Fanfic su attori > Robert Pattinson
Segui la storia  |       
Autore: RobTwili    01/11/2011    10 recensioni
Sequel di Redemption
Sono passati tre anni da quando Aileen ha varcato il cancello della clinica di disintossicazione.
Tre anni trascorsi a fianco di Robert.
Lui l’ha aiutata a superare ogni difficoltà, anche quando i fantasmi del passato hanno deciso di uscire.
Lei si è impegnata con tutta se stessa per cercare di non deludere lui, l’unica persona che abbia mai tenuto a lei.
Sono buoni, ottimi, amici; condividono una casa a Los Angeles.
C’è però un piccolo problema… Cupido, come sempre, è uno stronzo.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'My Redemption is Beside you'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
7
Sequel di Redemption. Non è necessario aver letto il prequel per comprendere questa storia. Ho cercato di riportare alcuni eventi in modo che possa risultare comprensibile a tutti.







«Che c’è?» sbottai, alzandomi dal divano per andare al piano di sopra.
«Devo andare da Xavier». Stava correndo giù per le scale, legandosi i capelli.
«Cosa?» chiesi, sbalordito.
Era tornata a casa meno di dieci minuti prima, arrabbiata perché aveva litigato con il suo Xavi, e ora stava correndo da lui.
«Mi accompagni?». Si fermò a pochi passi da me, per guardarmi.
Rimasi per qualche secondo immobile.
Era il momento di decidere.
Se l’avessi accompagnata, Lee sarebbe rimasta a dormire da Xavier.
Loro due, su un letto.
Qualcosa mi diceva che non ci sarebbero state barriere di stoffa a dividerli.
Se, invece, non le avessi dato il permesso di raggiungere Xavier, Lee sarebbe rimasta lì, con me.
«No» sussurrai, stupendo Aileen e anche me stesso.
«Come?». Aggrottò leggermente la fronte, confusa.
«Non ti accompagno da Xavier» dissi con un po’ più di voce.
Sembrava che avessi preso coraggio.
«Perché?» domandò Lee  stupita: per la prima volta le avevo detto ‘no’.
«Perché credo che non sia giusto correre da lui così. Avete litigato meno di dieci minuti fa, e adesso, dopo che ti ha chiamato dicendoti probabilmente che non voleva litigare e che ti ha detto tutte quelle cose per rabbia, tu corri da lui». Respirai a fondo, cercando di calmarmi.
Come scusa poteva reggere, anche perché, in fin dei conti, non era poi tanto una scusa.
Lee non doveva arrendersi così, se avevano litigato per un motivo, non doveva cedere immediatamente.
Troppo facile chiamare e scusarsi con la vocina triste.
«Oh… forse hai ragione» bisbigliò, appoggiandosi con le spalle al muro. «Non ci avevo pensato. Grazie Rob». Sorrise appena, cominciando a salire le scale di nuovo, probabilmente per ritornare in camera sua.
Rimasi immobile, senza quasi respirare: volevo sentire che cosa Lee avrebbe detto a Xavier.
Pochi secondi dopo, udii la sua voce.
«Ciao… sì, credo sia meglio se non ci vediamo questa sera». Attese qualche secondo, prima di continuare «no, non è che sono ancora arrabbiata con te. Però abbiamo appena litigato e non voglio vederti adesso. Certo che ci vediamo domani, che discorsi sono?» sbuffò, leggermente irritata. «Va bene. Buonanotte». Quando Lee salutò Xavier, corsi giù per le scale, e mi lanciai sul divano per meglio nascondere il fatto che stessi origliando la conversazione.
L’ultima cosa che mi serviva in quel momento era una discussione con Lee perché avevo ascoltato la sua telefonata.
«Rob, rimango a casa». Lee si distese sul divano, appoggiando i suoi piedi sulle mie ginocchia.
«Bene» mormorai, non sapendo che dire.
Non mi piaceva origliare o mentire, non era da me.
«Guardiamo un film? Xavier mi ha detto che gli piacerebbe guardare un film con me, ma non mi ricordo il titolo. È qualcosa con un ballo e qualche città…» bofonchiò pensierosa, dandomi un calcio sulla gamba perché le prestassi più attenzione.
Impossibile.
Xavier non poteva averle detto di guardare quel film assieme a lei.
Era sconveniente, era…
No! Non avrei mai permesso a Lee di guardare quel film con lui, e non l’avrebbe visto nemmeno con me.
Era troppo rischioso.
«Ho capito di quale film stai parlando, ma non mi ricordo il titolo» mentii. Rimanere di fianco a Lee, in una stanza buia, illuminata solo dalla luce proveniente dallo schermo della TV mentre guardavamo Marlon Brando? Non era una mia priorità quella sera, non dopo quello che avevo scoperto.
«Va bene» piagnucolò, sistemandosi meglio, cercando di spostarmi per farmi cadere dal divano.
«Lee, dai» la ammonii. Non avevo voglia di scherzare o giocare in quel momento.
«Rob, sei acido questa sera» sbuffò arrabbiata, mettendosi a sedere. «Rimanere senza lavoro ti fa diventare insopportabile». Incrociò le braccia al petto, cominciando a fissare la TV.
Non riuscii a trattenermi e cominciai a ridacchiare, irritandola ancora di più.
Quando si arrabbiava, Lee sembrava una bambina capricciosa.
«Smettila» mi avvertì, come se avesse davvero voluto farmi del male.
Iniziai a ridere ancora più forte, appoggiando la nuca sul divano.
«Ripeto per l’ultima volta: smettila o te ne pentirai». Non mi guardava nemmeno; continuava a rimanere con lo sguardo fisso sullo schermo piatto.
Non riuscivo proprio a fermarmi, forse perché ridevo quasi in modo isterico dopo la scoperta che avevo fatto, o forse, perché veramente mi stavo divertendo.
«Cazzo, adesso ti tolgo io quel sorriso» strillò, lanciandosi addosso a me e cominciando a farmi il solletico.
«Lee» risi, cercando di ripararmi con le braccia, senza risultato.
Aileen non smetteva di farmi il solletico sui fianchi.
«Così la smetti di ridere» continuò a urlare, quando le presi i polsi.
«E come facciamo adesso?» la schernii, stringendo un po’ di più la presa, per farle capire che era in trappola e non sarebbe più riuscita a mettermi le mani addosso.
«Scemo, era esattamente quello che volevo» ghignò, avvicinandosi pericolosamente al mio braccio con il viso.
Pochi istanti dopo, un dolore lancinante mi colpì all’altezza dell’avambraccio.
«Auch! Auch» urlai, mentre Lee continuava a stringere più forte i suoi denti sulla mia pelle. «Lee, smettila ti prego». Lasciai d’istinto la presa sui suoi polsi, portando le mani sul suo viso. Dovevo assolutamente spostarla e farla smettere. «Lee, mi fai male» strillai, ma strinse ancora di più la presa.
Che diamine le era successo?
Bear l’aveva morsa e si era presa la rabbia?
Sentii i denti di Lee lasciare il braccio e subito guardai il danno.
C’era tutto un segno rosso, per fortuna non usciva sangue.
«Allora?»  mormorò, spostandosi i capelli dal viso, «lo guardi o no questo film?». Mi sorrise, continuando a rimanere seduta sulle mie ginocchia.
«Tu sei fuori di testa» brontolai, scostandola in malo modo e correndo verso lo specchio d’entrata per controllare meglio la ferita.
«Te l’avevo detto che io i morsi li lascio profondi» scherzò, riferendosi a una chiacchierata di qualche giorno prima.
«Evita di fare queste cose, per favore». Salii le scale in fretta, per andare in bagno a disinfettarmi.
«Dai Rob, stavo scherzando» si lamentò seguendomi, forse cercando di scusarsi.
«Impara a non scherzare più così con me. Fallo con il tuo Xavi» sbottai gemendo non appena appoggiai un batuffolo di cotone imbevuto di disinfettante.
«Mi dispiace Rob. Non credevo di fare così male. Non doso più la forza dei denti». Si sedette sul ripiano di fianco al lavandino, appoggiando il mento su un ginocchio.
«Non sono cose da fare. Vuoi che provi io a morderti?» ribattei nervoso, lanciando il batuffolo di cotone dentro al cestino.
«Se può farti sentire meglio, va bene». Fece spallucce, scendendo dal lavandino. «Il posto lo scelgo io. Sul sedere, lì fa meno male». Si piegò leggermente, per sollevare il vestito che ancora portava.
«Sta ferma» gridai agitando le braccia e dandole subito le spalle.
No, non potevo farlo, mi avrebbe annientato solo il pensiero di poter dare un morso al sedere di Lee.
«Be’, io ti ho dato la possibilità di riscattarti, se non hai voluto sono solo fatti tuoi». Si incamminò verso la sua camera, chiudendosi la porta alle spalle.
Socchiusi gli occhi sospirando: Lee era veramente senza speranze.
Quante volte l’avevo ripetuto nelle ultime settimane?
Probabilmente troppo poche.
«Buonanotte» bisbigliai, prima di chiudermi in camera.
Mi tolsi lentamente i vestiti, indossando il pigiama senza fare rumore: volevo capire che cosa stesse facendo Lee.
Non sentivo rumori dalla sua camera ma era impossibile che si fosse già addormentata.
Quando sentii qualcuno bussare alla porta della mia stanza sorrisi, infilandomi sotto alle coperte.
«Rob?» sussurrò, aprendo appena la porta.
«Entra dai» ridacchiai, quando la vidi comparire con Leebert stretto tra le braccia.
«Mi dispiace, non volevo fare la cannibale». Si sedette sul bordo del mio letto, tenendo lo sguardo basso.
«Non fa niente» mormorai portandomi un braccio dietro la testa, per stare un po’ più comodo sulla testiera del letto.
«Io… volevo solo giocare un po’ con te. Ultimamente non giochiamo più come una volta» mi confidò, continuando a torturare le orecchie di Leebert.
Forse era colpa mia.
Perché non riuscivo più a vedere Lee nello stesso modo.
«Ma non ci siamo mai morsi in quel modo» scherzai, spostando la gamba per darle fastidio.
«No, infatti». Non rispose al mio tentativo di stuzzicarla.
«Dai Lee, in una settimana mi passerà» dissi cercando di sollevarle il morale.
«Mi perdoni?». Alzò improvvisamente lo sguardo, puntando i suoi grandi occhi color ghiaccio nei miei.
Rimasi per qualche secondo senza dire niente, davanti a quello spettacolo.
«Ma certo che ti perdono» acconsentii, sminuendo il tutto con un gesto della mano.
«Grazie Rob. Sei il Rob più Rob che ci sia». Lee mi abbracciò pronunciando quella stupida frase senza senso.
Ogni tanto la ripeteva, ma dopo tutti quegli anni dovevo ancora capire che cosa volesse dire.
«Adesso fila a dormire, su». Le accarezzai velocemente la schiena, sciogliendo subito dopo l’abbraccio.
«Buonanotte Rob» mormorò prima di stamparmi un bacio sulla guancia.
Abbracciò Leebert e sgattaiolò fuori velocemente, chiudendo la porta dietro di lei.
«Lee… prima o poi mi farai impazzire» mormorai passandomi una mano tra i capelli.
Il mio cellulare squillò; lo presi sorridendo: magari era Lee che cercava di farsi perdonare anche con un messaggio.
Quando lessi il nome del mittente, il sorriso sparì per qualche secondo, per poi ritornare.
Era Andrew: mi chiedeva se potevamo trovarci per cena visto che per una sera si trovava a Los Angeles.
Dopo avergli risposto di sì, appoggiai la testa sul cuscino e mi addormentai, sognando Lee che mi mordeva ancora una volta il braccio.
 
«Lee, questa sera devo uscire con Andrew a cena, ti dispiace?» biascicai, sfiorandole i capelli con un bacio; non la smetteva di lamentarsi perché l’avevo svegliata a mezzogiorno.
«No» borbottò, nascondendosi di nuovo sotto alle coperte.
«Perfetto. Ah, ti ricordo che cominci il turno tra tre ore…» strillai chiudendo la porta della sua camera alle mie spalle.
«Cosa?». Sentii l’urlo di Lee dalle scale e non potei non ridere. «Cazzo» urlò di nuovo, aprendo la porta di colpo tanto che sbatté contro al muro. «Vado a farmi una doccia».
Scesi in cucina per preparare qualcosa per pranzo e notai subito che il cellulare di Lee si stava illuminando.
Le era appena arrivato un messaggio.
Mi avvicinai, curioso, per vedere chi fosse.
Xavier.
In verità, il suo Xavi le aveva mandato nove messaggi.
Forse gli era successo qualcosa di grave e voleva avvertirla, meglio andare da Lee per dirglielo.
Presi il suo cellulare tra le mani, mentre una parte di me continuava a dirmi di leggere i messaggi. Riuscii però a resistere e, una volta arrivato davanti alla porta del bagno, bussai.
«Che c’è?» urlò, chiudendo un po’ il rubinetto dell’acqua.
«Xavier ti ha mandato nove messaggi» urlai, perché potesse sentirmi nonostante lo scrosciare dell’acqua e la porta chiusa.
«Nove? Leggili per favore». Chiuse definitivamente l’acqua, per sentire meglio.
Io? Io dovevo leggere i suoi messaggi? I messaggi che le aveva mandato Xavier?
«Ehm… Lee, non credo sia una buona idea» mormorai, guardando lo schermo del cellulare con diffidenza.
«Dai cretino, ti do il mio permesso. Leggili» sbraitò, arrabbiata.
«Ok, ok» mormorai sbloccando il cellulare e prendendo un respiro profondo. “Dio fa che non ci sia scritto niente di male” pensai.
«Allora?» chiese, impaziente.
«Lee-Lee, ho tanta voglia di vederti. Hai la casa libera questa sera?». Strinsi il cellulare tra le mani, stringendo i denti.
Gli avrei fatto passare io la voglia di vedere Lee, poco ma sicuro!
«Ohh» mormorò ridacchiando. «E gli altri che cosa dicono?» si informò, aprendo un po’ l’acqua.
Probabilmente aveva preso freddo.
«Ti ha mandato lo stesso messaggio nove volte, forse voleva essere sicuro di avere la casa libera» sibilai, con un po’ troppa ironia.
Perché ci teneva tanto a non vedermi?
Gli davo così fastidio?
«Puoi rispondergli che questa sera sono a casa da sola?» strillò Lee.
Lee e Xavier a casa nostra.
Da soli.
Pessima, pessima idea.
«Certo». Digitai velocemente il messaggio prendendomela forse un po’ troppo con i tasti.
Gli serviva una lezione.
«Grazie Rob». Lee aprì appena la porta del bagno e mi sorrise, allungando la mano per prendere il suo telefono.
Dopo averglielo dato, camminai velocemente verso la mia camera: sapevo esattamente che cosa fare.
Scrissi il messaggio velocemente, scusandomi con Andrew perché quella sera non sarei potuto andare a cena fuori con lui.
Quando Lee scese, prendendo una mela per mangiarla andando al locale, continuai a mangiare il mio hamburger come se tutto fosse stato normale.
«Rob, ti trovo a casa quando torno?» biascicò, parlando con la bocca piena.
«Non lo so. Dopo chiedo a Andrew a che ora ci troviamo» mentii, abbassando lo sguardo su una macchia di ketchup.
«Ok. Allora a dopo». Mi scompigliò i capelli, facendomi mugugnare infastidito.
Sentii la sua risata e subito dopo il rumore della porta che si chiudeva.
Bene, la casa era libera e dovevo solo progettare un modo per tenere Xavier lontano da lì.
Partendo dal piano superiore, avrei potuto… allagarlo, per esempio.
No, idea troppo idiota.
Chiudere la porta della camera di Lee a chiave e gettarla nello scarico del bagno era ancora toppo infantile.
L’unica idea che sembrava abbastanza ‘fattibile’ era rimanere appiccicato a loro per tutta la serata, così che non potessero avere nemmeno un momento per loro due.
Se avessero deciso di guardare la tv non li avrei fatti rimanere nemmeno seduti vicini, peggio ancora se avessero decido di guardare il film di cui mi aveva parlato Lee.
 
Quando Aileen tornò, finito il turno di lavoro, si sorprese di trovarmi a casa.
«E tu che ci fai qui?» domandò, lanciando le scarpe dietro la porta.
«Andrew non può più venire a cena questa sera e così rimango a casa. Non ti dispiace, vero?» chiesi quasi con innocenza, aspirando una boccata della sigaretta che mi ero acceso qualche minuto prima.
«No, certo che no. Però tra poco arriva Xavier. Io devo andare un attimo a cambiarmi. Se arriva lo fai entrare, per favore?». Stava già correndo su per le scale, senza aspettare una mia risposta.
«Con molto piacere» ghignai, strofinandomi le mani.
Il piano per non farli rimanere da soli sarebbe cominciato entro pochi minuti.
Quando il campanello di casa suonò, corsi ad aprire la porta con un sorriso amichevole.
«Xavier» salutai, non appena fu abbastanza vicino da vedermi.
«Rob?» sussurrò stupito, fermandosi per un attimo davanti alla porta.
«Esatto» scherzai, avvicinandomi per dargli una pacca sulla spalla. «vieni, entra pure». Lo costrinsi a entrare in casa, proprio quando Lee scese dalle scale con un paio di pantaloncini corti e una magliettina bianca.
«Ciao Xavi» gridò Lee, correndo ad abbracciarlo.
«Lee-Lee» sussurrò lui in risposta, baciandole una guancia, per i miei gusti con troppa confidenza.
«Rob rimane a casa, spero non ti dispiaccia» disse Lee, sciogliendo l’abbraccio.
«Oh. No, certo che no…». Si vedeva che stava mentendo e che in verità gli dava fastidio la mia presenza.
«Bene ragazzi, che cosa facciamo adesso?»  chiesi con un sorriso, guardando prima Xavier e poi Aileen.
«Io… non saprei» mormorò Lee, chiedendo aiuto con lo sguardo a Xavier.
Era il momento di metterlo in difficoltà.
«Xavier, che cosa avevi intenzione di fare stasera? Così la facciamo lo stesso» proposi, continuando a sorridere.
Non avrei mollato l’osso con facilità.
Tom mi aveva detto di comportarmi da uomo e che dovevo tirar fuori le palle: lo stavo facendo.
«Io… volevo guardare un film» mentì.
Me ne accorsi subito, perché alzò leggermente un sopracciglio.
«Allora guardiamolo! Qualche idea?». Mi avvicinai allo scaffale pieno di DVD, aspettando una sua risposta.
«Non saprei» bisbigliò prima di schiarirsi la voce, guardando Lee.
«Potremmo guardare Eclipse, così per ricordare come ti ho ucciso perché non mi avevi ascoltato». Ironia inglese.
«O-ok» acconsentì, per nulla convinto.
«No, Rob. Che cosa stai dicendo? Io non voglio guardare quel film! Non mi piace. Se ti va potremmo vedere quello che ti dicevo ieri sera… come si chiama?». Ci pensò su per qualche secondo e inorridii.
No!
Non avrei visto quel film con loro due assieme!
«No, non ce l’ho. Mi dispiace» mentii, spostandomi verso destra, visto che sapevo esattamente dov’era il DVD.
«Oh, peccato. Allora guardiamo quello che volete. Ma non Eclipse. Ti vedo tutti i giorni Rob, e guardarti anche sullo schermo mentre dici di no a una trombata con Bella Swan mi sembra un po’ troppo… come dire?». Finse di pensarci su, portandosi l’indice al mento.
«Mentre voi decidete che film guardare io vado in cucina a prendere una bottiglia d’acqua. Qualcuno vuole qualcosa da bere?» chiesi, guadagnandomi un’occhiataccia da Lee e un no da Xavier. «Ok» mormorai, incamminandomi verso la cucina.
«Scusa, non sapevo che sarebbe rimasto a casa» sussurrò Lee, purtroppo non abbastanza piano perché io non la sentissi.
«Dovevamo essere da soli». Xavier sembrava veramente irritato, non si era nemmeno accorto di aver alzato un po’ troppo il volume della voce.
Velocemente presi una bottiglietta d’acqua ritornando dietro la porta: volevo sentire che cosa avevano da bisbigliarsi.
«Sei sicura che funzionerà?». Xavier sembrava titubante.
Che cosa avrebbe dovuto funzionare?
«Fidati. Comincio io» bofonchiò Lee, sistemandosi meglio sul divano quando chiusi la porta della cucina alle mie spalle.
«Eccomi qui» dissi, sedendomi di fianco a Lee.
«Sai Xavi, prima stavo riguardando Glee, e ho visto la puntata di San Valentino, quella di Puck e la ragazza con gli occhiali. C’era quella scena dello sgabuzzino, qualcosa con paradiso…» Lee ci pensò su, cercando di ricordare qualcosa.
«Oh, sì! I sette minuti in paradiso. Quel gioco era popolare quando ero piccolo» ridacchiò Xavier.
«Una stupidata. Ti  chiudevi nello sgabuzzino con una ragazza e la baciavi per sette minuti…» rabbrividii al ricordo di un brutto episodio dentro alla stanza delle scope alla Harrodian.
«Be’, direi che non le baciavi soltanto, no? Io almeno non le baciavo solamente» ghignò Xavier, facendomi sparire il sorriso.
«Oh, Xavi! Non me l’avevi mai detto. Che ragazzo cattivo!». Gli diede una piccola pacca sul braccio, ridendo.
«Dai, l’hanno fatto tutti. No, Rob? Si partiva con i baci e poi… be’». Si passò una mano tra i capelli.
«Gli sgabuzzini in Inghilterra sono stretti» mormorai, in evidente imbarazzo.
«In Australia no. Direi che sono anche troppo grandi» sogghignò, facendo sghignazzare anche Lee.
«Fammi capire, tu durante l’orario di scuola ti chiudevi in sgabuzzino e lo facevi?». Lee era davvero stupita, lo guardava quasi con ammirazione.
«Sì. Ed ero anche bravo, sai? Nessuna si è mai lamentata delle mie qualità. E poi sapevo che fare. Ero un tipo sveglio già all’epoca». Ammiccò verso Lee, e io rabbrividii inorridito.
«Possiamo non parlarne?» mormorai schifato, cercando di riportare l’attenzione al televisore spento.
«Sono convinta di sapere molte più cose di te, Xavi» ribatté Lee, con una risata.
«Sono più vecchio di te». Si sistemò meglio sul divano.
«Ok, sentiamo: come fai a capire se una donna sta fingendo o meno?» domandò all’improvviso Lee, facendomi sussultare.
Ma che diamine stava dicendo?
Le sembravano discorsi da fare?
«Lee» bofonchiai imbarazzato, sperando che la finisse con quel discorso.
«Be’… urla?» rispose Xavier, insicuro.
«Vedi? È qui che tutti sbagliate. Secondo voi se una donna urla il gioco è fatto. Nessuno sa che è una questione di mosse». Lee si sistemò meglio sul divano, abbassando il tono della voce, come se stesse confidando un segreto.
«Ragazzi» li ammonii, cercando di attirare la loro attenzione.
«Shh, Rob! La questione si fa interessante, possiamo imparare qualcosa». Xavier mi diede un colpetto sul petto.
«Io non ho bisogno di imparare proprio niente. So arrangiarmi» sbottai irritato.
Credeva che fossi un novellino?
«Non saprei Rob… sono sicura di sapere qualche posizione in più di te» ghignò Lee, per niente imbarazzata.
«Lee-Lee, dovremmo provarle». Xavier si avvicinò un po’ ad Aileen che gli fece una linguaccia.
«Potreste non parlare di queste cose quando ci sono io con voi, per favore?». Gli avrei spaccato volentieri la faccia, sapevo cosa stava pensando.
Per Lee era normale, ma per lui?
«Hai ragione, non dobbiamo scatenare la tua invidia, anche perché tu adesso non hai la ragazza. Xavi, andiamo in camera mia? Così possiamo parlare tranquillamente». Lee si alzò dal divano e lo stesso fece Xavier.
Come, in camera di Lee?
«Io vado a dormire, mi è venuto sonno» sbottai, cominciando a salire le scale senza nemmeno salutare.
«Cercheremo di non fare rumore Rob. Se senti suoni strani picchia contro al muro» sghignazzò Lee, facendomi stringere i pugni per la rabbia.
Sbattei la porta della mia camera per chiuderla; pochi secondi dopo sentii lo scatto della serratura della camera di Lee.
Stavano ridendo.
Oh, davvero divertente!
Accesi lo stereo per non sentire nessun rumore molesto, ma inevitabilmente, ogni volta che mi sembrava di sentire qualcosa sbattere contro al muro o un grido, abbassavo il volume per controllare.
Dovevo assolutamente fare qualcosa.
Lee e Xavier non si stavano comportando bene.
«Dai, Xavi» urlò all’improvviso Lee, prima di cominciare a ridere.
«Shh» rispose lui. «No. Lee, no!» rise, assieme a lei.
Si stavano divertendo davvero tanto, dentro a quella stanza.
«Aspetta, alza la gamba, veloce» strillò Lee.
Che diamine stava succedendo?
«Lee, muoviti».
Basta!
Era troppo.
Aprii la porta della mia camera di colpo, tossendo prima di cominciare a scendere le scale.
Sapevano che ero ancora sveglio?
Scesi in cucina a bere un po’ d’acqua per cercare di calmarmi: mi sedetti su una sedia al buio, continuando a sorseggiare l’acqua.
Non mi resi nemmeno conto del passare del tempo, fino a quando sentii le voci di Lee e Xavier avvicinarsi.
Lee accese la luce d’entrata, prima di prendere la mano di Xavier per accompagnarlo alla porta.
«Ci vediamo domani» sussurrò lui, sorridendole.
«Baciami». Lee si avvicinò a Xavier, alzandosi sulle punte per essere più vicina a lui.
«Lee, c’è…» cercò di dire Xavier, ma non riuscì a terminare la frase perché Lee lo baciò.
Il tappo della bottiglia con cui avevo giocherellato per tutto quel tempo cadde dalla mia mano, mentre qualcosa all’altezza del petto si spostò, dandomi un leggero fastidio.
Fastidio che si intensificò, quando le mani di Xavier scesero lungo la schiena di Lee e si appoggiarono al suo sedere.
«Credo sia ora che tu vada a casa» sibilai, alzandomi di colpo dalla sedia e camminando velocemente verso di loro.
«Io…» cercò di scusarsi Xavier, facendo un passo indietro e lasciando il corpo di Lee.
«Subito». Aprii la porta per fargli capire che sarebbe stato davvero meglio per lui uscire da quella casa.
«A domani» sussurrò Lee, sorridendogli appena, prima che gli chiudessi la porta in faccia.
«Si può sapere che cavolo ti è saltato in mente? Ti sembra il modo di comportarti?» sbraitai, fregandomene di Xavier, che poteva sentirci.
«Di che cosa stai parlando?» chiese Lee stupita, guardandomi con gli occhi spalancati per la sorpresa.
«Di che cosa sto parlando? Ti metti a parlare di sesso e orgasmi con me davanti, andate in camera a fare chissà che cosa, e poi ti fai palpare il sedere in quel modo? Non le voglio vedere quelle cose, chiaro? Non ti devi comportare in quel modo». Stavo esplodendo e qualcosa mi diceva che quello era solo l’inizio.
«Rob, siamo una coppia, è normale, va bene? Cosa dovrei fare? Chiedergli delle api e dei fiori? E poi non ti devono interessare queste cose». Scrollò le spalle, facendo un passo verso di me.
«Stai scherzando, vero?» risi nervosamente, passandomi una mano tra i capelli.
«No. Credo solo che tu sia geloso perché non hai nessuna ragazza al momento, e per questo ti arrabbi con me». Incrociò le braccia al petto, forse per acquistare l’aria da dura.
«Vuoi davvero sapere perché sono arrabbiato con te, Aileen?» urlai.
Ero esploso.
«Forza, sentiamo, Robert».
Feci un passo verso di lei e, dopo averla presa per un braccio, la attirai verso di me per baciarla.
Chiusi immediatamente gli occhi quando sentii le labbra di Lee appoggiate alle mie.
Da quanto aspettavo quel momento?
Quante volte avevo immaginato un nostro bacio?
Aileen fece un passo indietro, guardandomi con gli occhi sgranati.
Si portò una mano sulle labbra e se le sfiorò con i polpastrelli; poi, senza dire nulla cominciò a correre su per le scale.
«Dove stai andando?» urlai seguendola.
Lee non mi rispose, continuò solamente a salire i gradini velocemente, per mettere distanza tra di noi.
«Non avevo finito il discorso» sbraitai, prendendola di nuovo per un polso e intrappolandola tra me e il muro.
Aileen continuava a tenere lo sguardo basso, così, dopo averle preso il viso tra le mani, la costrinsi a guardarmi di nuovo.
«Non mi guardi nemmeno?» borbottai, quando i suoi occhi cercarono di fuggire da me; non ci riuscì però, perché quando i nostri sguardi si incontrarono, non riuscì a rompere il contatto.
Era impossibile non perdersi in quel mare ghiacciato.
Ormai ero esploso.
Senza pensarci ritornai ad appoggiare le mie labbra su quelle di Lee.
Fu un bacio diverso, questa volta le labbra di Lee non rimasero impassibili, risposero al mio richiamo, giocando con le mie e strappandomi un gemito.
«Dio, non sai quanto ti voglio» mormorai appoggiando la mia fronte alla sua, quando smisi di baciarla.
Gli occhi di Lee si riempirono di lacrime all’improvviso, spaventandomi.
«Che succede?» sussurrai, togliendo con il pollice una lacrima che le stava scendendo sulla guancia.
«Perché hai detto così?» singhiozzò, prima di spintonarmi per correre in camera sua e chiudere la porta a chiave.
Cos’era successo?
Perché aveva reagito in quel modo?
«Lee» strillai, picchiando contro la porta della sua camera, perché mi aprisse.
«Vattene» urlò. Sentire la sua voce rotta dal pianto mi fece male, di nuovo.
Ero esploso, ma avevo ferito entrambi.
«Lee, apri». Picchiai più forte il pugno sulla porta. L’avrei anche buttata giù a calci.
«No. Vattene». Un nuovo urlo che arrivò dove non doveva arrivare.
Lì, al centro del mio petto.
Lasciai che il legno si conficcasse sotto le mie unghie, quando cercai di graffiare la porta.
Avevo sbagliato.
Non avrei mai dovuto reagire in quel modo.
Perché l’avevo baciata?
Perché le avevo detto che la volevo?
L’avevo spaventata.
Lee non mi avrebbe più permesso di avvicinarmi a lei.
In un momento di lucidità, pensai che magari Lee sarebbe potuta scappare da Xavier.
Non potevo permetterlo, no.
Prima di parlare con lui Lee doveva parlare con me.
Dovevamo chiarire quello che era successo.
Dovevo capire che cosa Lee provava per me.
Scesi velocemente le scale e raccolsi le chiavi delle macchine e di casa.
Lee non avrebbe potuto allontanarsi senza macchina.
Quando passai davanti alla sua camera, la sentii parlare.
«…eh, Leebert?» singhiozzò, mentre mi avvicinavo alla sua porta. «…bugia…» riuscii a capire, appoggiando la fronte sul legno bianco.
Aggrottai la fronte, stringendo la mascella, cercando di farmi forza.
Ero esploso e Lee stava soffrendo, come stavo soffrendo io.
Perché succedeva sempre così?
Chiusi la porta della mia camera dolcemente, senza fare rumore perché Lee non sentisse che ero ancora sveglio e avevo origliato, o peggio, che si accorgesse che erano sparite le chiavi delle macchine e di casa.
Impossibile riuscire a dormire quella notte: continuavo a girarmi e rigirarmi tra le lenzuola, ricordando il bacio che c’era stato.
Se chiudevo gli occhi, vedevo ancora il volto di Lee che si avvicinava al mio, sentivo il battito del mio cuore farsi più forte e insistente e avevo ancora la sensazione delle sue labbra sulle mie.
Quando anche il letto era diventato troppo scomodo, mi alzai e cominciai a scribacchiare il testo di una nuova canzone.
Non volevo scendere, sentivo i passi di Lee per la casa e una parte di me aveva troppa paura di uscire e incontrarla.
Cosa ci saremmo detti?
«Dove sono?» urlò, spalancando la porta della mia camera e spaventandomi.
«Cosa?» chiesi, appoggiando la penna sopra al letto.
«Non fare l’idiota. Le chiavi delle macchine, quelle di casa. Devo andare da Xavier, mi servono». Allungò la mano, appoggiando l’altra su un fianco, in attesa.
«Non so di che cosa parli» mentii, scivolando un po’ in avanti per nasconderle meglio sotto alle coperte.
«Tu stai impazzendo. Mi stai chiudendo dentro casa?» mi accusò, avvicinandosi a me.
«Sì. Sì, ok? Ti sto chiudendo dentro casa Lee. È tanto difficile da capire? Mi dà fastidio il fatto che tu vada da Xavier, perché è lì che stai andando, no?» urlai, fuori di me. «E allora, sai che ti dico? Vacci. Tieni». Mi alzai, strappando le coperte dal letto per trovare il più in fretta possibile le chiavi della macchina. I fogli con i pezzi di canzone si sparsero per il pavimento, ma riuscii comunque a trovare le chiavi, nonostante la confusione. «Ecco, tieni le tue stupide chiavi. Buona trombata». Lanciai le chiavi verso la porta, attento a non ferirla.
Mi sedetti sul letto, dandole le spalle; presi la mia testa tra le mani e cominciai a respirare lentamente per calmarmi.
«Rob». Un sussurro vicino a me che pensai di essermi immaginato. «Rob» udii, di nuovo.
Aprii gli occhi e mi accorsi che Lee era inginocchiata davanti a me.
Aveva un debole sorriso sulle labbra, ma riuscivo a vedere l’ombra del pianto di quella notte sui suoi occhi.
«Che c’è?» sibilai, tirandomi una ciocca di capelli.
«Mi dispiace» sussurrò Lee, allungando una mano verso di me. «Mi dispiace» ripeté, accarezzandomi una guancia. «Mi dispiace». Circondò il mio viso con le sue mani, continuando ad accarezzarmi le guance. «Scusami». Le sue labbra sfiorarono la mia fronte. «Non volevo». Arrivarono alle mie e sfiorò la bocca con dolcezza. «Perdonami». Tornò a baciare le mie labbra, una, due, tre volte.
Continuava a lasciarmi piccoli baci, poi qualcosa cambiò.
Un bacio diventò un po’ più profondo degli altri, e improvvisamente Lee si alzò, per sedersi sulle mie ginocchia.
«Lee…» mormorai, scostandomi appena dalle sue labbra, quando sentii le sue mani correre tra i miei capelli.
«Shh…» sussurrò, tornando a baciarmi.

 
 
 
 
Salve ragazze!
Scusate per il ritardo ma spero ne sia valsa la pena…
A questo capitolo ci tengo particolarmente (a dire la verità anche i prossimi due sono importanti, per me) e scriverlo non mi è risultato facile, specialmente nell’ultima parte.
Diciamo che stavo un po’ ‘impazzendo’ come Rob, e non è facile portare le sensazioni sullo schermo senza esagerare… spero di esserci riuscita e se volete lasciare un commentino per dirmi che ne pensate… ben venga!
Ringrazio preferiti/seguiti/ da ricordare, aumentate sempre di più e questa cosa mi fa felice!
Un ringraziamento particolare a Thecarnival che mi ha fatto un trailer di Redemption spaventosamente bellissimo!
Guardatelo, per favore! Lo trovate QUI, e vi consiglio di dare un’occhiata anche agli altri video del suo canale YT (ha fatto anche il trailer dei nerd, la mia originale…).
QUI c’è il gruppo spoiler e QUI il mio profilo.
Il CONTEST è stato prolungato e la data di scadenza è il 7 novembre: potete ancora partecipare, quindi… FORZA! :)
A lunedì prossimo!
   
 
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Robert Pattinson / Vai alla pagina dell'autore: RobTwili