Capitolo 28
Odi et
amo
Penso di odiarlo
profondamente, Nicoletti. O forse è una cosa a pelle, non proprio odio, ma una
specie di avversione fisica.
La cosa che non
sopporto di lui è che non si vergogna nemmeno. Di essere com’è. Se ne va in giro
felice e fiero di essere sputtanato, senza rispetto per se
stesso.
Cosa ci fa di
nuovo qui? Vuole soffiare sul fuoco? Sedersi sul cumulo di immondizia che lui
stesso ha creato, e vedere di nascosto l’effetto che
fa?
Mi sfugge, mi
sfugge davvero con che coraggio si sia presentato. Anche oggi. Onnipresente.
Vuole il tappeto rosso o si accontenterà della
lapidazione?
È assurdo… Ha
mosso mari e monti per essere depennato dalla lista dei candidati per il suo
benamato stage, quando le trattative erano già in corso; ha scalpitato come un
dannato quando qualcuno gli ha rinfacciato che l’altra volta avevano preso lui
per il solo merito di aver usato la lingua con Neri – in tutti i
sensi…
E adesso? Si tira
fuori dai giochi quando ormai le porcate sono uscite allo scoperto! E se pure
nessuno ha fatto il suo nome, chi può essere così cretino da non sospettare di
lui almeno per un istante?
Siamo qui almeno
da mezz’ora, un’anticamera di tre metri per due con un misero divanetto per lato
e un corridoio per passeggiare. Vicino all’Aula Magna, in attesa dell’anima pia
che verrà ad appendere in bacheca la benedetta graduatoria; e giurerei che la
cosa non faccia tanta gola come una volta, dopo tutto il letame che ci hanno
buttato sopra. Piccoli e grandi scandali trascinati così a lungo da annacquare
il discorso, da perdere di vista l’obiettivo; da renderti l’intera faccenda
indigesta. Nessuno vuole l’eredità scomoda di
Nicoletti.
Ci sono proprio
tutti, appollaiati tutt’intorno come avvoltoi. Tutte le teppe. Aspettano la
tromba del giudizio. Sbuffano, vanno avanti e indietro per il corridoio; ogni
tanto posano le chiappe sul divano, sparano due cazzate e riannodano i fili del
discorso. Sorridono e ogni tanto vola pure qualche badilata verbale – è inutile,
Isa, che cerchi di attutirla sotto il guanto di
velluto.
Seduta di fronte
a me, finge di non vedermi e si mordicchia gli artigli dipinti di rosso con
l’aria del gran predatore. Al suo fianco, Alberti. Non so che abbia da agitarsi
tanto, ma sembra che gli abbiano messo puntine da disegno sotto il culo. Si
siede, si rialza, passeggia in tondo, origlia qua e là. Punta le mani sui
fianchi e si guarda intorno con la faccia di chi aspetta il giudizio universale.
Nei panni dell’avvocato dell’accusa.
Poi c’è Loria che
ogni tanto sparisce e riappare come un temporale a Ferragosto. Giuro che se non
si conciasse come la moglie di Dracula, sarebbe anche praticabile. E se non ti
guardasse come se volesse incenerirti sul posto. Malattia piuttosto
diffusa.
Su, vai, cara, da
brava: perdi anche tu un po’ di tempo a misurare il corridoio. Esci a prenderti
un caffè oppure fatti una doccia fredda, ché temo che oggi il tuo amichetto
Andrea penda più da quell’altra sponda e abbia una gran voglia di ripassarsi
Derossi in mondo visione.
Giulia ha appena
optato per la stessa soluzione: levarsi dalle palle. Si fissa la punta delle
scarpe e accenna a Isa. Che sceglie proprio quel momento per voltarle le spalle
e accucciarsi contro la spalla di Alberti. Tempismo perfetto. Giulia si alza in
piedi. Fissa la parete, poi punta lo sguardo su di me. E ci capiamo al volo. È
ufficialmente cominciato il festival dei mugugni.
- Era frocio,
capito? – sai la novità! – Isa voleva
mandarmi a letto con un dannato frocio!
Ingenua: come se
uno con quella faccia potesse essere etero…! Eppure ci aveva preso per i
fondelli con tutta la storia di Blanche, che sinceramente mi fa un po’ pena,
visto che, tra tanti, la sua scelta era caduta proprio su Derossi e Nicoletti.
Della serie, di due non ne vien fuori uno.
L’unico pesce
fuor d’acqua sembra il nostro nuovo acquisto. Che, a quanto ho capito, non ha
molto a che vedere con il programma di scambio, e non ho capito bene da dove
sbuchi. Si è iscritto in quattro e quattr’otto alla selezione, si è fatto il suo
bravo esame in gran segreto, e adesso è qua ad attendere il responso. Povero
pulcino, non ha capito con chi ha a che fare, o non si spiega perché continui ad
andarsene in giro in divisa da emo e a passeggiare in campo minato, incurante
delle beffe e del ridicolo.
Oddio, la tenuta
da emo posso anche capirla, perché anche a me verrebbe voglia di tagliarmi le
vene, se dovessi sciropparmi i gemelli Lastella che tengono il loro banchetto
quotidiano a base di cazzi altrui sulla mia pellaccia. Sono gli unici, col loro
dannato gazzettino, ad averci guadagnato qualcosa con questa storia. Mo’
aspettano il colpo di scena finale e, se dovesse finire in rissa, sono certo che
se la farebbero sotto dalle risate. In attesa dell’apocalisse, preferiscono
radiografare Dracula, informarsi sul suo piatto preferito a colazione e sulla
frequenza con cui si cambia le mutande.
Penso che
Nicoletti dovrebbe baciare la terra dove camminano, visto che dopotutto è grazie
a quei due avvoltoi e alla loro carta straccia, se è entrato nella leggenda e lo
scandalo delle raccomandazioni ha fatto il giro della
città.
E poi, dulcis in
fundo, lui. Il dannato Nicoletti. Seduto in riva al fiume, il fiume d’acqua
sporca che lui stesso ha voluto.
È qui per lo
stesso motivo di tutti gli altri: godersi un finale da gran cinema. Anche se
della sua presenza si potrebbe fare serenamente a
meno.
L’ho capito, che
ti piace che si sparli di te… Purché se ne parli. Purché non ci si dimentichi in
fretta della tua esistenza. Ti fingi annoiato – quando in realtà gongoli del
casino che hai imbastito tutto da solo. Sbadigli, ti allunghi sul divano e poggi
la testa sulle gambe di Derossi. Disgustoso pure quando respiri. L’abbiamo
capito che sei frocio fino al midollo, cocco, non servono pubbliche
dimostrazioni.
Ecco, non capisco
com’è che le donne gli vadano dietro – un po’ meno, forse, da quando ha
ufficializzato che gli piace la pannocchia. Passi Giulia. Passi l’oca bionda
d’oltralpe. Loria che ha il gusto dell’orrido, e vabbé. E Isa, che pure se non
lo ammetterà mai, l’hanno capito anche i sassi che rosica perché voleva farsi un
giro in giostra e non ha avuto l’occasione.
Vorrei sapere
dove lo trovano bello. Da vicino è terribile, con quell’odioso nasetto all’insù
da checca e la fronte a cuore: una via di mezzo tra tua zia e un personaggio de
“Il signore degli anelli”. E poi fa paura. Come si muove. Striscia nell’ombra,
ti fissa con quegli occhi assurdi e se ne vien fuori con la pirlata del secolo.
O ti sputa addosso il suo veleno.
Sì. Penso
seriamente di detestarlo. È come qualcosa di viscido che ti s’incolla addosso,
che ti obbliga a guardarlo. È proprio la sua faccia a farmi ribrezzo. I suoi
capelli, quei dannati riccioli da femmina, come una malattia, come un prurito,
una lebbra.
Comunque vada, le
ha avute vinte, il bastardo. Può godersele tutte.
Tu schiocca le
dita, e presto o tardi il mondo si piega: bella lezione di
vita!
Cosa c’è, caro?
Non sopporti che il sottoscritto ti definisca coi termini che ti si addicono?
Frocio di merda, non è il minimo? Dovrai farci
l’abitudine.
Ma insultare il
divo dell’Accademia equivale a ostracismo sociale per delitto di lesa
maestà.
E intanto lui è
ancora qui. Che si stiracchia sul divano come una lucertola sotto il sole.
Schifoso.
Sposta le
chiappe, amico, ché ti stai sbafando due posti a sedere, e ho seriamente paura
che tra un po’ cominci a limonarti il tuo amichetto in diretta su
Sky.
E basta, lo odio.
Ma non posso fare nulla, finché ha Derossi come nume tutelare. Non che abbia
paura: la sua parola vale come il due di picche. È che sembra abbastanza
incattivito da scattare da un momento all’altro. Si capisce da come ti fissa,
dietro quei dannati occhiali fumé che non si toglie neanche quando va al bagno.
Gli servono a nascondere le occhiaie da tossico o forse per non far capire dove
guarda… Vigliacco fino alla punta dei capelli, fino alle cazzate più
insignificanti. Non so se sia la roba che si fuma o altro, ma ha sempre l’aria
di uno che può distruggerti e godere della tua rovina. Gabriele “ti spiezzo in
due” Derossi! Con due occhi assurdi e la rabbia che se lo mangia. Peccato sia
troppo codardo per spezzarti in due sul serio: lui è quello che ama giocarsela
sottobanco e dispensare cattivi consigli.
* *
*
- Riassegnazione chirurgica del sesso. Hai
letto, Nicoletti? Roba per te. Così magari ti metti l’anima in
pace.
Una sferzata
improvvisa ti riafferra dal baratro dell’apatia dove ti crogiolavi con gioia,
riportandoti duramente alla realtà. Una voce nella testa ti dice no, Andrea, non
è il momento di tornare da capo sul tuo Calvario quotidiano. Riaprire quella
maledetta porta e fare – metaforicamente – a botte con un ossessivo Riccardi.
Non oggi che le acque sembravano abbastanza calme da poter sonnecchiare in
pace.
Ti facevi i
cavoli tuoi fino a un attimo fa. Volevi porre fine quanto prima alla sessione di
tortura di mille occhi puntati addosso. Convincere Derossi a venire con te e
reggerti il gioco ti era parso un compromesso accettabile. Perché, sì, vuoi
vederlo con i tuoi occhi, come andrà a finire una certa faccenda. Vuoi vederci
calare la proverbiale pietra sopra.
Poi Riccardi ha
deciso di dimostrare a tutti che anche lui ha imparato a leggere: ha aperto un
giornale a casaccio, ha letto due righe e ci ha ricamato sopra l’allusione a
cazzo.
Forse è la nebbia
del torpore pomeridiano, ma ti sfugge il senso – se mai ce l’abbia. Un senso. Va
bene anche uno perverso. E poi basta, perché la curiosità è più forte del
desiderio di pace.
- Che ci azzecca,
scusa? Stai imparando nuove parole?
La regola numero
uno – non dar corda ai deficienti – è appena finita giù dalla finestra: basta
un’occhiataccia di Gabriele a ricordartelo. Con un’alzata di sopracciglia e una
ritirata strategica verso la macchina del caffè.
- Ma sì, magari è
la volta buona che raggiungi la pace interiore e la smetti di vantarti di quanto
sei frocio – una colata di veleno con tutti i crismi del caso, accompagnata da
una risata maligna.
L’insana passione
nel provocare fino a far guizzare le fiamme.
- Riccardi,
questa te la sei sognata stanotte? No, spiegami. Perché non vedo un
senso.
- Ti senti
femmina? – Riccardi sogghigna; così tanto che, d’istinto, ti fa serrare i pugni
– È per questo che corri dietro agli uomini? Ti piace prendertelo in quel
posto?
- Io non corro
dietro a nessuno! Fatti i cazzi tuoi!
- Non fai nulla
per nasconderlo.
Riccardi si è
appena avvicinato. Ha messo giù quello stupido giornale – una sagoma
stropicciata e informe ai suoi piedi – e ha schiodato il culo dal divano. È così
vicino da farti ritrarre d’istinto. Gabriele sembra
orripilato.
- Perché dovrei?
La cosa ti offende?
- La tua vista è un’offesa, Nicoletti. Hai
cercato di farmi sbattere fuori perché ti ho gentilmente ricordato chi
sei.
Sorride,
Riccardi. Il sorriso di chi sta sparando le ultime cartucce. La sua è pazzia
senza metodo: va a braccio, lancia sul tavolo ciò che ritiene in grado di
irritarti abbastanza, e attende la tua prossima reazione. Non si è accontentato
del nulla di fatto, del direttore che ha preferito glissare e seppellire la
questione sotto uno strato di indifferenza.
- E cosa sarei? –
sospiri: non hai voglia di discutere, di affrontare schermaglie verbali, di
mandarlo affanculo.
Preferiresti che
la terra sotto i suoi piedi facesse per te il lavoro sporco e se lo inghiottisse
in questo preciso istante.
- Uno schifoso
effeminato.
- Ti disturba? Ti
senti minacciato? – appena lo sforzo di aprire un occhio e sollevare un
sopracciglio nella sua direzione.
- Tu disturbi. Pretendi che il mondo si
modelli sui tuoi capricci. Che tutti la pensino come piace a te – sentenzia –
Peccato che sia in fottuta minoranza.
- Questo è
assurdo! – ti sollevi a sedere, stavolta, una risatina improvvisa che raschia in
fondo alla gola, perché la barriera dell’assurdo è un lontano ricordo – Ti ho
cercato? No. Puoi pure andare a suicidarti.
- Sempre
simpatico! – Riccardi ricambia nervosamente quel riso di scherno – Ti sei
dimenticato dei casini che hai combinato? Risse, scherzi idioti, messinscene,
sospensioni…?
- Si chiama
legittima difesa, Riccardi – distogli lo sguardo, desideroso di troncare la
questione al più presto, perché è chiaro come il sole che qualcuno vuole la lite
– O preferisci un edificante dibattito “ho cominciato io, no, hai cominciato
tu”?
- Ti lamenti se
qualcuno ti attacca? – Riccardi arriccia il naso – Ma se è più o meno dal giorno
che hai messo piede qua dentro che rompi il cazzo a tutti… Pretendi che a
qualcuno, dopo un po’, non girino le scatole?
- Per esempio? –
lo interrompi – Quand’è che ti avrei rotto il cazzo? Quando respiro la tua
stessa aria? Scusa, eh, ma per quello non posso farci niente, anche se confesso
che mi fa un po’ schifo.
- Non fare
l’innocentino! Siccome sei frocio e ti senti discriminato, vorresti che tutti
fossero come te o ti appoggiassero. Non accetti pareri
contrari.
Spalanchi gli
occhi. Questo è troppo.
- E tu dovresti
accettare una visita da un bravo psichiatra. Io vorrei che gli altri
diventassero gay? Che tu diventassi gay?! In che universo?
- Vorresti che i
tuoi… viziacci – azzarda – fossero normali.
Stavolta ti
limiti a sollevare gli occhi al cielo. La pazienza è agli sgoccioli: la senti
scivolare via come una maschera di cera.
- È normale pure
che tu non capisca un cazzo, eppure mica ti uccido! Senti, se proprio ti piace
farti di crack, va’ a rompere da un’altra parte.
- Lo vedi? Hanno
tutti torto! Tranne te. Tutti sono cattivi, drogati, pazzi e stronzi. Quando si
tratta di te.
- Ma ti sei
sentito? – non vorresti, ma ce n’è abbastanza per alzare la voce – Spari
cazzate. Ti fai i tuoi castelli in aria. Non hai la minima idea di cosa parli,
però sputi sentenze a cavolo e pretendi che gli altri ti diano retta. Pensi che
sia tutta una congiura contro di te, quando per me, e non solo, potresti andartene all’inferno
e non farebbe alcuna differenza. Dovresti poi citarmi l’ora, il minuto e il
secondo in cui sarei venuto da te a romperti l’anima, a importi di fare qualcosa
o inculcarti un mio pensiero.
- Adesso, per
esempio – Riccardi sogghigna – Tutte le volte che salti su come se ti avessero
infilato un palo nel fondoschiena, appena dico che non piacciono i
froci.
- Ma guarda, per
me può piacerti anche tua nonna! – annuisci, annoiato – Finché la tua schifosa
omofobia si limita a te da solo,
davanti allo specchio, che ripeti cento volte “che schifo i froci”, per me puoi
crepare.
- Bisogna
rispettarti e dartele vinte perché sei tu, naturalmente… – Riccardi si avvicina
ancora, la voce falsamente zuccherosa.
Adesso è a una
ventina di centimetri. Distogli lo sguardo, d’istinto, perché tutto ciò che
vorresti è svegliarti dall’incubo. O che fosse tutto uno scherzo idiota. Che
Riccardi non sia davvero così, tragicamente stupido. Ossessionato e ossessivo.
Che stia bluffando per far scorrere il sangue.
- O forse perché,
se a te piacciano le ragazze e a me anche i ragazzi, non dovrebbe fregartene
un accidente.
- Però rompi… È
così per tutto. Sempre – Riccardi solleva gli occhi al cielo, e per un istante
sembra quasi crederci davvero.
Almeno a un terzo
dei suoi sproloqui.
- Ho mai provato
a rendere obbligatorio per legge che tu almeno una volta in vita tua vada con un
uomo? No? Perfetto. Sei sempre in tempo per suicidarti: rinnovo l’invito – gli
soffi – Insomma… evapora, volatilizzati, fa’ qualcosa.
- Tu vuoi che il
mondo si pieghi a te. Anche se la maggior parte della gente non è come te. E per
fortuna! Vorresti che le tue… stranezze diventassero legge. Che tutti ti
assecondassero in tutto, come si fa coi bambini – Riccardi arriccia le labbra,
uno sguardo indecifrabile, o forse si è davvero fritto il
cervello.
Sospiri. Vorresti
restare indifferente, scivolare via e lasciarlo parlare al muro, ma il guizzo
improvviso che ti contrae i muscoli della faccia è più forte di te. Le labbra
arricciate in un lampo di incredulità. Perché Riccardi continua a non far capire
dove voglia andare a parare. Vorrà farti impazzire dietro ai suoi rimescolii
senza senso. A un nesso logico che non esiste. Sta bluffando, bluffando. È tutto
ciò che speri. Che continui a ripeterti.
- No, scusa.
Forse parliamo lingue diverse o non so. Capisco che sia innamorato di me e mi
idolatri da lontano, che non possa fare a meno di me e memorizzi dettagli
insignificanti, ma davvero, non capisco… – sospiri.
Riccardi continua
a sorridere. Un ghignetto compiaciuto che gli taglia in due il
volto.
E tu lì che
vorresti trattenerti, trovare un pretesto per troncare la questione col solito
bilaterale, liberatorio “vaffanculo”, ma i muscoli della faccia fremono a un
punto tale che non puoi che scioglierti in una fragorosa risata. Vagamente
isterica.
Riccardi sorride
compiaciuto.
- È così per
tutto.
- Senti un po’ –
sospiri: magari puoi provare a recuperare un brandello di dignità sotto mille
paia d’occhi che ti spiano di nascosto – Proviamo a uscire da questo vicolo
cieco. Ti dà fastidio che a me piacciano gli uomini? La cosa pregiudica in
qualche modo la tua libertà? Ti ho obbligato a fare qualcosa? Le tue chiappe
sono al sicuro? Il tuo pasto quotidiano a base di yogurt scaduto, anche? Direi
di sì, visto che sei acido come una vecchia zitella. Bene, allora ti dico che il
problema si risolve con una padellata di cazzi tuoi.
- Dimentichi che
io sono quello che, insieme a tutti gli altri, deve sopportarsi i tuoi capricci,
le tue battaglie cretine, il tuo essere sempre in mostra.
- Mi spiace tanto
per te, ma non ho nessuna intenzione di diventare trasparente – arricci il
naso.
Riccardi chiude
gli occhi: forse una parte di lui si è resa conto di quanto stia scivolando nel
patetico, ma non può rinunciare alla scazzottata verbale.
- Sei assurdo.
Snervante. Irragionevole. Capacità di adattamento zero.
- Tutti
complimenti – sorrisetto di circostanza – E grazie al cielo, se sono
“irragionevole”.
Sbatti le
palpebre, il tempo che basta a far inceppare la sua linguaccia e darti modo di
defilarti. O fingere che dopo un po’ scompaia per magia.
Gabriele sembra
scazzato, ma non è una novità. Ha le labbra strette in una piega
indecifrabile.
- Devi proprio
dargli corda? – sibila – È completamente fuori…
- Ma l’hai
sentito? – sollevi gli occhi al cielo, la voce qualche decibel più alta – Mi
provoca! Mi stressa di proposito, come se farmi incazzare fosse la sua missione.
Mi dà del dittatore perché non gradisco i suoi insulti. Io la prossima volta
medito seriamente di avvelenargli il pranzo.
- Ecco, appunto –
adesso sembra più interessato a cambiare la suoneria del
cellulare.
È di nuovo di
scazzo perché vorrebbe strangolare Riccardi quanto lo vorresti tu, ma il
buonsenso e il luogo pubblico glielo impediscono. E certo non andrà a dirlo a
te.
Riccardi è
riuscito a cavarti qualche parola di bocca: ha fatto il
necessario.
È la proverbiale
“giornata di merda” che ogni sera preghi di lasciar fuori dalla tua porta con il
suo carico di negatività. Gli occhi di Gabriele, le sue mani come una fonte
ristoratrice, come un miraggio. E il baratro dell’assurdo, là fuori, la ballata
del battibecco gratuito che ogni volta minaccia di fagocitarti al suo interno in
qualità di interprete compiacente di una commedia pessima.
- A volte mi fai
paura – Gabriele finge di concentrarsi sul secondo caffè del pomeriggio –
Davvero, mi preoccupo per te. Fai il duro, gliene dici di tutti i colori, poi ci
stai male e te la prendi come se dipendesse da te. Non l’hai capito? Vuole
sfinirti, esasperarti.
- Come se io non
ci abbia provato, a farlo cuocere nel suo brodo!
Stavolta ci hai
provato davvero. I primi dieci secondi. Poi ha preso il sopravvento il desiderio
di scoprire dietro a quale dito si sarebbe nascosto. Un crescendo di stoccate
verbali e masochistici tentativi di ragionare. Con Riccardi. Contraddizione in
termini.
- Come se delle
sue cazzate ti importasse qualcosa, come se la sua parola fosse la parola di
tutti! È un fottuto psicopatico.
- Oh, non lo sai!
È come avere un gatto appeso alle palle. Un brusio fastidioso nella testa… Mi
viene da vomitare – chini lo sguardo, ti osservi le dita – Deve ricordarmi ogni
santo giorno che mi odia perché mi piacciono gli uomini… Che se vuole prendermi
a schiaffi, perché si è svegliato col piede sbagliato, ne ha tutto il diritto.
Lo eviti, fai finta che non esista? Perfetto. Viene a cercarti lui. Tipo
adesso…
- Nicoletti,
prima che mi dimentichi – la voce di Riccardi ti fa quasi
trasalire.
Di nuovo
all’attacco. Il calabrone che ti ronza nelle orecchie prima di pungerti a
tradimento. Tormento il suo secondo nome… E non gli è bastato. Ti ha seguito
come una maledizione non appena gli hai voltato le spalle.
È il passaggio
obbligato per raggiungere il piazzale e andarsi a fumare la sua dannata
sigaretta. Tanto vale finire di vuotare la sua sacca di
veleno.
- Ti stai
consultando col tuo avvocato? – borbotta, mentre si rigira il pacchetto di carta
tra le dita.
Osservi Gabriele.
Obbediente, fingi di trovare interessante la superficie del vetro davanti a te.
La vista oltre la finestra, l’esterno dell’istituto visto da un’altra
prospettiva, lato cantiere. L’auto rossa di Thompson posteggiata a cavolo vicino
al cancello sul retro.
Poi intercetti lo
sguardo di fuoco di Gabriele. Le dita che si serrano attorno al bicchiere di
plastica.
- Avvocato che,
per la cronaca, è una signorina come te e saprà darti buoni consigli – cinguetta
Riccardi con voce flautata.
Gabriele
socchiude le palpebre, annoiato – quando in realtà vorrebbe ribaltarlo giù dalla
finestra.
Si sente colpito
ed evita lo sguardo: se non fosse così calmo, gli lancerebbe il caffè in
faccia.
- Riccardi?
Mentre pensi a come renderti ridicolo, pensa anche a questo – gli sussurra, il
dito medio sollevato a due centimetri dalla sua faccia.
Riccardi fa un
salto indietro, incassando il colpo con un sorrisetto
strafottente.
Adesso puoi
sentirti sollevato, perché ha girato sui tacchi.
Gabriele è
tornato dentro, nell’anticamera di tre metri per due a riposare i nervi, e tutto
ciò che riesci a fare è lasciarti andare contro la parete e aspettare la fine
delle trattative. Osservarti intorno e incrociare le dita che Riccardi non torni
all’attacco. Non adesso, che intorno alla macchina del caffè si è creato un
capannello, e sei troppo stufo di stare sotto i
riflettori.
Tutti stanchi di
aspettare, di stare in gabbia. Ci sono i Lastella che cercano di sondare il
terreno con Thompson e capire se potrà rivelarsi un acquisto fruttuoso, che
promette faville e fa parlare di sé.
- Ehi, Andrea! –
Alex sorride, accenna un saluto con un gesto fiacco della
mano.
Si avvicina,
astuto, sottraendosi al terzo grado dei gemelli.
Ricambiare il
sorriso stavolta è d’obbligo, soprattutto dopo esserti fatto sorprendere a
fissarlo per una buona manciata di secondi.
- Hai conosciuto
i redattori del gazzettino, vedo… Che fortuna! – esordisci,
beffardo.
- Già… Tu sai
distinguerli? – ridacchia Alex.
A volte riesce
anche a essere simpatico. Quando schizza dalla modalità “pulcino sperduto nella
tana delle volpi” a “pubbliche relazioni random”. Non che t’importi molto, ma
ogni tanto un alleato può tornare utile.
- Puoi
scommetterci! Patrizio è il rockettaro, Luca è quello che sembra Che
Guevara.
Trattieni una
risata: la vera differenza è che uno è gay e l’altro etero, e se Riccardi
arriverà a scoprirlo, forse si farà esplodere in sala
mensa.
- Andre, posso? –
ecco, quando parli del
diavolo…
Patrizio Lastella
ammicca dall’alto del suo metro e ottanta di jeans strappati e spalle
ossute.
- Stellina! – lo
motteggi: hai voglia di sfottere bonariamente qualcuno, di fingere che tutto va
bene – Stavamo sparlando di te.
Patrizio aguzza
lo sguardo.
- Ma davvero? E
che gli hai detto, se posso? – sussurra con voce querula, passandoti un braccio
intorno alle spalle e sorridendo complice in direzione di
Alex.
- Che suoni da
far pena – gli fai eco, guadagnandoti un’arruffata di
capelli.
- Bene! –
Patrizio scuote le spalle: quando ti piomba addosso all’improvviso, ha qualcosa
in serbo per te – Se per voi non c’è problema – continua, rivolto ad Alex e a
Gabriele che neppure stava ad ascoltarli – Ve lo rubo per una decina di
minuti.
- Ehm… Stella, è
successo qualcosa che non so? – cincischi, mentre provi a sottrarti alla sua
stretta.
- C’è una cosa
che vorrei spiegarti in privato.
Annuisci.
Patrizio cammina così spedito che quasi fatichi a stare al passo. Specie se
trascinato appeso al suo braccio fino a un luogo adeguato.
- Dai. Che avete
combinato, stavolta? – ti osservi intorno: aula vuota, nessuna
microspia.
- Nulla –
Patrizio distoglie lo sguardo, sibillino, mentre si siede in cattedra e punta i
gomiti – Non abbiamo pestato i calli a nessuno… Per ora. Ma ho saputo cos’è
successo tra te e l’uomo dei pacchi.
- Spiegati
meglio.
Patrizio ha la
strana abitudine di riferirsi a persone e situazioni come una spia in missione
segreta, intrecciando allusioni su allusioni. Cosa che in altre occasioni è
divertente, ma non ora, che potrebbero appiccicare la famosa graduatoria in
bacheca da un momento all’altro, e rischi di perderti lo spettacolo della fine
del mondo.
- Federico
Riccardi.
- Ci
mancherebbe…! – scuoti il capo – Immagino sarà l’argomento clou per i prossimi
cent’anni. E tutto questo grazie a te.
- Ho saputo com’è
finita la storia – Patrizio ammicca: sembra serio.
- Non è finita. Riccardi continua a
frantumarmi le palle.
- Me ne sono
accorto. Fammi capire… – Patrizio si scosta un ciuffo ingellato dalla faccia, lo
sguardo grave, troppo per un giullare
come lui – Quello rivendica il suo diritto di insultare i gay e chiunque gli
pare, il direttore gli alliscia la testa, domani è tutto come prima… E riprende
anche a provocarti? È accettabile?
Ti stringi nelle
spalle – all’improvviso fa quasi freddo, perché Patrizio ha captato solo delle
voci e ti ha appena tolto le parole di bocca.
- A quanto pare,
sì. Ma è snervante.
- Bello schifo! –
adesso Patrizio è sul piede di guerra – E l’importante è che non se ne parli
troppo, vero? E tutti vissero felici e contenti: il direttore che salva le
apparenze, Riccardi che la fa franca e i fottuti omofobi perbenisti. Invece
possono scommetterci che stavolta se ne parlerà.
- Cosa vuoi fare?
– incalzi, perché messa su questi termini fa paura.
- Ne parlavo
l’altro giorno con Fratello. E ho buttato giù la mia idea: un bell’articolo sul
gazzettino con tanto di intervista.
- Vorresti
intervistare me? – spalanchi gli
occhi: sistema fantasioso per trascinare la questione all’infinito; efficace,
anche se mai quanto la tecnica dello schiacciasassi by
Riccardi.
- Esattamente… –
Patrizio ridacchia – Il ferro è ancora caldo, no? Se la cosa finisce in una
bolla di sapone, facciamo il gioco di Riccardi che si illude di essere nel
giusto, e del direttore che se lo coccola.
- Non è che se lo
coccoli… – lo interrompi – Non ha dato peso alla cosa, non credere che abbia
chissà quali simpatie per quel coglione.
- Balle! –
interruzione doverosa – Lo appoggia sì, se rimane neutrale e preferisce tenersi
il fottuto “quieto vivere” senza venirne a capo. Vuole il silenzio stampa? Noi
invece parleremo.
- Non penso che
qualcuno non sappia ancora cos’è successo. È la soap-opera dell’anno e lo
resterà per un po’. Non credo ci siano gli estremi per montare polemiche: non mi
ha fatto nulla, lo vedi? La mia faccia è tutta intera. Doveva farmi buttare almeno un po’ di sangue, per avere almeno un buffetto sulla
guancia.
- Questa è una
polemica in piena regola – Patrizio scuote le palpebre, annuendo placidamente;
per un attimo sembra aver messo giù la maschera dell’investigatore intransigente
– La muoviamo noi. Quanto dev’essere grave la cosa? Un idiota qualunque va in
giro a distribuire sganassoni perché gli sta sul cazzo questo e quest’altro, si
sente autorizzato a insultare e discriminare… E non sarebbe
abbastanza?
Patrizio sembra
sicuro di sé. Troppo. Lo capisci dal suo modo di parlare, a mitraglietta. Tu
invece preferisci fissare il pavimento.
- Ho paura che
più ne parli, più la gente si anestetizza la coscienza e ti manda al diavolo. E
che du’ palle, Nicoletti, bullismi e raccomandati… Di nuovo?! Dio, per carità!
Ecco, secondo me la reazione-tipo è questa.
- Dipende da come ne parli.
- Grande, eh! –
un sorriso sarcastico: questo glielo concedi – I discorsi da politicante
lasciali a tuo fratello. Ha una faccia che si presta
meglio.
- La stessa,
visto che è uguale a me. A lui ho lasciato ben altre grane – annuisce, una luce
cospiratrice in fondo alle iridi cerulee – Siccome amiamo la par condicio e le
cose fatte a regola d’arte, pensiamo sia giusto sentire tutte e due le campane e
lasciare a chi legge il beneficio del dubbio…
- Giornalismo da
quattro soldi. Sinceramente non capisco cosa ci facciate qui a seguire corsi di
sceneggiatura – incalzi, sardonico – Cosa volete fare?
- In soldoni,
caso volle che a me sia toccato farmi due chiacchiere con il mio vecchio amico
Andrea, mentre a Luca ho lasciato il lavoro sporco: parlare con Riccardi. Basta
che gli faccia le domande giuste e registri tutto: Riccardi darà fondo
all’arsenale delle cazzate, che saranno puntualmente riportate nero su bianco, e
si sputtanerà con le sue mani, presentandosi come l’imbecille che
è.
- Non ne sono
convinto…
- Vabbè… Se ti
chiedessi quattro chiacchiere da amico? – sorrisetto tirato – In via informale
che più informale non si può. Se qualcosa va storto, se la cosa non ti convince,
fermiamo tutto. Raccontami cos’è successo e vediamo che si può
fare.
È lì di fronte a
te con l’aria da psicologo navigato o di chi tirerebbe fuori i diavoli
dall’inferno.
- Io non ne sono convinto – rilanci,
sottraendoti a una certa mano che viaggiava in direzione delle tue spalle – Non
mi piace. Mi sembra una gigantesca boiata.
- Ça
signifique…?
- Significa che
se dopo l’“intervista” il mio è ancora un “no”, rimane un “no” e voi non fate
nulla. Bloccate tutto.
- Ma questa non è
un’intervista – Patrizio spalanca gli occhi.
Fanali cobalto
sulla faccia leggermente spigolosa. Le labbra serrate in quel sorrisetto
perennemente asimmetrico. Labbra carnose quanto basta, estremamente mobili
mentre parla, incorniciate dal pizzetto scolpito ad arte e trafitte da un
anellino d’argento. Se al liceo gli morivi dietro, qualche motivo
c’è.
Distogli lo
sguardo. Vorresti convincertene, disperatamente. Che puoi fidarti. Che non sarà
la solita impresa fallimentare. Ma solo perché vi conoscete da secoli e si
tratta di un paio di confidenze tra amici. Chissà se Elena e Gabriele sarebbero
d’accordo. E se questa è la chiave giusta per colpire restando
pulito.
- Non scappo
mica, eh! Cosa posso dirti che ancora non sai? – azzardi, il solito ricciolo
sulla tempia artisticamente attorcigliato intorno
all’indice.
È il tuo modo di
imporre il controllo. Perché lui si distrae a seguire le dita che si rigirano la
ciocca di capelli, e intanto le parole gli si scolpiscono nella
testa.
- Com’è iniziata?
– Patrizio si sistema al tuo fianco da bravo padre
confessore.
- Mi ha fottuto
lo spray per l’asma e ci siamo azzuffati in camera sua.
Patrizio annuisce
con uno scatto improvviso.
- Interessante… –
sussurra – Se l’avesse fatto con me, a quest’ora mangerebbe con una
cannuccia.
- Non mi piace la
violenza fisica. Psicologica, se proprio devo.
- Sono d’accordo
– Patrizio ammicca di nuovo – È per questo che siamo qui.
- Vuoi dargli una
lezione perché ti senti toccato sul personale? – affondi il coltello, con
nonchalance.
- No. Voglio solo
vedere fino a che punto arriva.
Sospiri,
rassegnato. Potresti soprassedere e continuare a raccontargli ciò che già
conosce, partendo da Adamo ed Eva o giù di lì. Ma ormai la domanda ce l’hai
sulla punta della lingua e non puoi fare a meno di
interrompere.
- Prima di
continuare, posso chiederti io una
cosa? – lo incalzi, a tradimento.
- Quello che vuoi
– Patrizio annuisce.
Sorriso
smagliante. H capito che se vuole ammorbidire le tue posizioni, deve
assecondarti.
- Hai risolto la
questione con… quelli del tuo gruppo?
- Eh? – non
glielo dici, ma l’imitazione di uno che cade dalle nuvole è da misero
dilettante.
- Glielo hai
detto? – prosegui.
- Cosa dovrei
dire? – Patrizio ha la stessa espressione che avrebbe se l’avessi invitato a
sniffare un po’ di colla.
- Ehm… mi
chiedevo se alla fine avessi fatto coming-out con loro.
- Che brutta
parola, Andrea! – storce il naso. Poco credibile anche
qui.
- Scusa, eh, ma
tu come lo chiami? Non sarà un problema per loro, spero. Se sei bravo, voglio
dire, che differenza fa?
- Ci sto
lavorando – mugugna Patrizio.
Il muro, e poi
punto e a capo.
Non
stavolta.
- Oh, ecco,
saltano fuori gli altarini! – lo pungoli – Un leone quando si tratta di
difendere gli altri, ma tentenni quando si tratta di te…
- Non è quello il
problema – Patrizio sembra ipnotizzato dalla superficie lucida della cattedra –
Non è che tema i giudizi o mi vergogni e palle varie… Di cosa, poi? – ridacchia,
e per un istante sembra ti faccia il verso – Il fatto è che… i fatti miei
personali non sono proprio in cima ai nostri discorsi.
- Ma siete amici,
no?
Ti stringi nelle
spalle. Patrizio è appena ripiombato nel tuo casino esistenziale portandosi
dietro il suo personale
casino.
- Ci si vede solo
la sera per suonare. Si scherza da bravi idioti, e tutto finisce lì. Che dovrei
fare? Tenere una conferenza sulla mia vita sentimentale?
- Non li conosco,
ma se vuoi un mio parere, non mi fanno un’ottima impressione – almeno questo
devi dirglielo.
- Li conosci,
scusa?
- Nah. Piani e
Basile li conosco di vista, ma seguono altri corsi e boh, non ce li ho proprio
presenti. Stanno sempre per i fatti loro con gente che non conosco, un po’ così,
persi nel loro mondo. Non fanno parlare molto di sé – gli
sussurri.
E sembrano aver
eletto l’angolo a destra sotto la pensilina a loro rifugio privato, vietato
avvicinarsi, e sembrano stare per tutto il tempo sulla loro torre d’avorio,
perché, accidenti, loro sono al terzo anno, loro lavorano, loro sono Artisti a
trecentosessanta gradi, perché arrotondano suonando nei locali il fine
settimana. Ma non glielo dici. Perché hai ben altri galli cui
pensare.
- Non hanno nulla
a che vedere con Riccardi, se proprio vuoi saperlo – Patrizio solleva gli occhi
al cielo – Uno così lo sputerebbero in faccia senza tanti complimenti. No, al
massimo importa che musica ti piace. Se sei uno che se ne intende, allora bene:
sarete amici per la pelle.
- Altra cosa che
non mi convince – storci il naso – A quello non piaci a seconda di chi ti porti
a letto; quell’altro ti guarda male perché non gli piace musica che ascolti…
Dio, c’è qualcuno che sia rimasto immune da questi schemi cretini, è tutta una
mia impressione, o dobbiamo provare a vedere su Marte?
- Non fare il
melodrammatico, scemo! – Patrizio annuisce, una mano che vola a scompigliarti i
capelli, perché è sempre stata la sua fissazione numero uno – Il tuo è tutto un
gioco di supposizioni. Anzi, facciamo così: stasera ci vediamo al pub, trovo un
pretesto qualunque e provo a dare qualche indizio… Probabilmente non fregherà a
nessuno, ma almeno mi levo il dente e il dolore.
- Perché dovrebbe
essere un dolore? – qualcosa, come un
leggero spasmo, ti fa inarcare un sopracciglio.
- Perché non mi
piace parlare dei fatti miei. Tutto qui. Preferisco quelli degli altri. E non
siamo così in confidenza da scambiarci la gomma da masticare, te l’ho detto! Ci
frequentiamo da un mesetto e suoniamo insieme. Cercavano un chitarrista, mi
hanno provinato, hanno detto che gli andavo bene, ed eccomi
qua.
- Allora, boh,
non dovrebbe importagliene molto se ti piacciono gli uomini o le
donne.
La deduzione
logica. Che forse è più o meno ciò che cerca di spiegarti da una decina di
minuti.
- Ormai sono in
ballo, però, e non vorrei la rivelazione dell’ultimo momento. Se a qualcuno la
cosa non va bene, del resto il problema è suo.
- Oh, eccolo… –
annuisci, sibillino – Adesso mi piaci di più.
Il viso di
Patrizio è tutto un ghignetto diabolico.
- Invece tu mi
piaci sempre – sussurra, un attimo prima di sporgersi verso di te e sfiorarti la
bocca.
La mascella, a
dire il vero, perché il movimento improvviso con cui ti sottrai al contatto, per
poco non ti rovescia giù dalla sedia. Deglutisci, a disagio. Tornate a fissarvi
negli occhi. E tutto ciò che resta non è che un’esplosione di risa e di scuse in
sincrono.
- Dai, non dirmi
che stai con qualcuno e non ne sapevo nulla… – Patrizio si fa ancora più vicino.
Senza intenti bellicosi, stavolta.
Ti stringi nelle
spalle.
- È colpa mia, se
ogni tanto sparisci, ti fai un po’ i fatti tuoi, e puntualmente ci perdiamo di
vista?
- Okay, okay…
Scusa – di nuovo – Non dirmi che il fortunato è Derossi, perché mi
deprimo!
Ti fissi la punta
delle scarpe. Lui non può sapere, ma la sensazione di un coltello rigirato in
fondo alla ferita è bella fresca. Ruoti lo sguardo fino a staccarlo del tutto
dal suo. Indugi.
- Non
esattamente. Ci sto lavorando – sospiri.
- Cioè… No! –
Patrizio nasconde il viso tra le mani – Non ci credo! Vi siete guardati in
cagnesco per mesi, sopportati a malapena… Non perdevi occasione di lamentarti di
Derossi, che ti guarda male, ti punzecchia, ti dà del raccomandato… E
ora?
- È una storia
lunga – tagli corto.
Un’altra volta,
magari, ma non adesso, che tutto ciò che desideri è sbrigare la faccenda nel più
breve tempo.
- Guarda, se mi
dici che è bello, hai tutte le ragioni di questo mondo. Se mi dici che è
simpatico… Parliamone.
- Ha solo la
lingua un po’ affilata. E okay, è
abbastanza acido – gli concedi.
- Abbastanza? –
Patrizio inarca un sopracciglio, sarcastico – Beh… anche tu, alla fine. Quindi
siete a posto.
- Ah, se lo dici
tu…
- Sei innamorato?
– Patrizio è di nuovo modalità inquisitore.
- Puoi
scommetterci quello che vuoi.