Lucky
Gli vibravano i pantaloni.
Marco rallentò, le dita che frugavano nelle tasche alla
ricerca del cellulare: lo trovò, sbloccando lo schermo con un sorrisetto
compiaciuto. Fece per rispondere, l’indice che già indugiava sul tasto
verde, quando venne senza preavviso trascinato all’indietro: il dito
sbagliò la mira e chiuse la chiamata.
- Che diavolo… - borbottò meravigliato, tentando
inutilmente di impuntare i piedi sul vialetto.
Niente da fare: qualcuno lo trascinava brutalmente,
tirandolo per il cappuccio della felpa.
Marco assottigliò lo sguardo, ruotando al massimo il capo
per inquadrare il molestatore:
- Dana – soffiò seccato – Non è divertente -
- Dici? – chiese una voce maschile – E io che
credevo ti piacessero questi scherzetti –
Marco sussultò, girandosi ancora una volta e imbattendosi
finalmente nel ghigno di Andrea. Spalancò gli occhi, fissandolo senza capire:
quello si fermò, poggiando le mani sulle spalle del ragazzino e spingendolo in
avanti.
Attraversarono il vialetto di ghiaia e s’inoltrarono
nel piccolo giardino: Marco aprì la bocca per dire qualcosa ma il duro schiocco
di lingua dell’altro lo zittì, un sorrisetto che gli si dipingeva in
volto.
- Chiariamo le cose – grugnì Andrea poco dopo,
sbattendolo con le spalle contro un albero – Sei una serpe -
Marco non si mosse, incrociando divertito le braccia sul
petto: - Una serpe? Io? –
Il biondo si guardò rapidamente attorno, gli occhi che
indugiavano qualche attimo in più sulla porta d’ingresso.
- Non ero un cucciolo di dalmata? – continuò Marco,
inumidendosi le labbra.
- Prima forse – ringhiò l’altro – Poi
improvvisamente ti sei tramutato in una lurida serpe –
- Oh, dai – ridacchiò il ragazzino – Per un
così innocente scherzetto? –
Andrea smise di guardarsi intorno, gli occhi che
trapassavano l’espressione irriverente di Marco: poggiò la mano sinistra
sul tronco dell’albero, a pochi centimetri dal volto del ragazzo;
l’indice destro, invece, glielo puntò sul petto: - Dovresti vergognarti –
- Sei troppo permaloso – lo rimbrottò quello,
abbassando esilarato lo sguardo sul dito.
- Non hai idea di… -
- Non dovresti tornare dentro? – chiese Marco,
interrompendolo – Ricordo male o c’è un funerale? –
- Sei un piccolo sbruffone – sorrise Andrea,
scuotendo il capo, l’indice che si allontanava piano dal petto di lui.
- Hai fatto tutto da solo, sai? –
- Vorresti dire che non eri interessato? –
- Non ho detto questo –
Andrea inarcò un sopracciglio, attendendo che continuasse.
Marco sospirò, passandosi una mano fra i capelli:
- Hai i bottoni messi male – ghignò poi, le mani che
afferravano il colletto dell’altro. Lo tirò a sé, cominciando a
sbottonare la camicia, indugiando un po’ più del dovuto a ogni passaggio:
- Ti stai divertendo? – soffiò Andrea, lasciandolo
fare – E se ora me ne andassi, eh? –
- Non ti converrebbe – ponderò Marco – Tanto
per cominciare dovresti rientrare al funerale di tuo zio con la camicia aperta
– sorrise, rimettendo il primo bottone nella sua asola – E poi…
io non ho mica i pantaloni calati alle caviglie – ridacchiò, la scena del
bagno che gli si ripresentava alla mente.
- Fottiti – mugugnò Andrea, una luce divertita negli
occhi mentre si allontanava di un passo, completando da solo il lavoro
cominciato dal ragazzino.
- Vedi? – fece Marco – Sei permaloso! Una
minuscola frecciatina e tu… -
- Sei tu che te la prendi per poco
–
- Sarebbe? –
- Un semplice moccioso – infierì Andrea
– Che poi è la verità –
Marco alzò gli occhi al cielo, sbuffando sonoramente: -
Non ci sai proprio fare, permettimi –
- Che fai? – chiese il biondo, corrucciandosi mentre
il ragazzino lo superava.
- Me ne vado – rispose quello, stringendosi nelle
spalle – Lo stavo facendo anche prima, sai? –
Andrea lo affiancò, spintonandolo senza troppa forza:
- Non dirmi che ho offeso di nuovo quel tuo patetico
orgoglio da cucciolo -
- Orgoglio da serpe vorrai dire – ribatté Marco
– E no… non sei ancora abbastanza per
offendermi, tranquillo –
- Non sono abbastanza? –
- No – mormorò il ragazzino, aprendo il cancelletto
e uscendo sul marciapiede – Mi spiace infrangerti così un sogno ma…
-
Si zittì, il cellulare che vibrava una sola volta, lapidario: abbassò gli occhi sullo schermo, leggendo il messaggio
mentre un sorrisetto gli incurvava le labbra. Quando risollevò lo sguardo trovò
Andrea che lo fissava:
- Cosa? – chiese, arretrando di un passo - …
che stavo dicendo? -
- Un’altra cazzata delle tue – rispose il
biondo, ridacchiando.
- Niente di importante, quindi – annuì Marco –
Ora devo proprio andare –
- Dove? –
- Una commissione per mia sorella –
- Loredana? – domandò Andrea, lanciandosi
un’occhiata sorpresa alle spalle, verso la casa.
- No – sospirò il ragazzino – Rebecca –
- Hai due sorelle, allora –
- Nemmeno – mugugnò Marco, come se gli costasse
ammetterlo – Sono cinque –
Andrea smise di sorridere, l’espressione confusa: -
Davvero? Siete in sei? –
- Oh, sì – borbottò l’altro – E io sono
il quinto -
- Capisco – annuì il biondo, serio.
- Che cosa? –
- E’ normale, allora – spiegò Andrea –
Con quattro sorelle più grandi non potevi diventare meno di una serpe –
- E’ un ragionamento contorto – ridacchiò il
ragazzino – Te lo lascio passare, però –
Si avviò lungo la strada, le dita che si agitavano
sbarazzine in direzione di Andrea: aveva già percorso diversi metri quando la
voce gentile del ragazzo lo raggiunse ancora una volta. Rallentò, ascoltando:
- E se venissi con te? -
Marco si girò appena, il capo inclinato di lato: -
Scherzi? –
- No – si strinse nelle spalle l’altro,
aprendo il cancelletto e uscendo in strada.
- Ma… e il funerale? –
- Tanto è morto – lo raggiunse rapido Andrea,
arrotolando le maniche fino ai gomiti, svagato.
- Non credo sia una commissione interessante, eh? –
sorrise Marco, guardandolo di sottecchi, sorpreso.
- Qualsiasi cosa sia, va bene – fece l’altro,
godendosi gli ultimi raggi di sole della giornata.
- Io ti ho avvertito – alzò le spalle Marco,
rimettendosi in cammino – Sei ancora in tempo per tornare indietro -
- No, grazie – sorrise sornione Andrea – E
poi… non eri tu quello che voleva ancora l’osso? –
- Starai scherzando -
- E poi sono io il bambino –
- Non li compro – s’impuntò Andrea, fermo sul
limitare della penultima corsia del supermercato.
- Ti avevo avvertito – ringhiò Marco, stringendo il
colletto della sua camicia tra due dita e cominciando piano a tirarlo –
Ora vieni con me –
- Perché? – si lagnò il biondo, muovendo qualche
passo controvoglia – Com’è possibile che le servano? Hai detto che
sono in cinque o sbaglio? –
- Andrea, cammina –
- Perché lo fai? Non puoi rifiutarti, fingere che ti sia
passato di mente o cose del genere? –
- No – sussurrò in risposta il ragazzino – E
poi… - aggiunse, iniziando a scrutare fra gli scaffali - … a me
piace –
- Starai scherzando –
- Diventi ripetitivo – mormorò Marco, afferrando due
pacchi e confrontandoli con occhio critico.
- Colpa tua – sussurrò Andrea, bisbigliando con fare
cospiratorio – Stiamo parlando di assorbenti –
Il ragazzino si girò, fissandolo con gli occhioni verdi
spalancati:
- Ti spaventano forse? – chiese, il tono
inizialmente serio. Fu questione di pochi secondi, però, che scoppiò a ridere
senza più trattenersi. Piegato in due, i pacchi colorati ancora stretti tra le
mani.
Andrea s’imbronciò, guardandolo male: - Non sono io
quello strano, sai? –
La risata s’ingigantì, trasformandosi in singhiozzi
irrefrenabili: - Ah, no? – balbettò Marco, lanciandogli contro un pacco
di assorbenti. Il biondo si scansò, guardando l’oggetto con espressione
incerta:
- Sei tu quello che afferma… - scosse il capo,
esasperato – Come fai a dire che ti piace?
- sussurrò, confuso.
- Sono solo assorbenti – sospirò il ragazzino,
riprendendo fiato – Non mordono –
- Sì ma sono… assorbenti –
- Continua a sfuggirmi il punto
cruciale della discussione, temo – soffiò Marco, reprimendo una nuova
risatina.
- Fa niente – borbottò il biondo – Muoviti,
su, così ce ne andiamo –
Marco ridacchiò, raccogliendo il pacco sul pavimento e
rimettendolo al suo posto nello scaffale:
- Hai mai visto le pubblicità? – chiese, scorrendo
con il dito le file di scatole violacee.
Andrea scosse la testa, deviando teso lo sguardo e
puntandolo sul soffitto mentre una coppia di ragazze entrava nella loro corsia:
- Hai fatto, ragazzino? –
- Sono fantastiche le pubblicità – continuò Marco,
ignorandolo – Danno l’idea che con uno solo di questi cosi indosso
si possa fare qualsiasi cosa… come superpoteri momentanei -
Le due ragazze li superarono di qualche passo,
ridacchiando.
- Ridono delle cretinate che stai sparando – mugugnò
Andrea, coprendosi il viso con una mano e guardandolo storto. Marco ghignò,
inarcando un sopracciglio con fare non convinto. Si girò verso le ragazze,
ammiccando:
- Non è che mi dareste una mano? – domandò, il gemito dell’altro in sottofondo.
- Cosa ti serve? – chiese una delle due,
avvicinandosi curiosa.
- Assorbenti – sorrise Marco – Per mia sorella
–
- Non ti ha dato qualche informazione in più? –
ridacchiò quella mentre l’amica si avvicinava.
- Il messaggio era telegrafico – si strinse nelle
spalle Marco – Diceva solo: assorbenti e spaccata –
- E’ un indizio – annuì la ragazza, guardando
l’amica – Secondo te intendeva quelli con la bionda in palestra?
–
- Forse quelli con il figo nel tram – ipotizzò
l’altra, lanciando occhiate di sottecchi all’occhio nero del
ragazzo.
Andrea scivolò alle spalle di Marco, poggiandogli le
labbra vicino all’orecchio:
- La smetti di spacciarti per etero? – sussurrò,
pizzicandogli un fianco.
- Io? – ghignò il ragazzino – E chi ti dice
che non sia etero? –
- Mmm – mugugnò il biondo, mordicchiandogli il lobo
– Sfumature impercettibili –
- E’ per gli assorbenti, non è vero? –
ridacchiò Marco, girandosi a guardarlo.
- Ti riferisci alla tua fissazione per questi…
superpoteri momentanei? – chiese quello, divertito, le dita che
affondavano nei morbidi capelli scuri.
- Non è una fissazione – borbottò – E non
prova niente –
- Hai ragione – concordò Andrea, avvicinando il viso
a quello del ragazzo – Dimostrami allora che non è… -
- Cosa? – sospirò Marco, fissando incantato quegli
occhi così particolari.
- Non ci sono più – guaì il biondo, arretrando di
scatto con espressione stranita.
- Chi? –
- Le ragazze! – fece Andrea – Quand’è
che le abbiamo perse? –
- Non saprei – sorrise l’altro –
Probabilmente fra la tua insinuazione sulla mia sessualità e… -
Una pacca dell’altro lo zittì di colpo.
- Mi hai appena dato una sculacciata? – chiese
incredulo il ragazzino, stralunato.
- Potrebbe darsi – si strinse nelle spalle il
biondo, allontanandosi sorridente – Prendi i tuoi superpoteri, moccioso,
ti aspetto alla cassa –
- Bella casa -
Andrea squadrò ancora una volta la villetta bianca a due
piani, annuendo fra se e se.
- Entri? -
- Come? – chiese, girandosi di scatto.
- Ti ho chiesto se entri con me – sorrise Marco,
divertito.
- Oh, no – declinò rapidamente l’altro –
No, davvero –
- Su, non farti pregare – ridacchiò il ragazzino
– Non vuoi concludere il lavoro? –
Andrea inarcò un sopracciglio, esortandolo a continuare.
- Hai comprato il tuo primo pacco di assorbenti: non vuoi
anche consegnarlo a chi di dovere? -
- Anche? –
- Per chiudere in bellezza, sai com’è – sorrise Marco, salendo il primo scalino – E poi,
guarda che siamo già all’entrata –
- Cinque minuti – concesse Andrea – non uno di
più –
- Andata – annuì quello, la mano già sulla maniglia.
Stava per aprire quando si bloccò di colpo e fissò il biondo:
- Com’è? – chiese serio.
Andrea ricambiò lo sguardo senza capire a cosa alludesse.
- L’occhio! – esclamò Marco, esasperato.
- Oh – mormorò Andrea, osservando l’alone
scuro – Forse… se ti metti di lato e… -
Marco sospirò, abbassando il capo con aria sconfitta: -
Capito –
- Dai, non è così evidente. Potrebbe non accorgersene -
- Dieci a uno che non passano cinque secondi –
Il ragazzino aprì silenzioso la porta, dirigendosi a passo
sicuro verso le scale; aveva messo il piede sul primo scalino quando
sull’uscio della cucina comparve la figura di una signora: grembiule,
strofinaccio fra le mani, fissò il figlio e sospirò. Si avvicinò di qualche
passo, borbottando contrariata:
- Bell’occhio -
Marco sorrise, ammiccando in direzione di Andrea:
- Ciao mamma -
- Se ti fai uccidere non sopravvivrò a lungo con cinque
femmine, lo sai? –
- Sì – la baciò sulla guancia lui – Per questo
non mi farò uccidere –
- Ben gentile – approvò la donna, adocchiando gli
assorbenti – Per chi sono? –
- Rebecca –
- Glieli porti tu? –
- Certo – annuì Marco, provando nuovamente a salire.
- E lui? – lo fermò la madre, indicando Andrea
– E’ nuovo? –
- E’ un amico, mamma –
- Un altro? – inarcò le sopracciglia lei.
- Mamma – la rimproverò il ragazzino, trascinando
per le scale il biondo con impazienza.
Superata la prima rampa tornò a respirare normalmente e
ghignò: - Tre secondi. Ho vinto –
- Come ha fatto? -
- Poteri temporanei,
probabilmente – ridacchiò Marco, fermandosi all’inizio del
corridoio. Aspettò che Andrea lo affiancasse e poi elencò, indicando a una a
una tutte le porte:
- Questa è la stanza di Loredana. Quella di Silvia. Quella
di Angela e Valeria. E l’ultima… - strinse il pomello fra le dita
-… quella che ci interessa: la stanza di Rebecca –
- E la tua? –
- In mansarda – sorrise Marco – E no. Non te
la faccio vedere –
Il ragazzino aprì la porta, entrando nella camera avvolta
nella penombra: il sole era già tramontato e solo una luce soffusa proveniente
dal computer rischiarava l’ambiente. Rebecca era nel letto, sepolta fra
le coperte.
- Dorme? – bisbigliò il biondo, facendo per uscire.
- Credo di sì – rispose Marco, bloccandolo e
facendolo sedere su una sedia – Aspetta –
- Cosa? –
Il ragazzino accennò con il capo in direzione della
sorella: - Lei è la mia preferita – sussurrò, sorridendo.
- Perché? -
- Dunque – cominciò Marco, contando sulle dita
– C’è Loredana, la più grande: la conosci, sai quanto possa essere
insopportabile –
- Non direi insopportabile – lo interruppe il
biondo, nicchiando.
- Bugiardo – ridacchiò l’altro, continuando
– Poi ci sono le gemelle: Angela e Valeria. Loro sono… particolari.
Devi sapere come prenderle. Una può ucciderti, l’altra potrebbe salvarti
la pelle –
Rebecca si girò nel sonno, stropicciandosi gli occhi.
Marco alzò un altro dito:
- Poi c’è Silvia: lei è la mia principessina. Sette
anni di dolcezza -
Andrea fece per dire qualcosa ma
il ragazzo scosse il capo, continuando: - E infine Rebecca: è la mia migliore
amica. Non
credo potrei farcela senza di lei –
- Quanti anni ha Loredana? -
- Ventitre. Non glielo hai mai chiesto? –
- Non volevo rischiare di essere ucciso – sorrise
Andrea – Non sono cose che si chiedono a una donna –
- Vero – approvò Marco – Le
gemelle ne hanno ventuno. Rebecca diciannove. Silvia sette
–
- E tu, cucciolo? – lo provocò Andrea, piegandosi in
avanti.
- Non ti è bastata la lezione? – ghignò il
ragazzino, i pugni sui fianchi.
- Oh, per favore – mugugnò una voce assonnata
– Sto già male di per me, non fatemi venire la
nausea –
- Becca! – saltò su Marco, sorridendo
dell’imbarazzo del biondo – Non crederai a quello che ho fatto –
La ragazza si tirò a sedere, la schiena poggiata al muro:
- Bell’occhio, complimenti –
- Opera di Nicola Pavesi – fece lui, compiaciuto.
- Non dirmelo… - gemette la sorella.
- L’ho palpeggiato –
Andrea sussultò, sgranando gli occhi: - Tu cosa? –
- Oh, non sorprenderti – mormorò Rebecca –
Questo è niente -
- E’ normale? – chiese il biondo, incredulo.
- Purtroppo –
- Sono qui, sapete? – borbottò Marco, incrociando le
braccia al petto e imbronciando le labbra.
- A proposito – annuì la sorella – Lui chi è?
–
- Un amico –
- Un altro? –
Marco alzò gli occhi al cielo, sbuffando sonoramente.
Lanciò gli assorbenti sul letto e afferrò Andrea per il gomito, tirandolo in
piedi: - Andiamo, su –
- Non resti a cena? – s’intromise Rebecca,
rivolgendosi all’ospite.
- Io… - incrociò l’espressione terrorizzata di
Marco e scosse vivacemente il capo - … no. No, no: ho un impegno. Sarà
per la prossima volta –
La ragazza rispose con un suono non proprio convinto,
salutandolo con la mano mentre lui veniva trascinato fuori senza troppe
premure. Marco fece le scale due a due, il fiato corto, fermandosi solo sulla
porta:
- E’ per il tuo bene – sorrise, sospingendolo
verso l’esterno – Scappa finché sei in tempo -
- Mi potrebbero stuprare? – ghignò Andrea –
Credevo che su quel fronte il più pericoloso fossi tu –
- Simpatico – ribatté Marco, accompagnandolo fino al
cancello – Divertiti al funerale –
- Lo farò sicuramente – annuì il biondo –
Anche se probabilmente è quasi finito – aggiunse, osservando di sbieco
l’orologio – Ne è valsa la pena, però –
- Per conoscere mia madre? –
- E i superpoteri momentanei –
- Resto una serpe, quindi? – s’informò Marco
– O torno in modalità cucciolo? –
- Serpe – fece Andrea serio, allontanandosi di
qualche passo – Decisamente –
- Buona notte – mormorò il ragazzino.
- ‘notte –
Salutò con la mano, avviandosi lungo il marciapiede.
E poi sentì lo schiaffo. Forte, preciso: sulla sua chiappa
destra. Si voltò di scatto, basito.
Marco chiuse il cancelletto, una luce divertita negli
occhi: sorrise, stringendosi nelle spalle e mimando una parola con le labbra.
Doveva aspettarselo.
Pari.
*