Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Segui la storia  |       
Autore: hipstah    01/11/2011    0 recensioni
Una volta ho già sbagliato, non intendo rifarlo!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Sono stata assente per due mesi. Vi sono mancata? Scusatemi taaaanto! Ma dove siete sparite? ç_ç Mi sento sola.
Buon lettura! <3


Cercai a tentoni la sveglia, posta sul comodino vicino al letto. Quando la spensi mi misi a sedere stropicciando gli occhi ancora chiusi. Il primo giorno di scuola dopo le vacanze, era il giorno più difficile in assoluto. Poi che a questo ci si aggiunge anche l’assenza di almeno una persona con cui chiacchierare durante le lezioni. Sospirai e scesi dal letto diretta verso il bagno strusciando i piedi per terra. Mi lavai la faccia, i denti e guardai la borsetta con i trucchi, senza alcuna voglia di truccarmi quella mattina. Infatti lasciai perdere dicendo che ormai non c’era più nessuno per cui rendermi bella. Ed eccolo quel dolore e quel senso di vuoto che ritornano a galla. Tom non era più qui, manco Bill. Era come se una parte di me mancasse. Chiusi gli occhi e cacciai un sospiro profondo cercando di ricacciare indietro quel dolore. Uscì dalla camera e mi ritrovai la porta della stanza di Bill e Tom davanti. Fissai per un po’ quella porta indecisa se aprirla o no. Alla fine raccolsi tutto il coraggio che avevo e la spinsi in avanti. La stanza era vuota e buia, proprio come mi sentivo io in quel  momento. Dava un senso di abbandono totale e una tristezza immensa. Provai una fitta al cuore e mi affrettai a richiudere la porta, era stata una pessima idea quella di aprirla. Scesci gli scali diretta in cucina. Mamma e Jörg stavano già facendo la colazione. Beh certo mia madre non si è nemmeno preoccupata se sono sveglia o no. Avanzai verso il frigorifero ma nessuno dei due fece caso a me, proprio come se non esistessi. Presi il latte con i cereali e mi sedetti al tavolo in silenzio.
- Sbrigati ti aspetto in macchina. – disse mia madre con un tono distaccato una volta finito di mangiare. Sospirai e salì in camera mia per prendere la borsa e scesi subito dopo per non soffermarmi di nuovo sulla porta della loro camera. Jörg non disse manco una parola, come sempre d’altronde. Uscì dalla casa e una follata di vento gelido, tipico dell’inverno in Germania, mi investì. Mi affettai a salire in macchina. Il viaggio durò poco e mia madre stette zitta per tutto il tragitto, manco io avevo l’intenzione di rivolgerle parola. Arrivate a scuola scesi dall’auto sbattendomi lo sportello alle spalle senza dire una parola. Cazzo cosa le costava dire una misera frase come: “ciao, ti vengo a prendere dopo scuola”. Punto, non chiedevo nient’altro! Entrai in classe notando che la lezione era già iniziata e io ero in ritardo.
- Kraus! You’re late. – sentì la voce tagliente del professore d’inglese e trasalì.
- I’m sorry, it won’t happen again. – balbettai sperando che fosse giusto ciò che ho detto.
- I hope so. – disse il professore e si girò alla lavagna facendomi così capire che potevo accomodarmi. Passai tra i banchi sotto gli occhi dei miei compagni. Appena mi sedetti sospirai e mi concentrai sulla lezione, beh almeno cercai di concentrarmi.
La lezione passò in fretta, come le altre due d’altronde. Mi stavo dirigendo in mensa anche se, pensandoci, non avevo fame. In realtà, non avevo voglia di niente da quando Tom e Bill se n’erano andati. Si lo ametto, ero un po’ esagerata ma non ci potevo fare niente. Mi sedetti al solito tavolo, da sola, come sempre. Misi le mani sul tavolo e vi appoggiai la testa.
- Scusa disturbo? – chiese una voce femminile. Alzai la testa. Era una ragazza alta, magra con i capelli biondi e gli occhi castani. Aveva un piercing al sopracciglio destro. Sorrisi, anche Bill ne aveva uno identico. La ragazza tossì per riattirare la mia attenzione.
- Ehm scusa dici a me? – chiesi un po’ stranita. Da quando qualcuno mi rivolgeva parola?
- Si, è libero qua? – indicò il posto vicino a me. Sgranai gli occhi. Non solo parlava con me ma voleva anche sedersi vicino a me.
- Certo che è libero, accomodati. – dissi con un sorriso sincero stampato in faccia. La ragazza si sedette accanto e si girò verso di me.
- Sono Nicole. – disse la ragazza porgendomi la mano.
- Piacere Rachel. – le strinsi la mano e lei sorrise.
- Sono nuova qui. – disse.
- Ah ti piace qui? – chiesi.
- Beh sai la gente qui non è tanto gentile da quello che ho capito.
- Hai capito bene. Ma io non sono così. Io anche sono nuova. Sono arrivata due settimane prima delle vacanze natalizie. Non mi sono fatta degli amici e sai la vedo molto difficile la cosa.
- Allora io e te potremmo diventare amiche, che dici? – chiese lei, entusiasta.
- Mi piacerebbe. – dissi sorridendo.
- Che lezione hai dopo?
- Tedesco, te?
- Anche io! – esclamò Nicole.
Passammo la giornata insieme e le raccontai tutta la mia vita. Sentivo in qualche modo che potevo fidarmi di lei anche se la conoscevo si e no sei ore.  Al ritorno scoprì che lei era la mia nuova vicina di casa. Stavamo già davanti casa sua quando lei mi disse:
- Se vuoi sfogarti un altro po’ sappi che io sono qui.
- Anche tu se decidi di raccontarmi la tua storia. – sorrisi.
- Grazie.
- A te.
- Va beh io vado. Sto qui accanto a te eh! Ti aspetto. – rise e sventolò la mano per salutarmi. Cazzo quel gesto mi riporto alla mente il momento in cui Bill e Tom uscivano dalla mia stanza. Chiusi gli occhi e cercai di scacciare quel ricordo. Sventolai la mano e mi girai per tornare a casa. Una volta entrata gridai “ sono a casa” per avvertire mia madre. Salì gli scali e aprì la porta della mia camera. Era buia e fredda. Ebbi èaura ad entrare lì. Paura di provare quel dolore che avevo provato quella mattina nella stanza di Bill e Tom. No, la cosa era andata troppo a fondo. Era esagerato aver paura a entrare in camera mia. Chiusi gli occhi e feci un passo in avanti varcando la soglia di quella benedetta stanza. Chiusi la porta alle spalle ignorando quella paura del tutto insensata. Buttai lo zaino per terra accanto alla porta e andai a sedermi alla scrivania. Presi una penna e un quaderno dicendo un bel “vaffanculo” ai compiti che erano assegnati per casa e iniziai a scrivere.
Caro diario,

Lui, lui mi manca, mi manca da morire. Come faccio a sopportare tutto questo dolore causato dalla sua assenza e dall’assenza del affetto da parte di mia madre? Sì,quella madre che non mi chiede mai “com’è andata a scuola?”, quella madre che non mi dice mai “buonanotte piccola!”, quella madre che non mi vuole nemmeno bene. Ok basta. Devo fregarmene. Da ora in poi la chiamerò Livia, come tutti. Lei non è più mia madre. Devo smetterla sennò mi farò solo del male. Comunque torniamo al discorso iniziale. Tom. Non lo sento da un giorno e già non ce la faccio più. Come posso andare avanti così? Va beh pazienza. Forse più in là scoprirò che la relazione a distanza non è poi così male…

Posai la penna sul tavolo vicino al quaderno e sospirai. Mi sentivo meglio. Non so perché ma mi senti un po’ in colpa. In colpa per Nicole. Mi ero sfogata a lei e lei mi aveva ascoltato pazientemente fingendo che lei non volesse dire niente perché era tutto a posto. Invece no, non era così. Io avevo notato la tristezza nei suoi occhi. Ad un certo punto mi era chiaro cosa fare. Mi alzai e usci dalla camera a grandi passi. Scesi gli scali e mi diressi nello studio di mia madre. Aprì la porta e la vidi. Stava al computer, probabilmente stava scrivendo un articolo sulla moda (visto che quello era il suo lavoro) e aveva una tazza di caffè sotto il naso. Aveva delle occhiaie enormi, ciò probabilmente voleva dire che non dormiva da giorni. La cosa che mi stupì e che mi accorsi che non me ne fregava sinceramente nulla. Dovetti tossire per attirare la sua attenzione. Solo allora alzò la testa e mi fece capire che mi stava ascoltando.
- Io esco. – l’avvisai. Non sapevo neanche perché l’avvisavo. Sicuramente non si era nemmeno accorta che ero tornata.
- Dove vai? – chiese senza nemmeno cercare di nascondere il suo menefreghismo. In quel momento mi fece davvero schifo e non mi trattenni dal dire:   
- Perché me lo chiedi? Tanto lo so che non te ne frega niente. – lei boccheggiò un paio di volte ma non disse nulla. Ovvio che non aveva niente da dirmi perché sapeva che io avevo ragione. Così senza aspettare una risposta girai sui tacchi e me ne andai sbattendo violentemente la porta alle mie spalle. Uscì dalla casa a grandi passi e mi fermai una volta fuori. Una follata di vento gelido m’investì il viso. Ero schifata, arrabbiata e triste allo stesso tempo. Lei non era mia madre, ci doveva essere uno sbaglio. O forse ci doveva essere un motivo per quale era così cambiata, ma dissi che non me ne doveva importare. Avrei fatto finta che non esistesse, proprio come stava facendo lei. Chiusi gli occhi e inspirai l’aria gelida sperando che la rabbia mi passasse. Scoprì che era facile smettere di pensare a mia madre, soltanto che nella mia mente torno il pensiero fisso. Tom. Ovvio, lui non poteva mancare. M’incamminai e dopo neanche un minuto mi ritrovai davanti alla porta della casa di Nicole. Avvicinai la mano al campanello ma la tolsi subito dopo. Avevo paura. E se apriva sua madre o suo padre? Che cosa avrei detto? Feci un altro respiro e prima che potessi ripensare suonai alla porta e attesi. La porta si spalancò poco dopo. Sospirai. Alla porta apparve Nicole con gli stessi occhi tristi ma appena mi vide improvvisò un sorriso radioso.
- Scusa disturbo? – chiesi con un sorriso da ebete.
- Nono ti pare? Entra. – si scostò per farmi entrare. Feci un passo insicuro in avanti varcando la soglia della sua casa. Davanti a me si aprì un ampio salone con le pareti color pesca e un bel camino circondato da un divano e due poltrone sempre color pesca. Sopra il camino c’erano delle foto che dal punto dove stavo non riuscivo a vedere bene e sopra ancora c’era appesa una TV a plasma. Poi vicino c’era uno scaffale con dentro una collezione di libri davvero impressionante. Nicole avanzò verso la porta dall’altra parte della stanza facendomi cenno di seguirla. Oltrepassai la porta e mi ritrovai in mezzo al corridoio. Alla fine di esso c’erano gli scali sui quali stava per salire Nicole. Vidi una porta aperta. Probabilmente era la cucina quella. Salì le scali e mi ritrovai in un altro corridoio ma più lungo di quello di prima. Qui c’erano tre porte. Due chiuse e una aperta. Nicole entrò nella stanza con la porta aperta e io la seguì. Quella stanza era tutta tappezzata dai poster vari. Riconobbi subito tutti i cantanti e le band che c’erano perché erano gli stessi che ascoltavo io. Avril Lavigne, Linkin Park, Evanescence, 30 seconds to Mars, Green Day e un unico gruppo che non riconobbi.
- Beh… questa è la mia stanza. – disse un po’ imbarazzata anche se non capì perché – Lo so ci sono troppi poster ma mi sento a mio agio così.
- Tranquilla.. anche la mia camera è così. E poi abbiamo gli stessi gusti. – dissi sorridendo. Le si illuminarono gli occhi e sorrise anche lei.
- Sei venuta per sfogarti?
- Non esattamente. Ehm… sai prima avevo notato una nota di tristezza nei tuoi occhi e quindi ho pensato che io mi sono sfogata e tu no… questo non è giusto. Beh almeno credo che le amiche non facciano così. Quindi sono qui per chiederti se vuoi sfogarti te. – dissi tutto d’un fiato sentendomi come se non avessi mai parlato così tanto. Per una frazione di secondo mi sentì anche stupida. Ma tra le amiche si faceva così, giusto? Lei sorrise ma non fu un sorriso di felicità. Infatti poi abbassò lo sguardo.
- Non so… non ne ho mai parlato con nessuno…
- A maggior ragione ora dovresti raccontarmi tutto. – la interruppi.
- Forse hai ragione.
- Sono pronta per ascoltarti. – dissi con tono incoraggiante.
- Sono orfana. – disse velocemente, quasi quasi non riuscì neanche a capire cosa disse. – sono stata adottata. I miei veri genitori sono morti quando avevo sette anni, avevo solo loro. Non avevo ne nonni ne zii. – disse abbassando il capo.
- E ti trattano male qui? – chiesi sinceramente preoccupata.
- Nono, anzi mi trattano come se fossi la loro vera figlia. Solo che mi mancano terribilmente i miei genitori. Io li amavo con tutto il mio cuore e quando mi dissero che non li avrei mai più rivisti questo cuore si è rotto in mille piccoli frammenti come un vetro delicato.
- Mi dispiace davvero tanto. Non so come aiutarti. E non posso neanche capirti perché per quanto possa essere orribile mia madre… è viva. – sospirai. – mi dispiace davvero tanto. – l’abbracciai e quando sentì qualcosa di umido sulla mia spalla iniziai a cullarla.
- Grazie… mi sento meglio dopo averlo raccontato a qualcuno. – cercò di sorridere.
- Vedi, avevo ragione. Comunque sai che io sono qui e non me ne andrò a patto che non lo faccia neanche tu, promesso.
- Promesso. – ci conoscevamo da più o meno sei ore ma già sentivo che potevo fare una promessa del genere a lei. Sentivo che era la cosa giusta. In quel momento la porta si spalancò e una figura alta fece il suo ingresso. Un ragazzo alto e moro apparve sulla soglia.
- Nicole mi presti il CD dei Lin… - s’interruppe entrando nella stanza. – non sapevo che stavi con un’amica.  – disse grattandosi la nuca in imbarazzo.
- Ehm sì… lei è Rachel, ci siamo conosciute oggi a scuola. – disse Nicole sorridendo. Non seppi perché ma colsi un pizzico di maliziosità nel suo sorriso.
- Piacere sono Oskar, il fratello di Nicole. – sorrise e mi porse la mano. Fui indecisa per un millesimo di secondo. Oskar era il primo ragazzo carino che incontravo dal momento che Tom era partito. Sì, lo so è stupido ma per un secondo nella mia mente passò un pensiero al quanto cretino, infondo avevo solo quattordici anni. Pensai di tradire in qualche modo Tom pensando che Oskar fosse carino. Poi scacciai quel pensiero inutile che non faceva altro che darmi fastidio gironzolando per la mia mente. Gli strinsi la mano. Non percepì quella scarica elettrica attraversarmi tutto il corpo come era successo due settimane fa con Tom. Non ne capì mai il motivo ma fu un sollievo.
- Piacere. – ripetei. Oskar arrossì visibilmente e si girò a guardare Nicole.
- Ecco volevo chiederti se mi potevi prestare l’ultimo CD dei Linkin Park. – Nicole si alzò aprì un cassetto pieno di CD messi in ordine. Ne estrasse uno che conoscevo bene. Nell’ultimo periodo ascoltavo solo quello.
- Tieni. – gli porse il CD, Oskar lo prese e si affrettò di uscire dalla stanza. – in presenza di ragazze carine si imbarazza e riesce a malapena a parlare. – mi sussurrò Nicole al orecchio. Sorrisi e diventai rossa anche io.
Il cellulare prese a vibrare e poi partì una canzone di Avril. Sobbalzai e con la mano tremante presi il cellulare che stava in tasca. Tom. Mi bastò leggere quel nome sullo schermo del cellulare per cominciare a sentire i pterodattili nello stomaco.
- Pronto. – risposi con la voce tramante e gli occhi già umidi.
- Rache! – esclamò una voce che conoscevo benissimo. A quel punto scoppiai a piangere.
- TOM! – gridai. – mi sei mancato tanto. Che bello sentire la tua voce di nuovo!
- Stai piangendo? Comunque mi sei mancata anche tu, ma non piangere.
- Si, non posso fare altrimenti. Come stai?
- Mi manchi, sono lontano da te, come posso stare secondo te? Tu come stai?
- Stessa cosa.
Silenzio. Si sentivano solo i miei singhiozzi. Nessuno dei due sapeva cosa dire. Quando stavamo vicini era difficile farci stare zitti. Qua era difficile cavarci dalla bocca una sola parola. Non potevo reagire così ogni volta che mi chiamava, ma sapevo già che l’avrei fatto.
- Com’è andata oggi? – chiese.
- Diciamo bene. Ho incontrato una ragazza. Abbiamo fatto amicizia. Si chiama Nicole. La tua giornata com’è andata?
- Ah davvero? Mi fa piacere. Non sei più sola. Io come al solito. Ho difeso Bill dai soliti bulletti della scuola e basta.
- Come sta Bill?
- Tutto bene. Mi ha chiesto di salutarti, non può parlare perché mamma ora gli sta disinfettando la ferità sul labbro che gli hanno procurato quelli bulletti.
- Oddio mi dispiace. Salutamelo. Salutami anche Simone.
- Si. Tua madre?
-  … - sospirai. – ci ho appena litigato.. abbiamo avuto una specie di discussione.
- Mi dispiace. Senti ora vado. Ho davvero tante cose da fare. Ho chiamato solo per sentire la tua voce.
-  Ti chiamo stasera. – misi tutto l’amore che provavo per lui in quella frase sperando che lui lo capisse. – un bacio.
- Si. Mi manca baciarti.. -  e attaccò. Dalla voce sembrava che stesse per piangere. Forse non voleva farmi sentire che piangeva. Mi asciugai le guance e mi girai. Nicole mi stava fissando intenerita.
- Siete così dolci. – disse. Sorrisi.
- Senti ora vado. Ho bisogno di stare un po’ da sola.
- Sisi certo, ci sentiamo. – uscì dalla stanza a grandi passi. Scesi gli scali. Gli occhi cominciavano a pizzicarmi di nuovo. Ad un certo punto sbattei contro qualcuno. Alzai la testa. Oskar.
- Oddio scusa. – dissi.
- No, non ti preoccupare. Stai piangendo?
- No, mi è andato qualcosa nell’occhio. Ora vado. Ciao.
- Ciao. – attraversai il salone e uscì dalla casa. Nel tragitto da casa di Nicole a casa mia le lacrime quasi quasi diventarono dei ghiaccioli. Entrai in casa e corsi di sopra. Sbattei la porta della mia camera e mi buttai sul letto abbandonandomi in un pianto disperato.
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: hipstah