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Autore: Akane    03/07/2006    3 recensioni
Cosa sarebbe successo se Tsubasa avesse avuto un incidente che lo avesse paralizzato nelle gambe costringendolo su una sedia a rotelle per il resto della sua vita?
Genere: Romantico, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Jun Misugi/Julian Ross, Kojiro Hyuga/Mark, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Destini imprevedibili'
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* ecco il nuovo cap che a me personalmente gusta in modo particolare, capirete perché leggendo, non vedevo l’ora di riuscire a scriverlo….protagonisti Jun, Tsubasa e anche Kojiro sull’ultima parte…per il resto posso solo dirvi che questo cap è yaoi ma non sulla coppia principale bensì su quella nuova che tutti si sono stupiti di aver trovato, io per prima! Penso che potrebbero mettersi insieme Kojiro e Jun solo in una situazione come questa poiché altrimenti non esisterebbe verso che si avvicinassero in quel senso…ne sono convinta…Buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO 5:

OLTRE LE PROPRIE FORZE

Quando lo videro arrivare, Genzo e Jun si allarmarono subito capendo che la visita a Tsubasa era andata male. Sospirarono sconfitti ancor prima che lui arrivasse da loro. Taro rallentò il passo quando arrivò loro davanti, alzò gli occhi pieni di lacrime su Jun e poi su Genzo e la voglia di lasciarsi andare fu immensa, il flusso di pianto aumentò e fu difficile per lui domarsi, odiava dal profondo piangere in quel modo, mostrarsi debole e calpestato, essere un peso per altri, una palla al piede…lui voleva tirare su gli altri ed essere un sostegno, non sostenuto, aveva sempre avuto paura di essere una persona troppo pesante moralmente e troppo debole, era riuscito a mantenere quella forza pura, a sorridere sempre pesando che c’erano cose peggiori, ma non c’era stato molto da fare, questa volta non ci era riuscito e questo lo turbava e lo scuoteva nell’animo dandogli solo ancor più bisogno di piangere e sparire.

- Scusate ragazzi…non ora…-

Così dicendo riprese ad andare sorpassandoli, entrò in casa e si immerse in un bagno caldo e ristoratore che confuse le proprie lacrime che scendevano ancora copiose.

Jun e Genzo si guardarono un po’ interdetti, non l’avevano mai visto piangere ma in fondo fra tutti. Taro era quello meno conosciuto. Era arrivato fra loro come un soffio di vento leggero, la brezza fresca primaverile terribilmente piacevole poiché accompagnata da un sole non troppo caldo ma carezzevole…poi però se ne era andato allo stesso modo, rimanendo nei cuori dei suoi compagni e di uno in particolare. Era tornato, certo, però non stava mai a lungo, il tempo di dare qualcosa di sé stesso a chi ne aveva bisogno ed ecco che tornava a volare via. Saperlo così era un duro colpo per loro due.

Non avrebbero saputo cosa fare se avessero avuto altri caratteri, ma entrambi erano sempre molto decisi e sicuri, due ‘condottieri impavidi’ che non si trovavano mai nella condizione di lasciar scegliere ad altri, dirigevano sempre i lavori, due capitani veri.

Il primo a parlare fu Genzo che puntò l’indice e il pollice ad ‘L’ verso il castano e disse:

- Tsubasa o Taro?-

Sapevano che Taro aveva solo bisogno di stare solo, lo sapevano, però lasciarlo così a piangere a quel modo, pesava più a loro che a lui stesso. Così decisero di fare qualcosa almeno quella volta.

Jun fece un mezzo sorriso, uno dei suoi che infondevano sicurezza e certezze, poi rispose calmo:

- Io vado da Tsubasa, è ora che ci parli un po’…-

Genzo si sentì quasi sollevato, non aveva idea di cosa fosse successo ma lo immaginava benissimo e se aveva ridotto così uno come Taro non osava immaginare come lui stesso avesse reagito vedendolo.

Detto ciò si scambiarono un’occhiata eloquente e presero le rispettive strade.

Genzo arrivò in camera di Taro e bussò, non udendo risposta decise di entrare non accettando di certo una negazione, diciamo che lui bussava solo per formalità poiché era tipico fare quel che desiderava comunque.

Vide la stanza vuota e la porta del bagno interno aperta, così capì che era lì, con voce quasi delicata, quanto più gli riuscì, lo chiamò, poi attese fermo che gli rispondesse, udì solo dei singhiozzi e decise che fossero il suo: ‘entra’!

Mosse qualche passo all’interno della stanza non molto spaziosa, aveva piastrelle azzurre che sfumavano nel blu a seconda degli angoli in cui erano poste, la classica doccia ed incassata nel pavimento una piccola vasca per uno. Era tutto arredato sui toni del blu e dell’azzurro, ricordava il mare ed era fatto tutto con gran gusto, come tutto il resto della casa.

Si sedette su uno sgabello a pochi metri dalla vasca e l’accarezzò gentile con lo sguardo. Taro era lì immerso fino alla bocca, con solo gli occhi e il naso fuori, i capelli metà bagnati e metà solo umidi. Quegli occhi gonfi e carichi di lacrime che ancora scendevano.

Erano compagni di squadra, si erano visti nudi tante volte, non era quello un problema per nessuno dei due, l’imbarazzo nasceva da ben altro come lo stato in cui era il moro ora ammollo.

La presenza di Genzo fu in fondo apprezzata, era un ragazzo che dava sicurezza e forza, però si vergognava di farsi trovare così debole.

- è uno stupido. Questa volta basta…-

Lo disse sapendo che così non sarebbe stato.

Genzo non disse nulla sapeva che l’amico aveva solo bisogno di parlare, solo quello. Sfogarsi. Non l’aveva ancora fatto da quando si erano visti.

- Sono arrivato e lui era lì che tentava di uccidersi…ma come si permette? Come se la vita fosse solo sua, come se solo lui soffrisse, se fosse il primo ad avere disgrazie…e io dico: va bene un po’ ma poi basta, dacci un taglio, la vita va avanti anche se tu non lo vuoi…no, per lui senza il calcio è tutto finito. Non camminerai più, ok, piangi e disperati pure, ma non toglierti la vita perché se non sei morto è un miracolo ed io ho ringraziato Dio per questo. No, lui non ci pensa a questo, come non pensa a me. Questa volta mi sono stufato. Gli ho gridato tutto quel che pensavo…proprio tutto…- A questo si fermò arrossendo visibilmente, ricordando cosa fosse quel ‘tutto’, cosa che capì anche Genzo, poi terminò con un flebile e più calmo: - …poi me ne sono andato…-

Non avrebbe pensato che farsi ascoltare da lui potesse aiutarlo veramente, le lacrime erano finite e lui si sentiva in fondo più leggero, tirò fuori dall’acqua la testa del tutto e gli lanciò uno sguardo di gratitudine e di scuse, Genzo fece una specie di sorriso un po’ tirato e poi disse solo:

- Sai bene che non hai chiuso con lui. Hai fatto bene. Vedrai che ora cambia…-

Ma questa era solo una sua speranza.

 

Jun fece come Taro, entrò e basta. Non era nei suoi modi e si sentì anche lui un po’ un ladro, ma lo fece, sapeva che non l’avrebbe mai fatto entrare, altrimenti.

Lo vide lì nel letto, mezzo seduto, che faceva a pezzi tutto quel che gli capitava con un’espressione molto irosa in volto, livido di rabbia, Jun sospirò impressionato di trovarlo così.

Entrò e si appoggiò alla finestra scrutandolo con cura, cosa che infastidì Tsubasa, lo fissò malamente e nemmeno salutandolo, gli disse solo sgarbatamente:

- Sei venuto a farmi la predica?-

Jun si preparò ad un dialogo molto difficile.

- No, sono venuto ad ascoltarti.-

Tsubasa fu colpito da queste parole però caricò la dose di frustrazione e continuò a sfogarla sul giovane.

- Ma cosa vuoi ascoltare…cosa vuoi capire…-

- Io quando ho scoperto di avere la malattia cardiaca avrei voluto qualcuno che semplicemente mi stesse ad ascoltare senza dirmi parole di conforto…-

- Tu sei diverso da me, la tua condizione lo era…se ti bastava essere ascoltato non stavi poi così male…tu non puoi capirmi!-

- Davvero? Guarda che io fra tutti sono l’unico che può comprendere il tuo stato d’animo…-

Detestava dire quelle cose e parlare di sé in quel modo, Tsubasa avrebbe dovuto saperlo, ma quel Tsubasa non sapeva proprio più nulla.

- No, che non puoi capirmi! Cosa vuoi saperne del non poter più camminare? Tu puoi ancora muoverti, basta che ti limiti…cosa ne sai di cosa voglio io or…io ora voglio camminare, correre, riprendere i miei sogni, non voglio che mi ascoltino. Voglio camminare! -

Jun ne rimase colpito e ferito da quelle parole, non poteva sentirsele dire proprio da lui che l’aveva aiutato così tanto quella volta e anche i giorni a venire. Avevano legato ed erano diventati amici, l’unico amico che lui poteva dire di avere era sicuramente Tsubasa ce ora lo sminuiva così e gli diceva quelle cose, ricordò tutti i momenti di rinuncia, quando guardava i suoi compagni giocare, perdere perché non avevano un buon regista, il bruciore che gli dava quella consapevolezza, gli sguardi di pietà nei suoi confronti quando avevano saputo delle sue condizioni, ricordò tutto e un nodo gli salì alla gola, pericolante, mentre qualcosa gli premeva sugli occhi per uscire, si domò, tentò di calmarsi mentre l’ascoltava e il fiato gli veniva corto e i battiti si acceleravano. Non era giusto. Non se le meritava quelle parole.

- Certo, io in fondo volevo e voglio solo un cuore che funziona e che non mi faccia rischiare la vita ogni volta che faccio qualunque cosa…-

- Tu sei comunque messo sempre meglio di me, non puoi capirmi, non hai passato nemmeno un unghia di quello che sto passando io…-

Jun si innervosì passandosi le mani fra i capelli, poi si staccò dalla sua postazione e cominciò a camminare per la stanza, poi disse tagliente:

- Vuoi fare la vittima? Fallo! Compatisciti, sii perdente…hai ragione, non posso proprio capire qualcuno che ci tiene tanto ad avere il titolo di peggiore! Tanto convivere dall’età di 7 anni con l’idea della morte è solo uno scherzo, una sciocchezza! Tsubasa, svegliati! La vita va avanti e tu non morirai mai a meno che non ti uccidi tu o non finisci di nuovo sotto una macchina…ci si deve piegare davanti a certe cose, fra queste la salute! Ma tanto io che ne posso sapere…ho solo dovuto rinunciare ai miei sogni vivendo alla loro ombra da quando ero bambino…alla tua ombra…non importa nulla…Stà lì e rimanici, guarda. Io quello che potevo l’ho fatto!-

Detto ciò con un tono molto trattenuto ma con un fondo di nervosismo e agitazione, ed una freddezza nello sguardo da tagliare qualsiasi cosa, uscì anche lui con la solita camminata fiera ed elegante, solo un po’ più veloce del solito.

Il nodo stava per uscire, ce l’avrebbe fatta questa volta a trattenerlo?

 

Appena l’aveva visto aveva subito capito che c’era qualcosa che non andava in lui. Qualcosa stonava. Di nuovo, come quella sera in cui gli aveva detto dell’incidente di Tsubasa, c’era l’impressione che dentro si sé fosse sconvolto. Come potesse dirlo non sapeva nemmeno lui, visto che non era tipo da capire così bene l’interiorità altrui, ma era una chiara sensazione che stava sviluppando soprattutto ultimamente!

Aveva sempre visto Jun Misugi come una persona snob, con la puzza sotto il naso, aristocratico, completamente di un altro mondo, una delicatezza ricoperta d’oro il cui problema più grande era ricordarsi i nomi dei suoi camerieri o cose del genere!

Non era una grande considerazione, poi però aveva capito anche che il suo problema del cuore era più serio e pesante di quanto non l’avesse mai considerato, però questo non gli aveva permesso di cambiare opinione generica sul campione di vetro. Era riuscito a dargli più rispetto ed un briciolo di stima in più, tutto qui!

Ora le cose erano ulteriormente diverse, dalla malsopportazione all’ammirazione segreta a…un qualcosa di non molto definito, poteva chiamarsi curiosità?

C’era qualcosa in Jun e lo stava capendo solo ora. Qualcosa che stimolava la sua attenzione.

Erano troppo diversi e quando il mondo di un principe viene a contatto con quello di uno di strada, possono accendersi diversi tipi di scintille.

- Che succede?-

Gli chiese Kojiro.

In quei giorni erano riuniti spesso a casa di Jun visto che era una specie di reggia a due passi dall’ospedale di Tokyo, dove era Tsubasa. Dipendeva dal fatto che Genzo e Taro erano ospitati lì intanto che il loro amico non si riprendeva un po’ meglio, Hyuga quindi capitava molte volte da loro, come per darsi forza a vicenda e conoscere gli ipotetici e sperati progressi del numero 10.

Gli rispose con voce controllata e tirata, era sull’orlo del crollo:

- è qualcosa oltre le mie forze! Non ce la faccio più! Non sono un tipo che si auto compassiona, detesto farlo, per questo ho celato a lungo le mie condizioni…io…io non lo sopporto più! Non sopporto più Tsubasa!-

Hyuga se ne shockò non poco, sentirgli dire quelle cose, seppur mantenesse l’aria altolocata e le parolone da cervellone, fu come se venisse schiaffeggiato, non era sicuro di aver sentito bene:

- Come, come?-

Si appoggiò con fare incerto al muro scacciando l’idea che quella villa così linda e pura, lui, avrebbe potuto sporcarla. Jun invece cominciò ad andare su e giù per la sala con una camminata sempre elegante ma più veloce, si passava nervosamente le mani fra i capelli scompigliandoli un po’, il tono di voce cominciava a lasciarsi più andare e mentre parlava si agitò del tutto.

- Secondo te cosa è peggio? Avere le capacità ma non il corpo per realizzarsi è terribile ed io lo provo da sempre! Arriva lui e mi dice che non avere un cuore giusto ti permette comunque di fare qualcosa invece non avere le gambe è peggio…ma…ma io cosa dovrei dirgli? Io cosa vuoi che ne sappia del non poter camminare? In fondo io mi muovo, posso correre per qualche minuto, basta che mi fermo in tempo e mi riposo, posso starci ancora nel calcio, nel mio sogno…è solo che non ho un cuore adatto…non ho…uno stupidissimo cuore…che mi ha dato l’onere di convivere continuamente con l’idea della morte…sin da quando avevo…7, 8 anni… ti rendi conto? Io rischio di morire se sgarro troppo, lui la vita ce l’avrà sempre, nelle sue condizioni. Che vita può avere dipende da lui! Non ha il calcio giocato ma avrà altro, io ho imparato a piegarmi alla salute! C’è poco da fare in quei casi! O così o nulla…e piuttosto del nulla, credimi, ti abbassi a qualsiasi cosa! Ma improvvisamente sentirmi dire che io non posso capirlo, non posso sapere, che io non ho provato nemmeno un unghia di quello che sta passando lui, che quello che è capitato a me è una sciocchezza a confronto, che devo lasciarlo in pace e smettere di dire che lo capisco…Dio, mi manda in bestia! Ti rendi conto? Mi sono sentito pugnalato da uno che ho sempre considerato uno dei pochi veri amici! Ho passato momenti terribili, ho detto addio al campo da calcio un sacco di volte, ho visto la morte in faccia e lui ci sputa sopra! Lui che si sta affacciando ora al mondo della sofferenza, delle rinunce…delle lacrime segrete…-

Dopo tutto questo sfogo gli passarono alla memoria tutti i momenti peggiori dei suoi ultimi anni, a partire dalla partita contro Tsubasa, passando per quella contro Hyuga e continuando quando aveva deciso di fare l’allenatore. Una gran rabbia, delusione, frustrazione gli si agitava dentro da molto ed ora gli era completamente sfuggita di mano, esplosa. Una cosa mai successa. Menzionare la propria sofferenza, le proprie lacrime, era stata un specie di sconfitta, scoprirsi fino a quel punto lo urtava dal profondo, non avrebbe mai voluto che quello accadesse ma quando ci si trovò in mezzo si rese conto che la sua voce non usciva più per il nodo che ormai era uscito.

E per le lacrime che di nuovo in pochi giorni uscivano dai suoi occhi.

Si sentì quasi male per questo, insopportabile idea di cedimento, crollo, caduta della maschera di sicurezza e perfezione, una maschera di vetro o di cera che si scioglieva al sole, al fuoco…e quel fuoco era sempre lui. Hyuga. Se ne risentì senza più riconoscersi. Smise di parlare e camminare, si girò verso il muro, dall’altra parte rispetto al compagno, e mantenendo la sua posizione eretta di sempre, cercò di domare gli scossoni delle spalle e della schiena.

Non ce la faceva più.

In poco tempo quello era il suo limite. Da ora in poi non avrebbe più potuto pretendere altro da se stesso.

Aveva bisogno di qualcuno, di aiuto, una persona forte che gli stesse accanto e lo sostenesse ridonandogli quell’unicità di un tempo.

Hyuga smarrito come poche volte nella sua vita era stato, fece crollare del tutto l’immagine speciale che aveva di Misugi e in totale imbarazzo, senza aver idea di cosa si facesse in quei casi, decise di sedersi nel divano invitandolo a fare altrettanto, non lo fece subito, voleva riprendersi un po’.

- Mi dispiace…cioè…è una testa di cazzo, io l’ho sempre detto ma non mi ascoltavate…-

Voleva cercare di essere e sembrare quello di sempre, gli risultò difficile e decise di lasciar perdere.

Ci riflettè, gli dava fastidio che Tsubasa, uno così acuto con gli amici, pensasse questo di Misugi, ma forse gli dava fastidio anche vederlo così, il principe del calcio non poteva piangere e rivelarsi fragile, nessuno poteva calpestarlo e togliere quell’immagine perfetta e regale che aveva. Nessuno.

- È normale che reagisca male, non me lo sarei aspettato da lui ma è normale…non so che altro dire.-

Jun decise di sedersi asciugandosi le lacrime che gli rigavano il viso, non si sentiva ancora bene ma sapeva che la vicinanza con Hyuga poteva fargli bene, lui che ai suoi occhi era così forte. Appoggiò la schiena e il capo indietro e sospirò profondamente.

- Scusami per lo sfogo. Non c’è niente da disquisire. Mi dispiace per quel che afferma, so che sta male e se ribadisco che lo so è vero, non sono uno banale che dice cose banali in momenti banali, non parlo tanto per parlare o mettermi la coscienza a posto.-

Si sentiva strano e proprio per questo decise seccato di essere il solito impulsivo ed imprevedibile di sempre, quando pensava non usciva mai nulla di buono!

- Tu hai avuto ragione, anche a me da fastidio che lui approfitti della sua situazione per insultare gente che gli è sempre stata amica e vicino…io magari no ma tu…so che tu e lui avevate un certo rapporto. Lui per primo ti ha capito e ti ha sostenuto. Ora si comporta così…sai, non lo sopporto! Per come ti tratta, per quel che dice, per come si tratta da solo. La sua tragedia lo scusa fino ad un certo punto!-

Si stava infervorando, non gli piaceva quella situazione, tanto meno sapere Jun in quelle condizioni ed ora come ora avrebbe preso a pugni quell’idiota, gambe o no non poteva permettersi di sminuire una situazione come quella di Misugi, il rispettato e stimato Misugi. Si meritava un po’ di riguardo, se l’era guadagnato! Da quando avevano iniziato a giocare nella stessa città si erano visti spesso, l’altro l’aveva tenuto d’occhio e l’aveva riportato in carreggiata un sacco di volte…erano diventati qualcosa, aveva imparato a conoscerlo un po’ meglio, specie dopo quel momento.

- Grazie…non mi aspettavo queste parole da te…mi secca dover esprimere quel che ho passato, il mio dolore…come se volessi vantarmi della mia sofferenza per prendermi un primato. Non è così. Mi hai capito, vero?-

Non sapeva perché ci teneva così tanto a mettere in chiaro quello e ad vere la conferma di essere stato capito da Hyuga. Improvvisamente lo vedeva estremamente importante, lui e la sua opinione. Non avevano mai veramente parlato di cose così profonde e personali, era stato un rapporto strano il loro. Gli piaceva averlo vicino in quel momento difficile nel quale si era lasciato andare e mostrato così tanto.

- Mmm…egoista del cavolo…ha passato il limite!-

Mugugnò. Aveva molta rabbia ed ira che gli cresceva dentro, sembrava aver capito alla perfezione, immaginava il motivo dell’arrabbiatura, Jun era un tipo acuto ma era ancora molto spossato e la delusione verso Tsubasa si leggeva nei suoi occhi chiari e molto belli.

Hyuga lo guardò di sottecchi e notò il suo profilo perfetto, increspato da uno sguardo perso nel vuoto, pensieroso e preoccupato. Lesse una ferita che gli diede fastidio leggere.

- Al diavolo!-

Sbottò a denti stretti, con rabbia annullò la distanza e prese la sua mano abbandonata fra i due, si era ripromesso di agire senza pensare e così faceva! Prima di prendere a pugni la capra ottusa doveva e voleva risolvere quello.

Non doveva sentirsi sotto terra, lui era uno che doveva volare!

Non si spiegò quel senso di protezione che sentiva nei suoi confronti, protezione e possessione, in un certo modo, poiché solo lui poteva rispondergli male e ritenerlo uno snob cervellone!

Non si spiegò perché tenergli la mano gli sembrava appropriato, spostò gli occhi su quelli castano chiaro di lui, ricambiato, mentre lo sentiva un attimo irrigidirsi e poi sciogliersi stringendo a sua volta la mano. Il moro non capiva più cosa gli passasse per la testa…come era sempre stato eccezione per quegli ultimi giorni, per quegli ultimi minuti. Poteva sembrare una stretta amichevole, guardandola dall’esterno, ma loro non la sentivano tale. Arrossì. Anche sentendosi una femminuccia stupida, capiva che andava bene…

L’aveva visto scoperto nella sua fragilità, non forte con la sua maschera di imbattibilità addosso, non il principe supponente, sapiente ed intelligente. Solo un ragazzo con debolezze, rimpianti e dolori che tutto d’un tratto non ce la faceva più. Si era lasciato andare in ogni senso e modo e gli aveva fatto vedere così un Jun differente e diverso. Una persona bisognosa di avere accanto a sé qualcuno forte che lo sostenesse e gli ridonasse quel suo modo di fare nobile e unico.

Fragile nonostante sapeva che non lo fosse e facesse di tutto per non esserlo.

Lo investì una voglia di sbaragliare chiunque gli facesse cambiare la sua idea su Jun.

Fu una specie di spinta invisibile, un’atmosfera che era calata che sapeva di innaturale, delle emozioni ed un insieme di cose per stati d’animo instabili, agirono lenti, fu uno strazio per la tigre ma non era nemmeno sicuro di quel che stava accadendo, lasciò che la gestisse l’altro. Non se ne spiegarono motivi e non si fecero più giri mentali di quanti non ne avessero già compiuti.

Fecero qualcosa che non avrebbero mai fatto e mai pensato di fare nell’arco della loro vita.

Si baciarono!

Senza toccarsi se non con le mani, senza poi nemmeno attendere altro, specie per Hyuga di sentirsi più imbecille di come cominciava a sentirsi, posarono le labbra le une sulle altre e si lasciarono andare.

Fu strano, senza ragionamenti, del resto uno dei due non ne faceva spesso; se lo godettero e basta.

Hyuga aveva il sapore di quel ragazzo nobile e gli piaceva averlo, giocare con lui, inizialmente lo imbarazzò ancor di più, ma poi si sentì quasi subito bene, capendo che era stato giusto.

Che se non gli aveva fatto schifo allora qualcosa fra loro poteva starci.

Cosa?

Non era il momento di capirlo!

FINE CAPITOLO 5

   
 
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