazzo,
nessun giornale, nessuno sa di lei.
Il tuo onore
è
intatto.”
“E il
tuo? Il tuo lo
è?”
No. Non lo era.
Mi facevo schifo, ma
che senso aveva ammetterlo? Ormai il danno era fatto.
Rimasi sulla
difensiva.
“Non
è di me che stiamo
parlando.”
“No,
hai ragione. Stiamo
parlando di noi e del fatto che non te ne importa nulla.”
Forse era
davvero così, ma la sua
presenza mi confondeva. Negai.
“Non
è vero…e lo sai.”
“Io
non so più niente…”
Le sue lacrime
mi facevano
maledettamente male. Era tutta colpa mia.
“
Kate…Dio, Kate,
smettila di piangere, non sopporto vederti in questo modo.”
“Non
ci riesco Jay…non
ce la faccio…io…”
“
Shhhh, vieni qui…”
L’abbracciai.
Non mi ero reso conto
di quanto mi fosse mancato tenerla tra le mie braccia. Non si oppose.
Era
troppo stanca per farlo.
“Io
credevo di
riuscirci, di essere forte abbastanza per sopportare le distanze, i
tradimenti,
la solitudine, la tua fama, ma…mi sento così
debole adesso…”
Sentivo le sue
lacrime attraverso la
maglietta. La stringeva come se fosse l’unica cosa che le
permetteva di tenersi
in piedi. Le presi il volto tra le mani e la guardai dritto negli occhi.
“Sono
io ad essere
debole Kate.
Sono io che non
riesco
a dare un freno ai miei istinti e mi dispiace…non sai
quanto…ma è la mia vita:
è smodata e apparentemente senza senso, ma è
quello che ho sempre voluto.
È
un sogno che si sta avverando.
Dopo anni di
sacrifici
le porte si sono finalmente spalancate…e mi dispiace che le
implicazioni
colpiscano soprattutto te. Dovrei lasciarti andare via, ma sono troppo
egoista
per farlo.
Non
riesco a sopportare l’idea di non averti
accanto al mio ritorno.”
Ero sincero. E
Kate aveva smesso di
piangere. Si sarebbe risolto tutto…o almeno così
credevo.
“È
così difficile per
me, Jay. Sono costantemente divisa tra ciò che sono e
ciò che vorrei…per
entrambi.
Da
Echelon urlerei con quanto fiato ho in gola
l’orgoglio e la felicità per il successo che state
ottenendo. Ve lo meritate,
siete così bravi! Non c’è stato un
momento in cui ho pensato che non ce
l’avreste fatta.
Ma da donna,
quella che
ha scelto di essere la tua compagna, tremo all’idea di
ciò che potrebbe
accadere.
Ho paura che un
giorno
tu non tornerai…”
Osservavo le sue
labbra rosse e
martoriate. Quanto desideravo quei morbidi petali di rosa.
“
Tornerei sempre e
comunque…da te…”
Mi avvicinai.
Ero distante un soffio
dalla sua bocca. Lei scosse il capo in segno di diniego e tolse le mie
mani dal
suo viso.
“No,
Jared.
La
verità è che la fama
ti sta logorando, e che un giorno farà ritorno un uomo che
avrà le tue stesse
mani, le tue stesse labbra e i tuoi stessi occhi…ma non
sarai più tu.
E io non potrei
sopportarlo. Sarebbe troppo per il mio povero cuore.”
Acqua
cristallina via dalle mie mani.
Di nuovo.
“No…”
“
È così Jay…è chiaro
come il sole.”
“No!”
“ Non
siamo fatti per
stare insieme. Due mondi troppo
diversi…Noi…”
Dovevo fare
qualcosa.
“Basta,
smettila! So
già dove vuoi andare a parare. Non dirlo, non pensarlo! Non
farlo!”
“È
la cosa più giusta da fare.”
“Non
lasciarmi Kate! Ti
prego!”
Avrei voluto
fermarla.
“Mi
dispiace Jared. È
finita.”
Ma non lo feci,
e così Kate uscì da
quella porta e dalla mia vita.
In un attimo
l’avevo persa.”
Jared
tornò a guardare l’uomo accanto
a lui.
“È
andata via così, Jeremia. E io le ho
permesso di farlo.
La paura aveva
battuto il mio
egoismo.
No,
ma che dico? Ero semplicemente troppo
codardo per prometterle che sarei cambiato, e troppo egoista per fare
qualcosa
per riuscirci davvero.
Sono
una fottuta rockstar, con fottuti vizi. E
la fama mi sta logorando.
Ma
la sua assenza, adesso, mi sta distruggendo
l’anima.”
*Si
vocifera che Jared abbia un tatuaggio in una zona del
corpo nascosta alla vista.
Non
so quanto ci sia di vero in questa storia, ma nel
dubbio, ho comunque utilizzato questa informazione come prova della sua
colpevolezza.