BRIDGE:
I'm
not asleep,
but I'm not awake,
after the way you
loved me.
I'm
not dead just yet.
I'm
not dead, I'm just floating
doesn't
matter where I'm going,
I'll
find you.
I'm
not scared at all,
underneath
the cuts and bruises,
I
finally gained what no one loses:
I'll
find you,
I
will find you.
~
Tommy aveva ricominciato ad uscire.
Si divertiva, anche.
Be’, okay, forse no, ma fingeva tanto bene che a volte, per qualche istante, si illudeva che fosse vero.
Isaac, poi, era davvero fantastico. Gli stava vicino proprio come piaceva a lui: senza fare troppe domande, ascoltandolo, assecondandolo, perdonandogli tutto e offrendogli da bere, soprattutto! In più, lo teneva aggiornato su Adam, che invece – a quanto pareva – non aveva poi tutta quella voglia di divertirsi.
Tommy
non riusciva a non dispiacersene. L’ultima cosa che voleva
era che
Adam lo vedesse mentre fingeva di essere allegro – non era
affatto
un bravo attore – perciò gli conveniva che quello
se ne stesse a
casa fare il depresso, ma gli dispiaceva davvero che soffrisse.
Era
consapevole che pensarlo e dispiacersi per lui non gli faceva bene,
specialmente quando aveva promesso a sé stesso che non
avrebbe più
ceduto alla tentazione di perdonarlo, che sarebbe andato avanti. Ma
preoccuparsi per lui non significava perdonarlo, no?
Tommy
sapeva che la relazione da cui era appena uscito – gli
costava
fatica anche pensarlo, ma sì, ne era
uscito
– non era sana e lo faceva solo soffrire. Perciò,
lasciarsela alle
spalle era la cosa giusta. E per quanto la cosa giusta, in quel caso,
fosse ciò che meno desiderasse fare, purtroppo era stato
Adam a
scegliere, e Tommy non gli avrebbe più permesso di tornare,
era
stato chiaro: fuori da quella porta, fuori dalla sua vita. Per
sempre.
Fine
della storia.
Iniziò a pensare a come sarebbe stata la sua esistenza senza Adam, e nello stesso istante in cui quel pensiero gli sfiorò la mente, lo stomaco iniziò a fargli male. Fece una smorfia. Non aveva ancora deciso cosa avrebbe fatto per vivere, da quel momento in poi. Toccare un qualsiasi strumento musicale gli faceva pensare a lui. Anche ascoltare musica – qualsiasi musica – gli faceva pensare a lui. Guardare la TV, leggere il giornale, sfogliare riviste di gossip, andare dal parrucchiere, persino stendersi a letto, qualunque cosa facesse gli faceva pensare ad Adam.
Isaac
l’aveva anche ospitato un paio di giorni, per fargli
‘cambiare
aria’, ma non era cambiato proprio un bel nulla. Non
importava
quanto scappasse, il suo pensiero lo seguiva come un’ombra.
Sperava
solo di riuscire a dimenticarlo e di poter ricominciare a vivere. Se
la vita senza Adam poteva essere considerata tale.
Fu proprio quando tutti quei ragionamenti minacciavano di sommergerlo, e lui minacciava di auto-flagellarsi per i suoi stessi pensieri, che Isaac – che sia beatificato, sant’uomo – lo riscosse dai suoi pensieri: “Credo ti stia puntando” disse, indicando un ragazzo dall’altra parte della sala.
“Puntando? Cos’è, un cane da caccia?” Tommy rise, ma rivolse comunque lo sguardo verso il ragazzo che Isaac gli aveva appena indicato. Capelli neri, alto, pelle chiara, pantaloni aderenti scuri, stivali, camicia. Gli mancava solo una cosa. Incontrò il suo sguardo: occhi marroni. Scosse la testa.
“Ma
possibile che non te ne piaccia nessuno, né nessuna? Hai la
fila
dietro!” Nonostante ciò che diceva, Isaac non
sembrava annoiato
dal suo comportamento. Forse ne era un po’ preoccupato.
“Non
è vero, idiota!” rise ancora Tommy, ma stavolta la
sua risata gli
sembrò un po’ isterica, e butto giù un
sorso di birra, sperando
di sembrare credibile.
Ma
poi, che gliene fregava di chi gli veniva dietro? Sapeva cosa
cercava, e non ne andava affatto fiero.
“Hey,
scusa, posso offrirti il prossimo giro?”
Tommy
si voltò di scatto, sorpreso: non si aspettava che qualcuno
fosse
interessato a lui a tal punto da avvicinarglisi. In realtà,
ad
essere sincero, non pensava sul serio di poter piacere a qualcuno: al
massimo poteva attrarre qualche povero disperato vagamente
guardabile, o qualche volta anche carino, che fosse alla ricerca di
qualche scopata, e per il quale, quindi, un ragazzo valesse
l’altro;
non si aspettava che qualcuno fosse seriamente interessato a lui
in
particolare. Squadrò bene il tipo, ma gli bastò
vedere i suoi occhi
azzurri incorniciati dai ciuffi neri a farlo annuire lentamente, con
un sorrisino.
Sapeva quello che cercava, ma era stato quello che cercava a trovare lui.
Sembrò
passato un secolo dall’ultima volta che qualcuno
l’aveva toccato
in quel modo.
Sembrò
il paradiso, chiudere gli occhi e lasciarsi prendere da quel ragazzo
di cui neppure ricordava il nome, semplicemente perché
voleva farlo.
E
fu fantastico, facile, e leggero, un sollievo per il corpo e la
mente, liberatorio, quasi terapeutico.
Il
calore fu la cosa che gli restò per più tempo
addosso.
Con
tutto quello che era successo, il freddo lo sentiva nelle ossa e nel
cuore, quasi fossero improvvisamente divenuti di marmo, ed il sesso
gli restituì un po’ del tepore e della
serenità che aveva perso;
abbastanza da consentirgli di dormire tranquillo, per una volta. E
non si lasciò sfuggire l’occasione, scivolando in
un sonno
profondo appena la freddezza del post-sesso
tra due estranei minacciò di guastargli la ritrovata
tranquillità.
Con
l’imbarazzo avrebbe fatto i conti l’indomani
mattina.
Fu
una delle dormite più riposanti da quando lui ed Adam
avevano avuto
quel dannato litigio, tanto che quando si svegliò gli ci
volle più
del solito per ricordarsi in che merda di situazione si trovasse.
Quando
gli tornò in mente che non era tornato a casa il giorno
prima,
spalancò gli occhi di scatto, sperando senza troppa
convinzione che
fosse ancora mattino presto e che l’altro stesse dormendo,
così da
poter sgattaiolare via in silenzio. Ma la prima cosa che vide furono
gli occhi blu del ragazzo fissarlo intensamente, con
curiosità.
Tommy, gli occhi spalancati, gli restituì un’occhiata stranita, e si sentì terribilmente nudo. La sua prima reazione fu quella di disagio: si tirò il lenzuolo più su, fino alle spalle, senza dire una parola, totalmente nel panico. Probabilmente era anche arrossito. Certo era che il sonno scomparve in pochi istanti.
“Buongiorno!”
Il
ragazzo – a quanto ricordava doveva chiamarsi Sebastian
– lo
salutò sorridente, come se nulla fosse. Era una persona
solare ed
estroversa, l’esatto opposto di Tommy, questo lo aveva
appurato già
la sera prima, e sembrava anche un tipo molto semplice, uno di quelli
con cui è davvero piacevole avere a che fare.
“Uhm.. Sì.. Buongiorno..” Tommy esitò, guardandosi intorno spaesato. Il giorno prima non aveva notato quanto fosse carina la camera (non che ne avesse avuto la possibilità, era decisamente troppo impegnato a fare altro!). L’arredamento era davvero molto curato, e la stanza era ordinata al limite del maniacale. Il letto, i comodini, l’armadio e la scrivania erano di legno chiaro, semplice, con le rifiniture ed i dettagli bianchi e in alluminio. Una delle ante dell’armadio era costituita da un’enorme specchio, che contribuiva a rendere la stanza più luminosa. La luce, tutta naturale, proveniva dalla porta a vetri che dava sul balcone, ed era filtrata da tende bianche. Il tutto dava una sensazione di serenità e pace tali che Tommy era certo che fosse impossibile piangere in un letto del genere. Si rilassò un po’.
“Vuoi
fare colazione? O se vuoi puoi usare il bagno prima!”
Tommy
si voltò di nuovo a guardare il ragazzo e si mise seduto,
sentendosi
un po’ più a suo agio. Si domandò se
quel tipo lo stesse
prendendo in giro o trattasse davvero così gli estranei, e
per quale
assurdo motivo fosse gentile al limite del digusto. Era davvero un
tipo strano.
“I-io...
non saprei. Posso... posso usare il bagno? E, ehm...” disse,
facendo cenno verso il lenzuolo che lo copriva fino in vita.
“Arrivarci con un minimo di privacy?”
Il
ragazzo rise, di una risata cristallina, che dava la stessa
sensazione di purezza che suggeriva la sua camera da letto. Poi si
alzò, aprì un cassetto e porse a Tommy un paio di
boxer; ne aprì
un altro e da lì tirò fuori una maglia e diede
anche quella a
Tommy.
“Certo
che puoi, bellezza! Avvisami quando hai finito, il bagno è
di là.”
esclamò sorridendo, indicandogli la porta che stava accanto
al
grande armadio, prima di uscire dalla stanza e lasciarlo solo.
Era strano, davvero, ma nell’accezione più positiva del termine. Sprizzava una vivace solarità tutt’intorno a sé e chiunque vi entrava in contatto non poteva che esserne contagiato. Lo stesso Tommy si sentiva molto meglio di quanto avesse immaginato. La migliore dormita di quel periodo, seguita dal migliore (e dal più strano) risveglio da secoli a quella parte. Wow, davvero sorprendente!
Quando ebbe finito di lavarsi, infilò le mutande e la maglia che il ragazzo gli aveva prestato e i pantaloni che indossava la sera prima – trovati piegati su una sedia. Degli altri vestiti, invece, nessuna traccia.
Uscì dalla stanza, e si diresse esitante verso quella che, secondo lui, sarebbe dovuta essere la cucina. Ci prese quasi, la cucina era giusto una porta più in là, e quando entrò si chiese sul serio se non stesse facendo uno strano sogno, o fosse sotto l’effetto di stupefacenti: la tavola era imbandita.
Nulla di particolarmente eccessivo, oh no, una semplice tavola apparecchiata per fare colazione, con latte, succo di frutta, biscotti , ciambelle e un paio di muffin. Niente di salato o che sembrava essere stato cucinato per l’occasione, quello sì. Ma la cosa sorprese comunque Tommy: da quanto tempo era che qualcuno, per colazione, non apparecchiava la tavola per lui?
Si sedette osservando con aria stranita il ragazzo di fronte a lui, come se avesse paura di scoprire che era un pazzo furioso che voleva tenerlo prigioniero per usarlo come bambola a grandezza naturale, o qualcosa del genere. Troppi film horror.
“Prendi
quello che vuoi, non sapevo cosa ti piacesse, così ho messo
a tavola
quello che avevo! Spero che vada bene...”
Tommy
scosse la testa, tutta quella gentilezza era quasi eccessiva, in un
certo senso lo insospettiva, anche. Ma trovò molto
più giusto
ringraziare, piuttosto che chiedere spiegazioni e accusarlo di essere
un serial killer.
“Grazie,
davvero. Non dovevi...”
Sebastian
sorrise e fece spallucce, dando l’ultimo morso alla propria
ciambella.
“Oh, tranquillo, io faccio sempre colazione così!”
“Per
favore, mi apri?”
Tommy,
si strinse le ginocchia al petto, rannicchiandosi per terra, la
schiena poggiata contro la porta d’ingresso.
Strofinò il viso
contro la manica, bagnandola tutta.
Era
il sesto giorno di fila che accadeva, come diamine doveva fare a
farlo smettere?
“Ti
ho detto di no.”
Voce
ferma, neanche un tremolio. Bisognava che sembrasse forte.
“E
dai! Sono due ore che aspetto!”
Se
ne avesse avuto la forza, Tommy avrebbe riso, o l’avrebbe
mandato a
fanculo per l’ennesima volta. Tirò su col naso,
invece.
“Cosa
vuoi che m’importi? Te l’avevo detto. Fuori da
quella porta,
fuori dalla mia vita. La scelta era tua, tu hai voluto
questo!”
Sentì
Adam sospirare, poi bussare di nuovo alla porta. Gli venne da
piangere: cosa voleva? Quanto ancora voleva fargli male?
Perché era
tornato?
“Ti prego, Tommy. Ho sbagliato...”
“E per fortuna che lo sai, Adam. Ma ormai è fatta, e non si torna indietro. Vattene.” Lo disse con tutta la freddezza di cui era capace, poi nascose la testa tra le mani, e immaginò di sparire.
“Ti supplico, aprimi! Voglio solo parlare!”
Tenne gli occhi testardamente chiusi e immaginò di essere scivolato via da sé stesso, di essere libero per davvero, da tutto, pensieri, sentimenti, sensazioni, sogni, desideri. Libero. Si figurò di nuovo in quella stanza dalle pareti bianche e il letto di legno chiaro, che in un nonnulla era divenuta il luogo in cui si rifugiava quando voleva smettere di pensare; per scacciare i pensieri doveva concentrarsi su qualcosa, e non c’era nulla di meglio di un morbido piumone chiaro, cuscini di piume d’oca, un perfetto ordine e le tende bianche che si muovevano piano, sospinte dal vento che entrava dalla porta-finestra...
Il
rumore di Adam che insisteva a bussare e la sua voce che lo implorava
sembravano più distanti, intangibili. Non gli avrebbero
fatto del
male, erano solo parole.
Solo
parole.
“Digli
che non deve permettersi di tornare mai più! Diglielo,
Isaac!”
Il
suo migliore amico sbuffò, dall’altro capo del
telefono.
“Non
ti senti un po’ stupido a rifiutarti di parlare con lui?
Insomma è
venuto lì, è ritornato, è una
settimana che viene tutti i giorni e
aspetta di entrare, di parlarti, e tu non glielo permetti. Ci sta
male, Tommy, ci state male entrambi! E lui si è davvero
pentito,
vuole chiederti scusa. Basta comportarsi da bambini...”
Il
biondo scosse la testa, si passò la mano libera sul viso,
massaggiandosi la fronte.
“Non
me ne faccio un cazzo delle sue scuse, Isaac! Non me ne fotte che
è
pentito! È sempre così, è sempre la
stessa storia! Le seconde
possibilità non hanno senso, la gente non cambia mai.
Mai!”
Tutto
quello che aveva detto era dannatamente vero, eppure Tommy non lo
pensava. Anzi, sembrava doversene convincere, perché quando
era
solo, nel letto, la sera, pensava ad Adam, e gli aveva già
perdonato
tutto quanto, gli aveva dato una seconda possibilità ed era
pronto a
dargliene milioni ancora, e gli pareva stupida
la convinzione che la loro relazione andasse di merda. Avrebbero
potuto sistemarlo. Avrebbero potuto sistemare tutto, perché
era
destino che stessero insieme.
Ma
al mattino c’era l’orgoglio a fare a pugni con quei
pensieri, e
puntualmente vinceva quella battaglia interiore. Ed ogni risveglio
significava ripercorrere tutto quello che era successo, secondo per
secondo, e voleva dire un misto di rabbia e panico che gli metteva
sottosopra lo stomaco, e la fame che passava prima ancora di
venirgli.
“Va bene, okay, hai ragione, Tommy! Allora perché
non
glielo dici tu che deve smetterla di venire? Sono stanco di fare da
segreteria telefonica!” Isaac sembrava irritato, e Tommy si
sentì
anche un po’ in colpa, ma solo per un istante. Poi la rabbia
prevalse, quasi ringhiò, e poco ci mancò che
lanciasse per aria il
telefono. Lo trattenne dal farlo solo la consapevolezza che poi ne
avrebbe dovuto comprare un altro.
Sospirò profondamente, chiudendo gli occhi e cercando di riacquistare la calma. Non ebbe molto successo: tremava dal nervoso, si sentiva impotente, confuso e stravolto da tutte quelle emozioni che lo martellavano e non gli lasciavano tregua. Ancora una volta desiderava soltanto scappare da se stesso.
“Perché non glielo dico io?! Perché l’ho già fatto! Gli ho detto che se andava via sarebbe stato per sempre, e lui se n’è andato. Perché ho perso il conto delle volte che mi ha ferito e mi ha fatto stare male, perché sono stanco di essere trattato da lui come carta straccia! Perché dopo tutto quello che mi ha fatto lo amo ancora, Isaac, e questo non è normale: questo è da malati!”
Piangeva, sembrava che avesse due rubinetti al posto degli occhi, non la smetteva più; e non era solo un pianto di dolore, non era liberatorio, era esasperato, rabbioso, nervoso, quasi isterico. In piedi al centro della cucina, cercava di scacciare i ricordi, ma gli bastava abbassare le palpebre per un’istante e quelli tornavano a perseguitarlo. Troppo poco tempo era passato, quasi due anni – i più belli della sua vita – non si dimenticano in due settimane, anzi, probabilmente non si dimenticano mai, ma lui voleva solo che tutto finisse. Voleva indietro la sua dignità, quella che un tempo gli impediva di piangere al telefono come una ragazzina, quella che gli avrebbe permesso di lasciare Adam molto tempo prima, e di soffrire molto meno, e quella che gli avrebbe permesso, in quel momento, di andare avanti.
Ma c’era quella schifezza che la gente chiamava amore, che tutti pensavano fosse un Paradiso, e che invece assomigliava ad un girone dell’Inferno. Eppure quel sentimento superava qualunque cosa, cancellava il rancore, la rabbia, il dolore, l’angoscia, tutto ciò che di negativo uno provasse, come gesso da una lavagna. E – in fondo – era bello perdonare, certo: fino a quando non si presentava ancora lo stesso problema. Fino a quando non si soffriva di nuovo.
Guardò dallo spioncino prima di uscire di casa. Erano le sette, possibile che Adam fosse ancora lì? Sembrava quasi che sapesse che doveva uscire. Se ne stava lì a combinare qualcosa con il cellulare, forse era su twitter. Era meglio che non facesse cazzate con le fans, perché Tommy non se la sentiva di affrontare anche i loro giudizi, né nei propri confronti né in quelli di Adam. Be’, fortunatamente se quel cretino twittava stronzate l’avrebbe saputo: ancora non si era deciso a disattivare la notifica sms per il suo account.
Guardò
l’orologio. Doveva affrontarlo, o avrebbe fatto decisamente
troppo
tardi all’appuntamento.
Si
strinse nella felpa, prese portafoglio e chiavi, inforcò gli
occhiali da sole – una semplice precauzione in caso avesse
pianto –
infilò le mani in tasca ed uscì di casa.
Si
chiuse la porta dietro facendo finta di nulla, ma appena Adam lo vide
si alzò di scatto e gli si avvicinò.
“Vuoi
un passaggio?” azzardò il moro.
Tommy
fece finta di non aver sentito, il cuore gli batteva
all’impazzata,
e cercò solo di ignorarlo. Si voltò. Dritto per
la propria strada,
l’auto non era molto lontana.
“Almeno potresti rivolgermi la parola...”
Tommy
scese alcuni scalini e aprì il portone del palazzo. No, non
poteva
rivolgergli la parola o avrebbe ceduto. L’imbarazzo e il
dolore
nelle parole di Adam erano palpabili, e Tommy non sarebbe riuscito ad
essere freddo, o buttava fuori tutto il dolore sotto forma di rabbia
– sperando invano di stare meglio – oppure avrebbe
finito per
supplicarlo di tornare da lui e si era ripromesso di non farlo. Dio,
come avrebbe voluto abbracciarlo!
Adam lo seguì fuori, esitante,
e solo quando Tommy fu praticamente all’auto si decise a
parlare.
“Okay,
ho capito... Volevo solo dirti che mi dispiace. Davvero, mi dispiace
di tutto, per come ti ho-”
“ADAM,
STAI-ZITTO!” Tommy urlò,
fu più forte di lui, non riuscì a trattenersi,
urlò con tutta la
forza che aveva mentre le mani gli tremavano talmente che neppure
riusciva ad aprire l’auto. Urlò per coprire quelle
parole, urlò
illudendosi che così gli avrebbe fatto meno male,
urlò sperando di
non soffrire più. Voleva solo infilarsi in macchina e
scappare da
quella valanga di sentimenti ed emozioni contrastanti, ma non ci
riusciva, perché tremava tutto e non riusciva a calmarsi o a
respirare normalmente.
“Non
voglio parlarti, non voglio ascoltarti, non voglio vederti, non
voglio sapere nulla di te, nulla! Lasciami stare! Sparisci dalla mia
vita! Cosa credi, che io sia un giocattolo che puoi lasciarmi e
riprendermi quando ti pare?!”
Tommy trovò il coraggio di guardarlo attraverso gli occhiali, dopo che, tra le lacrime a i singhiozzi, gli aveva urlato l’esatto opposto di quello che pensava. Cazzate, cazzate, cazzate. Voleva che in quel momento Adam lo sbattesse contro l’auto e lo baciasse e gli dicesse che non poteva stare lontano da lui. Pregò che lo facesse, lo pregò con tutto se stesso.
Ma
Adam fece un sospiro, si mordicchiò le labbra, con gli occhi
lucidi
e sembrava stesse facendo l’impossibile per non scoppiare a
piangere anche lui.
“No, io non l’ho mai pensato, Tommy.. So
che sei arrabbiato, ma se solo tu mi lasciassi spiega-”
“VAI-A-FARE-IN-CULO!
Vattene! ADESSO!”
No,
non gli avrebbe lasciato spiegare un cazzo, il tempo per spiegarsi e
per scusarsi era finito, l’occasione era andata ormai. Ora
doveva
lasciarlo in pace.
Aprì finalmente lo sportello ed entrò in auto
in fretta, richiudendolo subito dopo. Voltò lo sguardo verso
Adam,
ma non riuscì a reggere i suoi occhi puntati direttamente
nei propri
per più di qualche secondo. Mise in moto e partì,
senza neanche
badare a dove andava.
Si fermò appena fu abbastanza lontano da casa,
e finalmente scoppiò a piangere liberamente.
Urlò
a pieni polmoni, e prese a pugni il volante, il cruscotto, il
finestrino, facendosi male, ma senza che quel dolore lo fermasse o lo
scalfisse minimamente. Pianse disperatamente, fino a che non ebbe
più
lacrime da versare, né rabbia a tormentarlo. Quando
finalmente la
respirazione tornò normale e la gola iniziò a
bruciargli e a fargli
male, esattamente come le nocche, tutto ciò che voleva era
tornare a
casa e stare solo con sé stesso.
Invece
dovette correre a quello schifoso appuntamento del cazzo.
“È successo qualcosa, Tommy?”
Tommy
guardò Sebastian con una smorfia, poi riabbassò
lo sguardo e tornò
a contemplare le patatine fritte, senza alcuna intenzione di
mangiarle: si era sforzato anche troppo con quel panino.
Perché
aveva accettato di uscire con quel tipo? Perché non gli
aveva dato
buca? Che gliene fregava di lui?
Sicuramente
c’era un altro ragazzo anche solo vagamente somigliante ad
Adam da
rimorchiare e portare a letto, da qualche parte, in qualche locale.
Qualcuno con cui non fosse già stato. Non avrebbe dovuto
essere lì,
dato che non aveva intenzione di avere relazioni di alcun tipo.
Accettando di uscire con lui lo aveva solo illuso.
“Va
bene, se non vuoi parlarne non posso obbligarti.”
Ora
si sentiva anche in colpa. Perfetto. Lui neanche lo conosceva quel
tipo, che gliene fregava di ferirlo?
Eppure, quel ragazzo era stato fantastico con lui. Gentile, disponibile e sorridente, anche quando Tommy aveva occupato il suo letto senza averne diritto né chiedere il permesso, anche quando era arrivato con un’ora di ritardo, gli occhi arrossati, le nocche sbucciate e la voce roca.. Lo era stato dal primo momento, e ancora lo era. Magari si meritava di sapere qualcosa.
“Scusa...”
sospirò. Dopotutto quel Sebastian non meritava di essere
trattato in
quel modo.
E
poi non conosceva Adam, magari avrebbe potuto avere da lui un
consiglio neutrale.
Così, un minuto dopo, stava raccontando tutto quello che gli era successo – fin dall’inizio – ad un totale sconosciuto.
Alla fine del racconto, Sebastian sembrava sconvolto.
Tommy
non aveva detto il nome di Adam, né aveva accennato a
caratteristiche fisiche o a segni particolari o, men che meno, al suo
mestiere: nessuno avrebbe dovuto sapere nulla, e già sentiva
di
stare facendo un madornale errore a raccontare tutto a quel tipo, che
per quanto ne sapeva, poteva anche essere malintenzionato.
Ma,
be’, voleva fidarsi e lo fece, seppure con prudenza.
Il ragazzo, comunque, aveva ascoltato il racconto a bocca aperta, interrompendolo solo con qualche incredulo ‘sul serio?’, ‘ha fatto cosa?!’ e ‘stai scherzando?!’. Tommy era rimasto incuriosito da tutto quello stupore. Sì, era successo che Adam si comportasse da stronzo, in modo assurdo, che lo facesse sentire usato, che addirittura finissero alle mani più di una volta, ma in fondo non gli sembrava tanto sorprendente. E poi, la loro relazione aveva tanti di quei lati positivi che tutto quello finiva in secondo piano. Ad esempio il loro feeling incredibile, musicale e non, e i loro interessi in comune, e quanto si divertivano quando erano insieme, il modo in cui Adam sorrideva a lui, per lui e solo quando era assieme a lui, le sue carezze, e le sue mani dolci, grandi, e calde, ed il suo odore di casa – non avrebbe saputo come altro definirlo, dalla prima volta che l’aveva sentito gli aveva dato la sensazione di essere a casa...
“È
meglio che sia finita tra voi.”
La
voce decisa di Sebastian e il suo sguardo insistente sembravano
provenire da chilometri di distanza. Tommy scosse la testa e si
sforzò di tornare alla realtà; quella frase gli
mise una tristezza
tremenda: non la pensava così, proprio per nulla. Adam era
stata la
migliore cosa che gli fosse mai capitata, e più passava il
tempo,
più lo rivoleva indietro.
“Già, hai ragione, molto meglio così...”
Guardò attraverso lo spioncino: Adam era lì fuori.
Era lì da quando Tommy si era svegliato, quel venerdì mattina, e non se n’era ancora andato. Sembrava non essersi mai mosso, come se fosse rimasto seduto lì su quelle scale per tutto il dannato giorno. Dio, perché non se ne stava a casa?
Tommy era combattuto: non sapeva se voleva o meno che Adam vedesse Sebastian che lo veniva a prendere. Farlo ingelosire sarebbe servito a mandarlo via. Ma voleva davvero mandarlo via? Quella che non ne voleva sapere nulla di lui non era solo una bugia che raccontava a se stesso e agli altri per fingere di stare bene?
Aprì
la porta e si trovò a pochi metri da Adam, senza nessun tipo
di
barriera a separarli e con l’intenzione di parlargli davvero
per la
prima volta dopo quasi un mese. Il moro alzò lo sguardo
versò di
lui e la sua espressione si distese percettibilmente.
Fece
per dire qualcosa, ma Tommy lo interruppe.
“Ti prego, vai via.” sussurrò, in tono supplicante. “Ti prego, Adam, ti prego.”
Ma l’altro scosse la testa. “Non finché non mi permetti di chiederti scusa per bene. Fammi entrare. Ti prometto che cambie-”
Tommy
scosse la testa, zittendolo con ‘no!’, prima
ancora che finisse la frase. No, non voleva quella promessa, si
rifiutava! Erano cazzate!
E poi, a dirla tutta, non voleva che Adam
cambiasse. Era perfetto così com’era.
“Non voglio sentirlo! Non voglio che tu cambi, Adam.” Sospirò ancora, chiudendo gli occhi, e fece trascorrere una decina di secondi prima di riaprirli e ricominciare a parlare, con un tono più calmo. “Ne parleremo, contaci, fidati di me, ti darò la possibilità di dirmi tutto, ma ti prego, vai via adesso. Non è il momento adatto...”
Proprio mentre lo diceva, vide Sebastian fuori dal portone. Troppo tardi. Roteò gli occhi, poi li chiuse, aprì al ragazzo premendo sull’interruttore qualche passo più in là, poi si appoggiò al muro accanto l’uscio di casa.
Il
ragazzo portava una busta con i vestiti che Tommy non aveva
più
trovato quella mattina a casa sua: li aveva lavati e stirati e gli
aveva promesso di portarglieli quella sera, prima del cinema.
Sì,
il cinema, un altro dannato appuntamento a cui non aveva saputo dire
di no.
Il nuovo arrivato aveva osservato gli sguardi che Adam e Tommy si scambiavano solo per un’istante, attraverso il vetro del portone e fu chiaro che aveva capito. Si avvicinò al biondo, senza guardare il cantante un secondo di più, e gli scoccò un bacio sulle labbra.
Tommy non se lo aspettava, e ci mise alcuni secondi per realizzare la situazione e tentare di allontanarlo, ma per allora si stava già allontanando da solo. Gli lanciò mentalmente diversi insulti, guardandolo malissimo.
“Ecco i vestiti che ti dovevo portare, amore.” sorrise Sebastian, in modo evidentemente forzato, porgendogli la busta, che Tommy afferrò bruscamente. Poi il ragazzo si voltò verso Adam, come se l’avesse appena notato. “Ehm, scusami Tommy, stavi per caso... parlando con lo sfigato, qui?” domandò con un sorriso malizioso. “E tu, non hai una casa dove stare, che te ne stai seduto nella rampa delle scale di un condominio? Che fai, chiedi l’elemosina?” aggiunse, rivolgendosi direttamente ad Adam.
La
rabbia che Tommy provò in quegli istanti fu a stento
paragonabile al
dolore che provò nel vedere la delusione ed la vergogna
negli occhi
di Adam, mentre andava via.
Mentre
lo perdeva.
Di
nuovo.
Note di fine capitolo:
Okay, lo comprendo è davvero un modo di merda di lasciarvi.
Mi odierete sicuramente di più di quanto state odiando
Sebastian adesso, per avervi lasciate/i così.
Ma gioite, donzelle e fanciulli (?): siamo
quasi alla fine!
Non manca molto all'agognato "happy(?) end" di questa storia. In
realtà qualcuna di voi più di altre sa che le mie
intezioni per il finale non sono sempre state molto chiare e
sinceramente non ho ancora deciso quale delle due 'strade'
prenderò... *fa calare un alone di misssssshtero*
In ogni caso, tenetemi di buon umore con tante recensioni come fate
sempre e andrà tutto bene! :P
(E non odiate tanto Sebastian, si è ingelosito, povero caro
T___T)
A presto! (si spera!)
P.S.: Una
caramella a chi indovina la canzone del capitolo! :P