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Autore: _Shantel    03/11/2011    14 recensioni
Liceo scientifico L.
Prendete Alice, liceale di diciotto anni che vive in un mondo fantastico; aggiungete Davide, il bello-e-dannato della scuola che è il suo sogno proibito: sommate anche Federico, il migliore amico di Alice, di cui lei si invaghisce; infine moltiplicate per Edoardo, il fidanzato immaginario della ragazza che assume le fattezze dell'affascinante "Blaine", uno gigolò. Risultato?! Un gran pasticcio per la povera Alice da lei stessa creato, senza immaginarsi quello che poteva succedere. Ma in questo caos riuscirà anche a scoprire l'amore per la prima volta. Già perchè, come dice lei stessa...
Mi chiamo Alice Livraghi e non ho mai baciato un ragazzo
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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C a p i t o l o 24

Get it right

betato da nes_sie


Non era passato nemmeno un mese, e già io e Dario eravamo in crisi. Fantastico! Il fidanzamento più breve nell'intera storia del mondo. In realtà, però, non sapevo ancora se troncare del tutto, se mettere fine al nostro rapporto oppure passare oltre. Si trattava di dargli un'altra possibilità, l'ennesima, ed io non ero del tutto sicura di volergliela concedere. Lo amavo, anche troppo, ma mi aveva ferito e delusa troppe volte e mi faceva paura il fatto di dargli un'altra chance, un'altra occasione per farmi soffrire per la milionesima volta. Ma se lo avessi lasciato non sarebbe cambiato nulla, anzi sarei morta lentamente senza di lui, senza il suo profumo che era il mio ossigeno e senza di lui che mi riscaldava con le sue braccia e con il suo amore, senza i suoi occhi che mi avvolgevano, mi imprigionavano dentro di essi.
Parlare con Mauro non mi era stato granché utile, dato che lui non era stato in grado di darmi una valida motivazione per lasciarlo. Ma avrei dovuto aspettarmelo da lui, in fondo odiava suo fratello e vederlo soffrire per la fine di una storia lo avrebbe solo fatto godere.
Nella mia mente regnava il caos. E non solo per la decisione che avrei dovuto prendere riguardo alla mia storia con Dario, ma anche per suo fratello dagli occhi di ghiaccio. Lo odiavo, ma allo stesso tempo ero attratta da lui. Non era una questione fisica, anche se era innegabile che Mauro fosse uno degli uomini più belli che avessi mai visto, perlopiù qualcosa di mentale, di psicologico. Era così ambiguo, così enigmatico, stronzo quanto dolce, che alternavo momenti di puro odio nei suoi confronti ad altri in cui lo avrei stretto forte a me per non farlo allontanare più.
Avevo un assoluto bisogno di avere accanto qualcuno che sarebbe stato disposto ad ascoltare i miei sfoghi e magari aiutarmi a dissipare quella confusione che non mi permetteva nemmeno di ragionare. Ma purtroppo ero in una città in cui non conoscevo nessuno e i miei amici erano lontani chilometri da me.
Sospirai e sprimacciai il cuscino, sistemandolo per dormire. Ero in camera con Dario e il silenzio che c'era tra di noi era quasi inquietante. Avevamo litigato molte volte, ma mai come quella volta la tensione era palpabile. Nemmeno a cena ci eravamo rivolti la parola, ci ignoravamo, facevamo finta che l'altro non esistesse. E mi dispiaceva e mi feriva rincorrere il suo sguardo e non raggiungerlo, cercare il suo sorriso e trovare solo un'espressione malinconica. Era realmente dispiaciuto per quello che era successo, si poteva leggere nei suoi occhi la tristezza e la frustrazione per avermi ferita ancora una volta. Ma non potevo cedere, farmi incantare dal suo sguardo e far finta che nulla fosse accaduto.
Mi sedetti sul letto dando le spalle a Dario che se stava a fissare fuori dalla finestra con le mani appoggiate al davanzale, le labbra serrate e la mascella contratta. Mi dispiaceva vederlo così triste, mi dispiaceva vedermi così triste ma soprattutto mi dispiaceva vedere la nostra storia naufragare. Il temporale era arrivato, ma non era quello estivo, bensì una tempesta tropicale che avrebbe sconvolto le nostre vite, seminando solo tristezza. Mi legai i capelli in una coda alta e tirai su con il naso, slacciando il gancio della collanina che mi aveva regalato Dario e appoggiandola sul comodino. Era la prima volta che mi separavo da lei e il fatto che avesse sentito il bisogno di togliermela lo interpretai come un orribile segno del destino. Stavo piangendo, come al solito, silenziosamente perché non volevo che Dario se ne accorgesse.
«Se vuoi vado a dormire sul divano,» disse con tono piatto.
«Perché dovresti?» Risposi brusca, infilandomi sotto il lenzuolo e stringendolo forte tra le mani. Quel maledetto pezzo di stoffa sapeva di lui e percepire il suo odore fu come ricevere una mazzata in testa. Avrei potuto non sentirlo più quel profumo, solo immaginarlo e quella prospettiva non mi piaceva affatto.
«Semmai ti desse fastidio la mia presenza...» Sibilò.
«Se qualcuno deve andare a dormire sul divano, quella sarei io,» replicai a tono. «Questa è camera tua, mi sembra giusto che tu rimanga qua.»
Scostai il lenzuolo e scattai in piedi, indossando le mie ciabatte rosa e prendendo il cuscino dal letto. Non ero stupida, avevo capito che la mia presenza non gli era gradita, sennò perché dire una cosa del genere? Propormi di lasciarmi da sola nella sua stanza?
«Dove vai?» Domandò dubbioso seguendo i miei movimenti.
«Tolgo il disturbo» Risposi acida.
«Ma quale disturbo,» esclamò e accennò una risata che smosse il mio cuore. «Posa il cuscino e vai a dormire.»
«Come se non sapessi che la mia presenza qui non è gradita,» sbottai infastidita. «Il tuo era solo un modo carino per dirmi di andarmene fuori dalle scatole.» Gli feci presente e lui aggrottò le sopracciglia, scuotendo la testa.
«Assolutamente no!» Trillò. «Pensavo solo che potesse darti fastidio la mia presenza, tutto qui.» Scrollò le spalle e deglutì a fatica, tornando a guardare fuori dalla finestra.
Sorrisi amaramente, mordendomi un labbro. La sua presenza non mi seccava, anzi. Sapere di averlo vicino anche in un momento come quello, in un momento in cui il nostro amore era in bilico tra il baratro più profondo e la salvezza, mi rendeva felice, nei limiti dell'arrabbiatura. Perché sì, ero incazzata con lui e stavo seriamente pensando di lasciarlo e di smettere di soffrire, ma lo amavo troppo e volevo godere di ogni singolo istante che avrei vissuto con lui, semmai poi la nostra storia sarebbe caduta verso l'abisso.
«Mi dispiace Alice per quello che è successo.» Disse tutto d'un tratto, mentre tornavo a sedermi sul letto.
«Dispiace più a me,» ribattei atona, dandogli le spalle. «E quello che mi rammarica di più è che tu non abbia avuto il coraggio di dire al tuo migliore amico che cosa provavi per me. Mi ha deluso, Dario e anche tanto, oltre ad avermi fatto troppo male.»
«Lo so Alice,» rispose con il mio stesso tono.
«Perché lo hai fatto? Non mi spiego il motivo di questo tuo atteggiamento!» Sbottai, mettendomi le mani tra i capelli. Credevo di stare per impazzire o forse ero già diventata matta.
«Non ho scusanti per quello che è accaduto.» Rispose rivolgendomi uno sguardo ed era visibilmente distrutto. Volevo alzarmi in quel momento e stringerlo a me, dimenticare tutto e metterci una pietra sopra, seppellire tutto in un angolo della mia memoria. Ma non ci riuscivo, non riuscivo a dimenticare quelle parole e, soprattutto, avevo paura che sarebbe potuto accadere di nuovo, che lui avrebbe continuato a mascherarsi dietro quel dannato Moro.
«No, infatti,» ribattei brusca. «Non ti riconoscevo mentre eri seduto lì e ti giuro che mi si è spezzato il cuore nel vederti lì,» continuai, con le lacrime che premevano per uscire. «Il mio Dario, quello che amo, a cui ho donato il mio cuore e tutta me stessa non c'era più.» E, dicendo quelle parole, scoppiai a piangere.
«Non ho riflettuto su quello che dicevo e ti ho ferita senza volerlo. Perché l'ultima cosa che voglio è vederti piangere, è farti soffrire.» Disse e sentii i suoi passi avvicinarsi a me lentamente.
«Ma lo hai fatto! E potresti farlo ancora, ed ancora!» Sbottai e mi nascosi il viso tra le mani, per raccogliere le numerose lacrime che stavo versando. «Non so mai cosa aspettarmi da te! Io ho bisogno di sicurezze, Dario. Ho bisogno di una persona che mi stia accanto che non abbia paura di amarmi.»
«E te le darò le certezze, piccola,» cercò di rassicurarmi sedendosi accanto a me. «Ho solo bisogno di tempo.»
«Di quanto ne hai bisogno?» Domandai quasi urlando. «Altri tre mesi? Così poi torni strisciando facendo la tua patetica serenata?»
Dario mi guardò smarrito, poi abbassò lo sguardo ed annaspò, mordendosi il labbro inferiore quasi a sangue. La sua mano cercò la mia, la sfiorò e quel contatto mi fece rabbrividire, mi fece palpitare e smettere di piangere per qualche secondo. Subito dopo si allungò verso di me e mi strinse, mi abbracciò forte a lui ed incontrai il suo cuore che batteva forse più del mio. Le mie braccia si mossero istintivamente e il mio cuore mi suggeriva chiaramente di ricambiare quella stretta, ma il mio cervello, la mia rabbia ebbero il sopravvento e le mie mani si posarono sul suo petto per spingerlo bruscamente lontano da me.
«Stammi lontano! Vattene!» Sbraitai fuori di me e lui mi guardò con gli occhi sgranati, per poi annuire ed alzarsi di scatto dal letto.
«Allora è vero. Non sono gradito qui.» Mormorò abbattuto.
Afferrò con decisione la maglietta che aveva lanciato sulla sedia davanti alla scrivania e la indossò rapidamente. Poi prese il pacchetto di sigarette e se lo infilò in tasca. Se ne stava andando ed io riuscivo solo a rimanere ferma a fissarlo, con gli occhi sgranati e lucidi e la bocca dischiusa. Vidi vacillare il nostro amore in quel momento e sbilanciarsi sempre di più verso il vuoto, verso il nulla, verso un buco nero.
«No, Dario, io...» Tentai di dire ma le parole mi morirono in bocca, soffocate da un insopportabile magone in gola. Gli avevo urlato contro di andarsene, ma non lo volevo veramente. Desideravo solo passare più tempo possibile con lui, con il suo odore, tra le sue braccia.
«Sei stata abbastanza chiara, Alice. Non c'è bisogno che tu aggiunga altro.» Disse a denti stretti e, a grandi falcate, raggiunse la porta, sbattendosela alle spalle.
Fissai a lungo la parete con gli occhi che mi pungevano e la consapevolezza che il baratro si avvicinava sempre di più. Lo vedevo davanti a noi ed eravamo proprio ad un passo dal caderci dentro. Ed ero io a dover decidere, ero io che avrei dovuto spingerci lì dentro oppure aggrapparmi con tutte le mie forse ad un appiglio per salvarci. Il fatto era che non sapevo che cosa fare, che decisione prendere. Era forse imperdonabile quello che aveva fatto e qualsiasi donna gli avrebbe detto addio già quel pomeriggio. Ma io lo amavo troppo e anche pensare la parola lasciarlo mi lacerava il cuore.
Mi coricai coprendomi con il lenzuolo fin sotto il naso e quella stoffa leggera blu raccolse le mie lacrime. Forse era destino che noi due non stessimo insieme solo per il fatto che non riuscivamo a rendere felici l'uno e l'altra. E cominciavo seriamente a pensare che mettermi con Dario fosse stato l'errore più grande della mia vita. Perché, con tutti gli sforzi che facevamo, finivamo sempre con il litigare e, di conseguenza soffrire.
Mi voltai verso la sua parte di letto ed accarezzandola mi accorsi di quanto fosse brutto cercare le sue mani e non trovarle, sperare di sentire sotto le mie dita la sua pelle e toccare solo un inanimato e freddo lenzuolo. Piangendo e con la testa che mi scoppiava mi addormentai, forse per qualche ora, finché non sentii la porta della camere richiudersi con un leggero tonfo. Aprii un occhio e scorsi la sagoma di Dario nel buio della stanza. Si tolse la maglietta e i jeans, lanciandoli sulla scrivani, poi si abbandonò sul letto e si prese la testa tra le mani. Mi dava le spalle e avrei tanto voluto raggiungerlo per abbracciarlo, mandare a quel paese tutti i dubbi che avevo e amarlo incondizionatamente, amarlo più di quanto avesse fatto Sole, amarlo per sempre ed infinitamente. Ma rimasi ferma, avvolta nel mio bozzolo di stoffa ad osservarlo mentre si stendeva a fianco a me e guardava il soffitto, sbattendo le palpebre. Si voltò vero di me e, prontamente chiusi gli occhi così da dargli l'impressione che stessi dormendo. Il buio più profondo mi inghiottì e non mi permise di vedere i gesti di Dario. Ma stranamente li percepii, sentii la sua carezza prima che la sua mano si appoggiasse sulla mia guancia, come se qualcosa legasse le nostre anime a tal punto da farmi prevedere che cosa stesse per fare. Subito dopo le sue labbra sfiorarono le mie in un casto e caloroso bacio che mi lasciò il suo sapore di vaniglia in bocca. Avevo sentito la mancanza dei suoi baci in quelle ore e non appena sentii le sue labbra sulle mie un tiepido calore cominciò a riempirmi. Avevo sentito l'amore che provavo per lui invadermi e sconvolgermi ancora una volta. Semmai avessi deciso di lasciarlo, non avrei saputo come vivere senza di lui. Perché in qualsiasi caso, lui era tutto per me. Era ogni mio pensiero, era il mio cuore, il mio ossigeno, la mia vita.
«Ti amo.» Sussurrò sulle mie labbra.


Quella notte dormimmo abbracciati, e non sapevo se fosse stato qualcosa di voluto o solo casuale. Fatto stava che verso le tre mi ero svegliata per il caldo afoso di luglio ritrovandomi tra le sue braccia e avevo sorriso. Mi era mancato il contatto con il suo corpo, seppur fossero state solo poche ore di “lontananza”, e solo quando lo avevo visto stretto a me, solo quando avevo sentito le sue braccia cingermi mi ero sentita finalmente felice. Mi faceva arrabbiare molto spesso e la maggior parte dei suoi atteggiamenti mi davano sui nervi, oltre che deludermi il più delle volte. Ma con lui ero felice e tutto passava in secondo piano. Forse era l'amore a rendermi così stupida, così ingenua da pensare di dargli un'altra opportunità. Odiavo quel sentimento che provavo per lui, quell'amore intenso che mi vincolava a Dario, che mi teneva legata a lui e mi offuscava la mente. Se fossi stata più lucida molto probabilmente sarei riuscita ad arrivare ad una conclusione, ma fin quando c'era una lotta, un conflitto tra cuore e cervello, tra sentimento e razionalità non sarei arrivata a nessuna conclusione.
Per di più non ero nemmeno sicura che lui fosse felice con me. A parte il fatto che raramente lo vedevo sorridere mentre era con me, ma se fosse stato davvero così contento di avermi accanto non avrebbe avuto esitazione a dire quello che provava per me al suo migliore amico. Se così fosse stato, allora, sarebbe stato meglio lasciarlo andare e fargli vivere la sua vita come meglio credeva, con un'altra ragazza oppure nella continua finzione di una vita che non era la sua.
Appoggiai il mento sul palmo della mano, fissando Consuelo che trafficava con vari ingredienti. Non mi importava granché di quello che stava combinando, il mio unico pensiero era rivolto a Dario. Sentivo la voglia di parlare con lui, di chiarire quella situazione che mi angosciava e mi dilaniava lentamente, di sapere lui che intenzioni aveva se preferiva me alla sua popolarità, se era felice con me o meno. Peccato che fosse uscito quella mattina per andare a lavoro e non era più tornato. Probabilmente non era tornato a casa perché non voleva vedermi, perché voleva distrarsi e aveva deciso di pranzare con il suo amico deficiente prima di andare alla partita di calcetto. Mi stava evitando e ciò mi fece deprimere maggiormente. Lui mi aveva baciato ed abbracciato quella notte, era vero, ma forse anche lui aveva capito che il nostro amore era già arrivato al capolinea.
«Vuoi aiutarme?» Mi domandò Consuelo, distogliendomi dai miei pensieri e scoccandomi un'occhiata fin troppo furba.
«A far cosa?» Domandai con un sospiro e stiracchiai a fatica le labbra in un sorriso.
«Biscotti al cioccolato,» rispose sorridente. «Sono i favoritos del señorito. Li preparavo quando estava muy triste.»
Consuelo smise di mescolare l'impasto e mi trafisse con il suo sguardo scuro, incrociando le braccia al petto prosperoso. Si aspettava che dicessi qualcosa, come se volesse sentire una spiegazione, ma l'unica cosa che riuscii a fare fu farfugliare qualcosa di insensato.
«Tu e il señorito me sembrate muy tristo,» constatò sospirando. «Che è successo?» Mi chiese infine, aggiungendo cacao al suo impasto.
Rimuginai un attimo sul da farsi: se parlare con Consuelo su quello che era accaduto e sommergerla con le mie frustrazioni, oppure scrollare le spalle e far finta che tutto andasse bene. Ovviamente optai per la prima ipotesi perché avevo un assoluto bisogno di qualcuno che mi stesse ad ascoltare. Presi un respiro profondo e mi abbandonai sullo schienale della sedia, passandomi una mano tra i capelli.
«Abbiamo litigato.» Ammisi con un filo di voce e con un peso opprimente sul petto.
«Esto lo avevo intuito,» scosse la testa e con gli occhi cercò qualcosa sul tavolo. «Passame le gocce de cioccolato.» Mi disse, indicandomi con il mento una scatolina bianca.
La afferrai senza un particolare entusiasmo e la osservai a lungo, come se su quella confezione ci fosse scritta la formula della felicità.
«Ti rendi conto, Consuelo?» Sbottai ad un certo punto, versandomi qualche goccia di cioccolato sulla mano e strafogandomi in un nano secondo. «Cioè si vergogna di dire che sono la sua ragazza! Solo perché non sono la strafiga di turno!» Esclamai con la bocca piena di quella schifezza ipercalorica.
«Hai conosciuto Adriano, quindi.» Fu il commento di Consuelo, che mi guardava con un sorriso materno e bonario.
Annuii con la fronte corrugata e un'espressione dubbiosa sul volto, continuando a mangiare cioccolato. Nuova vita, ma vecchie abitudini. Quando ero triste l'unica cosa che riusciva a risollevarmi il morale erano le calorie.
«Ciertamente non pensava este parole,» disse la donna strappandomi di mano la scatola bianca. «Necesito di este!» Mi rimproverò.
«Ma le ha dette comunque!» Esclamai nervosa. «E io non voglio stare con un ragazzo che preferisce la sua popolarità all'amore.»
Consuelo mi guardò apprensiva e si pulì le mani nel grembiule. Ciondolò verso di me e mi strinse una spalla, avvicinandomi a lei e al suo seno prosperoso.
«Oh, mi niña,» sospirò. «Dario è un niño muy particular. Ha solo bisogno di essere entendido.»
«Credo di averlo entendido anche troppo.» Borbottai contrariata.
«Ah, sì?» Mi sfidò la donna con sguardo furbo.
La guardai a lungo in quei suoi occhi piccoli e castani e deglutii a vuoto. Ero certa che volesse una prova che le dimostrasse quanto lo conoscessi. Nonostante l'aria di sfida di Consuelo mi mettesse in soggezione, non mi tirai indietro.
«È un ragazzo davvero molto fragile e si nasconde dietro chi non è per non dimostrare le sue debolezze. Ha paura di essere ferito ancora una volta ed è per questo che si è costruito un muro attorno,» dissi compiaciuta. «Ma sbaglia a fare così. Per farsi accettare dagli altri indossa i panni del bastardo superficiale, ma non ha capito che è molto meglio per lui mostrarsi per ciò che è veramente, senza aver paura di mostrare i suoi sentimenti.»
«Hai dementecato una cosa,» e mi sorrise amorevolmente. Ci fissammo negli occhi per non so quanto tempo e il mio cuore palpitava nell'attesa delle parole di Consuelo. Era come se il tempo si fosse dilatato, come se un secondo durasse un'eternità.
«È solo.»
Quelle quattro lettere furono come degli appuntiti spilloni che mi perforarono il cuore. Ero sempre stata presa da me stessa che non mi ero nemmeno accorta della solitudine del mio ragazzo. Ora che quella parola mi si era conficcata nel cervello realizzai di quanto fosse vero, di quante volte lo avevo visto triste senza saperne la motivazione. Non mi aveva mai parlato dei suoi amici, a parte Adriano, e in quel momento avevo capito il perché. Consuelo prese una sedia e si accomodò accanto a me, sistemandosi il grembiule sulle gambe.
«El señorito è un niño così timido que es dificile per lui aprirsi a otros e l'unico amigo que tiene es Adriano. Diciamo que la culpa è de Romandini se Dario es deventato un superficial. Adriano es un hombre muy stupido,» sospirò scoraggiata scrollando la testa. «E il señorito pende dalle labbra del suo amigo. Es il solo che gli è rimasto. Una familia non l'ha mai tenuta, amigos solo per la popolarità. E quindi non quiere deluderlo e perdere también lui.»
«Ma così perderà me.» Soffiai sconsolata, prendendomi il viso tra le mani.
«Era così también con Rayo de Sol.»
E l'immagine di quella ragazza tornò a galleggiare nella mia mente, a mostrarsi davanti ai miei occhi sotto forma di una fotografica che l'aveva ritratta insieme a Dario. C'era così tanto amore in quello scatto che mi faceva morire solo ricordarla.
«A scuola due extranjeri, ma quando erano soli... oh!» Sospirò e si portò una mano sul cuore esaltata. «Mucho amor! Erano così felici juntos che li invidiaba. El señorito era così en amor con Rayo de Sol! Parlava sempre di lei, la cercava e passavano tanto tiempos juntos. Oh sì, quello era un grande amor! Tre años è durato, finché el señorito non è andato a Milano.»
In quel momento mi servivano più di una decina di gocce al cioccolato, magari una torta glassata al cacao ripiena di panna. Me la sarei mangiata tutta in un solo boccone talmente ero depressa in quel momento. Avevo già capito da sola quanto Dario avesse amato Sole, ma vedere quell'amore, immaginarlo grazie ai ricordi di Consuelo, mi squarciava il cuore.
«E lei come ha reagito? Cosa ha fatto?» Domandai, e la mia voce era talmente bassa che a malapena ero riuscita a sentirmi.
«Rayo de Sol era così en amor col señorito che soffriva en silenzio,» sospirò. «Dario non se è mai comportato muy bien, ma lo que sentiva era sincero. Cuando el señorito es en amor è muy felice, muy sorridente e da todo se stesso. E sono certa che te ama, te ama così tanto che morirebbe por tigo e che farebbe todo per riaverte.»
Ebbi come l'impressione che Dario avesse parlato con Consuelo, che si fosse aperto con lei e che le avesse confidato i suoi sentimenti. Già lo sapevo che mi amava, ma non potevo rimanere in disparte, fare finta di non esistere per gli altri solo perché lui doveva essere figo davanti a tutti.
«Grazie Consuelo.» Mormorai, demoralizzata. Ero quasi arrivata ad una conclusione e questa decisione prevedeva due cuori infranti. Era stupido, lo sapevo. Ci amavamo tanto, troppo, eppure la nostra storia stava per finire.
Consuelo si pulì le mani con lo strofinaccio, poi si diresse verso un cassetto e ne tirò fuori una busta. Ciondolò verso di me e me la porse.
«El señorito me ha detto de darle questa.»
La afferrai e la guardai a lungo, da ogni angolazione e non trovavo il coraggio di aprirla e vedere che cosa contenesse. Presi un respiro profondo e la aprii con decisione. C'era dentro un foglio piegato a metà al cui interno era stato inserito un biglietto di Trenitalia con destinazione Milano. Riportava la data di quel giorno e il mio cuore perse un battito. Non era per nulla un buon segno. Sospirai e cominciai a leggere la lettera che mi aveva scritto Dario con la sua inconfondibile calligrafia.


Cara Alice,
un modo banale per cominciare una lettera, ma in un momento come questo sono le uniche parole che il mio cervello riesce a trovare.
Stamattina sono stato in stazione e ho comprato quel biglietto per te. Non pensare assolutamente che io ti voglia cacciare, che voglia mettere fine alla nostra relazione. Quello starà a te deciderlo, e quel biglietto ti servirà semmai tu volessi troncare con me. Potrai tornare a Milano dalla tua famiglia, dai tuoi amici e riprendere in mano la tua vita senza che uno stronzo come me ti giri attorno. E magari ti beccherai da parte di tutti un sacco di
Te l'avevo detto, non dovevi fidarti di lui. Avrebbero tutte le ragioni del mondo per dirtelo. Loro ti avevano messo in guardia ma tu ti sei fidata di me, delle mie parole e della mia promesse. Avevo detto che ti avrei resa felice, ma non ne sono stato in grado. Molto probabilmente io non sono stato programmato per amare. Ci provo, mi sforzo, mi lascio travolgere ma non è mai sufficiente quello che faccio perché combino sempre dei grandi casini e ferisco sempre le persone che amo. Forse è giusto che io rimanga da solo, anzi, me lo meriterei proprio perché sono uno stronzo, un debole che si è lasciato soggiogare da quello scudo che mi ero creato da solo. Credevo che il Moro mi avrebbe difeso dalla cattiveria altrui, dalla crudeltà delle persone che mi hanno sempre ferito, che avrebbe protetto i miei sentimenti in modo che questi non venissero sfruttati come punti deboli per distruggermi completamente. Peccato che non avevo minimamente capito che il primo da cui dovevo difendermi era proprio il Moro, me stesso. L'ho compreso solo ieri quando ti ho vista piangere, quando ti ho vista soffrire per colpa mia, quando ho visto il nostro amore scivolare via. Mi sono sentito morire e tutt'ora sono in bilico tra la vita e la morte, in attesa solo di un tuo colpo di grazia o della salvezza.
Se vuoi lasciarmi, fa' pure! Non ti biasimerei affatto; sei più che giustificata nel farlo. E, poiché sono un codardo, un vile senza un briciolo di spina dorsale preferisco che tu non mi dicessi addio. Quando tornerò a casa, se non ti troverò, capirò che te ne sei andata, che sei salita su quel treno per Milano e che hai deciso di liberarti di un peso come me.
Non nego che ho ancora una piccola speranza, minuscola a dir la verità, che tu mi perdoni. Questa volta posso chiederti solo
scusa. Niente patetiche serenate, nessun ritorno in grande stile, nemmeno una sorpresa. Anche perché non saprei davvero come farmi perdonare da te, questa volta. Vorrei solo un'altra occasione, l'ennesima per dimostrarti quanto ti amo, quanto tu sia importante per me e quanto la mia vita dipenda da te. Forse pretendo troppo, forse sarebbe meglio arrendersi all'evidenza che ho distrutto il nostro amore, la nostra storia, tutto ciò che stavamo costruendo a poco a poco.
Questo forse è stato l'errore più grave di tutta la mia esistenza. Ma ho capito che è inutile fingere di essere chi non si è, nascondere i propri sentimenti e ferire, così, tutte le persone che mi circondano.
Sta a te, ora, decidere. Se troncare questo amore meraviglioso ma burrascoso oppure tornare a vivere con un sorriso, quello che non sono stato in grado di regalarti.

Ti amo piccola mia,
Dario.


Rilessi quella lettera più e più volte notando anche la carta increspata in alcuni punti quasi tondeggianti, come se Dario, mentre scriveva quelle parole, avesse pianto. Mi toccò il cuore immaginarlo in lacrime come era successo quella sera sul balcone e mi colpirono quelle righe scritte con una calligrafia incerta. La ripiegai appoggiandola sul tavolo e cominciai a rigirarmi il biglietto per Milano tra le mani. Gli occhi mi si bagnarono di lacrime e un groppo mi si formò in gola. Quella lettera mi aveva colpito, aveva smosso il mio cuore. In quel foglio bianco c'era amore, c'era dolore, c'era malinconia e anche frustrazione. Il suo senso di colpa e la sua tristezza si percepivano anche solo da lettere scritte su un pezzo di carta. Ma non era abbastanza per cancellare quello che aveva fatto. Mi serviva una conferma in più, mi serviva parlare con lui, vederlo negli occhi mentre mi diceva quelle cose.
«Ho, ho bisogno di parlargli.» Mormorai e non ero molto sicura che Consuelo avesse sentito.
«El campetto non es muy lontano da qui» Rispose, invece, regalandomi un sorriso sornione.
Mi diede delle brevi indicazioni ed io intascai sia la lettera che il biglietto per Milano. Ancora non sapevo che cosa avrei deciso di fare, regnava ancora il caos nella mia mente e la mia decisione dipendeva solo ed esclusivamente da Dario, da quello che mi avrebbe detto, da quello che avrebbe fatto.
«Me dispiacerebbe se la vostra historia finise,» disse con un certo rammarico. «Non ho mai visto el señorito mas feliz.»
Sorrisi istintivamente a sentire quelle parole. Sapere che Dario erta felice mi rese contenta, anche se solo relativamente. Il nostro amore era ancora sospeso nel vuoto, era un funambolo che rischiava da cadere in un momento all'altro senza una rete che potesse parare la sua rovinosa caduta.
«Grazie.» Mormorai
Corsi verso la porta di ingresso, mossa dalla voglia di chiarire con Dario e arrivare finalmente ad una decisione. Arrivata davanti alle scale, però, una mano mi afferrò e mi spinse contro la ringhiera. Mi ritrovai in un istante intrappolata dal torace nudo di Mauro, con il suo viso terribilmente vicino al mio ed incredibilmente bello. Aveva un fisico pressoché perfetto, asciutto e con e i muscoli ben delineati. Avevo il volto in fiamme e sentii il mio corpo invaso da intense scosse inspiegabili.
«Buon pomeriggio, niña.» Mi disse con un sorriso sensuale.
«Ci-ciao.» Balbettai e cercai di sfuggire al suo sguardo, ma i miei occhi erano incollati ai suoi cristallini.
«Come va? Hai pianto stanotte?» Mi domandò apprensivo, sistemandomi una ciocca di capelli dietro i capelli e sfiorandomi il viso con le sue dita. Quei suoi gesti mi sembravano alquanto ambigui e stavo iniziando seriamente a pensare che Mauro fosse attratto da me. Ma sicuramente ero solo la mia fantasia mega sviluppata a farmelo credere. Una volta avevo creduto che il professore di educazione fisica mi venisse dietro in seconda superiore solo perché cercava di farmi imparare a fare un bagher degno di quel nome. Ma in realtà lui era gay e lo scoprii solo dopo che mi ero invaghita per benino di lui.
«Ne-neanche tanto.» Mentii imbarazzata, con il cuore che mi rimbombava nelle orecchie e le guance che mi andavano a fuoco.
«Avete discusso ancora?» Mi sembrava di star subendo un interrogatorio e non solo per le domande ma anche per la soggezione che mi metteva addosso Mauro. Era talmente bello da farmi perdere qualsiasi lucidità.
«No. Ci siamo ignorati» Scossi la testa e mi umettai le labbra. Altra menzogna solo perché non volevo che Mauro intervenisse nella nostra storia, confondendomi ancora di più.
Si sporse verso di me e mi baciò la fronte. Era un gesto casto, innocente, innocuo, ma le sue labbra sottili e sensuali erano bollenti, bruciavano e il contatto con loro mi destabilizzò. Per un attimo ebbi la tentazione di baciarlo e non sapevo nemmeno io perché Mauro mi facesse quell'effetto. Era innegabilmente bello, ma caratterialmente era più instabile di suo fratello. Però c'era qualcosa in lui, qualcosa che mi tentava e che mi attirava a lui come miele per le api, come l'acqua per un assetato del deserto. E nei suoi occhi c'era acqua a volontà.
«Sei riuscita a prendere una decisione oppure hai bisogno ancora di sfogarti?» Altra domanda, altro attacco tachicardico. Beh, anche se mi fosse venuto un infarto c'era lì il dottor Vitrano che avrebbe potuto salvarmi.
«Dario mi ha scritto una lettera.» Dissi con un sorriso tirato.
Il corpo di Mauro si spalmò completamente addosso a me. Avevo i suoi pettorali contro il viso, i suoi occhi di ghiaccio puntati nei miei che ardevano e che sembrava mi desiderassero, la sua mano che mi accarezzava una guancia e che mi faceva ribollire. Mi sentivo accaldata, sentivo le budella contorcersi ed uno strano palpito che mi faceva battere il cuore irregolarmente.
«Vuoi per caso tenermi sulle spine?» Mi chiese con tono sensuale e si leccò li labbro con la punta della lingua. Non sapevo se lo avesse fatto apposta oppure se fosse stato involontario, ma comunque quel suo gesto mi mandò quasi in estasi. Dovevo allontanarmi da Mauro il prima possibile, prima di perdere il controllo su me stessa. Dovevo cercare di stargli il più lontana possibile perché io amavo Dario, anche se ero in collera con lui e quello che “provavo” per suo fratello era solo qualcosa di insensato, di inspiegabile ed incontrollato che mi spaventava e che temevo mi avrebbe fatto commettere qualche imperdonabile errore.
«Stavo proprio per andare al campetto dove sta giocando Dario,» spiegai con un sorriso tirato e vidi l'espressione di Mauro mutare, incupirsi e gli occhi diventare distanti e freddi. «Ho bisogno di parlargli prima di prendere la mia decisione. Voglio chiarire con lui questa situazione. Lo amo troppo per perderlo.»
Mauro contrasse la mascella ed annuì flebilmente, staccandosi poi da me e dandomi le spalle.
«Non dovresti nemmeno pensarci. La risposta è ovvia,» sibilò. «Con Dario soffrirai e basta. E non dire che non ti avevo avvisata.»
«Se lo perdonerò e se poi accadrà quello che hai predetto tu, avrai la soddisfazione di dirmi “Te l'avevo detto”.»
«Della soddisfazione non me ne faccio nulla,» disse con tono duro. «Ma la decisione è tua. Preparerò una scorta di kleenex.» E quell'ultima frase la disse con cattiveria sprezzante.
Tutta la magia che era riuscito a creare era stata dissolta dal suo caratteraccio e la sua malafede. Mi sentivo così stupida ad aver vacillato di fronte a lui. Mauro era solo bello e niente più e non potevo comportarmi come una cretina davanti a tutti i ragazzi belli che incontravo. Ero fidanzata – forse ancora per poco – e l'unico uomo di cui doveva importarmi in quel momento era Dario.
Mandai mentalmente a quel paese Mauro e così com'ero, con addosso solo un paio di calzoncini di jeans, una maglietta dell'Hard Rock di Londra e le Superga bianche, uscii di casa in fretta e furia. Volevo solo Dario in quel momento, volevo parlare con lui e speravo che tutto si sarebbe risolto, che sarei tornata a stringerlo... non lo avrei fatto più allontanare da me. L'avrei amato con tutta me stessa, amatoo come non avevo fatto e mi sarei fatta amare da lui. Mi guardai intorno e cercai di fare mente locale sulle indicazioni che mi aveva dato Consuelo, nonostante ci fosse l'immagine di Mauro che sgomitava nella mia mente. Seppur non volevo pensare al più grande dei fratelli Vitrano, lui era lì fisso nella mia mente nella sua ambiguità e nella sua sensualità. Era stronzo, era cattivo, era tremendamente intelligente e di una bellezza sconvolgente. Sapevo che non avrei nemmeno dovuto pensarlo, non avrei dovuto sfiorarlo e cadere in tentazione. Mauro era un po' come il serpente biblico che cercava in tutti i modi di costringermi a mangiare la mela. Se avessi ceduto alla sua tentazione avrei mandato tutto a quel paese, tutto quello che stavo cercando di recuperare con Dario. Ma fino a quando sarei riuscita a resistere dal mordere la mela? Ero pur sempre un essere umano.
Scossi la testa e mi obbligai a pensare a Dario. Era il ragazzo che amavo più della mia stessa vita e l'unica tentazione che dovevo concedermi. Svoltai a sinistra per l'ultima volta e feci qualche metro. Il campetto di calcio apparve all'orizzonte così come gli schiamazzi cominciarono a riempirmi le orecchie. Feci gli ultimi passi e mi addentrai all'interno di quello che sembrava un centro sportivo. Camminai lungo un corto corridoio, passando accanto un un piccolo bar e uscii direttamente sui pochi spalti che circondavano il campetto. C'era poca gente a guardare la partita, ragazzi per lo più che dovevano essere gli amici delle due squadre che si affrontavano, una con le magliette gialle e gli avversari vestiti di azzurro cielo.
Mi sporsi in avanti parandomi con una mano dal sole pomeridiano che mi colpiva il viso e adocchiai subito Adriano con la maglietta gialla che correva da una parte all'altra, sbracciandosi per farsi passare la palla. Ma un avversario gli si parò davanti, marcandolo stretto per impedire il passaggio. Il biondo cercò di liberarsi, dimenando le mani come un ossesso ma il tipo vestito di azzurro non aveva intenzione di lasciarlo smarcato. Per cui il compagno di squadra di Adriano, in possesso di palla, salì verso la metà campo avversaria riuscendo a saltare uno che era entrato in scivolata. Arrivato nell'area della “squadra blu” passò la palla ad uno dei suoi compagni. Seguii la traiettoria della palla e la vidi adagiarsi sul petto di Dario e ricadere leggera davanti a lui. Sorrisi istintivamente appena lo vidi e sentivo distintamente il mio cuore battere così forte da rimbombare nella cassa toracica. Sembrava che fosse la prima volta che lo vedessi, mi sentivo come una ragazzina capitata lì per caso che si innamorava del bel calciatore senza nome. Ma ogni volta che lo vedevo, ogni volta che incrociavo il suo sguardo, ogni colta che sentivo le sue mani scivolare su di me riprovavo le stesse emozioni di quando lo avevo visto per la prima volta, di quando mi ero innamorata di lui, amplificate addirittura oltremodo. Con Dario erano sempre nuove sensazione e ogni giorno era come se mi innamorassi di nuovo di lui sempre più profondamente. E pensare che potevo perdere tutto quello fu come un pugno all'altezza del petto.
Un omino blu riuscì a rubare la palla a Dario, anche in modo abbastanza semplice. Non mi intendevo di calcio, lo seguivo solo per i calciatori e non per lo sport in sé, ma l'azione degli avversari era stata prevedibile e si poteva evitare facilmente. Ma il mio Dario sembrava deconcentrato, sembrava spaesato, come se si trovasse in un mondo non suo.
«Porca puttana, Dario!» Sbraitò un suo compagno rasato e con la faccia di un topo.
«Che stai a dormì!» Intervenne anche Adriano, mandandolo a quel paese con un gesto della mano. «Cerca de svegliarti che siamo già dietro di un gol!»
Dario alzò le mani in segno di colpevolezza e cominciò a correre per raggiungere la sua metà del campo e riprendere la palla che sembrava incollata ai piedi dell'alto omino blu che da lontano mi ricordava molto Federico, forse per il naso simile al becco di un'aquila. Fortunatamente il portiere riuscì a parare la bomba del sosia di Abbate e ad acchiapparla dopo un paio di rimbalzi. Dario fece qualche passo verso di lui e richiamò la palla, deciso più che mai a farsi valere dopo il brutto errore di prima. Il portiere annuì e fece scivolare la palla verso i piedi del mio ragazzo che la stoppò con maestria. Cominciò a correre e riuscì a scartare un avversario, ma non andò più lontano della metà campo perché il sosia di Federico recuperò la palla con una scivolata degna di uno dei migliori calciatori. Dario rimase immobile nel punto in cui era stato fregato per la seconda volta, con le braccia lungo i fianchi e il volto a guardare l'erba sintetica. Era abbattuto e demoralizzato per colpa mia e del nostro litigio. E il gol che susseguì l'azione dell'Abbate romano non fece altro che buttarlo giù ancora di più.
«Che cazzo ti piglia, fratè?» Urlò Adriano fuori di sé.
«Sei diventato 'na merda!» Si aggiunse il topo.
«Andate a fare in culo.» Li liquidò il mio ragazzo con poco garbo.
Mi sentivo in dovere di fare qualcosa, di fargli sentire la mia presenza.
«Dario!» Urlai sbracciandomi e saltellando sul posto con un sorriso ebete stampato in volto.
Lui alzò il viso verso gli spalti con la fronte corrugata e cercò con aria dubbiosa chi lo avesse chiamato.
«Sono qui!» Sbraitai di nuovo e il suo sguardo incontrò il mio. A poco a poco le sue labbra si aprirono in un sorriso e i suoi occhi ritrovarono la loro luminosità, quella che li aveva sempre caratterizzati e che li rendeva due stelle luminose in mezzo ad un manto oscuro. E per la prima volta mi apparve veramente felice, innamorato e mi sembrò quasi di rivedere quella fotografia appesa dietro al poster. Ma quello sguardo non era indirizzato a Sole, bensì a me. Chiese un time-out ai suoi compari e agli avversari e corse verso gli spalti, sotto lo sguardo esterrefatto e scocciato degli altri ragazzi. Scesi verso il campetto per raggiungerlo e quando lo ebbi a pochi centimetri di distanza, così dannatamente perfetto, sentii il sangue rifluire in ogni membra del mio corpo, sentii scorrere Dario nelle mie vene e ridarmi la vita.
«Che ci fai qui?» Domandò incredulo, allungando furtivo una mano verso di me e ritraendola poco dopo, come se avesse paura di sfiorarmi, che lo respingessi come la sera precedente.
«Consuelo mi ha dato la tua lettera.» Dissi abbassando lo sguardo ad osservare le mie Superga.
«Oh,» esclamò solo, grattandosi la nuca. «Non dirmi che sei venuta fin qui per dirmi addio. Non reggerei, io... io... morirei se lo dicessi!»
Mi morsi il labbro e scossi la testa, sentendo un'immensa voglia di stringerlo e di baciarlo.
«In realtà non lo so nemmeno io cosa voglio fare,.» sospirai e rialzai gli occhi per incontrare i suoi spaesati «La tua lettera è davvero triste e pare che tu abbia capito il tuo errore. Ma...»
«Ma ti ho fatto troppo male,» completò per me la frase e sospirò. «L'unica cosa che voglio, Alice è che tu sia felice. E se tu vorrai che io mi faccia da parte lo farei, anche se ho bisogno di te più dell'aria.»
«Il punto è che io sono felice con te,» replicai amaramente. «E ti amo e so che tu provi lo stesso per me.»
«Allora dammi un'altra possibilità, Alice. Io ho bisogno di te, piccola mia.» disse e mentre diceva quelle parole mi strinse la mano tra le sue, inginocchiandosi di fronte a me. Gli occhi di tutti erano puntati su di noi e mi sentii un tantino in imbarazzo. Tentai di farlo rialzare, ma nulla servì per farlo schiodare da lì. «Ho bisogno del tuo sostegno, che tu ti prenda cura di un fallito come me, del tuo amore»
Ero spiazzata da tutto quello. Ciò che c'era tra di noi era qualcosa di intenso, qualcosa di difficilmente controllabile, che vacillava ma non sembrava voler cedere. E chi ero io per poterlo spingere giù dal precipizio? Per mettere fine a tutto quello?
«Ma come posso fidarmi ancora di te?» Domandai con un filo di voce ed ero sicura che quella fosse la domanda decisiva, quella che avrebbe segnato le sorti del nostro rapporto.
«Senza di te sono nulla, sono completamente vuoto, sono un morto che cammina,» rispose, sfiorandomi la mano con l sue labbra. «Se tu decidessi di perdonarmi, non commetterò più cazzate simili e rischiare di perdere di nuovo la tua fiducia, rischiare di perdere te e la mia vita. Dimenticati del Moro, perché lui non esiste più. Lo giuro!»
Fidarsi o meno? Ancora una volta mi ritrovavo di fronte a quel bivio. Gli occhi neri di Dario erano sinceri, erano gli stessi di quel ragazzo che avevo conosciuto mesi prima e che avevo amato e non quelli crudeli del Moro. Mi guardai intorno incontrando gli occhi di tutti e mi soffermai in quelli azzurri di Adriano. Ci stava fissando e quando i nostri sguardi si incontrarono, lui abbozzò un sorriso e annuì come se mi stesse dando la conferma che quello inginocchiato davanti a me era Dario, il mio Dario. Mi morsi il labbro inferiore e lo tirai per la maglietta per farlo alzare.
Annullai le distanza da noi per poterlo baciare. Subito il suo sapore di vaniglia mi invase e riempì le fibre del mio corpo. Non potevo perderlo perché sarebbe equivalso a non vivere più. Ogni istante che passava, ogni attimo che passavo accanto a lui capivo quanto lui fosse necessario ed essenziale per me. Era l'altra metà del mio animo, l'altra metà del mio cuore che mi mi permetteva finalmente di vivere per davvero. Dario e il suo amore erano le cose più importanti che avevo, erano la mia ragione di vita. Molto probabilmente mi ero lasciata trasportare troppo da quella storia d'amore essendo anche la prima e stavo esagerando un po' troppo le cose. Non per forza la nostra relazione sarebbe durata a lungo, magari sarebbe finita anche tra pochi mesi o anche giorni. Nulla era prevedibile in amore e lo stavo imparando a poco a poco, ma per il momento mi sarei goduta ciò che il nostro amore ci stava regalando senza pensare ad un'ipotetica rottura. Era troppo doloroso anche solo pensare di stare lontana da lui e credere che quello potesse, un giorno, diventare reale mi uccideva.
Le nostre lingue si cercarono nello stesso momento e si incontrarono, si sfiorarono e si attorcigliarono tra loro con tutta la passione che non avevamo espresso in quelle ventiquattro ore di lontananza. Era come se le nostre bocche avessero sentito la mancanza dell'altro e che volessero recuperare tutti i baci che ci erano stati negati in quelle ore in cui non si erano incontrate.
«Vuol dire che mi perdoni?» Chiese speranzoso muovendo il pollice per accarezzarmi la guancia.
«Diciamo di sì.» Dissi ridacchiando.
Dario sorrise e mi baciò di nuovo, mordicchiandomi il labbro inferiore con delicatezza.
«Ti amo,» disse senza staccare le sue labbra dalle mie e il suo fiato bollente si infranse nella mia bocca.
«Anche io ti amo.» Risposi con un sorriso ed affondai le mani nei suoi capelli castani, avvicinandolo di nuovo a me.
Lo avrei baciato per tutto il giorno, lo avrei baciato fino a rimanere senza fiato, fino a che non si sarebbe esaurito il suo meraviglioso sapore di vaniglia. Dario mi cinse i fianchi, passandomi un braccio dietro la schiena e avvicinò il mio corpo maggiormente al suo. Era caldo, era bollente e desideravo sentirlo completamente, fondermi con lui e non lasciarlo andare più via. Peccato che i suoi amici erano di tutt'altro avviso e sembravano non gradire le nostre smancerie.
«Hey, Romeo e Giulietta!» Esclamò Adriano infastidito con la palla sotto il braccio. «Dovete trombare o possiamo tornà a giocare?»
Arrossii di colpo e sgranai gli occhi pensando a noi due che consumavamo davanti a tutti, mentre Dario sembrava realmente divertito dall'affermazione del suo amico. Infatti stava ridendo e finalmente lo vidi felice, così come piaceva a me e così come mi ero ripromessa di farlo sentire.
«Arrivo!» Brontolò e mi baciò ancora a fior di labbra. «Ti amo» Disse cominciando ad allontanarsi da me a ritroso per non perdere il nostro contatto visivo. Gli sorrisi e gli lanciai un bacio. Era inutile che gli dicessi Anche io, sarei stata solo ripetitiva. Ormai sapeva quanto lo amassi, lo sapevano tutti, dalle pareti delle nostre case che avevano guardato silenziose il nostro amore consumarsi alla luna che ci assisteva dl cielo, fino ad arrivare alle stelle che ci osservavano e che erano invidiose degli occhi di Dario, della loro luminosità che offuscava quella degli astri.
Mi sorrise ed allargò le braccia quando raggiunse il campo ed i suoi amici.
«Ti amo!» Ripeté, questa volta con tono più forte e deciso in modo da farsi sentire da tutti.
I ragazzi che si trovavano dietro di lui rimasero sorpresi da quella confessione, tranne Adriano che sembrava quasi rassegnato all'idea che il suo amico fosse un'altra persona rispetto a quella che aveva conosciuto. Non lo dava a vedere, ma ero sicura che fosse confuso da tutto quello che stava accadendo. A dir la verità anche io ero rimasta piacevolmente colpita e stupita dal suo Ti amo quasi urlato, da quella dichiarazione fatta davanti a tutti. Aveva messo da parte la sua apparenza, alla quale teneva così tanto, solo per me e fui contenta di averlo perdonato. Magari ero ingenua a farmi sempre abbindolare dai suoi sguardi e a lasciar perdere qualsiasi cosa, ma poi Dario mi sorprendeva sempre piacevolmente e non mi dava motivo di pentirmi della mia decisione.
La partita di calcetto ricominciò e mi sembrò di vedere in campo un altro Dario, più sorridente e concentrato di prima. Non badai molto alle azioni dei vari giocatori perché il mio sguardo era stato catturato dal mio ragazzo che correva e si sbracciava per poter ricevere la palla. I suoi compagni, però, sembravano restii nel dargli ancora fiducia dato gli erroracci che aveva fatto poco prima. Ma alla fine il topo rasato, non avendo altra scelta passò quella dannatissima palla a Dario che la stoppò con il petto e accelerò la sua corsa verso la porta avversaria. Scartò un paio di omini blu, con qualche difficoltà, rischiando ancora una volta di perdere la palla e si avvicinò pericolosamente all'area di rigore, attirando subito l'attenzione del difensore che gli corse incontro per evitare che segnasse. Ma Dario approfittò di un istante di distrazione dell'omino blu e fece passare la palla in mezzo alle sue gambe, allungandosela ancora di più verso la porta. Con uno scatto che bruciò sul tempo il suo avversario la recuperò e caricò la gamba sinistra, lanciandola verso la rete che l'accolse subito dopo. Scattai in piedi e cominciai a saltellare sul posto, urlando come una pazza per la gioia di averlo visto segnare. Sembrava che fossi allo stadio e che avesse appena segnato Sogno, il mio calciatore preferito ed ero sicura che i pochi spettatori che c'erano lì mi avevano presa per scema. I compagni di squadra di Dario gli andarono incontro, abbracciandolo e saltandogli letteralmente addosso per festeggiare il primo gol della squadra. Ma lui si divincolò dalla loro morsa e mi rivolse uno sguardo. I suoi occhi finalmente ridevano e il temporale che ci aveva sorpresi e che avevo creduto potesse essere catastrofico era passato, le nuvole nere si erano diradate lasciando spazio a quel sole lucente che ora si rifletteva nelle iridi di Dario. Mi sorrise ed unì le punte degli indici e quelle dei pollici mimando la forma di un cuore e lo dedicò a me. Io feci lo stesso, lanciandogli anche un bacio con le labbra e urlandogli un Ti amo che avrebbe sentito perfino chi si trovava su Marte.
«Anche io!» Mi urlò, portandosi poi una mano sul cuore.
Era stato solo un fulmine che aveva squarciato il cielo e che aveva creato solo un grande caos con il suo boato, che sembrava voler preannunciare una catastrofe che non era avvenuta. Il sole aveva avuto la meglio su di lui e tutto era tornato alla normalità, illuminato dai raggi caldi e luminosi della nostra stella. Quello che c'era tra di noi era troppo forte per poter essere spazzato via con una sola folata di vento e il baratro nero in cui credevo che sarebbe sprofondato il nostro amore scomparve a poco a poco risucchiato dalla luce intensa di quello stesso sole che splendeva su di noi e che ci accompagnava in quel tortuoso cammino che era l'amore.
Nonostante il gol di Dario, la sua squadra perse miseramente. Quattro a Uno fu il risultato finale e la colpa era solo del sosia di Federico che ci sapeva fare con la palla e che avrebbe potuto avere un futuro come giocatore professionista. I ragazzi, bottiglietta d'acqua alla mano che usarono solo per bagnarsi e rinfrescarsi dopo la partita, si diressero verso gli spogliatoi ridendo e scherzando tra loro. Dario si fermò poco prima di sparire dentro la struttura e mi sorrise.
«Ti aspetto negli spogliatoi.» Mi disse, indicando l'interno del centro sportivo.
Annuii con un sorriso e lo vidi inoltrarsi lì dentro insieme a tutti gli altri. Aspettai dieci minuti, durante i quali rimasi a fissare il campo inebetita con un sorriso che partiva da un orecchio e finiva sull'altro. Tutto si era risolto per il verso giusto e non potevo essere più contenta. Avevo avuto un'altra conferma di quanto mi amasse, avevo visto Dario mettere da parte ciò che era stato e ciò che i suoi amici veneravano solo per me dichiarando il suo amore per me a tutti quanti. Mi sentivo un po' in colpa, però. Lui faceva un sacco di cose per me ed io me ne stavo solo lì a guardare e a ricevere delle “sorprese” che forse non meritavo.
Mi alzai dagli spalti e mi inoltrai nella struttura seguendo i cartelli con su scritto “Spogliatoi”. Si trovavano alla fine di un lungo corridoio e, appena li raggiunsi, mi appoggiai alla parete attendendo di poter entrare. Non volevo piombare lì dentro e magari trovarmi Adriano nudo. Non che fosse una brutta visione dato che il biondino non era niente male, ma sarebbe stato molto imbarazzante. Per cui attesi ancora qualche minuto sentendo che da dietro la porta provenivano ancora degli schiamazzi.
Rimasi immobile lì fuori per un'altra decina di minuti buoni, finché, finalmente, non uscirono il topo dalla testa pelata seguito a ruota dal Federico-romano e gli altri. L'ultimo a chiudere la fila era Adriano che stava imprecando contro l'acqua fredda della doccia. Quando i suoi occhi cerulei incontrarono i miei si fermò ed abbozzò un sorriso.
«Ciao.» Mi disse con tono basso.
Lo salutai con un gesto della mano e stavo per entrare nello spogliatoio, ma la voce di Adriano mi bloccò.
«Senti,» esordì passandosi una mano dietro la nuca. «Mi dispiace per ieri, che t'ho chiamata cozza, cessa, scorfana e tutto il resto. Stavo a scherzà!» Mi sorrise e mi diede una pacca sulla spalla che per poco non mi smontò.
«Tranquillo. Non me la sono presa.» Sorrisi di rimando, anche se in realtà avrei voluto spaccargli la faccia per quello che aveva detto.
«Pe' fortuna!» Esclamò passandosi una mano sulla fronte e ridacchiando. «Non credevo che tra voi due, insomma, ci fosse... sì, insomma...»
«Qualcosa di serio?» Chiesi retorica ed Adriano annuì.
«Me parte come sex machine e me ritorna accoppiato,» sghignazzò, scuotendo la testa. «Cioè, cazzo, me lo hai rincoglionito, sore'!»
Sorrisi annuendo, anche se il linguaggio colorito di Adriano continuava a darmi sui nervi. Nonostante tutto, però, non era poi così antipatico e tutti i timori di Dario non erano fondati. Non aveva fatto nemmeno una piega il suo migliore amico quando aveva scoperto che era innamorato di me, a parte lo stupore iniziale. Magari, però, era contrariato e non lo dava a vedere ma sembrava comunque aver accettato il nostro amore.
«Siete carini insieme.» Disse poi con un sorriso non del tutto convinto.
«Dovresti trovarti anche tu una ragazza, non credi?» Gli chiesi con un chiaro tono provocatorio.
Adriano scrollò le spalle. «Ho ventiquattro anni e me vojo divertì.»
«Ma dici così perché la ragazza che ti piace non ti fila?»
«Umpf! Figurati,» si stizzì lui e mi liquidò con un gesto della mano. «Se una tipa me piace sta sicura che me la dà.» Disse sicuro di s,é anche se il suo tono non era dei più convinti. Borbottò qualcosa e mi sembrò di sentire il nome Serena o Milena ed intuii che quella ragazza misteriosa aveva fatto breccia nel cuore del freddo Adriano. Sorrisi soddisfatta nel vederlo arrossire piano piano.
«Vabbè, io vado,» tagliò corto, molto probabilmente perché non gradiva quel discorso. «Ci si becca, Alice.»
Si allontanò da me e si voltò verso metà corridoio, indicandomi con entrambi gli indici.
«E prendite cura di Dario. Non farmelo frignare come 'na checca!»
«Vai tranquillo,» lo rassicurai ridacchiando. «È in buone mani.»
Mi sorrise per poi sparire lungo il corridoio. Mi voltai verso la porta e presi un respiro profondo prima di entrare e trovarmi Dario seduto su una panchina di legno senza maglietta e con addosso ancora i calzoncini della partita, i gomiti appoggiati alle ginocchia larghe e il volto basso. Era ancora sudato per cui dedussi che non aveva ancora fatto la doccia.
«Toc toc.» Dissi per richiamare la sua attenzione e il suo sguardo si sollevò per incontrare il mio. Non appena mi vide sorrise e scattò in piedi, raggiungendomi per abbracciarmi e baciarmi. Nulla di troppo passionale, avevamo già dato davanti a tutti, solo qualcosa di rapido e casto ma non meno appagante.
«Scusami davvero tanto Alice,» disse con un filo di voce giocando con una mia ciocca di capelli. «Sono un cazzone, un deficiente! Non so nemmeno io perché ho finto con Adriano.»
«Per fortuna che te lo dici da solo, così mi risparmi dal coprirti di insulti.» Ridacchiai e lui mi guardò con gli occhi ridotti a due fessure e il naso arricciato.
«Me li meriterei comunque,» bofonchiò e si guardò le scarpe. «E se vuoi sfogarti e riempirmi di parolacce fallo pure.» Esclamò allontanandosi da me e allargando le braccia. «Tanto diresti solo la verità.»
«Smettila di dire idiozie,» borbottai afferrandogli un braccio e avvicinandolo a me. «Hai sbagliato e questo ormai è ovvio. Ma errare humano est.» Sospirai scrollando le spalle.
«Adesso parliamo anche latino,» bofonchiò. «Ho sempre odiato il latino. E anche il greco. Colpa dello Scempia e dei suoi perfidi due.» Straparlò ed io non capii che cosa c'entrassero adesso i suoi voti del liceo. Dario non aveva tutte le rotelle a posto e di questo ne ero sempre più convinta. «Ma, comunque, sarà anche umano ma ne faccio davvero, davvero troppi di errori.» Riprese sconsolato.
«Ma si trova sempre il rimedio ai propri sbagli, no? O comunque, tu ci riesci.» Dissi con un sorriso.
«Solo se si ha accanto una ragazza paziente e comprensiva come te.» Sospirò. «Sono ancora convinto di non meritarti. Sei troppo buona per uno che sbaglia in continuazione come me.»
«Che fai? Adesso scappi di nuovo?» Scherzai, anche se ricordare quella maledetta sera di San Valentino era ancora doloroso.
«No, mai più! Non da te, almeno.» Soffiò sulle mie labbra poi le intrappolò tra le sue, mordicchiandole ed assaporandole. Intrecciai le braccia dietro al suo collo e mi spinsi di più verso di lui. Il suo corpo era caldo, oltre che sudato ed incredibilmente sexy e appena mi scontrai con lui, appena lo sfiorai una scossa intensa si propagò dal basso ventre. Lo desideravo più di qualsiasi altra cosa, ma quello non era il momento per fare l'amore... solo di chiarire.
«Sono io a non meritarti.» Mormorai a pochi millimetri dalle sue labbra.
I nostri visi erano dannatamente vicini, così come i nostri corpi che strusciavano l'uno sull'altro. Ogni contatto con il suo petto nudo era un brivido alla base della nuca che percorreva tutta la spina dorsale e si espandeva in ogni parte del mio corpo.
«Che te sei fumata, Alice?» Domandò dubbioso.
«Insomma tu fai un sacco di cose per me ed io invece mai nulla.» Mormorai.
«Le faccio perché devo farmi perdonare per le mie immense cazzate!» Mi rispose con un sorriso, accarezzandomi la guancia.
«Sei felice con me?» Chiesi a bruciapelo, e Dario rimase per un attimo perplesso.
«Ma certo, piccola. Sono più che felice di stare con te.» Rispose senza esitazione e mi accarezzò la guancia.
Gli sorrisi con un pizzico di imbarazzo e ripensai alla foto di Sole dietro i poster, tanto che c'ero avrei dovuto affrontare quel discorso e togliermi tutti i dubbi, anche se la maggior parte di essi si erano dissipati.
«Come ti vengono queste domande?» Esclamò incredulo e mi sfiorò una gota con le labbra.
«Beh... perché... ti vedevo un po' assente,» scrollai le spalle e mi morsi l'interno del labbro.
«Sai i miei hanno scoperto che mi prostituivo, mio fratello fa di tutto per rovinarmi le giornate e mia madre non mi rivolge nemmeno la parola...» Lasciò la frase in sospeso e capii che il motivo del suo umore non ero io bensì la sua famiglia, come al solito. «Solo con te sono davvero felice e non vedo l'ora che arrivi la notte per poter stare da solo con te e godermi finalmente un po' di tranquillità.»
Dario sarà anche stato una capra in latino e greco, ma con la dialettica ci sapeva fare. Le sue parole erano sempre bellissime e mi spiazzava ogni qualvolta le sentivo uscire dal suo cuore con così tanto sentimento. E ciò che mi rendeva ancora più contenta era il fatto che fossi io a ispirarlo, che io fossi la sua Musa.
«Come sei tenero,» commentai, baciandolo in fronte e facendolo arrossire. «E delle foto dietro i poster che mi dici?» Chiesi tutto d'un tratto.
«Che foto?» L'espressione di Dario era dubbiosa. «Non mi ricordo di nessuna foto.»
«Quelle con Sole... in cui tu sembravi così innamorato.» Gli ricordai con un filo di voce.
«Ah, sì!» Esclamò picchiandosi una mano sulla fronte. «È da talmente tanto tempo che non metto piede lì dentro che mi ero perfino scordato di quelle foto,» ridacchiò. «E comunque quello è il passato. Sole è il passato. Mentre tu sei il mio presente e il mio futuro. Sono innamorato di te, non di Sole.»
E quelle parole furono liberatorie, mi tolsero quel peso opprimente che impediva al mio cuore di battere con tutta la sua potenza, furono come acqua durante una traversata del deserto, come aria dopo un'immersione dalla quale credevo di non uscire più. E non solo le parole che aveva detto, ma anche il modo in cui si era espresso, con così tanta dolcezza e tanto amore mi fecero provare quelle sensazioni di liberazione.
«Ti amo.» Risposi semplicemente, senza sapere che dire di fronte alla bellezza delle sue parole.
«Ti amo anche io,» disse lui. «Ti amo davvero, ti amo lo giuro, ti amo, ti amo davvero.» Canticchiò la canzone di Baglioni e mi baciò all'angolo della bocca.
Ridacchiai e lui intanto si allontanò da me avvicinandosi al suo borsone e recuperando qualcosa dalla tasca. Mi raggiunse e mi fece penzolare la collanina con la fata danti agli occhi.
«L'ho trovata stamattina sul tuo comodino,» disse con un filo di voce. «La rivuoi?»
«Certo!» Esclamai senza pensarci su. Quello era il suo regalo, il nostro segno d'amore, il ricordo di tutti i mesi, i giorni e gli istanti passati insieme. Dario sorrise e fece un passo verso di me. Sollevai i capelli e lui mi circondò il collo con la catenina e la agganciò. La guardai e la sfiorai, sorridendo al mio ragazzo che mi osservava felice.
Poi gli strinsi il viso tra le mani e approfondii quel contatto, lambendo la sua lingua con la mia. Un bacio non mi bastava, volevo qualcosa di più. Volevo farmi travolgere ancora dalla passione e sprofondare in quel turbine lussurioso con lui. Dario sembrò del mio stesso parere dato che, senza perdere tempo, afferrò i lembi della mia maglietta dell'Hard Rock e me la sfilò. Mi passò un braccio dietro la schiena nuda e mi strinse di più a sé. Le sue labbra si allontanarono dalla mia per lambire la mia pelle, prima quella del collo, poi la clavicola ed infine le sentii roventi tra i miei seni. Li baciava e li leccava mentre una sua mano forte e ruvida ne stringeva uno, accarezzando con movimenti circolari il capezzolo. Chiusi gli occhi e mi morsi entrambe le labbra, ansimando sommessamente mentre una mia mano gli scompigliava i capelli. Cavolo! Stavamo per fare l'amore in uno spogliatoio, avrebbero potuto scoprirci da un momento all'altro, ma non me ne importava nulla. Ero talmente eccitata e vogliosa di lui che non mi interessava degli altri, non mi interessava di nessuno se non di noi e della nostra passione. Il nostro mondo era racchiuso il quelle quattro pareti e tutto ciò che succedeva all'esterno, tutti quelli che erano fuori dal nostro contesto non contavano nulla.
«Ho bisogno di una doccia.» Mugolò sui miei seni.
«Adesso?» Domandai scocciata.
Le dita di Dario afferrarono le spalline del mio reggiseno e le fece scivolare giù lungo le spalle, scoprendo parte dei capezzoli ed afferrandone uno tra le labbra. Strinsi di più le ciocche dei suoi capelli e per poco le gambe non mi cedettero. Il piacere che solo le sue labbra riuscivano a darmi era spiazzante, era talmente intenso da farmi tremare e da rendere i miei arti molli come burro.
«Tu vieni con me.» Rispose poco dopo, guardandomi con i suoi occhi di brace che ardevano di desiderio.
Sorrisi maliziosa e lui fece lo stesso. Si piegò in avanti e fece passare un braccio sotto le mie ginocchia per sollevarmi da terra. Avvolsi le braccia intorno al suo collo e mi lascia trasportare verso la doccia mentre lo baciavo con gli occhi aperti per vedere i suoi bruciare, per guardare la passione consumarsi nelle sue iridi. Entrammo in quel box piastrellato di azzurro non più grande di cinque metri quadrati. Era uno spazio piccolo ed angusto, forse addirittura insufficiente per contenere il nostro desiderio dirompente. Fece aderire la mia schiena alla parete fredda della doccia e Dario si spalmò su di me. Eravamo labbra contro labbra, cuore contro cuore, abbracciati l'uno all'altro e pronti ad abbandonarci totalmente all'amore. Le sue mani percorsero il profilo del mio corpo e si fermarono al bordo dei calzoncini di jeans per spostarsi verso il bottone. Lo slacciò con una straziante lentezza ed abbassò la zip strusciando di proposito il dorso della mano contro la mia intimità. Gli morsi un labbro e mi aggrappai alle sue spalle larghe per non capitombolare a terra.
Riaprimmo gli occhi nello stesso momento e i suoi erano carichi di una malizia pronta a scoppiare, così come il suo sorriso di sbieco. Le sue labbra si posarono leggere nell'incavo delle mie clavicole scendendo verso i miei seni e ancora giù verso l'addome, solleticandomi con la punta della lingua. Quando arrivò al bordo dei pantaloncini alzò il suo sguardo ardente verso di me e si leccò un labbro. Afferrò il lembo dei pantaloni e con estrema lentezza li fece scendere lungo le mie gambe insieme agli slip. Mi tolsi le Superga velocemente e le lanciai da qualche parte, poi mi disfai definitivamente di quegli ingombranti vestiti.
Le mani di Dario si arpionarono alle mie cosce e la sua lingua risalì lungo la mia gamba destra, baciandomi ogni centimetro di pelle scoperta e arrivando fino all'inguine. Mi baciò nell'interno coscia e poi più intimamente. Mi addossai maggiormente alla parete e strinsi il miscelatore della doccia per i fremiti di piacere intenso che quel contatto mi provocava. Era un po' come tornare indietro nel tempo, a quella sera sul divano quando non eravamo riusciti a contenere quel desiderio reciproco che entrambi cercavamo stupidamente di arginare. Era esploso tutto d'un tratto, complice la pioggia e la malinconia che riempiva quella casa, complice quel bacio che ci eravamo dati sul balcone e quella intimità che si era creata tra di noi non appena lui aveva varcato la soglia di casa mia. E quella passione che credevamo fosse solo un fuoco di paglia, in realtà mascherava qualcosa di ben più profondo che inizialmente nessuno dei due riusciva ad accettare, ma che alla fine si era dimostrato più potente del nostro orgoglio e delle nostre paure. Ed era forse l'amore che c'era tra di noi, quella complicità che solo due fidanzati potevano avere e l'assenza totale di imbarazzo che rese ancora più eccitante quel momento, molto più di quella sera di Febbraio.
Mi abbassai verso di lui e gli presi il viso tra le mani costringendolo ad alzarsi. Mi piaceva sentire le sue labbra a contatto con la mia sensibilità, ma volevo qualcosa di più, volevo rendere quel momento ancora più speciale. Dario mi guardò dubbioso, ma non gli diedi il tempo nemmeno di farsi domande che lo baciai con trasporto, succhiando quelle sue labbra piene dal sapore dolce. In un impeto di passione Dario mi slacciò il reggiseno e lo lanciò dietro di sé, potendo così stringere il mio seno tra le sue mani forti.
Appoggiai le mani sul suo ampio petto e le feci scendere, percorrendo quei muscoli che ormai conoscevo a memoria ma dei quali non mi sarei mai stancata, così come non mi sarei mai stufata di Dario in sé. Era talmente perfetto, così bello e con una personalità così fragile e stravagante da farmi sentire banale di fianco a lui, ma non con lui perché era in grado di farmi sentire importante tra le sue braccia, di farmi sentire unica e desiderata. Afferrai l'elastico dei suoi pantaloncini ed imitai quello che aveva fatto lui poco prima, sbarazzandomi di quegli indumenti inutili e scoprendo il suo desiderio dirompente.
Liberai le sue labbra e, ansante, scrutai con minuzia ogni centimetro del suo corpo quasi estasiata dalla perfezione che si celava in lui. Deglutii a vuoto e gli lasciai un bacio all'altezza del cuore dove solo in quel momento notai un piccolo tatuaggio che raffigurava una chiave. Non badai a quel piccolo particolare ma proseguii per il mio cammino lungo il suo addome e mi fermai all'altezza delle sue anche. Gli accarezzai una coscia e rimasi a fissarlo per dei minuti interminabili. Non sapevo nemmeno io quello che stavo facendo in realtà. Era la passione a spingermi in quella direzione, a guidarmi verso piaceri che ancora non conoscevo.
«Che vuoi fare Alice?» Mi domandò leggermente preoccupato.
«Non... non lo so.» Risposi, non del tutto conscia di quello che stavo per fare.
Avevo il respiro accelerato e il cuore che sembrava essermi salito in gola. Stavo osando e lo sapevo bene e forse stavo affrettando un po' le cose. Ma sentivo il desiderio di Dario scalpitare dentro di me, lo sentivo infiltrarsi in qualsiasi cellula e farle fremere insieme ad ogni fibra corporea. Mi sistemai una ciocca di capelli dietro l'orecchio e dischiusi le labbra, avvicinandomi a lui e alla sua perdizione. La circondai e la sentii scivolare nella mia bocca con un ritmo lento che mandò in estasi Dario. Appoggiò con violenza una mano alla parete, inclinandosi leggermente in avanti e con l'altra si arpionò al miscelatore, che si aprì per l'irruenza con sui l'aveva stretto. L'acqua cominciò a ricadere su di noi come pioggia, a bagnarci e a trasportarci a quel giorno di acquazzone in cui ci eravamo dichiarati il nostro amore.
«Porca vacca, Alice.» Mugugnò sorreggendosi alla parete.
«Non, non gradisci?» Chiesi imbarazzata ed impaurita di aver commesso qualche errore.
«No, per gradire gradisco. Anche troppo,» rispose in un rantolo. «Ma non voglio farti fare passi troppo lunghi.»
«Non sei tu che mi costringi,» lo rassicurai guardandolo in quegli occhi neri e liquidi colmi di piacere .«Sono io che voglio farlo.»
Dario mi sorrise intimidito e deglutì a fatica. Mi umettai le labbra e strinsi il suo desiderio nella mia mano tornando a quello che stavo facendo prima che lui mi interrompesse. Non avrei mai creduto che una cosa del genere potesse piacermi, anzi, quando ne parlavano le mie compagne di classe mi schifava alquanto. Ma con Dario anche la cosa più riluttante diventava meravigliosa. Mi piaceva il suo sapore caldo e mi piaceva vederlo così eccitato, vedere il suo viso bagnato ed arrossato per il piacere.
Lambii il suo desiderio con la lingua e lo sentii rantolare, lo vidi incurvarsi maggiormente e mi sembrò che stesse per crollare da un momento all'altro. Ad ogni movimento delle mie labbra feci corrispondere un gesto lento della mano il che eccitò ancora di più il mio ragazzo. Non ero di certo un'esperta in materia, anzi ero anche abbastanza imbarazzata ed impacciata nei movimenti che sembravano meccanici. Non avevo la benché minima idea di cosa stessi facendo e avevo perfino paura di fargli del male con i denti. Per cui scivolavo lenta in modo da non creargli danni e dolori inutili.
La mano di Dario, quella con cui si era aggrappato al miscelatore, affondò tra i miei capelli e mi accompagnò in quei movimenti avanti e indietro lungo il suo piacere.
«Dio mio.» ansimò stringendo qualche ciocca. «Mi... stai... facendo... impazzire.» Disse ansante inclinando la testa all'indietro.
Respirava a fatica, e i versi che gli uscivano dalla bocca erano rantoli di piacere che sembravano musica per le mie orecchie. Avevo preso il ritmo, ormai, e tutto cominciava ad essere naturale. Era una sensazione piacevole e anche abbastanza eccitante. Mi sentivo tutta scombussolata, percorsa da scariche elettriche che si fermavano al basso ventre facendomi bruciare ed ardere, rendendomi impaziente di averlo dentro di me. Come se mi avesse letto nel pensiero, Dario passò una mano dietro la mia nuca e mi accarezzò tra i capelli.
«Basta, piccola.» Disse dolcemente ed io mi allontanai da lui rialzandomi.
«Perché?» Domandai ingenuamente, e lui mi baciò la punta del naso.
«Te lo spiego quando sei più grande,» ridacchiò e mi sentii un tantino offesa. «Adesso abbiamo altro a cui pensare.»
Mi baciò con irruenza e le sue mani mi strinsero le cosce. Sollevò una gamba e capii che avrei dovuto aggrapparmi a lui e così feci. Con una piccola spinta ed aiutata da lui cinsi le gambe intorno al suo bacino. Dario mi sorresse con una mano mentre con l'altra si aiutò per entrare a me che ero pronta per accoglierlo. Era da qualche giorno che non facevamo l'amore e mi era mancata quella sensazione di completezza che solo lui era in grado di darmi. Mi erano mancati i nostri ansimi surriscaldavano l'ambiente già abbastanza bollente. E mi era mancato sentire il suo corpo fuso con il mio e il cuore battere all'impazzata, il fiato venire a mancare ed il sangue ribollire per l'eccitazione.
I movimenti di Dario erano serrati, veloci e mi sentivo più accaldata del solito, nonostante l'acqua fredda che ci colpiva. Scalpitavo e sentivo le mie membra bruciare con quella passione ardente condensata in pochi metri quadrati. Appoggiai il viso sulla sua spalla gemendo sulla sua pelle dall'odore dolciastro che mi inebriò i sensi. Stavo completamente perdendo la ragione talmente era piacevole sentirlo dentro di me così a fondo. Molto di più delle volte precedenti e ancora più appagante.
«Ti amo.» Ansimai con un filo di voce. Stavo perdendo qualsiasi forza, prosciugate da quel piacere intenso che stavo provando e le parole mi uscirono sospirate, in un sussurro strozzato.
«Dimmelo ancora.» Gemette, aumentando il ritmo delle spinte.
Gli morsi una spalla e affondai le unghie nella sua schiena quando un fremito incontrollabile e smodato mi colse, seguiti da alcuni spasmi addominali che non mi sapevo spiegare.
«Ti amo.» Ripetei quasi urlandolo e la mano di Dario mi strinse un seno, toccandolo e aggiungendo piacere a tutto quello che avevo accumulato fino a quel momento.
«Anche io ti amo.» Disse in un gemito e la sua mano si spostò lungo il mio corpo insinuandosi tra le mie gambe e solleticando la mia intimità. In quel momento gli spasmi muscolari si fecero più intensi e sentii il mio corpo ribollire. Urlai senza ritegno e senza nemmeno rendermi conto. La mia voce era uscita spontanea dalla mia bocca incrinata dal piacere e sospettavo che se mi avesse rimessa a terra sarei caduta sul pavimento della doccia come un sacco di patate perché le gambe non sarebbero state in grado di reggermi. Non avevo idea di cosa fosse successo, ma era stato qualcosa di talmente violento e piacevole. Dario sorrise compiaciuto e mi baciò con foga, diminuendo il ritmo e sorreggendosi alla parete con la mano. Anche lui sembrava allo stremo, prosciugato da qualsiasi forza. Dopo alcuni secondi sentii un calore avvolgermi l'intimità, riempirmi e scivolare lungo le cosce seguito da un rantolo gutturale di Dario.
Il nostro amore non era più in bilico. Aveva sorriso a quel dannato buco nero che voleva risucchiarlo e gli aveva voltato le spalle, beffandosi della sua ingenuità e di lui che aveva creduto di poter fermare qualcosa di così grande.











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Il capitolo tanto atteso finalmente è arrivato!
Vi ho fatto attendere parecchio, scusatemi! Ma, di tempo, ce n'è poco in questo periodo.
Sarò sintetica, o almeno ci proverò. Inizialmente, tra Alice e Dario c'è ancora parecchia tensione. Lui è molto abbattuto per quello che è successo, si sente davvero in colpa, ma questo non basta per far  sbollire Alice, ovviamente. C'è stato un momento di tenerezza tra i due, durante la notte, si amano troppo per poter stare lontani. Ma nemmeno questo è necessario e la scossa arriva con la lettera che Dario ha deciso di scrivere ad Alice. Lui è disposto a lasciarla andare, se lei lo vorrà. È l'unico gesto d'amore che, dopo quello che è successo, gli rimane da fare. Non mi dilungo molto su Dario, perché domani arriverà la shot dal suo punto di vista :3 e allora potrete entrare per un po' nella sua mente contorta.
La lettera ha smosso il cuore di Alice, che dunque decide di raggiungere Dario al campetto per chiarire, per vederlo negli occhi mentre le dice quelle cose. E Dario non si smentisce. È sempre dolce con lei e ha davvero capito il suo errore, tanto che dopo urla a tutti il suo amore. Un gesto carino, anche se magari non è molto. Forse criticherete Alice per aver ceduto così in fretta, magari doveva farlo patire di più, ma avrete capito che questi due non possono stare senza l'altro, che lei è talmente innamorata che non riesce a lasciarlo andare.
Ed, infine, la scena hottosa nella doccia :3 durante la quale Alice si lascia andare e esplora nuovi campi, insomma! Non credo ci sia altro da aggiungere.
Ok! Avevo detto che sarei stata sintetica ed è stato così! Per cui ringrazio le ben 26 persone che hanno recensito lo scorso capitolo, tutte quelle che hanno inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate. Grazie davvero di cuore ♥

Come in un Sogno - con Ionarrante.
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Alla prossima ♥
   
 
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