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Autore: DreamWanderer    01/11/2011    0 recensioni
Karen, e le cose che le succedono attorno, filtrate attraverso il suo punto di vista e quello delle persone a lei vicine.
Fa parte della saga "Shards & Shades".
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Shards & Shades'
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11.
Lite di Mezzanotte.




Karen’s PoV

È capodanno, e stiamo festeggiando. Siamo tutti nella casa di campagna di Luke, e la prima cosa che ho fatto è stata piantarmi di fronte al fuoco scoppiettante nel camino.

Tutto sommato, la festa è tranquilla. C’è un po’ di buona musica, tanto spazio sia per ballare che per sedersi e rilassarsi, una porta isolata che i fumatori possono attraversare nel caso abbiano voglia di una sigaretta, un bel camino acceso e il riscaldamento al massimo. L’unica abbondanza è rappresentata dall’alcol, ma nemmeno quell’elemento è poi così eccessivo: dopotutto, è capodanno.

Personalmente, sto detestando ogni minuto di questa festa.

Ci sono tutte, ma proprio tutte le persone con cui avrei evitare di dover interagire. A parte Luke, che non credo riuscirò mai a perdonare del tutto, ci sono anche Mary e Judith. Ovviamente, Andrew non poteva mancare al quadretto, e la sua espressione rispecchia tutto il disagio che probabilmente ha attraversato i miei occhi non appena ho realizzato il casino della situazione in cui mi ero andata a cacciare. Ma ormai ci sono dentro, quindi tanto vale ballare.

--Vuoi qualcosa da bere?--

Mi volto di scatto, e mi trovo davanti un ragazzo dai capelli biondicci che mi porge un bicchierino. Ha un vassoio in mano, quindi immagino che sia uno degli amici di Luke che si occupa di tenere alto il morale di tutti gli invitati.

L’odore dell’alcol mi arriva subito alle narici, inconfondibile: vodka pesca, la mia preferita. Soppeso lo shot con lo sguardo, inclinando appena la testa di lato.

Perché no, in fondo?

Accetto il bicchiere e ringrazio il tipo con un mezzo sorriso di circostanza. Quello ricambia ampiamente, e se ne va a scocciare __pardon, a tirare su di morale__ qualcun altro. Io mi volto di nuovo verso le fiamme, mentre mi bagno appena le labbra con il corto drink alcolico.

È pure buona. A me piace il modo in cui si mescolano il sapore pungente dell’alcol forte e quello fruttato della pesca dolce. E poi, io reggo meglio gli shot piuttosto che i drink.

Una volta, mi ero bevuta pian piano una bella mezza bottiglia di vodka ma stavo bene. Avevo pure bevuto un po’ di acqua calda e limone per scongiurare la nausea, ed era andata giù come tè caldo. Mi era bastato un bicchiere di coca-cola e rum per avere vertigini, vista annebbiata, scarso controllo sul corpo… inutile dire che neanche mezz’ora dopo avevo rimesso anche l’anima. L’alcol leggero, o mescolato con roba normale, mi dà fastidio. Quello puro invece mi fa pure sentire bene. Meno male che in generale bevo poco e molto raramente, sennò il trapianto di fegato era già da mettere in agenda. Butto giù quello che resta della vodka, e sospiro per svuotarmi i polmoni dall’aroma dell’alcol.

--Come va?-- mi chiede Andrew, affiancandomi nella mia vacua contemplazione delle braci.

Io nemmeno mi giro a guardarlo. Con la coda dell’occhio vedo che si tiene un po’ a distanza da me. Non mi offendo, anzi, condivido la mossa e la trovo saggia. Considerando il casino che il mio aver bisogno di un suo consiglio aveva scatenato, è meglio se ostentiamo una certa distanza.

--Potrebbe andare peggio, immagino.-- rispondo moderando il tono di voce, giusto quanto basta perché lui possa sentirmi e perché il chiacchiericcio copra le mie parola a chiunque altro possa passare per caso.

Ho la tendenza a parlare forte, me lo dicono spesso. Mi viene naturale, e spesso non me ne accorgo. Qualche volta, tra me e me, ci rido su: ho letto una storia in cui si raccontava che quando si alza la voce, significa che il proprio cuore si sente distante da quello dell’interlocutore; magari vuol dire che il mio cuore si sente distante da tutto il mondo.

--Vedo che ti diverti.-- mi canzona Andrew, accennando al sorrisetto ironico che mi è fiorito sulle labbra.

Io ghigno, ricordando una delle nostre tante chat alle due di notte. --Sai benissimo che i miei pensieri sanno essere parecchio divertenti.--

Lo sento ridacchiare, probabilmente ha seguito lo stesso filo dei miei ricordi.

Si schiarisce appena la gola. --Sai, mi dispiace vederti qui sulle tue. Perché non ti siedi con noi? Almeno stai un po’ in compagnia.--

Il mio sorriso muore.

--Non penso sia il caso.-- mormoro, sospirando.

--Judith ormai non ci pensa più, e Mary non è così stupida da mettersi a fare una scenata supportata solo dai castelli che si è fatta da sé.-- mi rassicura.

Non riesco a controllare la smorfia che altera i tratti del mio viso. --Non sarei a mio agio. Non mi piace fingere cordialità, mi sembra sempre di essere falsa e ipocrita.--

Lui storce la bocca con disappunto. --A Judith non farà piacere.--

--Doveva pensarci prima di pugnalarmi alle spalle.-- ribatto, scrollando le spalle.

C’è tanto di quell’astio, nella mia voce, che non mi stupirei se il fuoco cominciasse a morire.

--A te invece come va?-- gli chiedo, per cambiare discorso.

--Sto facendo del mio meglio per sopportare.-- replica lui, e uno scatto nervoso delle sue dita mi fa capire quanto poco si senta a suo agio. --Avevo promesso ai miei amici di passare capodanno con loro, quindi quando si sono uniti alle due oche per venire alla festa di Luke non mi sono voluto rimangiare la parola.--

È molto corretto Andrew, come me. Sono convinta che questo pregio sarà la nostra rovina, prima o poi… perché alla fine i bastardi se la godono, e gli onesti si prendono i rimproveri per aver cercato di fare le cose come si deve. Così va il mondo, immagino.

--Tu piuttosto, che ci fai qui?-- mi chiede sorpreso.

Io scrollo le spalle. --Non mi andava di stare a casa da sola. I miei sono andati fuori a cena, mia sorella è in montagna con amici e fidanzato… insomma, ho accettato l’invito per disperazione. E poi, non mi andava di sorbirmi le domande di Judith.--

È stata proprio lei, a invitarmi qui. Da quando le ho mandato quella lapidaria mail di scuse per un fraintendimento che avevamo avuto __e che lei ha interpretato come un chiedo venia per tutto quello che pensava avessi fatto__ sta cercando di tornare a fare l’amicona con me e a impicciarsi dei fatti miei.

Io cerco di tenerla alla larga il più gentilmente possibile, ma a volte diventa talmente insistente che sono costretta a concederle qualche piccola verità.

Un’unica perla di verità, in mezzo a tutte le bugie che le racconto per tenerla lontana dalla mia vita. Mi sento un rifiuto tossico ogni volta che lo faccio, e allora mi ripeto che ne va della mia sanità mentale. Il che, probabilmente, è anche vero.

--Sai, le feste a cui ero andato per disperazione poi sono state quelle a cui mi sono divertito di più.-- mi dice confortante, porgendomi un altro shottino di vodka pesca.

Io lo accetto con un cenno di ringraziamento, sorvolando discretamente sul fatto che non mi ero nemmeno accorta che si fosse allontanato un momento, tanto ero presa dal mio rancore.

Stavolta, lo butto giù senza tentennamenti.

L’alcol mi scende lentamente nella gola, caldo. In realtà, quando bevo non lo faccio per bisogno o per sete: lo faccio unicamente per questa lieve scia di calore e per il breve giramento di testa che mi causa il bere qualcosa a goccia. Per un momento, mi concentro solo su quelle sensazioni e riesco a scordarmi dei miei pensieri.

Mi lascio sfuggire un mugolio soddisfatto dalle labbra, prima di buttare il bicchiere di plastica vuoto nel cestino lì accanto. Mi stampo un bel sorriso sulle labbra e mi volto verso Andrew. Lui sembra spaesato dal mio cambio d’umore, e la cosa mi diverte.

Sono un po’ lunatica, lo ammetto, ma in realtà voglio solo difendere la mia reputazione di ragazza solare. Mi sono concessa questo momento di malinconia davanti al caminetto, ma adesso è il momento di rientrare in scena indossando la mia maschera migliore: un bel sorriso.

--E ora, con permesso, vado a fare un giro di danza!-- trillo con voce serena, e mi avvio quasi saltellando verso lo spazio che è stato sgomberato per fare da pista da ballo.

Sento Andrew borbottare un “che tipa!”, e mi viene da sorridere ancora di più. Mi piace comportarmi con questa semplicità, perché so che mette allegria. Sia al mondo, che a me: è più facile portarsi dei pensieri cupi sulle spalle se si ha un bel sorriso stampato in volto.



Andrew’s PoV

Quando balla, Karen cambia radicalmente.

E la cosa migliore, è che non se ne accorge nemmeno.

L’avevo già vista lasciarsi andare una volta, quando stavo ancora con Judith, e ricordo di essere rimasto parecchio sorpreso.

Karen è poliedrica, strana. Quando balla, è come se la parte donna e quella bambina che si contendono un pezzo della sua personalità trovassero un modo per fondersi. I suoi movimenti sono sempre semplici, eseguiti con un candore che incanta, ma allo stesso tempo le morbidezze del suo corpo tutt’altro che infantile attirano come una calamita.

È bella, lei, anche se non si rende minimamente conto dell’effetto che può fare certe volte. È quel tipo di bellezza semplice, quasi banale, eppure impreziosita da un’innocenza di fondo che lascia spiazzati. Lei non si sforza di sedurre, quando balla: semplicemente, ha un bel corpo e le piace muoverlo bene. Non pensa, ai pensieri indecenti che io invece vedo tratteggiarsi nei lineamenti di chi la fissa.

Quando balla, Karen balla sola.

Si muove aggraziata al centro di un cerchio impreciso disegnato da quei morti di __sonno, per non dire volgarità__ che la stanno a guardare, che ogni tanto la spingono appena per esortarla a non smettere, sempre con gesti abbastanza controllati, mai violenti, anche se un po’ invadenti.

Nessuno osa avvicinarsi a lei più di tanto, interrompere i suoi movimenti modellati sulla musica in cui cerca di immedesimarsi con tutta sé stessa. Perché per quanto possa essere invitante, con le curve piene e i vestiti attillati, c’è un candore strano in lei, un candore gelido, che allo stesso tempo spinge a volerle stare alla larga. Il paradosso, è che invece è una persona gentilissima, sorridente per la maggior parte del tempo, brillante, timida, e tanto buona.

Tutti le danno spesso della piccolina, della bimba, e tutte le volte lei alza gli occhi al cielo. Lo fa scherzando, addirittura è la prima a ridere di questi epiteti carini, ma qualche volta mi sembra quasi che… le pesino. Forse, perché una parte di lei, quella più matura, non apprezza tanto di non essere mai riconosciuta.

Quando balla, Karen ricorda al mondo quanto sia donna.



Karen’s PoV

Mi lascio cadere su un divanetto, ancora sorridente. Distendo le gambe affaticate, e appoggio la testa all’indietro.

Mi piace ballare, anche se non sono molto brava. Intendiamoci, mi so muovere a tempo, ma le mie doti di danza si esauriscono lì. Mi piacerebbe essere brava davvero, e poter fare passi veri e coreografare brevi canzoni, ma la verità è che non ci sono proprio tagliata!

Rialzo la testa e scorgo Andrew mimare un applauso silenzioso. Io lo ringrazio con un cenno del capo.

Lui è uno di quelli convinti che io sia una grande ballerina. A voler guardare in faccia la realtà, sono una semplice ragazza che ha preso qualche lezione di danza moderna e che sa fare i movimenti giusti per valorizzare il proprio fisico.

Gli altri dicono che mi sminuisco. Personalmente, penso che dare a me della ballerina significhi sminuire il concetto stesso di danza intesa nel senso di arte.

Punti di vista, immagino.

--Complimenti, sei una vera ballerina!-- esclama un ragazzo.

Io rispondo con un cenno di cortesia, molto distaccato, ma dentro di me rido: se mia sorella Jen sentisse questi qui che mi danno della ballerina, comincerebbe a tirare le sue scarpette da danza, quelle con la punta… fa danza classica da dieci anni, come darle torto? Personalmente mi considererei offesa anche io!

Considero per un attimo l’idea di andarmi a prendere un altro sorso di vodka per ritemprarmi un po’, ma rinuncio. Non mi va di bere, e ora come ora sto bene così. Non ho voglia di esagerare, ho già ingerito alcol a sufficienza tra i bicchierini di prima e quelli sorseggiati mentre ballavo. Mi sento allegra, anche se ancora lucida, e tanto mi basta.

--Ti vedo stanca. Che ne dici di fare un giro, tanto per cambiare un po’ aria e schiarirti le idee?-- chiede qualcuno.

Si tratta dello stesso ragazzo che mi aveva offerto la vodka prima, quello con i capelli biondicci. Considero un momento la sua offerta, prendendomi il tempo per valutarla: l’impulsività mi fa sempre fare danni.

È il sentirmi addosso gli sguardi di diversi ragazzi, a convincermi ad accettare la proposta: mi va di allontanarmi per un po’.

Faccio un breve cenno al biondino, e mi alzo con calma. Lui annuisce contento, e mi porta al piano di sopra della casa.

Nella mia maledetta ingenuità, non do il minimo peso al sorrisetto che vedo passare sul volto di Luke.

Il ragazzo mi indica una porta infondo al corridoio che parte dal pianerottolo in cima alle scale.

--Quella lì è la stanza degli ospiti.-- mi spiega. --Se vuoi stare lì per riprendere fiato un momento, fai pure.--

Io annuisco sollevata, e lui mi sorride per poi tornare al piano terra, dove la festa non accenna a freddarsi. Mi avvio verso la camera che mi ha indicato e la raggiungo in pochi passi.

Quando socchiudo la porta alle mie spalle, tiro un sospiro di sollievo. In effetti la stanza è molto tranquilla, e della musica non arrivano altro che echi ovattati. C’è anche un bel letto dall’aspetto morbido, quindi se al massimo mi viene voglia di stendermi posso farlo. Ora come ora, però, preferisco bere un bel sorso di semplice acqua.

Vado nel bagno collegato alla camera e apro il rubinetto. Prendo qualche sorso dalle mani a coppa, e comincio a sentirmi già un po’ meglio: più lucida, quasi rinfrescata.

Mi lascio distrarre da quello che mi sembra il rumore di una porta che si chiude. Mi sporgo appena, ma l’armadio a muro mi copre la visuale e mi impedisce di vedere chi è entrato. Mi stampo in volto un sorriso di cortesia e ritorno nella stanza degli ospiti per vedere chi c’è; probabilmente, qualcun altro un po’ intontito che vuole riprendere fiato per un momento.

Quando i miei occhi si fissano sulla persona, però, mi gelo sul posto.

Di fronte a me, davanti alla porta, c’è Luke.



Luke’s PoV

La guardo bloccarsi all’improvviso, e ghigno come un idiota.

Ha un sorriso cristallizzato sul viso, ma le emozioni che si alternano rapidamente nella tensione dei suoi lineamenti palesa quanto fosse una semplice espressione di cortesia. Ha le mani strette a pugno, le spalle irrigidite. Persino le pieghe dei vestiti che aderiscono perfettamente al suo corpo morbido, quel corpo che poco fa ha saputo incantare mentre ballava, sembrano essersi congelate.

Quanto era bella, quando ballava. L’avevo già vista, quando Judith cercava di farmi mettere con lei, e io l’avevo fissata con lo stesso sguardo trasognato con cui l’ho guardata prima. Né oggi, né allora, ho avuto il coraggio di avvicinarmi a lei più di tanto, di toccarla. Vedevo i suoi occhi che brillavano, completamente persi nella musica da discoteca che riecheggiava in modo assordante.

Ora, ha gli occhi cupi.

Non sono mai riuscito a leggerli, quegli occhi, e non ci riesco nemmeno ora che le lenti a contatto hanno sostituito gli occhiali spessi. È un po’ frustrante.

Ma è rimasta bella, delicata. Non riesco a capire come possa quel visetto angelico celare tutte le emozioni che si alternano velocissime nei suoi occhi. È come se non mostrasse nulla, assolutamente nulla, e io mi ritrovo disposto a pagare non so quale cifra per riuscire a leggerle nella mente. Quando volevo stare con lei, a volte, non so cos’avrei dato per sbatterla con forza contro un muro e prenderla fino a farle male, fino a spezzare quella maschera dolce con cui cela ogni altro sentimento, per poterla finalmente capire, per poterle finalmente leggere dentro. Mi rendo conto di essere stato, e di essere, al limite dell’insofferenza verso quell’atteggiamento posato. Avevo cercato di fare le cose con calma, perché si fidasse di me. E cosa avevo ottenuto?

Picche.

Mi arrabbio di nuovo, se ci ripenso, e ora come ora non va bene: ora come ora, devo cercare di mantenere la calma.

--Cosa vuoi da me?-- sibila, e la temperatura sembra scendere all’improvviso tanto è il gelo che spira da lei.

--Ciao anche a te.-- ribatto con ironia, ma lei non coglie minimamente la provocazione. --Sto cercando solo di fare un po’ di chiarezza. Non c’è bisogno di mettersi sulla difensiva.--

Il suo sguardo si fa più sottile, affilato come una spada. --Non hai imparato che a voler fare chiarezza si incasinano le cose? Perché se vuoi ti ricordo cos’è successo a me quando ci ho provato.--

Sbuffo, e alzo una mano verso di lei per accarezzarle i capelli e sminuire la situazione a cui si riferisce. Lei indietreggia di due passi buoni.

--Sta’ lontano da me, Luke. È colpa tua, se adesso per loro sono una puttana.-- sputa, velenosa come una vipera, gli occhi che potrebbero uccidere.

Puttana. Non mi piace quella parola, e so che non piace nemmeno a lei, ma in questo momento mi fa capire una cosa: è ancora arrabbiata, addolorata per tutto quello che è successo.

E io non riesco a capire perché.



Karen’s PoV

Sento l’ira e il rancore scorrermi nelle vene, peggio di un veleno che infetta rapidamente tutto il corpo diramandosi attraverso il sistema circolatorio.

Sono furiosa, con lui e con me stessa.

Con me stessa, per la mia maledetta ingenuità.

Con lui, perché è anche colpa sua se ho perso tutto quello che avevo in questa città, è colpa della sua incapacità di capirmi. Per un semplice tentennamento, ha cercato di farmi arrabbiare per avere una mia reazione. Non aveva pensato, che ci sarei rimasta male. Non aveva pensato, che avrei rifiutato categoricamente i suoi ossessivi tentativi di rifilarmi le sue patetiche scuse. Immagino che non avesse minimamente considerato anche quanto avrei potuto sentirmi usata quando sono venuta a sapere che appena una settimana dopo si era messo con Mary.

E io non avevo pensato che proprio Mary, la mia amica Mary, mi avrebbe dato della puttana per aver tentato di parlare con lui e appianare l’imbarazzo che lui si sentiva ogni volta che ci incrociavamo. Non avevo messo in conto che Judith, qualche mese dopo, avrebbe dato ragione a Mary, lasciandomi sola.

Alzo lo sguardo su di lui, arrabbiata per tutto quello che ha causato la sua infantile presa di posizione, e trovo le sue iridi scure che cercano di leggermi nel volto e negli occhi, che cercano di carpire i miei pensieri e violare i miei sentimenti.

Io non mi sento minimamente toccata, da quello sguardo.

Lui non ci può arrivare, dentro di me. Non ha gli occhi abbastanza intensi. Non ha gli occhi abbastanza affilati, perspicaci, acuti. Semplicemente, non ha gli occhi giusti.

--Cosa vuoi?-- ripeto, cercando di controllare il tremito delle mie mani, in un patetico tentativo di non mostrarmi eccessivamente sconvolta da questo confronto.

--Voglio solo cercare di capire.-- ribadisce, guardandomi dritto in viso.

Il mio atteggiamento si ammorbidisce un po’: mi sembra sincero, e decido di concedergli il beneficio del dubbio.

--Bene.-- dico, decisa. --Allora chiedi.--

--Cos’è successo con Andrew?-- comincia, e io m’irrigidisco di nuovo.

Domanda sbagliata.

--Ma a te che ti frega?-- sbotto, di nuovo irritabile: diciamo che, se potessi scegliere, questo non è un argomento di cui vorrei parlare con lui. Cominciamo malissimo…

--Voglio sapere se sei davvero diventata una… poco di buono.-- si spiega, allarmato dalla mia reazione stizzita.

Ah ecco. Mi pareva che fosse strano che fosse mosso da genuino interesse. Piuttosto, è mosso dalla curiosità che gli è venuta dalle voci che ha sentito, quelle messe in giro da Judith e Mary.

Una piccola parte del mio cervello coglie il suo tentativo di mantenere un registro di conversazione più cauto, più formale. Peccato che in questo momento, tra un po’ d’alcol nel sangue, la rabbia nel cuore e l’imprevedibilità di questa conversazione, io non sia in grado di regolare il mio atteggiamento su questa lunghezza d’onda.

Sento gli angoli della mia bocca sollevarsi in un ghigno piccolo piccolo, poco rassicurante. Vedo lui irrigidirsi alla mia reazione, e le sue labbra si stringono per la stizza che gli provoca il mio sorrisetto.

--E se anche fosse?-- soffio con arroganza, del tutto incurante della sua scarsa stabilità emotiva, in quel momento.

È un attimo, e mi ritrovo sbattuta con forza contro il muro alle mie spalle.

Dannazione. Mi sono lasciata prendere dal rancore al punto da scordarmi quanto questo mio atteggiamento indifferente e trasognato lo faccia infuriare. Soprattutto, non ho minimamente tenuto conto del fatto che non è nemmeno lucido: l’ho visto bere, prima, non tanto da stare male, ma abbastanza da essere piuttosto brillo. E Luke tende a diventare cattivo, quando non riesce ad avere con le buone quello che vuole in un determinato momento. Mi è già successo una volta, ma allora mi aveva ferita a distanza, con parole mirate a farmi arrabbiare, facendomele arrivare per conti terzi. Adesso, non credo che me la caverò con qualche offesa.

Cerco di divincolarmi, ma sono infinitamente più debole di lui. Lo vedo sorridere soddisfatto, mentre mi immobilizza alla parete con una mano sola, schiacciandomi con il suo corpo. Mi guarda negli occhi, ma purtroppo so benissimo che non riuscirà a leggermi dentro, che non riuscirà a trovare né il timore né la verità che risiede in essi.

Purtroppo per me.

E infatti lo vedo stringere le labbra, irritato. E quando sento la sua mano libera premere contro il mio fianco, tanto da farmi male, capisco che ha intenzione di pretendere con le cattive le risposte che cerca.

--Karen, adesso rispondimi. Mi sto alterando.-- mi avverte, la voce che trema.

Sarebbe meglio se parlassi, se ingoiassi l’umiliazione e gli raccontassi la verità. A fermarmi, però, non è l’orgoglio: è lo shock, è la paura, a chiudermi la gola. Non riesco ad emettere il minimo suono, nemmeno volendolo: la mia voce è rimasta intrappolata chissà dove.

--Karen.-- ripete, il tono più alto, e mi stringe tanto forte da farmi un male assurdo.

Gemo, gemo per il dolore che mi provoca la sua presa, tanto salda da bloccarmi quasi la circolazione. Miseria se è forte.

Ma è grazie a quel gemito che la mia voce finalmente si sblocca. Sento la gola secca, le parole mi escono lievi e stentate quando cerco di raccontare. Ma almeno escono, e questo basta.

--Con Andrew è stato tutto un malin_-- inizio, ma mi scuote con violenza, facendomi urtare la testa contro la parete.

--Voglio la verità!-- sibila.

Mi interrompe, non mi permette di spiegare. Non mi crede, non mi crederebbe nemmeno se riuscissi a dirgliela, la verità. Non gli importa davvero di quello che ho da dire, vuole solo una conferma delle voci che ha sentito dagli altri. Si fida più di loro, che della diretta interessata.

Una lacrima mi scivola lungo la guancia, una lacrima di frustrazione e di dolore, una lacrima che vorrebbe giustizia.

Luke la nota, e mi guarda confuso: non capisce. È quella incomprensione, più di tutto, a farmi arrabbiare di nuovo, a spingermi ad urlargliela in faccia, la verità, in totale contraddizione con quella che lui ha già dato per scontata.

--LUKE CAZZO, SONO VERGINE!--

Finalmente, la presa si allenta un po’. Altre lacrime, che ricalcano il solco della prima, scendono a rigarmi il viso senza lasciare possibilità di dubbio riguardo a quello che ho appena affermato.

--Sei… vergine?-- balbetta, completamente incredulo.

Io riesco solo ad annuire, senza riuscire a fermare questo pianto lieve, senza singhiozzi, e lui mi lascia andare. Mi faccio scivolare contro la parete, sorprendentemente spossata dalla confessione che gli ho urlato, finché non mi ritrovo seduta a terra. Lui è ancora in piedi, davanti a me, con un’espressione stupita in volto.

--E… loro lo sanno?-- s’informa, imbarazzato.

--A… a Judith l’avevo detto.-- tentenno appena nel rispondere, rossa in viso, mentre altre lacrime colano lungo le mie guance: sono lacrime di dolore per i ricordi, e di sfogo per lo spavento che mi sono presa.

--Ma perché ti danno della puttana, allora?-- mi chiede, confuso.

La voce esce da sola, debole, stanca di tutta quella storia. --Avevo chiamato Andrew perché avevo un po’ di pensieri, e volevo il suo parere perché quello di Judith non mi bastava. Loro si erano già lasciati, e quando mia sorella ha detto a Judith che eravamo usciti lei ha pensato che il mio fosse un tentativo di mettermi con il suo ex. Mi ha scritto qualche mail di insulti. Io allora l’avevo rimossa dal mio social network e lei si è offesa, e per non peggiorare la cosa le ho mandato una mail dicendo che l’avevo fatto per sbaglio. Mi ha risposto tutta trillante dicendo amiche come prima, e io le ho mentito dicendo che era tutto a posto perché ero stanca di tutto questo casino.--

--Ma la voce era già andata in giro, e lei non l’ha mai smentita.-- completa lui per me. --Per questo continui a starci male per tutta questa storia, per questo non vuoi stare in nostra compagnia: non perché ti senti in colpa, ma perché soffri…--

E la voce gli muore, al pensiero di quanto possa pesarmi quest’ingiustizia, al pensiero di quanto possa pesarmi la decisione di non dire nulla per non ricombinare un casino completamente superfluo.

Sì, soffro.

Io nemmeno annuisco, tanto l’affermazione è retorica, e comunque sembra che stia parlando più con sé stesso. Lo sento inginocchiarsi di fronte a me, senti il suo respiro sui capelli.

--Karen, mi dispiace tantissimo, non volevo farti male, davvero, io pensavo_-- balbetta, e mi sfiora piano la testa.

Apro gli occhi di scatto, mi ritraggo al contatto, scaccio la sua mano, e lo spingo lontano da me. Non voglio che mi tocchi, voglio che se ne vada, voglio che mi lasci in pace. Detesto quando si comporta in questo modo, quando fa del male e dopo dieci minuti appena ritratta ogni suo singolo gesto, e non riesco a tollerare di averlo vicino in questo momento, con questo suo atteggiamento così infantile.

Lo guardo, e vedo che è tornato in sé stesso, vedo che adesso è calmo. Tanto meglio, anche se non fa poi tutta quella differenza.

--Karen…-- tenta ancora, ma io lo blocco con un cenno della mano.

--Va’ via.-- dico, lapidaria.

Lui cerca di avvicinarsi, di confortarmi, di scusarsi, ma io ripeto le stesse identiche parole che ho appena pronunciato. Lo vedo ritrarsi, dispiaciuto, e mi ci vuole un secondo per capire perché sembra anche un po’ sconvolto.

Perché ho urlato.

La porta si apre, e vedo Adrew sulla soglia. L’effetto dell’intrusione è immediato: abbandono i singhiozzi, blocco le lacrime che ancora cercano di sfuggire alle mie ciglia, asciugo quelle che già l’hanno fatto, liscio con un gesto le pieghe della gonna mentre mi alzo.

--Meno male che le serate a cui si partecipa per disperazione sono quelle a cui ci si diverte di più.-- ironizzo. --Se mi diverto un altro po’ finisce che mi butto dalla finestra.--

Andrew alza un sopracciglio, un po’ divertito dalla mia uscita, mentre fa scorrere lo sguardo da Luke a me.

--Tutto a posto?-- chiede, insospettito dai miei occhi arrossati.

--Certo.-- risponde immediatamente Luke. --Stavamo solo chiarendo due cose.--

Andrew mi guarda di traverso, poco convinto.

Io annuisco, e faccio un gesto leggero con la mano per fargli capire che non mi va di parlarne.

Non ho voglia di altri casini stasera, ne ho avuti già abbastanza. Ci manca solo una sfuriata tra questi due, più una faida tra loro, Mary e Judith. No, non credo di avere la forza per affrontare tutto questo nel giro di poche ore.

Perciò, semplicemente, taccio.

Tanto lo so che ne riparleremo, Andrew non è per niente convinto che vada tutto bene. Onestamente, mi chiedo come potrebbe non notarsi visto che ho sicuramente un aspetto piuttosto turbato, per non dire sconvolto. Ma non stasera. Domani forse, o dopo. Basta non stasera.

--Adesso vattene, Luke.-- sputo con rancore, cercando di fermare quel gioco di sguardi colpevoli e indagatori, un gioco che mi porterebbe solo altri guai.

Lui annuisce, l’espressione ancora contrita, e se ne va. Io tiro un sospiro di sollievo quando la porta si chiude, e mi lascio cadere sul letto morbidissimo. Qualche secondo dopo mi sento affondare, e capisco che Andrew si è seduto a poca distanza da me.

--Karen, è davvero tutto a posto?-- mi chiede. --Hai una faccia…--

--Ho sempre la mia solita faccia.-- scherzo io, poi mi volto verso di lui --Abbiamo solo discusso un po’.--

Lui capisce le mie reticenze, non insiste. --Ti lascio stare solo se mi assicuri di stare bene.--

Lo guardo negli occhi. --Sto bene.--

Annuisce. --Va bene allora. Perché adesso non ti riposi un po’? Sennò ti riaccompagno a casa.--

Lo fermo con un cenno. --Mi riposo. Tanto ho detto ai miei che dormivo qua insieme a Judith.--

--Vuoi che resti?--

Lo osservo di sbieco, già in guardia, ma nei suoi occhi scorgo solo una genuina preoccupazione.

Scuoto il capo. --No, non c’è bisogno. Anzi, è meglio se vai giù. Se qualcuno ti chiede qualcosa, dì che sto morendo dal mal di testa per un goccio d’alcol di troppo.--

Lui mi sorride, complice, poi se ne va. Io mi stendo per bene sul letto e allungo un braccio per spegnere le luci. Scalcio via le scarpe e mi intrufolo sotto le coperte, completamente vestita. Mi accoccolo per benino e chiudo per un po’ gli occhi.

Sola, finalmente.

Non mi piace starmene sulle mie, ma adesso mi serve. Ho bisogno di calmarmi, per ricostruire la mia maschera a forma di sorriso prima di tornare di sotto. Mi sono presa un bello spavento prima, ma tutto considerato non mi dispiace di essermi chiarita con Luke. Almeno adesso c’è qualcun altro che sa la verità, e io sento di aver ottenuto un po’ di quella giustizia a cui tengo tanto.

Stasera va bene così. Potrebbe andare meglio, certo, ma stasera va bene così. È questo ciò che mi ripeto, mentre soffoco il pensiero che Luke abbia deciso di affrontarmi solo perché volesse fisicamente prendermi, per avere la sua rivalsa.







Angoletto!

Aaaaah, ritardo ritardo ritardo!
Chiedo perdono ^^'''''' ho vissuto questi giorni scorsi tra treni e valigie (e piume, ma sorvoliamo) e proprio il tempo di mettersi lì a sistemare questo capitolo proprio non l'ho avuto.

Comunque, ecco a voi: a pochi giorni di distanza da Halloween, un bel capitolo su una festa di Capodanno! Che dire, sono un mostro di tempismo -.-

Come tanti altri, questo è un capitolo vecchio, scritto lo scorso capodanno, quando le ferite di Luke e Judith ancora bruciavano come sale nel petto della mia Karen. Vi tranquillizzo subito, Luke non l'ha mai sbattuta contro un muro, non le ha mai fatto del male fisico: questo capitolo salta fuori esclusivamente dalla mia immaginazione. Per viso di quel tesoro di Andrew, che ritroveremo più volte, vi rimando come al solito alla mia pagina su FB:
DreamWanderer ~EFP

Beh, non c'è molto altro da dire. Il prossimo capitolo lo troverete su una nuova storia che va a comporre il quarto elemento di questa saga, "From a Friend's Eye.", ovvero Karen vista da un PoV particolare, in cui la voce narrante pare rivolgersi a lei usando il tu, quasi le stesse parlando. La cosa che vi anticipo: si va a un concerto!

Spero che questo capitolo (bello lungo *o* soddisfazione personale!) vi piaccia :)

Un bacio a tutti voi, che siete arrivati sin qui.

;*
   
 
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