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Autore: miseichan    02/11/2011    15 recensioni
- Stai cercando di dirmi che vorresti farti un cucciolo di dalmata? –
- No. Che voglio farmi te –
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Lucky

 

 

- L’ho fatto, Dana!

- Cosa? Cos’hai fatto?

- Ci sono riuscito, capisci? Riesci a crederci?

- Giuro che ti faccio male, Marco.

La ragazza aveva gli occhi socchiusi, l’espressione tutt’altro che rilassata.

Stringeva il cellulare con tanta forza da farle sbiancare le nocche.

- Farmi male? – balbettò la voce del ragazzo, sorpresa – Perché dovresti farmi male? -

- Perché ho un idiota per fratello –

- Sono il tuo unico fratello – borbottò lui, lentamente.

Loredana si massaggiò le tempie con la mano libera, reprimendo a stento un sospiro esasperato.

- Ah! – esclamò Marco, capendo con un po’ di ritardo l’insulto della sorella – Sei cattiva, Dana -

- Non sono cattiva – soffiò lei – Sono a un funerale, cosa che tu continui a ignorare –

- Ma no… lo so che sei a un funerale –

- E allora per quale diavolo di motivo mi hai chiamata?! – scoppiò, attirando parecchia attenzione.

Un ragazzo alto, prima appoggiato alla finestra, le si avvicinò cauto, scrutandola con espressione interrogativa. Loredana coprì appena il microfono del telefonino, bisbigliando scuse sconnesse.

- Marco – ringhiò poi, tetra – Ora attacco. E non provare a richiamare, tanto non rispondo -

- Oh, non ce n’è bisogno – ridacchiò lui – Sono qui! –

Le dita già pallide quasi si lasciarono sfuggire il telefonino tanta era stata la meraviglia.

O meglio, il terrore.

- Come, scusa? –

- Sto entrando in questo momento, Dana –

Loredana si voltò di scatto, una muta preghiera sulle labbra. Vana.

Restò immobile, osservando orripilata il fratello che oltrepassava la soglia con passo sicuro.

Perché? Per quale dannatissimo motivo non poteva essere figlia unica?

Cosa aveva fatto di male per meritarsi lui come fratello minore?

- Allora – cominciò Marco – Vuoi sapere o no cosa ho fatto? -

- No –

Il ragazzino piegò le labbra in un broncio, guardando la sorella con fare contrito e sussurrando:

- Dana, ti prego – piagnucolò, aggrappandosi a un braccio della ragazza e scuotendola.

- Ti prego un cavolo! – sibilò lei, liberandosi dalla stretta. Con un abile movimento gli prese un orecchio fra due dita e iniziò a tirarlo di nuovo verso la porta da cui era entrato: – Non dovresti essere qui, non devi parlarmi ed è meglio per te se sparisci in meno di un secondo

- Non noti niente di diverso in me? – chiese Marco, incespicando sull’uscio.

Loredana lo squadrò, un sopracciglio inarcato: capelli neri, spettinati, lunghi fino alle spalle; era di qualche centimetro più alto di lei, esile ma assolutamente non indifeso: come arma gli sarebbe bastata anche solo la lingua; un paio di jeans neri e una felpa rossa, gli occhi accesi dall’eccitazione.

- No – fece lei, telegrafica, incrociando le braccia al petto – Puoi andare -

Marco sorrise, un paio di fossette che gli si formavano ai lati della bocca, semplicemente adorabili.

- Vuoi dire che l’occhio non è così nero come pensavo? -

- L’occhio? – si strinse lei nelle spalle – Quale occhio? –

- Quello su cui Nicola Pavesi ha pensato bene di assestare un bel cazzotto –

Loredana non riuscì a ostentare ancora la più totale indifferenza: si avvicinò appena, di un solo passo, studiando con maggiore attenzione i begli occhi verdi del fratello. Attorno a quello destro si stava chiaramente creando un alone violaceo niente affatto rassicurante. Al diavolo…

- Ti sembrava il giorno giusto per prenderti un pugno? -

- Perdonami – ghignò il ragazzino – La prossima volta vedrò di fissare un appuntamento –

- Cretino – sibilò lei, afferrandolo per un gomito e trascinandoselo dietro.

Percorsero un corridoio, silenziosi: era Loredana a guidare, diretta alla porta dietro l’angolo. Vi si fiondò dentro, chiudendosela alle spalle con un movimento deciso:

- Per quale stupidissimo motivo ti sei fatto malmenare, sentiamo? -

- Mi sono fatto malmenare? – fece lui, basito, le mani protese in avanti – No, cara. Io non mi sono fatto malmenare. Io ho cominciato! –

- E ne vai fiero? – ringhiò la ragazza, prendendo in considerazione l’idea di schiaffeggiarlo.

- Certo –

- Marco, io ti… -

- Se lo meritava! – sbraitò il ragazzino, alzando gli occhi al cielo – Insisteva a dire di essere etero! –

E Loredana restò a corto di parole.

- Come si può resistere a me, Dana? Come? Credevo che stesse facendo il difficile, sai com’è. Così, dato che mi era scocciato di aspettare, l’ho provocato un po’. Ma niente, testardo il ragazzo… e gli ho dato un calcetto. Piccolo, ti assicuro. Quasi poteva non accorgersene. Invece no. E mi è saltato addosso. E ci ho rimediato un occhio nero –

Marco si guardò attorno, avvicinandosi rapido all’unico specchio presente nel piccolo bagno:

- E’ carino, vero? D’effetto, più che altro – aggiunse soddisfatto, studiando attento l’alone scuro.

- Ah, e sono anche riuscito a palparlo un pochino – concluse, un sorriso sornione.

Loredana socchiuse gli occhi, avvicinandosi alle spalle del fratello: fu con un gesto calcolato che gli strinse le mani attorno al collo, cominciando a scuoterlo convulsamente. Leggiadra.

- Tu sei completamente pazzo! – sbraitò, sbattendolo contro la porta – Un omosessuale assatanato e della peggior specie! Cosa ti salta in mente? Non puoi dare il via a una rissa perché uno non vuole venire a letto con te, lo capisci, idiota? Non hai il diritto di palpeggiare chiunque tu voglia! -

Marco riuscì a liberarsi dalla stretta, crollando in ginocchio sul pavimento: tossiva, piegato in due.

Un bussare prudente alla porta zittì entrambi. Loredana si morse un labbro, fulminandolo:

- Sì? – chiese, amabile.

- Sei tu, Lori? – domandò a sua volta la voce da fuori – Va tutto bene? –

- Certo. Tutto benissimo. Esco subito – rispose lei, affrettandosi a rimettere in piedi il fratello.

- Vada anche per l’omosessuale assatanato – sibilò Marco, carezzandosi la gola – Ti voglio fare presente però, cara sorellina, che io ho il diritto di palpeggiare chi mi pare e piace –

Loredana si fermò, la mano già sul pomello: - Non ce l’hai

- Invece sì -

I due si squadrarono in silenzio, tesi come corde, finché le dita di lei non corsero a sfiorare l’occhio contuso e lui non sussultò, sorpreso. Un sorrisetto illuminò la ragazza che aprì la porta:

- Ora te ne vai – gli sussurrò all’orecchio, incamminandosi per il corridoio.

- Non posso, Dana! – mormorò il ragazzino, inseguendola.

- Perché, di grazia? –

- La mamma –

Rispondendo all’espressione interrogativa di lei, Marco proseguì, il tono supplichevole:

- Se vedesse l’occhio nero le prenderebbe un colpo. Come glielo spiego? Speravo… speravo che tu me lo avresti potuto truccare un po’. Coprirlo, no? Camuffarlo… -

- Camuffarlo? –

Il ragazzino annuì imitando forse involontariamente un cucciolo pentito e speranzoso al contempo.

Loredana sospirò, ruotando gli occhi: - Facciamo in fretta

Si era girata, facendo per tornare di corsa nel bagno, quando una mano le si poggiò sulla spalla.

- Lori, sicura che vada tutto bene? -

Lei sollevò lo sguardo sul ragazzo che l’aveva fermata: lo stesso che l’aveva interpellata mentre era al telefono, sempre lui che aveva bussato alla porta del bagno. Andrea.

- Certo – balbettò in risposta, il cuore a mille – Perché? Sembra forse il contrario? -

Marco sorrise, divertito dalla confusione che sembrava aver avuto il sopravvento sulla sorella. Ah, le donne: bastava così poco a bruciargli quei pochi neuroni che tanto vantavano?

Sempre sorridendo studiò il ragazzo, quel così poco, e quasi a malincuore dovette ricredersi: era tutto fuorché poco. Era alto, biondo e scandalosamente attraente. I capelli corti, il viso sottile, gli addominali che si intravedevano anche sotto il completo scuro. E gli occhi… oddio che occhi: uno azzurro, l’altro verde. Una differenza appena visibile che lui, tuttavia, aveva subito notato.

- Ti ho sentita alzare la voce – stava dicendo, lo sguardo incatenato a quello di Loredana – C’è qualche problema? -

- No – scosse il capo lei, senza fiato – O meglio, c’è mio fratello –

A quel punto si voltarono entrambi verso di lui, trapassandolo senza pietà.

- Andrea, lui è mio fratello: Marco – presentò Loredana – Marco lui è Andrea, un mio amico –

I due si strinsero la mano: pochi secondi appena, prima che lei tirasse via il più piccolo, impaziente.

- Spero ci scuserai, Andrea – fece, rapida – Torno fra pochissimo –

Il ragazzino si lasciò trascinare, muto, entrando di spontanea volontà nel bagno e appoggiandosi con le spalle al muro, le braccia incrociate al petto:

- Andrea, eh? – ghignò, ammiccando in direzione della sorella – E’ l’Andrea di cui ho letto nel tuo diario? -

- Tu cosa…?!

- L’Andrea con un corpo da infarto che neanche Photoshop? – ridacchiò lui, citando le parole scritte da Loredana – Lo stesso Andrea che, riassumendo, stupreresti molto volentieri? –

Il viso della ragazza non lasciava trasparire alcuna emozione: si guardava allo specchio, sistemando i capelli e ritoccando gli occhi con la matita nera. Fu proprio quell’assenza di reazione a far tremare Marco: lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, schiudendo leggermente la bocca.

Fu con uno scatto fulmineo, poi, che sgusciò fuori dalla porta.

L’urlo di lei lo raggiunse appena, ovattato; continuò a camminare, indifferente, cercando il modo più veloce e sicuro per guadagnarsi l’uscita. Era quasi arrivato alle scale, la testa che istintivamente scattava all’indietro così da assicurarsi di aver seminato Loredana, quando sbatté contro qualcuno.

- Scusi, scusi, scusi! – sussurrò concitato, il cuore che batteva forsennatamente – Io non… -

- Marco, giusto? –

- Sì – balbettò il ragazzino – Andrea? –

- Sì –

Marco annuì ancora, arretrando di qualche passo: - Io… stavo andando via

Si era già voltato, dando le spalle al biondino, quando la sua voce lo raggiunse di nuovo:

- E’ un occhio nero quello? -

- Potrebbe – mormorò in risposta, girandosi di pochi centimetri solo per guardarlo.

- C’è del fondotinta nel bagno di sopra – si strinse nelle spalle Andrea.

- Fondotinta? –

- Ti interessa o no? –

Marco schiuse le labbra, affrettandosi ad annuire: seguì il ragazzo che già si era incamminato per le scale, lo sguardo allucinato, il cervello che faceva gli straordinari. Possibile?

Poco prima di sparire al piano di sopra incrociò casualmente lo sguardo di Loredana, pietrificata vicino all’ingresso: il ragazzino si esibì nel suo miglior ghigno malizioso, l’espressione ammiccante. 

 - Vieni, moccioso? -

Marco inarcò un sopracciglio con fare contrariato: - Come mi hai chiamato? –

Andrea sospirò, facendogli segno di affrettarsi: - Moccioso – sussurrò – Preferisci piccoletto? O cucciolotto? La scelta è tua, fatto sta che resti un ragazzino

- Non sono un ragazzino! – esclamò Marco, entrando a sua volta nel bagno, allucinato.

- Ma per favore! – sbuffò l’altro, frugando in un mobiletto bianco – Quanti anni hai? Quindici, sedici? Scommetto che non hai neanche i peli s… -

- Ne ho diciassette! – scandì Marco, fremente – Diciassette. Quasi diciotto. E tu, sentiamo? –

Il volto del biondino tornò a farsi vedere, sornione: - Ventitré. Quasi ventiquattro –

- Oh, certo. Tu sì che sei vecchio -

Andrea gli si avvicinò, un barattolo fra le mani: con un cenno del capo gli fece segno di sedersi sul bordo della vasca, quindi si piegò, poggiandosi sui talloni. Ora era alla sua stessa altezza.

- Sì, sono vecchio. O almeno, lo sono più di te -

- E con questo? –

Una risata bassa, gutturale, scosse appena il biondino: - Niente. Niente, davvero. Ora stai fermo –

Immerse un dito nella crema, avvicinandolo poi con cautela all’occhio di Marco.

Lui sussultò al tocco, facendo sorridere l’altro di riflesso: - Fa male? –

- E’ freddo – si strinse nelle spalle il ragazzino, abbassando le palpebre e respirando piano.

- Mi sono sempre piaciuti gli occhi neri, sai? –

- Concordo – annuì serio Marco – Sono eccitanti –

Il dito di Andrea si era fermato, immobile, lasciando perdere i delicatissimi movimenti circolari.

- Sei un ragazzino – sussurrò, come parlando a se stesso.

Marco aprì lentamente gli occhi, trovandosi a fissare lo sguardo perso del biondino: - Come? –

- Sbrighiamoci – ribatté Andrea, scuotendo appena il capo – Devo tornare giù -

- Chi è morto? –

- Mio zio –

- Oh – balbettò il più piccolo, atteggiando le labbra in una smorfia – Mi dispiace –

- A me no – rispose l’altro, sorridendo impercettibilmente – Non lo sopportava nessuno –

- Ma… -

- Le poche lacrime che hai visto erano di gioia –

Marco serrò le labbra, preso totalmente in contropiede: - E’ strano

- Hai ragione – approvò Andrea – Quasi come te che ti presenti a un funerale dopo essere stato appena  malmenato -

- O mio Dio! – scoppiò l’altro – Io non sono stato malmenato! –

- No? –

- No! – ringhiò il ragazzino – Lo volete capire? Sono stato io a iniziare, è stata colpa mia! –

- E ti sei fatto un occhio nero –

- Sì! –

- E lui? –

Marco aprì la bocca per controbattere e la richiuse subito dopo, scrutando con astio il biondino.

- E lui? – ripeté Andrea – Lui come ne è uscito? -

- Male –

- Male quanto? – continuò a chiedere – Qualcosa di slogato, di rotto? –

- Un graffio –

Andrea storse le labbra, camuffando un sorriso di scherno: - Un graffio? –

- Un brutto graffio – annuì Marco – Tutto rosso, forse è uscito anche un po’ di sangue -

La risata questa volta non fu più contenuta, tutt’altro. Agitò il corpo del ragazzo, piegandolo in due.

Marco lo spinse via, alzandosi in piedi di scatto. Fece per uscire dal bagno ma la mano di lui lo tirò indietro, bloccandolo: - Scusa – biascicò, cercando di frenare le risa – Scusa non volevo

Il ragazzino deviò lo sguardo, cercando inutilmente di liberarsi dalla presa di Andrea:

- Non volevi cosa? -

- Ferire quell’orgoglio da cucciolo che ti ritrovi – ridacchiò ancora il biondino, poggiando la crema sul lavandino e avvicinandosi di qualche passo a Marco.

Lui non lo guardava, le braccia incrociate. Silenzioso.

- Marco – lo chiamò l’altro – Scusa, davvero -

- Vaffanculo –

- Ma che speranze avevi, dai? – sorrise Andrea – Ti sei visto? Tu non sai cosa sono i muscoli –

- Credi di star migliorando la situazione? – brontolò il ragazzino, cercando ancora di sgattaiolare via.

- No, hai ragione – sussurrò il biondino, bloccandolo con le spalle contro la porta – Aiutami –

Marco sollevò finalmente lo sguardo, fissandolo nel suo: - Dì che ti dispiace

- Mi dispiace -

- E che credi io mi sia battuto fieramente –

- Ci credo – sorrise l’altro.

- E che non credi io sia indifeso –

- Non l’ho mai detto –

- Lo hai pensato –

Andrea sospirò, inclinando appena il capo: - Credo tu sia tutt’altro che indifeso

- E che ti piacciono gli occhi neri -

- L’ho già detto –

- E che in particolare ti piace il mio, di occhio nero –

- E’ vero, lo sai? – ghignò Andrea, il pollice che saliva a sfiorare lo zigomo del ragazzo – Devo ammettere che è particolarmente eccitante

Marco sorrise, annuendo con fare soddisfatto: - Sei perdonato – mormorò – E sai una cosa? –

- Cosa? -

- I tuoi occhi mi fanno semplicemente impazzire –

Era a mala pena riuscito a concludere la frase che le labbra di Andrea si scontrarono con le sue.

- Ecco – biascicò, le mani che afferravano il colletto della camicia del ragazzo.

- Cosa? – sussurrò l’altro in risposta, i denti che giocavano con il suo labbro, vogliosi.

- Dove volevo andare a parare – sospirò Marco, spingendolo per invertire le posizioni. Lo bloccò contro la porta, le mani che veloci gli sfilavano la giacca scura, fiondandosi poi sui bottoni della sottile camicia bianca. Aveva cominciato ad aprire i bottoni, il sorriso negli occhi.

- Lucky – mormorò Andrea, lasciandolo fare e facendo scivolare le dita sotto la felpa del ragazzino.

- Come? –

- Ecco chi mi ricordavi – ridacchiò il biondino, risalendo piano lungo il petto di Marco – Il cucciolo della Carica dei 101 – continuò, mordicchiandogli il collo – Quello con… - risucchio vicino all’orecchio - … un occhio nero, per l’appunto –

- Stai cercando di dirmi che vorresti farti un cucciolo di dalmata? –

- No. Che voglio farmi te –

Marco si bloccò, le mani ferme sulle spalle di Andrea. Lo fissò, gli occhi accesi da una scintilla di pura frenesia: - Non ho nulla in contrario

Si lasciò sfilare la felpa, le dita che già si affannavano sulla fibbia di una cintura non sua.

- Che dicevi prima? – sospirò Andrea, i pantaloni che scivolavano al suolo.

- Quando? –

- Prima… - sospiro eccitato - … sui miei occhi –

- Sì – approvò Marco, i jeans aperti – I tuoi occhi – pizzicò il fianco del ragazzo, la lingua che gli solleticava l’orecchio – Sono magnifici. Sono sempre stato indeciso… - bacio veloce - … se apprezzare più gli occhi blu o quelli verdi… - morso sul mento - … con te non ho questo problema

Andrea gli fermò le mani, portandole a sfiorare i propri addominali:

- Vedi? – chiese – Questi sono muscoli, ragazzino -

- Ah, sì? – ghignò l’altro, piegandosi sulle ginocchia e poggiandoci sopra le labbra – Devo dire che non mi dispiacciono affatto

Con la lingua carezzò la pelle di lui, le labbra che fremevano ogni volta che Andrea rabbrividiva.

Lentamente cominciò a scendere, le dita che già giocavano con l’elastico dell’ultimo indumento del biondo. Sentiva le mani di Andrea: una sulla spalla, l’altra fra i capelli; sorrise ancora, facendolo spostare: lo fece scivolare, senza fretta, lasciando che si appoggiasse al muro.

E solo in quel momento, con la porta libera, si sollevò in piedi: la felpa già stretta in una mano, un ghigno tutt’altro che rassicurante. Attese che Andrea aprisse gli occhi prima di schiudere a sua volta la porta. Un piede già oltre l’uscio gli fece l’occhiolino, malizioso:

- La prossima volta, mi raccomando, pensaci due volte prima di chiamarmi moccioso –

Si chiuse la porta alle spalle, infilando la felpa con un gesto fluido e riabbottonando i jeans. 

Scese le scale, svagato, imbattendosi casualmente nella sorella: lei lo fissava allibita, il pallore reso totale dal contrasto con gli abiti neri. Marco le sorrise, indicando l’uscita con il pollice:

- Io andrei – mormorò, dandole un colpetto sulla spalla.

- Dove sei stato? – chiese lei, timorosa della risposta.

- Sopra –

Loredana socchiuse gli occhi, studiando inviperita i capelli ancor più spettinati del fratello:

- Non è divertente, Marco – ringhiò, scontrosa.

- Cosa? – fece lui, l’espressione angelica.

- Dov’è Andrea? –

Il ragazzino si guardò attorno, bloccando infine lo sguardo sulle scale: il biondo stava scendendo di corsa, la camicia abbottonata male, un segno rosso sul mento.

- Sta arrivando – sorrise Marco, cominciando ad arretrare verso la porta.

- Dimmi che non è vero, ti prego – guaì Loredana, affranta, appoggiandosi al tavolo.

- Scusa, Dana – ghignò lui.

Lei gemette, fulminandolo senza troppa convinzione: - Sparisci

- Certo – approvò Marco, facendo per uscire.

- Ah – aggiunse, già lontano - Dì al tuo amico che Lucky ha ancora voglia dell’osso –

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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