Lucky
- L’ho fatto, Dana!
- Cosa? Cos’hai fatto?
- Ci sono riuscito, capisci? Riesci a crederci?
- Giuro che ti faccio male,
Marco.
La ragazza aveva gli occhi socchiusi, l’espressione
tutt’altro che rilassata.
Stringeva il cellulare con tanta forza da farle sbiancare
le nocche.
- Farmi male? – balbettò la voce del ragazzo, sorpresa –
Perché dovresti farmi male? -
- Perché ho un idiota per fratello –
- Sono il tuo unico fratello – borbottò lui, lentamente.
Loredana si massaggiò le tempie con la mano libera,
reprimendo a stento un sospiro esasperato.
- Ah! – esclamò Marco, capendo con un po’ di ritardo
l’insulto della sorella – Sei cattiva, Dana -
- Non sono cattiva – soffiò lei – Sono a un
funerale, cosa che tu continui a ignorare –
- Ma no… lo so che sei a un funerale –
- E allora per quale diavolo di motivo mi hai chiamata?! – scoppiò, attirando parecchia attenzione.
Un ragazzo alto, prima appoggiato alla finestra, le si
avvicinò cauto, scrutandola con espressione interrogativa. Loredana coprì
appena il microfono del telefonino, bisbigliando scuse sconnesse.
- Marco – ringhiò poi, tetra – Ora attacco. E
non provare a richiamare, tanto non rispondo -
- Oh, non ce n’è bisogno – ridacchiò lui – Sono qui!
–
Le dita già pallide quasi si lasciarono sfuggire il telefonino tanta era stata la meraviglia.
O meglio, il terrore.
- Come, scusa? –
- Sto entrando in questo momento, Dana –
Loredana si voltò di scatto, una
muta preghiera sulle labbra. Vana.
Restò immobile, osservando orripilata il fratello che
oltrepassava la soglia con passo sicuro.
Perché? Per quale dannatissimo motivo non poteva essere
figlia unica?
Cosa aveva fatto di male per meritarsi lui come
fratello minore?
- Allora – cominciò Marco – Vuoi sapere o no
cosa ho fatto? -
- No –
Il ragazzino piegò le labbra in un broncio, guardando la
sorella con fare contrito e sussurrando:
- Dana, ti prego – piagnucolò, aggrappandosi a un
braccio della ragazza e scuotendola.
- Ti prego un cavolo! – sibilò lei, liberandosi
dalla stretta. Con un abile movimento gli prese un orecchio fra due dita e
iniziò a tirarlo di nuovo verso la porta da cui era entrato: – Non
dovresti essere qui, non devi parlarmi ed è meglio per te se sparisci in meno
di un secondo –
- Non noti niente di diverso in me? – chiese Marco,
incespicando sull’uscio.
Loredana lo squadrò, un sopracciglio inarcato: capelli
neri, spettinati, lunghi fino alle spalle; era di qualche centimetro più alto
di lei, esile ma assolutamente non indifeso: come arma gli sarebbe bastata
anche solo la lingua; un paio di jeans neri e una felpa rossa, gli occhi accesi
dall’eccitazione.
- No – fece lei, telegrafica, incrociando le braccia
al petto – Puoi andare -
Marco sorrise, un paio di fossette che gli si formavano ai
lati della bocca, semplicemente adorabili.
- Vuoi dire che l’occhio non è così nero come
pensavo? -
- L’occhio? – si strinse lei nelle spalle
– Quale occhio? –
- Quello su cui Nicola Pavesi ha pensato bene di assestare
un bel cazzotto –
Loredana non riuscì a ostentare ancora la più totale
indifferenza: si avvicinò appena, di un solo passo, studiando con maggiore
attenzione i begli occhi verdi del fratello. Attorno a quello destro si stava
chiaramente creando un alone violaceo niente affatto rassicurante. Al diavolo…
- Ti sembrava il giorno giusto per prenderti un pugno? -
- Perdonami – ghignò il ragazzino – La
prossima volta vedrò di fissare un appuntamento –
- Cretino – sibilò lei, afferrandolo per un gomito e
trascinandoselo dietro.
Percorsero un corridoio, silenziosi:
era Loredana a guidare, diretta alla porta dietro l’angolo. Vi si fiondò
dentro, chiudendosela alle spalle con un movimento deciso:
- Per quale stupidissimo motivo ti sei fatto malmenare,
sentiamo? -
- Mi sono fatto malmenare? – fece lui, basito, le
mani protese in avanti – No, cara. Io non mi
sono fatto malmenare. Io ho cominciato! –
- E ne vai fiero? – ringhiò la ragazza, prendendo in
considerazione l’idea di schiaffeggiarlo.
- Certo –
- Marco, io ti… -
- Se lo meritava! – sbraitò il ragazzino, alzando
gli occhi al cielo – Insisteva a dire di essere etero! –
E Loredana restò a corto di parole.
- Come si può resistere a me, Dana? Come? Credevo che
stesse facendo il difficile, sai com’è. Così, dato che mi era scocciato
di aspettare, l’ho provocato un po’. Ma niente, testardo il
ragazzo… e gli ho dato un calcetto. Piccolo, ti assicuro. Quasi poteva
non accorgersene. Invece no. E mi è saltato addosso. E ci ho rimediato un
occhio nero –
Marco si guardò attorno, avvicinandosi rapido
all’unico specchio presente nel piccolo bagno:
- E’ carino, vero? D’effetto, più che altro
– aggiunse soddisfatto, studiando attento l’alone scuro.
- Ah, e sono anche riuscito a palparlo un pochino – concluse, un sorriso sornione.
Loredana socchiuse gli occhi, avvicinandosi alle spalle
del fratello: fu con un gesto calcolato che gli strinse le mani attorno al
collo, cominciando a scuoterlo convulsamente. Leggiadra.
- Tu sei completamente pazzo! – sbraitò, sbattendolo
contro la porta – Un omosessuale assatanato e della peggior specie! Cosa
ti salta in mente? Non puoi dare il via a una rissa perché uno non vuole venire
a letto con te, lo capisci, idiota? Non hai il diritto di palpeggiare chiunque
tu voglia! -
Marco riuscì a liberarsi dalla stretta, crollando in
ginocchio sul pavimento: tossiva, piegato in due.
Un bussare prudente alla porta zittì entrambi. Loredana si
morse un labbro, fulminandolo:
- Sì? – chiese, amabile.
- Sei tu, Lori? – domandò a sua volta la voce da
fuori – Va tutto bene? –
- Certo. Tutto benissimo. Esco subito – rispose lei,
affrettandosi a rimettere in piedi il fratello.
- Vada anche per l’omosessuale
assatanato – sibilò Marco, carezzandosi la gola – Ti voglio
fare presente però, cara sorellina, che io ho il diritto di palpeggiare
chi mi pare e piace –
Loredana si fermò, la mano già sul pomello: - Non ce
l’hai –
- Invece sì -
I due si squadrarono in silenzio, tesi come corde, finché
le dita di lei non corsero a sfiorare l’occhio contuso e lui non
sussultò, sorpreso. Un sorrisetto illuminò la ragazza che aprì la porta:
- Ora te ne vai – gli sussurrò all’orecchio,
incamminandosi per il corridoio.
- Non posso, Dana! –
mormorò il ragazzino, inseguendola.
- Perché, di grazia? –
- La mamma –
Rispondendo all’espressione interrogativa di lei,
Marco proseguì, il tono supplichevole:
- Se vedesse l’occhio nero le prenderebbe un colpo.
Come glielo spiego? Speravo… speravo che tu me lo
avresti potuto truccare un po’. Coprirlo, no? Camuffarlo… -
- Camuffarlo? –
Il ragazzino annuì imitando forse involontariamente un
cucciolo pentito e speranzoso al contempo.
Loredana sospirò, ruotando gli occhi: - Facciamo in fretta
–
Si era girata, facendo per tornare di corsa nel bagno,
quando una mano le si poggiò sulla spalla.
- Lori, sicura che vada tutto
bene? -
Lei sollevò lo sguardo sul ragazzo che l’aveva
fermata: lo stesso che l’aveva interpellata mentre era al telefono,
sempre lui che aveva bussato alla porta del bagno. Andrea.
- Certo – balbettò in risposta,
il cuore a mille – Perché? Sembra forse il contrario? -
Marco sorrise, divertito dalla confusione che sembrava
aver avuto il sopravvento sulla sorella. Ah, le donne: bastava così poco a
bruciargli quei pochi neuroni che tanto vantavano?
Sempre sorridendo studiò il ragazzo, quel così poco,
e quasi a malincuore dovette ricredersi: era tutto fuorché poco. Era alto,
biondo e scandalosamente attraente. I capelli corti, il viso sottile, gli
addominali che si intravedevano anche sotto il completo scuro. E gli
occhi… oddio che occhi: uno azzurro, l’altro verde. Una differenza
appena visibile che lui, tuttavia, aveva subito notato.
- Ti ho sentita alzare la voce – stava dicendo, lo
sguardo incatenato a quello di Loredana – C’è qualche problema? -
- No – scosse il capo lei, senza fiato – O
meglio, c’è mio fratello –
A quel punto si voltarono entrambi verso di lui,
trapassandolo senza pietà.
- Andrea, lui è mio fratello: Marco – presentò
Loredana – Marco lui è Andrea, un mio amico –
I due si strinsero la mano: pochi secondi appena, prima
che lei tirasse via il più piccolo, impaziente.
- Spero ci scuserai, Andrea – fece, rapida –
Torno fra pochissimo –
Il ragazzino si lasciò trascinare, muto, entrando di
spontanea volontà nel bagno e appoggiandosi con le spalle al muro, le braccia
incrociate al petto:
- Andrea, eh? – ghignò, ammiccando in direzione
della sorella – E’ l’Andrea di cui ho letto nel tuo diario? -
- Tu cosa…?! –
- L’Andrea con un corpo da infarto che neanche
Photoshop? – ridacchiò lui, citando le parole scritte da Loredana
– Lo stesso Andrea che, riassumendo, stupreresti molto volentieri?
–
Il viso della ragazza non lasciava trasparire alcuna
emozione: si guardava allo specchio, sistemando i capelli e ritoccando gli
occhi con la matita nera. Fu proprio quell’assenza di reazione a far
tremare Marco: lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, schiudendo
leggermente la bocca.
Fu con uno scatto fulmineo, poi, che sgusciò fuori dalla
porta.
L’urlo di lei lo raggiunse appena, ovattato;
continuò a camminare, indifferente, cercando il modo più veloce e sicuro per
guadagnarsi l’uscita. Era quasi arrivato alle scale, la testa che
istintivamente scattava all’indietro così da assicurarsi di aver seminato
Loredana, quando sbatté contro qualcuno.
- Scusi, scusi, scusi! – sussurrò concitato, il
cuore che batteva forsennatamente – Io non… -
- Marco, giusto? –
- Sì – balbettò il ragazzino – Andrea? –
- Sì –
Marco annuì ancora, arretrando di qualche passo: -
Io… stavo andando via –
Si era già voltato, dando le spalle al biondino, quando la
sua voce lo raggiunse di nuovo:
- E’ un occhio nero quello? -
- Potrebbe – mormorò in risposta, girandosi di pochi
centimetri solo per guardarlo.
- C’è del fondotinta nel bagno di sopra – si
strinse nelle spalle Andrea.
- Fondotinta? –
- Ti interessa o no? –
Marco schiuse le labbra, affrettandosi ad annuire: seguì
il ragazzo che già si era incamminato per le scale, lo sguardo allucinato, il
cervello che faceva gli straordinari. Possibile?
Poco prima di sparire al piano di sopra incrociò
casualmente lo sguardo di Loredana, pietrificata vicino all’ingresso: il
ragazzino si esibì nel suo miglior ghigno malizioso, l’espressione
ammiccante.
- Vieni, moccioso? -
Marco inarcò un sopracciglio con fare contrariato: - Come
mi hai chiamato? –
Andrea sospirò, facendogli segno di affrettarsi: -
Moccioso – sussurrò – Preferisci piccoletto? O cucciolotto? La
scelta è tua, fatto sta che resti un ragazzino –
- Non sono un ragazzino! – esclamò Marco, entrando a
sua volta nel bagno, allucinato.
- Ma per favore! – sbuffò l’altro, frugando in
un mobiletto bianco – Quanti anni hai? Quindici, sedici? Scommetto che
non hai neanche i peli s… -
- Ne ho diciassette! – scandì Marco, fremente
– Diciassette. Quasi diciotto. E tu, sentiamo? –
Il volto del biondino tornò a farsi vedere,
sornione: - Ventitré. Quasi ventiquattro –
- Oh, certo. Tu sì che sei vecchio -
Andrea gli si avvicinò, un barattolo fra le mani: con un
cenno del capo gli fece segno di sedersi sul bordo della vasca, quindi si
piegò, poggiandosi sui talloni. Ora era alla sua stessa altezza.
- Sì, sono vecchio. O almeno, lo sono più di te -
- E con questo? –
Una risata bassa, gutturale, scosse appena il biondino: -
Niente. Niente, davvero. Ora stai fermo –
Immerse un dito nella crema, avvicinandolo poi con cautela
all’occhio di Marco.
Lui sussultò al tocco, facendo sorridere l’altro di
riflesso: - Fa male? –
- E’ freddo – si strinse nelle spalle il
ragazzino, abbassando le palpebre e respirando piano.
- Mi sono sempre piaciuti gli occhi neri, sai? –
- Concordo – annuì serio Marco – Sono
eccitanti –
Il dito di Andrea si era fermato, immobile, lasciando
perdere i delicatissimi movimenti circolari.
- Sei un ragazzino – sussurrò, come parlando a se
stesso.
Marco aprì lentamente gli occhi, trovandosi a fissare lo
sguardo perso del biondino: - Come? –
- Sbrighiamoci – ribatté Andrea, scuotendo appena il
capo – Devo tornare giù -
- Chi è morto? –
- Mio zio –
- Oh – balbettò il più piccolo, atteggiando le labbra
in una smorfia – Mi dispiace –
- A me no – rispose l’altro, sorridendo
impercettibilmente – Non lo sopportava nessuno –
- Ma… -
- Le poche lacrime che hai visto erano di gioia –
Marco serrò le labbra, preso totalmente in contropiede: -
E’ strano –
- Hai ragione – approvò Andrea – Quasi come te
che ti presenti a un funerale dopo essere stato appena malmenato
-
- O mio Dio! – scoppiò l’altro – Io non
sono stato malmenato! –
- No? –
- No! – ringhiò il ragazzino – Lo volete
capire? Sono stato io a iniziare, è stata colpa mia! –
- E ti sei fatto un occhio nero –
- Sì! –
- E lui? –
Marco aprì la bocca per controbattere e la
richiuse subito dopo, scrutando con astio il biondino.
- E lui? – ripeté Andrea – Lui come ne è
uscito? -
- Male –
- Male quanto? – continuò a chiedere –
Qualcosa di slogato, di rotto? –
- Un graffio –
Andrea storse le labbra, camuffando un sorriso di scherno:
- Un graffio? –
- Un brutto graffio – annuì Marco – Tutto
rosso, forse è uscito anche un po’ di sangue -
La risata questa volta non fu più contenuta,
tutt’altro. Agitò il corpo del ragazzo, piegandolo in due.
Marco lo spinse via, alzandosi in piedi di scatto. Fece
per uscire dal bagno ma la mano di lui lo tirò indietro, bloccandolo: - Scusa
– biascicò, cercando di frenare le risa – Scusa non volevo –
Il ragazzino deviò lo sguardo, cercando inutilmente di
liberarsi dalla presa di Andrea:
- Non volevi cosa? -
- Ferire quell’orgoglio da cucciolo che ti ritrovi
– ridacchiò ancora il biondino, poggiando la crema sul lavandino e
avvicinandosi di qualche passo a Marco.
Lui non lo guardava, le braccia
incrociate. Silenzioso.
- Marco – lo chiamò l’altro – Scusa,
davvero -
- Vaffanculo –
- Ma che speranze avevi, dai? – sorrise Andrea
– Ti sei visto? Tu non sai cosa sono i muscoli –
- Credi di star migliorando la situazione? –
brontolò il ragazzino, cercando ancora di sgattaiolare via.
- No, hai ragione – sussurrò il biondino,
bloccandolo con le spalle contro la porta – Aiutami –
Marco sollevò finalmente lo sguardo, fissandolo nel suo: -
Dì che ti dispiace –
- Mi dispiace -
- E che credi io mi sia battuto fieramente –
- Ci credo – sorrise l’altro.
- E che non credi io sia indifeso –
- Non l’ho mai detto –
- Lo hai pensato –
Andrea sospirò, inclinando appena il capo: - Credo tu sia
tutt’altro che indifeso –
- E che ti piacciono gli occhi neri -
- L’ho già detto –
- E che in particolare ti piace il mio, di occhio nero
–
- E’ vero, lo sai? – ghignò Andrea, il pollice
che saliva a sfiorare lo zigomo del ragazzo – Devo ammettere che è
particolarmente eccitante –
Marco sorrise, annuendo con fare soddisfatto: - Sei
perdonato – mormorò – E sai una cosa? –
- Cosa? -
- I tuoi occhi mi fanno semplicemente impazzire –
Era a mala pena riuscito a concludere la frase che le
labbra di Andrea si scontrarono con le sue.
- Ecco – biascicò, le mani
che afferravano il colletto della camicia del ragazzo.
- Cosa? – sussurrò l’altro in risposta, i
denti che giocavano con il suo labbro, vogliosi.
- Dove volevo andare a parare – sospirò Marco,
spingendolo per invertire le posizioni. Lo bloccò contro la porta, le mani che
veloci gli sfilavano la giacca scura, fiondandosi poi sui bottoni della sottile
camicia bianca. Aveva cominciato ad aprire i bottoni, il sorriso negli occhi.
- Lucky – mormorò Andrea, lasciandolo fare e facendo
scivolare le dita sotto la felpa del ragazzino.
- Come? –
- Ecco chi mi ricordavi – ridacchiò il biondino,
risalendo piano lungo il petto di Marco – Il cucciolo della Carica dei
101 – continuò, mordicchiandogli il collo – Quello con… -
risucchio vicino all’orecchio - … un occhio nero, per
l’appunto –
- Stai cercando di dirmi che vorresti farti un cucciolo di
dalmata? –
- No. Che voglio farmi te –
Marco si bloccò, le mani ferme
sulle spalle di Andrea. Lo fissò, gli occhi accesi da una scintilla di pura
frenesia: - Non ho nulla in contrario –
Si lasciò sfilare la felpa, le dita che già si affannavano
sulla fibbia di una cintura non sua.
- Che dicevi prima? – sospirò Andrea, i pantaloni
che scivolavano al suolo.
- Quando? –
- Prima… - sospiro eccitato - … sui miei occhi
–
- Sì – approvò Marco, i jeans aperti – I tuoi
occhi – pizzicò il fianco del ragazzo, la lingua che gli solleticava
l’orecchio – Sono magnifici. Sono sempre stato indeciso… -
bacio veloce - … se apprezzare più gli occhi blu o quelli verdi… -
morso sul mento - … con te non ho questo problema –
Andrea gli fermò le mani, portandole a sfiorare i propri
addominali:
- Vedi? – chiese – Questi sono muscoli,
ragazzino -
- Ah, sì? – ghignò l’altro, piegandosi sulle
ginocchia e poggiandoci sopra le labbra – Devo dire che non mi
dispiacciono affatto –
Con la lingua carezzò la pelle di lui, le labbra che
fremevano ogni volta che Andrea rabbrividiva.
Lentamente cominciò a scendere,
le dita che già giocavano con l’elastico dell’ultimo indumento del
biondo. Sentiva le mani di Andrea: una sulla spalla, l’altra fra i
capelli; sorrise ancora, facendolo spostare: lo fece scivolare, senza fretta,
lasciando che si appoggiasse al muro.
E solo in quel momento, con la porta libera, si sollevò in
piedi: la felpa già stretta in una mano, un ghigno tutt’altro che
rassicurante. Attese che Andrea aprisse gli occhi prima di schiudere a sua
volta la porta. Un piede già oltre l’uscio gli fece l’occhiolino,
malizioso:
- La prossima volta, mi raccomando, pensaci due volte
prima di chiamarmi moccioso –
Si chiuse la porta alle spalle, infilando la felpa con un
gesto fluido e riabbottonando i jeans.
Scese le scale, svagato,
imbattendosi casualmente nella sorella: lei lo fissava allibita, il pallore
reso totale dal contrasto con gli abiti neri. Marco le sorrise, indicando
l’uscita con il pollice:
- Io andrei – mormorò, dandole un colpetto sulla
spalla.
- Dove sei stato? – chiese lei, timorosa della
risposta.
- Sopra –
Loredana socchiuse gli occhi, studiando inviperita i
capelli ancor più spettinati del fratello:
- Non è divertente, Marco – ringhiò, scontrosa.
- Cosa? – fece lui, l’espressione angelica.
- Dov’è Andrea? –
Il ragazzino si guardò attorno, bloccando infine lo
sguardo sulle scale: il biondo stava scendendo di corsa, la camicia abbottonata
male, un segno rosso sul mento.
- Sta arrivando – sorrise Marco, cominciando ad
arretrare verso la porta.
- Dimmi che non è vero, ti prego – guaì Loredana,
affranta, appoggiandosi al tavolo.
- Scusa, Dana – ghignò lui.
Lei gemette, fulminandolo senza troppa convinzione: -
Sparisci –
- Certo – approvò Marco, facendo per uscire.
- Ah – aggiunse, già lontano - Dì al tuo amico che
Lucky ha ancora voglia dell’osso –
*