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Autore: Cassandra Morgana    02/11/2011    1 recensioni
Sullo sfondo chiaroscurale di un'Accademia d'Arte Drammatica con troppe maschere da indossare e una posta in gioco che sale, tre ragazzi si incontrano.
Elena vince il proprio mal di vivere grazie a un'amicizia speciale, al ritrovato coraggio di gestire i conflitti e a un forte altruismo; si scontra con Isa, la sua nemesi, voce contraria e complementare che cerca di tessere una storia opposta.
Andrea, ragazzo ambiguo e dalla lingua affilata, vuole recuperare la stima di chi, troppo tardi, si è reso conto di amare.
Gabriele imbroglia la propria depressione fumando spinelli, nutre sentimenti ambivalenti verso Andrea e gioca da burattinaio.
Tra pettegolezzi sussurrati, volontà opposte in rotta di collisione, ambizioni frustrate, gelosie, complotti sotterranei, storie di ordinaria omofobia, dark enigmatici, musicisti irascibili, ex amanti, amicizie inossidabili e amori taciuti, in una storia in cui ognuno vuole far sentire la propria voce, resta solo stabilire chi sia Cleopatra e chi il serpente che le insidia il seno.
[Storia sesta classificata e vincitrice del premio "Stile e scrittura più originale" al contest Chi è normale non ha molta fantasia - La storia più originale su EFP, indetto da Butterphil]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il bacio dell'aspide ~ la serie'
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Capitolo 28

Odi et amo

 

 

Penso di odiarlo profondamente, Nicoletti. O forse è una cosa a pelle, non proprio odio, ma una specie di avversione fisica.

La cosa che non sopporto di lui è che non si vergogna nemmeno. Di essere com’è. Se ne va in giro felice e fiero di essere sputtanato, senza rispetto per se stesso.

Cosa ci fa di nuovo qui? Vuole soffiare sul fuoco? Sedersi sul cumulo di immondizia che lui stesso ha creato, e vedere di nascosto l’effetto che fa?

Mi sfugge, mi sfugge davvero con che coraggio si sia presentato. Anche oggi. Onnipresente. Vuole il tappeto rosso o si accontenterà della lapidazione?

È assurdo… Ha mosso mari e monti per essere depennato dalla lista dei candidati per il suo benamato stage, quando le trattative erano già in corso; ha scalpitato come un dannato quando qualcuno gli ha rinfacciato che l’altra volta avevano preso lui per il solo merito di aver usato la lingua con Neri – in tutti i sensi…

E adesso? Si tira fuori dai giochi quando ormai le porcate sono uscite allo scoperto! E se pure nessuno ha fatto il suo nome, chi può essere così cretino da non sospettare di lui almeno per un istante?

Siamo qui almeno da mezz’ora, un’anticamera di tre metri per due con un misero divanetto per lato e un corridoio per passeggiare. Vicino all’Aula Magna, in attesa dell’anima pia che verrà ad appendere in bacheca la benedetta graduatoria; e giurerei che la cosa non faccia tanta gola come una volta, dopo tutto il letame che ci hanno buttato sopra. Piccoli e grandi scandali trascinati così a lungo da annacquare il discorso, da perdere di vista l’obiettivo; da renderti l’intera faccenda indigesta. Nessuno vuole l’eredità scomoda di Nicoletti.

Ci sono proprio tutti, appollaiati tutt’intorno come avvoltoi. Tutte le teppe. Aspettano la tromba del giudizio. Sbuffano, vanno avanti e indietro per il corridoio; ogni tanto posano le chiappe sul divano, sparano due cazzate e riannodano i fili del discorso. Sorridono e ogni tanto vola pure qualche badilata verbale – è inutile, Isa, che cerchi di attutirla sotto il guanto di velluto.

Seduta di fronte a me, finge di non vedermi e si mordicchia gli artigli dipinti di rosso con l’aria del gran predatore. Al suo fianco, Alberti. Non so che abbia da agitarsi tanto, ma sembra che gli abbiano messo puntine da disegno sotto il culo. Si siede, si rialza, passeggia in tondo, origlia qua e là. Punta le mani sui fianchi e si guarda intorno con la faccia di chi aspetta il giudizio universale. Nei panni dell’avvocato dell’accusa.

Poi c’è Loria che ogni tanto sparisce e riappare come un temporale a Ferragosto. Giuro che se non si conciasse come la moglie di Dracula, sarebbe anche praticabile. E se non ti guardasse come se volesse incenerirti sul posto. Malattia piuttosto diffusa.

Su, vai, cara, da brava: perdi anche tu un po’ di tempo a misurare il corridoio. Esci a prenderti un caffè oppure fatti una doccia fredda, ché temo che oggi il tuo amichetto Andrea penda più da quell’altra sponda e abbia una gran voglia di ripassarsi Derossi in mondo visione.

Giulia ha appena optato per la stessa soluzione: levarsi dalle palle. Si fissa la punta delle scarpe e accenna a Isa. Che sceglie proprio quel momento per voltarle le spalle e accucciarsi contro la spalla di Alberti. Tempismo perfetto. Giulia si alza in piedi. Fissa la parete, poi punta lo sguardo su di me. E ci capiamo al volo. È ufficialmente cominciato il festival dei mugugni.

- Era frocio, capito? – sai la novità! – Isa voleva mandarmi a letto con un dannato frocio!

Ingenua: come se uno con quella faccia potesse essere etero…! Eppure ci aveva preso per i fondelli con tutta la storia di Blanche, che sinceramente mi fa un po’ pena, visto che, tra tanti, la sua scelta era caduta proprio su Derossi e Nicoletti. Della serie, di due non ne vien fuori uno.

L’unico pesce fuor d’acqua sembra il nostro nuovo acquisto. Che, a quanto ho capito, non ha molto a che vedere con il programma di scambio, e non ho capito bene da dove sbuchi. Si è iscritto in quattro e quattr’otto alla selezione, si è fatto il suo bravo esame in gran segreto, e adesso è qua ad attendere il responso. Povero pulcino, non ha capito con chi ha a che fare, o non si spiega perché continui ad andarsene in giro in divisa da emo e a passeggiare in campo minato, incurante delle beffe e del ridicolo.

Oddio, la tenuta da emo posso anche capirla, perché anche a me verrebbe voglia di tagliarmi le vene, se dovessi sciropparmi i gemelli Lastella che tengono il loro banchetto quotidiano a base di cazzi altrui sulla mia pellaccia. Sono gli unici, col loro dannato gazzettino, ad averci guadagnato qualcosa con questa storia. Mo’ aspettano il colpo di scena finale e, se dovesse finire in rissa, sono certo che se la farebbero sotto dalle risate. In attesa dell’apocalisse, preferiscono radiografare Dracula, informarsi sul suo piatto preferito a colazione e sulla frequenza con cui si cambia le mutande.

Penso che Nicoletti dovrebbe baciare la terra dove camminano, visto che dopotutto è grazie a quei due avvoltoi e alla loro carta straccia, se è entrato nella leggenda e lo scandalo delle raccomandazioni ha fatto il giro della città.

E poi, dulcis in fundo, lui. Il dannato Nicoletti. Seduto in riva al fiume, il fiume d’acqua sporca che lui stesso ha voluto.

È qui per lo stesso motivo di tutti gli altri: godersi un finale da gran cinema. Anche se della sua presenza si potrebbe fare serenamente a meno.

L’ho capito, che ti piace che si sparli di te… Purché se ne parli. Purché non ci si dimentichi in fretta della tua esistenza. Ti fingi annoiato – quando in realtà gongoli del casino che hai imbastito tutto da solo. Sbadigli, ti allunghi sul divano e poggi la testa sulle gambe di Derossi. Disgustoso pure quando respiri. L’abbiamo capito che sei frocio fino al midollo, cocco, non servono pubbliche dimostrazioni.

Ecco, non capisco com’è che le donne gli vadano dietro – un po’ meno, forse, da quando ha ufficializzato che gli piace la pannocchia. Passi Giulia. Passi l’oca bionda d’oltralpe. Loria che ha il gusto dell’orrido, e vabbé. E Isa, che pure se non lo ammetterà mai, l’hanno capito anche i sassi che rosica perché voleva farsi un giro in giostra e non ha avuto l’occasione.

Vorrei sapere dove lo trovano bello. Da vicino è terribile, con quell’odioso nasetto all’insù da checca e la fronte a cuore: una via di mezzo tra tua zia e un personaggio de “Il signore degli anelli”. E poi fa paura. Come si muove. Striscia nell’ombra, ti fissa con quegli occhi assurdi e se ne vien fuori con la pirlata del secolo. O ti sputa addosso il suo veleno.

Sì. Penso seriamente di detestarlo. È come qualcosa di viscido che ti s’incolla addosso, che ti obbliga a guardarlo. È proprio la sua faccia a farmi ribrezzo. I suoi capelli, quei dannati riccioli da femmina, come una malattia, come un prurito, una lebbra.

Comunque vada, le ha avute vinte, il bastardo. Può godersele tutte.

Tu schiocca le dita, e presto o tardi il mondo si piega: bella lezione di vita!

Cosa c’è, caro? Non sopporti che il sottoscritto ti definisca coi termini che ti si addicono? Frocio di merda, non è il minimo? Dovrai farci l’abitudine.

Ma insultare il divo dell’Accademia equivale a ostracismo sociale per delitto di lesa maestà.

E intanto lui è ancora qui. Che si stiracchia sul divano come una lucertola sotto il sole. Schifoso.

Sposta le chiappe, amico, ché ti stai sbafando due posti a sedere, e ho seriamente paura che tra un po’ cominci a limonarti il tuo amichetto in diretta su Sky.

E basta, lo odio. Ma non posso fare nulla, finché ha Derossi come nume tutelare. Non che abbia paura: la sua parola vale come il due di picche. È che sembra abbastanza incattivito da scattare da un momento all’altro. Si capisce da come ti fissa, dietro quei dannati occhiali fumé che non si toglie neanche quando va al bagno. Gli servono a nascondere le occhiaie da tossico o forse per non far capire dove guarda… Vigliacco fino alla punta dei capelli, fino alle cazzate più insignificanti. Non so se sia la roba che si fuma o altro, ma ha sempre l’aria di uno che può distruggerti e godere della tua rovina. Gabriele “ti spiezzo in due” Derossi! Con due occhi assurdi e la rabbia che se lo mangia. Peccato sia troppo codardo per spezzarti in due sul serio: lui è quello che ama giocarsela sottobanco e dispensare cattivi consigli.

 

* * *

 

- Riassegnazione chirurgica del sesso. Hai letto, Nicoletti? Roba per te. Così magari ti metti l’anima in pace.

Una sferzata improvvisa ti riafferra dal baratro dell’apatia dove ti crogiolavi con gioia, riportandoti duramente alla realtà. Una voce nella testa ti dice no, Andrea, non è il momento di tornare da capo sul tuo Calvario quotidiano. Riaprire quella maledetta porta e fare – metaforicamente – a botte con un ossessivo Riccardi. Non oggi che le acque sembravano abbastanza calme da poter sonnecchiare in pace.

Ti facevi i cavoli tuoi fino a un attimo fa. Volevi porre fine quanto prima alla sessione di tortura di mille occhi puntati addosso. Convincere Derossi a venire con te e reggerti il gioco ti era parso un compromesso accettabile. Perché, sì, vuoi vederlo con i tuoi occhi, come andrà a finire una certa faccenda. Vuoi vederci calare la proverbiale pietra sopra.

Poi Riccardi ha deciso di dimostrare a tutti che anche lui ha imparato a leggere: ha aperto un giornale a casaccio, ha letto due righe e ci ha ricamato sopra l’allusione a cazzo.

Forse è la nebbia del torpore pomeridiano, ma ti sfugge il senso – se mai ce l’abbia. Un senso. Va bene anche uno perverso. E poi basta, perché la curiosità è più forte del desiderio di pace.

- Che ci azzecca, scusa? Stai imparando nuove parole?

La regola numero uno – non dar corda ai deficienti – è appena finita giù dalla finestra: basta un’occhiataccia di Gabriele a ricordartelo. Con un’alzata di sopracciglia e una ritirata strategica verso la macchina del caffè.

- Ma sì, magari è la volta buona che raggiungi la pace interiore e la smetti di vantarti di quanto sei frocio – una colata di veleno con tutti i crismi del caso, accompagnata da una risata maligna.

L’insana passione nel provocare fino a far guizzare le fiamme.

- Riccardi, questa te la sei sognata stanotte? No, spiegami. Perché non vedo un senso.

- Ti senti femmina? – Riccardi sogghigna; così tanto che, d’istinto, ti fa serrare i pugni – È per questo che corri dietro agli uomini? Ti piace prendertelo in quel posto?

- Io non corro dietro a nessuno! Fatti i cazzi tuoi!

- Non fai nulla per nasconderlo.

Riccardi si è appena avvicinato. Ha messo giù quello stupido giornale – una sagoma stropicciata e informe ai suoi piedi – e ha schiodato il culo dal divano. È così vicino da farti ritrarre d’istinto. Gabriele sembra orripilato.

- Perché dovrei? La cosa ti offende?

- La tua vista è un’offesa, Nicoletti. Hai cercato di farmi sbattere fuori perché ti ho gentilmente ricordato chi sei.

Sorride, Riccardi. Il sorriso di chi sta sparando le ultime cartucce. La sua è pazzia senza metodo: va a braccio, lancia sul tavolo ciò che ritiene in grado di irritarti abbastanza, e attende la tua prossima reazione. Non si è accontentato del nulla di fatto, del direttore che ha preferito glissare e seppellire la questione sotto uno strato di indifferenza.

- E cosa sarei? – sospiri: non hai voglia di discutere, di affrontare schermaglie verbali, di mandarlo affanculo.

Preferiresti che la terra sotto i suoi piedi facesse per te il lavoro sporco e se lo inghiottisse in questo preciso istante.

- Uno schifoso effeminato.

- Ti disturba? Ti senti minacciato? – appena lo sforzo di aprire un occhio e sollevare un sopracciglio nella sua direzione.

- Tu disturbi. Pretendi che il mondo si modelli sui tuoi capricci. Che tutti la pensino come piace a te – sentenzia – Peccato che sia in fottuta minoranza.

- Questo è assurdo! – ti sollevi a sedere, stavolta, una risatina improvvisa che raschia in fondo alla gola, perché la barriera dell’assurdo è un lontano ricordo – Ti ho cercato? No. Puoi pure andare a suicidarti.

- Sempre simpatico! – Riccardi ricambia nervosamente quel riso di scherno – Ti sei dimenticato dei casini che hai combinato? Risse, scherzi idioti, messinscene, sospensioni…?

- Si chiama legittima difesa, Riccardi – distogli lo sguardo, desideroso di troncare la questione al più presto, perché è chiaro come il sole che qualcuno vuole la lite – O preferisci un edificante dibattito “ho cominciato io, no, hai cominciato tu”?

- Ti lamenti se qualcuno ti attacca? – Riccardi arriccia il naso – Ma se è più o meno dal giorno che hai messo piede qua dentro che rompi il cazzo a tutti… Pretendi che a qualcuno, dopo un po’, non girino le scatole?

- Per esempio? – lo interrompi – Quand’è che ti avrei rotto il cazzo? Quando respiro la tua stessa aria? Scusa, eh, ma per quello non posso farci niente, anche se confesso che mi fa un po’ schifo.

- Non fare l’innocentino! Siccome sei frocio e ti senti discriminato, vorresti che tutti fossero come te o ti appoggiassero. Non accetti pareri contrari.

Spalanchi gli occhi. Questo è troppo.

- E tu dovresti accettare una visita da un bravo psichiatra. Io vorrei che gli altri diventassero gay? Che tu diventassi gay?! In che universo?

- Vorresti che i tuoi… viziacci – azzarda – fossero normali.

Stavolta ti limiti a sollevare gli occhi al cielo. La pazienza è agli sgoccioli: la senti scivolare via come una maschera di cera.

- È normale pure che tu non capisca un cazzo, eppure mica ti uccido! Senti, se proprio ti piace farti di crack, va’ a rompere da un’altra parte.

- Lo vedi? Hanno tutti torto! Tranne te. Tutti sono cattivi, drogati, pazzi e stronzi. Quando si tratta di te.

- Ma ti sei sentito? – non vorresti, ma ce n’è abbastanza per alzare la voce – Spari cazzate. Ti fai i tuoi castelli in aria. Non hai la minima idea di cosa parli, però sputi sentenze a cavolo e pretendi che gli altri ti diano retta. Pensi che sia tutta una congiura contro di te, quando per me, e non solo, potresti andartene all’inferno e non farebbe alcuna differenza. Dovresti poi citarmi l’ora, il minuto e il secondo in cui sarei venuto da te a romperti l’anima, a importi di fare qualcosa o inculcarti un mio pensiero.

- Adesso, per esempio – Riccardi sogghigna – Tutte le volte che salti su come se ti avessero infilato un palo nel fondoschiena, appena dico che non piacciono i froci.

- Ma guarda, per me può piacerti anche tua nonna! – annuisci, annoiato – Finché la tua schifosa omofobia si limita a te da solo, davanti allo specchio, che ripeti cento volte “che schifo i froci”, per me puoi crepare.

- Bisogna rispettarti e dartele vinte perché sei tu, naturalmente… – Riccardi si avvicina ancora, la voce falsamente zuccherosa.

Adesso è a una ventina di centimetri. Distogli lo sguardo, d’istinto, perché tutto ciò che vorresti è svegliarti dall’incubo. O che fosse tutto uno scherzo idiota. Che Riccardi non sia davvero così, tragicamente stupido. Ossessionato e ossessivo. Che stia bluffando per far scorrere il sangue.

- O forse perché, se a te piacciano le ragazze e a me anche i ragazzi, non dovrebbe fregartene un accidente.

- Però rompi… È così per tutto. Sempre – Riccardi solleva gli occhi al cielo, e per un istante sembra quasi crederci davvero.

Almeno a un terzo dei suoi sproloqui.

- Ho mai provato a rendere obbligatorio per legge che tu almeno una volta in vita tua vada con un uomo? No? Perfetto. Sei sempre in tempo per suicidarti: rinnovo l’invito – gli soffi – Insomma… evapora, volatilizzati, fa’ qualcosa.

- Tu vuoi che il mondo si pieghi a te. Anche se la maggior parte della gente non è come te. E per fortuna! Vorresti che le tue… stranezze diventassero legge. Che tutti ti assecondassero in tutto, come si fa coi bambini – Riccardi arriccia le labbra, uno sguardo indecifrabile, o forse si è davvero fritto il cervello.

Sospiri. Vorresti restare indifferente, scivolare via e lasciarlo parlare al muro, ma il guizzo improvviso che ti contrae i muscoli della faccia è più forte di te. Le labbra arricciate in un lampo di incredulità. Perché Riccardi continua a non far capire dove voglia andare a parare. Vorrà farti impazzire dietro ai suoi rimescolii senza senso. A un nesso logico che non esiste. Sta bluffando, bluffando. È tutto ciò che speri. Che continui a ripeterti.

- No, scusa. Forse parliamo lingue diverse o non so. Capisco che sia innamorato di me e mi idolatri da lontano, che non possa fare a meno di me e memorizzi dettagli insignificanti, ma davvero, non capisco… – sospiri.

Riccardi continua a sorridere. Un ghignetto compiaciuto che gli taglia in due il volto.

E tu lì che vorresti trattenerti, trovare un pretesto per troncare la questione col solito bilaterale, liberatorio “vaffanculo”, ma i muscoli della faccia fremono a un punto tale che non puoi che scioglierti in una fragorosa risata. Vagamente isterica.

Riccardi sorride compiaciuto.

- È così per tutto.

- Senti un po’ – sospiri: magari puoi provare a recuperare un brandello di dignità sotto mille paia d’occhi che ti spiano di nascosto – Proviamo a uscire da questo vicolo cieco. Ti dà fastidio che a me piacciano gli uomini? La cosa pregiudica in qualche modo la tua libertà? Ti ho obbligato a fare qualcosa? Le tue chiappe sono al sicuro? Il tuo pasto quotidiano a base di yogurt scaduto, anche? Direi di sì, visto che sei acido come una vecchia zitella. Bene, allora ti dico che il problema si risolve con una padellata di cazzi tuoi.

- Dimentichi che io sono quello che, insieme a tutti gli altri, deve sopportarsi i tuoi capricci, le tue battaglie cretine, il tuo essere sempre in mostra.

- Mi spiace tanto per te, ma non ho nessuna intenzione di diventare trasparente – arricci il naso.

Riccardi chiude gli occhi: forse una parte di lui si è resa conto di quanto stia scivolando nel patetico, ma non può rinunciare alla scazzottata verbale.

- Sei assurdo. Snervante. Irragionevole. Capacità di adattamento zero.

- Tutti complimenti – sorrisetto di circostanza – E grazie al cielo, se sono “irragionevole”.

Sbatti le palpebre, il tempo che basta a far inceppare la sua linguaccia e darti modo di defilarti. O fingere che dopo un po’ scompaia per magia.

Gabriele sembra scazzato, ma non è una novità. Ha le labbra strette in una piega indecifrabile.

- Devi proprio dargli corda? – sibila – È completamente fuori…

- Ma l’hai sentito? – sollevi gli occhi al cielo, la voce qualche decibel più alta – Mi provoca! Mi stressa di proposito, come se farmi incazzare fosse la sua missione. Mi dà del dittatore perché non gradisco i suoi insulti. Io la prossima volta medito seriamente di avvelenargli il pranzo.

- Ecco, appunto – adesso sembra più interessato a cambiare la suoneria del cellulare.

È di nuovo di scazzo perché vorrebbe strangolare Riccardi quanto lo vorresti tu, ma il buonsenso e il luogo pubblico glielo impediscono. E certo non andrà a dirlo a te.

Riccardi è riuscito a cavarti qualche parola di bocca: ha fatto il necessario.

È la proverbiale “giornata di merda” che ogni sera preghi di lasciar fuori dalla tua porta con il suo carico di negatività. Gli occhi di Gabriele, le sue mani come una fonte ristoratrice, come un miraggio. E il baratro dell’assurdo, là fuori, la ballata del battibecco gratuito che ogni volta minaccia di fagocitarti al suo interno in qualità di interprete compiacente di una commedia pessima.

- A volte mi fai paura – Gabriele finge di concentrarsi sul secondo caffè del pomeriggio – Davvero, mi preoccupo per te. Fai il duro, gliene dici di tutti i colori, poi ci stai male e te la prendi come se dipendesse da te. Non l’hai capito? Vuole sfinirti, esasperarti.

- Come se io non ci abbia provato, a farlo cuocere nel suo brodo!

Stavolta ci hai provato davvero. I primi dieci secondi. Poi ha preso il sopravvento il desiderio di scoprire dietro a quale dito si sarebbe nascosto. Un crescendo di stoccate verbali e masochistici tentativi di ragionare. Con Riccardi. Contraddizione in termini.

- Come se delle sue cazzate ti importasse qualcosa, come se la sua parola fosse la parola di tutti! È un fottuto psicopatico.

- Oh, non lo sai! È come avere un gatto appeso alle palle. Un brusio fastidioso nella testa… Mi viene da vomitare – chini lo sguardo, ti osservi le dita – Deve ricordarmi ogni santo giorno che mi odia perché mi piacciono gli uomini… Che se vuole prendermi a schiaffi, perché si è svegliato col piede sbagliato, ne ha tutto il diritto. Lo eviti, fai finta che non esista? Perfetto. Viene a cercarti lui. Tipo adesso…

- Nicoletti, prima che mi dimentichi – la voce di Riccardi ti fa quasi trasalire.

Di nuovo all’attacco. Il calabrone che ti ronza nelle orecchie prima di pungerti a tradimento. Tormento il suo secondo nome… E non gli è bastato. Ti ha seguito come una maledizione non appena gli hai voltato le spalle.

È il passaggio obbligato per raggiungere il piazzale e andarsi a fumare la sua dannata sigaretta. Tanto vale finire di vuotare la sua sacca di veleno.

- Ti stai consultando col tuo avvocato? – borbotta, mentre si rigira il pacchetto di carta tra le dita.

Osservi Gabriele. Obbediente, fingi di trovare interessante la superficie del vetro davanti a te. La vista oltre la finestra, l’esterno dell’istituto visto da un’altra prospettiva, lato cantiere. L’auto rossa di Thompson posteggiata a cavolo vicino al cancello sul retro.

Poi intercetti lo sguardo di fuoco di Gabriele. Le dita che si serrano attorno al bicchiere di plastica.

- Avvocato che, per la cronaca, è una signorina come te e saprà darti buoni consigli – cinguetta Riccardi con voce flautata.

Gabriele socchiude le palpebre, annoiato – quando in realtà vorrebbe ribaltarlo giù dalla finestra.

Si sente colpito ed evita lo sguardo: se non fosse così calmo, gli lancerebbe il caffè in faccia.

- Riccardi? Mentre pensi a come renderti ridicolo, pensa anche a questo – gli sussurra, il dito medio sollevato a due centimetri dalla sua faccia.

Riccardi fa un salto indietro, incassando il colpo con un sorrisetto strafottente.

Adesso puoi sentirti sollevato, perché ha girato sui tacchi.

Gabriele è tornato dentro, nell’anticamera di tre metri per due a riposare i nervi, e tutto ciò che riesci a fare è lasciarti andare contro la parete e aspettare la fine delle trattative. Osservarti intorno e incrociare le dita che Riccardi non torni all’attacco. Non adesso, che intorno alla macchina del caffè si è creato un capannello, e sei troppo stufo di stare sotto i riflettori.

Tutti stanchi di aspettare, di stare in gabbia. Ci sono i Lastella che cercano di sondare il terreno con Thompson e capire se potrà rivelarsi un acquisto fruttuoso, che promette faville e fa parlare di sé.

- Ehi, Andrea! – Alex sorride, accenna un saluto con un gesto fiacco della mano.

Si avvicina, astuto, sottraendosi al terzo grado dei gemelli.

Ricambiare il sorriso stavolta è d’obbligo, soprattutto dopo esserti fatto sorprendere a fissarlo per una buona manciata di secondi.

- Hai conosciuto i redattori del gazzettino, vedo… Che fortuna! – esordisci, beffardo.

- Già… Tu sai distinguerli? – ridacchia Alex.

A volte riesce anche a essere simpatico. Quando schizza dalla modalità “pulcino sperduto nella tana delle volpi” a “pubbliche relazioni random”. Non che t’importi molto, ma ogni tanto un alleato può tornare utile.

- Puoi scommetterci! Patrizio è il rockettaro, Luca è quello che sembra Che Guevara.

Trattieni una risata: la vera differenza è che uno è gay e l’altro etero, e se Riccardi arriverà a scoprirlo, forse si farà esplodere in sala mensa.

- Andre, posso? – ecco, quando parli del diavolo

Patrizio Lastella ammicca dall’alto del suo metro e ottanta di jeans strappati e spalle ossute.

- Stellina! – lo motteggi: hai voglia di sfottere bonariamente qualcuno, di fingere che tutto va bene – Stavamo sparlando di te.

Patrizio aguzza lo sguardo.

- Ma davvero? E che gli hai detto, se posso? – sussurra con voce querula, passandoti un braccio intorno alle spalle e sorridendo complice in direzione di Alex.

- Che suoni da far pena – gli fai eco, guadagnandoti un’arruffata di capelli.

- Bene! – Patrizio scuote le spalle: quando ti piomba addosso all’improvviso, ha qualcosa in serbo per te – Se per voi non c’è problema – continua, rivolto ad Alex e a Gabriele che neppure stava ad ascoltarli – Ve lo rubo per una decina di minuti.

- Ehm… Stella, è successo qualcosa che non so? – cincischi, mentre provi a sottrarti alla sua stretta.

- C’è una cosa che vorrei spiegarti in privato.

Annuisci. Patrizio cammina così spedito che quasi fatichi a stare al passo. Specie se trascinato appeso al suo braccio fino a un luogo adeguato.

- Dai. Che avete combinato, stavolta? – ti osservi intorno: aula vuota, nessuna microspia.

- Nulla – Patrizio distoglie lo sguardo, sibillino, mentre si siede in cattedra e punta i gomiti – Non abbiamo pestato i calli a nessuno… Per ora. Ma ho saputo cos’è successo tra te e l’uomo dei pacchi.

- Spiegati meglio.

Patrizio ha la strana abitudine di riferirsi a persone e situazioni come una spia in missione segreta, intrecciando allusioni su allusioni. Cosa che in altre occasioni è divertente, ma non ora, che potrebbero appiccicare la famosa graduatoria in bacheca da un momento all’altro, e rischi di perderti lo spettacolo della fine del mondo.

- Federico Riccardi.

- Ci mancherebbe…! – scuoti il capo – Immagino sarà l’argomento clou per i prossimi cent’anni. E tutto questo grazie a te.

- Ho saputo com’è finita la storia – Patrizio ammicca: sembra serio.

- Non è finita. Riccardi continua a frantumarmi le palle.

- Me ne sono accorto. Fammi capire… – Patrizio si scosta un ciuffo ingellato dalla faccia, lo sguardo grave, troppo per un giullare come lui – Quello rivendica il suo diritto di insultare i gay e chiunque gli pare, il direttore gli alliscia la testa, domani è tutto come prima… E riprende anche a provocarti? È accettabile?

Ti stringi nelle spalle – all’improvviso fa quasi freddo, perché Patrizio ha captato solo delle voci e ti ha appena tolto le parole di bocca.

- A quanto pare, sì. Ma è snervante.

- Bello schifo! – adesso Patrizio è sul piede di guerra – E l’importante è che non se ne parli troppo, vero? E tutti vissero felici e contenti: il direttore che salva le apparenze, Riccardi che la fa franca e i fottuti omofobi perbenisti. Invece possono scommetterci che stavolta se ne parlerà.

- Cosa vuoi fare? – incalzi, perché messa su questi termini fa paura.

- Ne parlavo l’altro giorno con Fratello. E ho buttato giù la mia idea: un bell’articolo sul gazzettino con tanto di intervista.

- Vorresti intervistare me? – spalanchi gli occhi: sistema fantasioso per trascinare la questione all’infinito; efficace, anche se mai quanto la tecnica dello schiacciasassi by Riccardi.

- Esattamente… – Patrizio ridacchia – Il ferro è ancora caldo, no? Se la cosa finisce in una bolla di sapone, facciamo il gioco di Riccardi che si illude di essere nel giusto, e del direttore che se lo coccola.

- Non è che se lo coccoli… – lo interrompi – Non ha dato peso alla cosa, non credere che abbia chissà quali simpatie per quel coglione.

- Balle! – interruzione doverosa – Lo appoggia sì, se rimane neutrale e preferisce tenersi il fottuto “quieto vivere” senza venirne a capo. Vuole il silenzio stampa? Noi invece parleremo.

- Non penso che qualcuno non sappia ancora cos’è successo. È la soap-opera dell’anno e lo resterà per un po’. Non credo ci siano gli estremi per montare polemiche: non mi ha fatto nulla, lo vedi? La mia faccia è tutta intera. Doveva farmi buttare almeno un po’ di sangue, per avere almeno un buffetto sulla guancia.

- Questa è una polemica in piena regola – Patrizio scuote le palpebre, annuendo placidamente; per un attimo sembra aver messo giù la maschera dell’investigatore intransigente – La muoviamo noi. Quanto dev’essere grave la cosa? Un idiota qualunque va in giro a distribuire sganassoni perché gli sta sul cazzo questo e quest’altro, si sente autorizzato a insultare e discriminare… E non sarebbe abbastanza?

Patrizio sembra sicuro di sé. Troppo. Lo capisci dal suo modo di parlare, a mitraglietta. Tu invece preferisci fissare il pavimento.

- Ho paura che più ne parli, più la gente si anestetizza la coscienza e ti manda al diavolo. E che du’ palle, Nicoletti, bullismi e raccomandati… Di nuovo?! Dio, per carità! Ecco, secondo me la reazione-tipo è questa.

- Dipende da come ne parli.

- Grande, eh! – un sorriso sarcastico: questo glielo concedi – I discorsi da politicante lasciali a tuo fratello. Ha una faccia che si presta meglio.

- La stessa, visto che è uguale a me. A lui ho lasciato ben altre grane – annuisce, una luce cospiratrice in fondo alle iridi cerulee – Siccome amiamo la par condicio e le cose fatte a regola d’arte, pensiamo sia giusto sentire tutte e due le campane e lasciare a chi legge il beneficio del dubbio…

- Giornalismo da quattro soldi. Sinceramente non capisco cosa ci facciate qui a seguire corsi di sceneggiatura – incalzi, sardonico – Cosa volete fare?

- In soldoni, caso volle che a me sia toccato farmi due chiacchiere con il mio vecchio amico Andrea, mentre a Luca ho lasciato il lavoro sporco: parlare con Riccardi. Basta che gli faccia le domande giuste e registri tutto: Riccardi darà fondo all’arsenale delle cazzate, che saranno puntualmente riportate nero su bianco, e si sputtanerà con le sue mani, presentandosi come l’imbecille che è.

- Non ne sono convinto…

- Vabbè… Se ti chiedessi quattro chiacchiere da amico? – sorrisetto tirato – In via informale che più informale non si può. Se qualcosa va storto, se la cosa non ti convince, fermiamo tutto. Raccontami cos’è successo e vediamo che si può fare.

È lì di fronte a te con l’aria da psicologo navigato o di chi tirerebbe fuori i diavoli dall’inferno.

- Io non ne sono convinto – rilanci, sottraendoti a una certa mano che viaggiava in direzione delle tue spalle – Non mi piace. Mi sembra una gigantesca boiata.

- Ça signifique…?

- Significa che se dopo l’“intervista” il mio è ancora un “no”, rimane un “no” e voi non fate nulla. Bloccate tutto.

- Ma questa non è un’intervista – Patrizio spalanca gli occhi.

Fanali cobalto sulla faccia leggermente spigolosa. Le labbra serrate in quel sorrisetto perennemente asimmetrico. Labbra carnose quanto basta, estremamente mobili mentre parla, incorniciate dal pizzetto scolpito ad arte e trafitte da un anellino d’argento. Se al liceo gli morivi dietro, qualche motivo c’è.

Distogli lo sguardo. Vorresti convincertene, disperatamente. Che puoi fidarti. Che non sarà la solita impresa fallimentare. Ma solo perché vi conoscete da secoli e si tratta di un paio di confidenze tra amici. Chissà se Elena e Gabriele sarebbero d’accordo. E se questa è la chiave giusta per colpire restando pulito.

- Non scappo mica, eh! Cosa posso dirti che ancora non sai? – azzardi, il solito ricciolo sulla tempia artisticamente attorcigliato intorno all’indice.

È il tuo modo di imporre il controllo. Perché lui si distrae a seguire le dita che si rigirano la ciocca di capelli, e intanto le parole gli si scolpiscono nella testa.

- Com’è iniziata? – Patrizio si sistema al tuo fianco da bravo padre confessore.

- Mi ha fottuto lo spray per l’asma e ci siamo azzuffati in camera sua.

Patrizio annuisce con uno scatto improvviso.

- Interessante… – sussurra – Se l’avesse fatto con me, a quest’ora mangerebbe con una cannuccia.

- Non mi piace la violenza fisica. Psicologica, se proprio devo.

- Sono d’accordo – Patrizio ammicca di nuovo – È per questo che siamo qui.

- Vuoi dargli una lezione perché ti senti toccato sul personale? – affondi il coltello, con nonchalance.

- No. Voglio solo vedere fino a che punto arriva.

Sospiri, rassegnato. Potresti soprassedere e continuare a raccontargli ciò che già conosce, partendo da Adamo ed Eva o giù di lì. Ma ormai la domanda ce l’hai sulla punta della lingua e non puoi fare a meno di interrompere.

- Prima di continuare, posso chiederti io una cosa? – lo incalzi, a tradimento.

- Quello che vuoi – Patrizio annuisce.

Sorriso smagliante. H capito che se vuole ammorbidire le tue posizioni, deve assecondarti.

- Hai risolto la questione con… quelli del tuo gruppo?

- Eh? – non glielo dici, ma l’imitazione di uno che cade dalle nuvole è da misero dilettante.

- Glielo hai detto? – prosegui.

- Cosa dovrei dire? – Patrizio ha la stessa espressione che avrebbe se l’avessi invitato a sniffare un po’ di colla.

- Ehm… mi chiedevo se alla fine avessi fatto coming-out con loro.

- Che brutta parola, Andrea! – storce il naso. Poco credibile anche qui.

- Scusa, eh, ma tu come lo chiami? Non sarà un problema per loro, spero. Se sei bravo, voglio dire, che differenza fa?

- Ci sto lavorando – mugugna Patrizio.

Il muro, e poi punto e a capo.

Non stavolta.

- Oh, ecco, saltano fuori gli altarini! – lo pungoli – Un leone quando si tratta di difendere gli altri, ma tentenni quando si tratta di te…

- Non è quello il problema – Patrizio sembra ipnotizzato dalla superficie lucida della cattedra – Non è che tema i giudizi o mi vergogni e palle varie… Di cosa, poi? – ridacchia, e per un istante sembra ti faccia il verso – Il fatto è che… i fatti miei personali non sono proprio in cima ai nostri discorsi.

- Ma siete amici, no?

Ti stringi nelle spalle. Patrizio è appena ripiombato nel tuo casino esistenziale portandosi dietro il suo personale casino.

- Ci si vede solo la sera per suonare. Si scherza da bravi idioti, e tutto finisce lì. Che dovrei fare? Tenere una conferenza sulla mia vita sentimentale?

- Non li conosco, ma se vuoi un mio parere, non mi fanno un’ottima impressione – almeno questo devi dirglielo.

- Li conosci, scusa?

- Nah. Piani e Basile li conosco di vista, ma seguono altri corsi e boh, non ce li ho proprio presenti. Stanno sempre per i fatti loro con gente che non conosco, un po’ così, persi nel loro mondo. Non fanno parlare molto di sé – gli sussurri.

E sembrano aver eletto l’angolo a destra sotto la pensilina a loro rifugio privato, vietato avvicinarsi, e sembrano stare per tutto il tempo sulla loro torre d’avorio, perché, accidenti, loro sono al terzo anno, loro lavorano, loro sono Artisti a trecentosessanta gradi, perché arrotondano suonando nei locali il fine settimana. Ma non glielo dici. Perché hai ben altri galli cui pensare.

- Non hanno nulla a che vedere con Riccardi, se proprio vuoi saperlo – Patrizio solleva gli occhi al cielo – Uno così lo sputerebbero in faccia senza tanti complimenti. No, al massimo importa che musica ti piace. Se sei uno che se ne intende, allora bene: sarete amici per la pelle.

- Altra cosa che non mi convince – storci il naso – A quello non piaci a seconda di chi ti porti a letto; quell’altro ti guarda male perché non gli piace musica che ascolti… Dio, c’è qualcuno che sia rimasto immune da questi schemi cretini, è tutta una mia impressione, o dobbiamo provare a vedere su Marte?

- Non fare il melodrammatico, scemo! – Patrizio annuisce, una mano che vola a scompigliarti i capelli, perché è sempre stata la sua fissazione numero uno – Il tuo è tutto un gioco di supposizioni. Anzi, facciamo così: stasera ci vediamo al pub, trovo un pretesto qualunque e provo a dare qualche indizio… Probabilmente non fregherà a nessuno, ma almeno mi levo il dente e il dolore.

- Perché dovrebbe essere un dolore? – qualcosa, come un leggero spasmo, ti fa inarcare un sopracciglio.

- Perché non mi piace parlare dei fatti miei. Tutto qui. Preferisco quelli degli altri. E non siamo così in confidenza da scambiarci la gomma da masticare, te l’ho detto! Ci frequentiamo da un mesetto e suoniamo insieme. Cercavano un chitarrista, mi hanno provinato, hanno detto che gli andavo bene, ed eccomi qua.

- Allora, boh, non dovrebbe importagliene molto se ti piacciono gli uomini o le donne.

La deduzione logica. Che forse è più o meno ciò che cerca di spiegarti da una decina di minuti.

- Ormai sono in ballo, però, e non vorrei la rivelazione dell’ultimo momento. Se a qualcuno la cosa non va bene, del resto il problema è suo.

- Oh, eccolo… – annuisci, sibillino – Adesso mi piaci di più.

Il viso di Patrizio è tutto un ghignetto diabolico.

- Invece tu mi piaci sempre – sussurra, un attimo prima di sporgersi verso di te e sfiorarti la bocca.

La mascella, a dire il vero, perché il movimento improvviso con cui ti sottrai al contatto, per poco non ti rovescia giù dalla sedia. Deglutisci, a disagio. Tornate a fissarvi negli occhi. E tutto ciò che resta non è che un’esplosione di risa e di scuse in sincrono.

- Dai, non dirmi che stai con qualcuno e non ne sapevo nulla… – Patrizio si fa ancora più vicino. Senza intenti bellicosi, stavolta.

Ti stringi nelle spalle.

- È colpa mia, se ogni tanto sparisci, ti fai un po’ i fatti tuoi, e puntualmente ci perdiamo di vista?

- Okay, okay… Scusa – di nuovo – Non dirmi che il fortunato è Derossi, perché mi deprimo!

Ti fissi la punta delle scarpe. Lui non può sapere, ma la sensazione di un coltello rigirato in fondo alla ferita è bella fresca. Ruoti lo sguardo fino a staccarlo del tutto dal suo. Indugi.

- Non esattamente. Ci sto lavorando – sospiri.

- Cioè… No! – Patrizio nasconde il viso tra le mani – Non ci credo! Vi siete guardati in cagnesco per mesi, sopportati a malapena… Non perdevi occasione di lamentarti di Derossi, che ti guarda male, ti punzecchia, ti dà del raccomandato… E ora?

- È una storia lunga – tagli corto.

Un’altra volta, magari, ma non adesso, che tutto ciò che desideri è sbrigare la faccenda nel più breve tempo.

- Guarda, se mi dici che è bello, hai tutte le ragioni di questo mondo. Se mi dici che è simpatico… Parliamone.

- Ha solo la lingua un po’ affilata. E okay, è abbastanza acido – gli concedi.

- Abbastanza? – Patrizio inarca un sopracciglio, sarcastico – Beh… anche tu, alla fine. Quindi siete a posto.

- Ah, se lo dici tu…

- Sei innamorato? – Patrizio è di nuovo modalità inquisitore.

- Puoi scommetterci quello che vuoi.

 

 

   
 
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