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Autore: Violet 95    01/11/2011    3 recensioni
Halloween è la notte delle streghe, dei fantasmi, dei demoni e degli incubi. Soprattutto di questi ultimi. Ed è proprio in uno di loro che la nostra protagonista, una ragazza scettica ai fantasmi, teme di essere caduta: solo che non si aspettava che il suo incubo prendesse le sembianze di un demone vestito di bianco e chiamato Mephisto Pheles. Ciò che li aspetta, in questo breve racconto, va' ai confini del sogno, della ragione e della follia. Ciò che li aspetta è la notte di Halloween.
Premessa: l'ho scritta di getto ieri sera alle dieci e mezzo e, guarda caso, era proprio Halloween. E' la prima che scrivo di Ao No Exorcist e non sono certa del risultato. Spero che la apprezziate voi tutti!
Genere: Avventura, Horror, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mephisto Pheles, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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31 Ottobre

 

 

“Non c’è incubo dal quale non ci si possa risvegliare”

“Non è vero. Dal mio, non mi sono mai risvegliato.

Continuo a sognarlo, anche da sveglio:

quell’incubo, si chiama Vita”

 

 

Il lampadario della stanza cominciò a tentennare, quasi impercettibilmente. Nessuno se ne sarebbe accorto in un normale frangente, ma la ragazza seduta sul letto matrimoniale dei suoi genitori sì. Normalmente, non l’avrebbe neanche considerato quel movimento, ma in quel momento era particolarmente annoiata e qualsiasi cosa avrebbe attirato la sua attenzione: perfino un granello di polvere che si muoveva invisibile nell’aria.

Tutto, qualsiasi cosa, pur di distrarla dal libro che stava leggendo.

Il “Faust” di Goethe – il primo volume – stava aperto sulle sue ginocchia, fermo da tempo sulla pagina trenta e bloccato al secondo verso. Da un tempo incalcolabile aveva deciso di ignorarlo, non tanto per cattiveria, quanto per noia. Tirò un nuovo sbuffo, più rumoroso di quelli precedenti e più infastidito, e volse lo sguardo all’orologio sul comodino: le cinque e mezza.

Ormai, si era già dimenticata del lampadario che continuava a dondolare, lentamente, spinto da una forza sconosciuta che si trovava al piano di sopra. Su in soffitta.

Si sdraiò del tutto sul letto, la cui morbidezza donava un senso di pace al suo corpo esausto: non aveva fatto praticamente nulla che impiegasse la sua forza fisica, ma dopo una giornata di due ore di latino e greco, una di inglese e una di geografia – se vogliamo contare perfino un’ora e mezzo di ripetizioni di matematica – era piuttosto giustificabile ritrovarsi mentalmente a pezzi a metà pomeriggio. Ancora peggio se si è costretti a leggere un testo che odi.

Girò gli occhi intorno alla stanza e svuotò la mente, ancora una volta, per udire i rumori della casa. Un appartamento a due piani dove vivevano due famiglie – di cui una si era al momento trasferita –, un piccolo orto nel retro della casa dove due zucche crescevano placidamente. Circondata da asfalto e qualche olivo maturo, appariva all’esterno come una triste struttura grigia, priva di colore e piena di crepe. L’interno, ovviamente, non migliorava: almeno non nelle stanze in cui si trovava lei. Un bagno, due camere da letto – di cui una funge da studio per lei e da stanza per la sua nonna –, una cucina, un soggiorno e un piccolo ingresso in cui erano accatastati oggetti di tutte le dimensioni e i tipi. Sembrava la casa di un gruppo di terremotati scampati da una calamità naturale. In verità, erano “momentaneamente” trasferiti a casa della sua nonna paterna in attesa che la loro nuova abitazione fosse ristrutturata; peccato che erano ormai due anni che erano accampati lì e nella nuova casa non c’era ancora stata ombra di ristrutturazione.

Camere spoglie, spente, vecchie. Morte. Come se i suoi abitanti fossero deceduti con loro e vagassero sotto forma di fantasmi, nascosti fra i mobili scricchiolanti e le porte che si aprivano o chiudevano da sole. Anche la stanza da letto in cui si trovava, che condivideva con i suoi genitori e suo fratello, non era migliore delle altre: tre letti, di cui due matrimoniali e uno piccolo e stretto – ma di chi era quel letto? Di suo fratello? Certo che no –; un comodino attaccato alla parete ammuffita e di un bianco spento; due cassettoni su sui erano appoggiati un televisore, una stampante e un computer; tre armadi che ne costituivano uno solo; uno scaffale di libri traballante vicino al suo letto e il suo personale comodino, su cui erano riversati altri libri e indumenti di biancheria intima.

Ciò che le esprimeva ogni volta che guardava questa stanza era una profonda tristezza.

La ragazza – il cui nome non era stato ancora citato per un motivo ben preciso, ma che per ora continueremo a chiamare semplicemente “ragazza” – pensò che era ingiusto passare la notte di Halloween da sola, senza nessuna presenza viva in casa che la confortasse o le facesse compagnia. I suoi genitori erano andati via con suo fratello, forse a una cena, e sua nonna era a soggiornare da alcuni suoi parenti.

Lei, invece, era sola. In quella casa di fantasmi del passato, piena di rumori e spifferi, di porte cigolanti e di lampadari che tentennavano senza che nessuno avesse mosso un passo.

Sola, a leggere un noioso testo di letteratura che il suo professore le aveva dato per noia. Due tomi che formavano un solo libro.

Gettò uno sguardo furente al libro aperto di fronte a lei e lo scaraventò lontano, chiudendolo di scatto e perdendo così il segno a una storia che non avrebbe mai continuato.

 

‘Fanculo Faust.

 

Camminò velocemente fino al suo studio e prese il cellulare, cercò nella rubrica ciò che voleva e premette il tasto di chiamata. Il telefono iniziò a squillare.

 

“Pronto?”

 

“Ciao, Greta. Che fai?”

 

“Oh, che bello risentirti! Stavo per andare agli allenamenti di pallavolo, ma alle sette dovrei aver finito. Dopo che farai?”

 

“In casa sono da sola e, anche se mi costa ammetterlo, ho paura. Forse perché è Halloween, non so… Ho i brividi. Sento una strana adrenalina scorrermi nelle vene”

 

“Ti fai coinvolgere troppo da questa festa. Che ne dici se la passiamo insieme? Io e te, a casa tua. Film horror e…”

 

“Allora puoi restare anche a casa”

 

“Va bene, qualcosa di leggero… Biancaneve e i sette nani?”

 

“Ti uccido

 

Ahahah, d’accordoNightmare Before Christmas? Un classico”

 

“Accordato! Vengo a prenderti alla palestra, ok?”

 

“Certo! Ma non avevi da leggere quell’enorme libro? Quel coso del patto con il Diavolo…”

 

“Senti, è Halloween e di mostri e demoni ne vedrò abbastanza stasera. Preferirei evitare di leggerli, se è possibile, almeno per questa notte…”

 

“E’ la notte delle streghe, dove tutto è possibile!”

 

“Sì, certo. Ci vediamo dopo”

 

La ragazza riattaccò e guardò l’orologio: le 17:45. C’era tempo.

Andò in salotto e si distese sul divano, sentendo gli occhi che si chiudevano. Aveva acceso la luce per una sciocca paura, ma adesso si accingeva a spegnerla. Vide dai vetri appannati della finestra che il buio stava lentamente calando; il manto oscuro portava con sé Caos e incubi, gli ultimi di cui aveva bisogno.

Quello che le aveva detto Greta le tornò in mente.

E’ la notte delle streghe, dove tutto è possibile!

Scacciò a fatica questo pensiero e spense la luce. Adesso voleva solo chiudere gli occhi, liberare la mente e dormire. O forse sognare, se ci fosse riuscita. Ciò che vedeva in quelli che gli studiosi chiamano “sogni” era uno spazio infinito e nero, privo di contorni e di forme, dove l’orientamento era abolito. Il Nulla assoluto.

Da quando aveva memoria, non aveva mai sognato.

C’era chi le diceva che non era possibile non sognare, semplicemente non ricordava. Lei non ci aveva mai creduto.

Il suo sogno era il Nulla stesso, il Caos. E per una volta tanto, desiderò tuffarsi per poi non uscirne più.

E fuori, anche l’ultimo bagliore di luce si spense e la notte inghiottì ogni cosa.

 

 

 

Il mondo bruciava. Case, strade, palazzi. Ogni cosa, perfino le persone, erano divorate dalle fiamme di quel terribile incendio. Vedeva milioni di formiche nere che correvano in preda al panico, dalle cui labbra uscivano grida prive di suono.

La città bruciava in silenzio, senza che nessuno chiedesse aiuto o pregasse un Dio vendicatore che aveva voluto questo.

Lei stava osservando questo spettacolo dall’alto, quasi sospesa nel vuoto: le pareva di volare, si sentiva così leggera… Guardava quelle persone con indifferenza, con una freddezza quasi inumana, come  se non li avesse mai conosciuti. Eppure, erano tutte persone vicine a lei: i suoi genitori, suo fratello, i suoi amici. Bruciavano, e lei non faceva niente per impedirlo.

Semplicemente, osservava quelle fiamme con innocente curiosità, come un bambino potrebbe assistere a un singolare spettacolo. Ad esempio, la morte dell’umanità.

E intanto il cielo nero inghiottiva ogni luce, assorbiva il fumo e si ingigantiva ogni secondo di più. Da esso, si riversavano sulla Terra esseri mostruosi dagli occhi bramosi, con pupille simili a quelle di un gatto furioso. Si gettavano con violenza sugli umani ormai carbonizzati e li divoravano con quelle bocche dai denti cesellati.

Demoni che scendevano dal cielo e portavano Caos a quel mondo ormai distrutto.

Lei continuava a osservare, anche quando i suoi genitori cadevano fra le grinfie ingorde di quegli esseri.

Uno di essi si fermò e la notò, da lontano. Lei non gli rivolse la minima attenzione, troppo concentrata com’era sullo spettacolo che accadeva di sotto.

Il demone deviò la sua discesa e si avvicinò a lei, volando con un’agilità impressionante. Le si mise vicino ed entrambi osservarono in silenzio la caduta di un mondo.

 

Gli umani sono troppo fragili…, disse quel demone.

 

Lei non rispose, ma si decise a distogliere gli occhi dal basso per rivolgersi al suo misterioso interlocutore. La sua immagine apparve sfocata e non ne capì il motivo finché non sentì qualcosa di umido scendere sul suo volto.

Piangeva. Piangeva da quando era lì, ma non se ne era accorta fino a quando quel demone non le aveva rivolto la parola. Era caduta in uno stato quasi catatonico.

Forse il demone sorrise, almeno così intuì. Distingueva solo una macchia rosa e una bianca, enorme, che ricopriva l’intero corpo del demone.

Volle fargli una domanda, ma neppure una parola uscì dalle sue labbra. Eppure, era così ovvia… Ciò che accadeva di sotto, quell’incendio, quei demoni, quelle fiamme… C’era qualcosa di strano, in tutto ciò.

 

Hai paura?, domandò nuovamente.

 

Lei scosse la testa in segno di diniego, ma indicò lo spettacolo di sotto. Indicò le fiamme.

Il demone parve capire e annuì solennemente.

 

Tu potresti fermare tutto ciò.

 

E come?

 

Il demone rise beffardo e la indicò con scherno, agitando quella macchia rosa che probabilmente teneva in mano.

 

Hai il potere!

 

Quale?

 

No, non è ancora il momento: non c’è fretta, nessuna fretta! Ci possiamo ancora divertire insieme… Ma più tardi. Adesso, è meglio che ti svegli.

 

Cosa…?!

 

Non si seppe mai cosa avrebbe potuto dire la ragazza che volava sopra il mondo in fiamme, né quale interrogativo la agitava tanto. Il demone forse lo sapeva già, o non gli interessava scoprirlo: sono talmente volubili e capricciosi i demoni…

Si limitò solo ad agitare la macchia rosa davanti agli occhi della ragazza e a dire delle strane parole, una formula. La ragazza soffocò un grido.

 

Eins, Zwei, Drei!

 

La ragazza cadde e il buio la sommerse, inghiottendo perfino il demone e la città in fiamme.

 

 

 

Si svegliò con un sussulto e si sentì soffocare. Contò fino a tre e tentò di riacquistare una respirazione normale, alzandosi lentamente dal divano che, sebbene fino a un attimo fa era la cosa più confortevole che ci fosse in quella casa – senza contare il letto –, adesso le appariva duro.

Era madida di sudore e tremava, scossa da violenti tremiti. Le sue guance erano bagnate di un liquido salato: lacrime. Aveva pianto nel sonno, e stranamente ricordava ciò che aveva sognato. Il mondo in fiamme, i suoi genitori che bruciavano, i mostri che scendevano dal cielo, il demone che le aveva parlato…

E delle fiamme blu. La città ardeva di un fuoco blu.

 

Perché le fiamme erano blu?

 

Guardò l’orologio da polso e imprecò ad alta voce: le sette. Greta la stava aspettando all’uscita della palestra e ci volevano almeno quindici minuti a piedi per arrivare lì. Ed era notte fonda.

Indossò subito la sua giacca di pelle nera e la sciarpa viola, il suo colore simbolo. Afferrò al volo l’iPod, aprì la porta e si fiondò giù dalle scale. Chiuse il portone dietro di sé e iniziò a camminare velocemente. Il suo cammino era illuminato da pochi e rari lampioni sulla strada, mentre una fitta nebbiolina avvolgeva gli edifici, facendoli apparire come degli spettri dalle strane forme. Da lontano sentì qualche botto e intuì che i festeggiamenti erano già iniziati. Dopotutto, era Halloween e la notte era da poco cominciata: la notte delle streghe, delle ombre e dei demoni.

Demoni orribili dalle zanne avvelenate e i denti che laceravano la carne. Demoni vestiti di bianco e con un “coso” rosa che vorticava intorno ai propri occhi. Demoni beffardi, demoni ingannatori.

Incubi. Come il suo.

Dentro si sé, maledisse il Faust per averle causato quel sogno e rimpianse di non aver sognato nulla come al solito.

Da lontano, ma forse era stata solo un’allucinazione uditiva, le parve di udire un singhiozzo strozzato e una risata beffarda, alternate. Era molto simile a quella del demone del suo sogno…

 

“Stupidaggini” sussurrò, e si addentrò nella nebbia.

 

 

 

 

SPAZIO DELL’AUTRICE:

premetto che ho buttato giù questa sciocchezza ieri sera, alle dieci e mezzo, mentre guardavo “Sweeney Tood”, quindi non assicuro il risultato. Mi è venuta di getto e come storia sembrava carina, ma non sta a me giudicare… Fatelo voi al posto mio!

Questa ragazza, il cui nome non è stato citato per motivi che saranno in seguito chiariti, ha dei tratti un po’ autobiografici, ma forse proprio perché mi sembra di scrivere la mia storia sono particolarmente attaccata a questo personaggio… E poi, chi sarà mai il misterioso demone vestito di bianco e con un “coso” rosa in mano? XD

Spero che abbia attirato la vostra attenzione. Ed ora, mi ritiro!

Eins, Zwei, Drei! *Puff

  
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