C a p i t o l o 24
Get it right
betato
da nes_sie
Non era passato nemmeno un
mese, e già
io e Dario eravamo in crisi. Fantastico! Il
fidanzamento più
breve nell'intera storia del mondo. In realtà,
però, non sapevo
ancora se troncare del tutto, se mettere fine al nostro rapporto
oppure passare oltre. Si trattava di dargli un'altra
possibilità,
l'ennesima, ed io non ero del tutto sicura di volergliela concedere.
Lo amavo, anche troppo, ma mi aveva ferito e delusa troppe volte e mi
faceva paura il fatto di dargli un'altra chance, un'altra occasione
per farmi soffrire per la milionesima volta. Ma se lo avessi lasciato
non sarebbe cambiato nulla, anzi sarei morta lentamente senza di lui,
senza il suo profumo che era il mio ossigeno e senza di lui che mi
riscaldava con le sue braccia e con il suo amore, senza i suoi occhi
che mi avvolgevano, mi imprigionavano dentro di essi.
Parlare con Mauro non mi era
stato
granché utile, dato che lui non era stato in grado di darmi
una
valida motivazione per lasciarlo. Ma avrei dovuto aspettarmelo da
lui, in fondo odiava suo fratello e vederlo soffrire per la fine di
una storia lo avrebbe solo fatto godere.
Nella mia mente regnava il
caos. E non
solo per la decisione che avrei dovuto prendere riguardo alla mia
storia con Dario, ma anche per suo fratello dagli occhi di ghiaccio.
Lo odiavo, ma allo stesso tempo ero attratta da lui. Non era una
questione fisica, anche se era innegabile che Mauro fosse uno degli
uomini più belli che avessi mai visto, perlopiù
qualcosa di
mentale, di psicologico. Era così ambiguo, così
enigmatico, stronzo
quanto dolce, che alternavo momenti di puro odio nei suoi confronti
ad altri in cui lo avrei stretto forte a me per non farlo allontanare
più.
Avevo un assoluto bisogno di
avere
accanto qualcuno che sarebbe stato disposto ad ascoltare i miei
sfoghi e magari aiutarmi a dissipare quella confusione che non mi
permetteva nemmeno di ragionare. Ma purtroppo ero in una
città in
cui non conoscevo nessuno e i miei amici erano lontani chilometri da
me.
Sospirai e sprimacciai il
cuscino,
sistemandolo per dormire. Ero in camera con Dario e il silenzio che
c'era tra di noi era quasi inquietante. Avevamo litigato molte volte,
ma mai come quella volta la tensione era palpabile. Nemmeno a cena ci
eravamo rivolti la parola, ci ignoravamo, facevamo finta che l'altro
non esistesse. E mi dispiaceva e mi feriva rincorrere il suo sguardo
e non raggiungerlo, cercare il suo sorriso e trovare solo
un'espressione malinconica. Era realmente dispiaciuto per quello che
era successo, si poteva leggere nei suoi occhi la tristezza e la
frustrazione per avermi ferita ancora una volta. Ma non potevo
cedere, farmi incantare dal suo sguardo e far finta che nulla fosse
accaduto.
Mi sedetti sul letto dando le
spalle a
Dario che se stava a fissare fuori dalla finestra con le mani
appoggiate al davanzale, le labbra serrate e la mascella contratta.
Mi dispiaceva vederlo così triste, mi dispiaceva vedermi
così
triste ma soprattutto mi dispiaceva vedere la nostra storia
naufragare. Il temporale era arrivato, ma non era quello estivo,
bensì una tempesta tropicale che avrebbe sconvolto le nostre
vite,
seminando solo tristezza. Mi legai i capelli in una coda alta e
tirai su con il naso, slacciando il gancio della collanina che mi
aveva regalato Dario e appoggiandola sul comodino. Era la prima volta
che mi separavo da lei e il fatto che avesse sentito il bisogno di
togliermela lo interpretai come un orribile segno del destino. Stavo
piangendo, come al solito, silenziosamente perché non volevo
che
Dario se ne accorgesse.
«Se vuoi vado a
dormire sul divano,»
disse con tono piatto.
«Perché
dovresti?» Risposi brusca,
infilandomi sotto il lenzuolo e stringendolo forte tra le mani. Quel
maledetto pezzo di stoffa sapeva di lui e percepire il suo odore fu
come ricevere una mazzata in testa. Avrei potuto non sentirlo
più
quel profumo, solo immaginarlo e quella prospettiva non mi piaceva
affatto.
«Semmai ti desse
fastidio la mia
presenza...» Sibilò.
«Se qualcuno deve
andare a dormire sul
divano, quella sarei io,» replicai a tono. «Questa
è camera tua,
mi sembra giusto che tu rimanga qua.»
Scostai il lenzuolo e scattai
in piedi,
indossando le mie ciabatte rosa e prendendo il cuscino dal letto. Non
ero stupida, avevo capito che la mia presenza non gli era gradita,
sennò perché dire una cosa del genere? Propormi
di lasciarmi da
sola nella sua stanza?
«Dove
vai?» Domandò dubbioso seguendo
i miei movimenti.
«Tolgo il
disturbo» Risposi acida.
«Ma quale
disturbo,» esclamò e accennò
una risata che smosse il mio cuore. «Posa il cuscino e vai a
dormire.»
«Come se non sapessi
che la mia presenza
qui non è gradita,» sbottai infastidita.
«Il tuo era solo un modo
carino per dirmi di andarmene fuori dalle scatole.» Gli feci
presente e lui aggrottò le sopracciglia, scuotendo la testa.
«Assolutamente
no!» Trillò. «Pensavo
solo che potesse darti fastidio la mia presenza, tutto qui.»
Scrollò
le spalle e deglutì a fatica, tornando a guardare fuori
dalla
finestra.
Sorrisi amaramente, mordendomi
un labbro.
La sua presenza non mi seccava, anzi. Sapere di averlo vicino anche
in un momento come quello, in un momento in cui il nostro amore era
in bilico tra il baratro più profondo e la salvezza, mi
rendeva
felice, nei limiti dell'arrabbiatura. Perché sì,
ero incazzata con
lui e stavo seriamente pensando di lasciarlo e di smettere di
soffrire, ma lo amavo troppo e volevo godere di ogni singolo istante
che avrei vissuto con lui, semmai poi la nostra storia sarebbe caduta
verso l'abisso.
«Mi dispiace Alice
per quello che è
successo.» Disse tutto d'un tratto, mentre tornavo a sedermi
sul
letto.
«Dispiace
più a me,» ribattei atona,
dandogli le spalle. «E quello che mi rammarica di
più è che tu non
abbia avuto il coraggio di dire al tuo migliore amico che cosa
provavi per me. Mi ha deluso, Dario e anche tanto, oltre ad avermi
fatto troppo male.»
«Lo so
Alice,» rispose con il mio
stesso tono.
«Perché
lo hai fatto? Non mi spiego il
motivo di questo tuo atteggiamento!» Sbottai, mettendomi le
mani tra
i capelli. Credevo di stare per impazzire o forse ero già
diventata
matta.
«Non ho scusanti per
quello che è
accaduto.» Rispose rivolgendomi uno sguardo ed era
visibilmente
distrutto. Volevo alzarmi in quel momento e stringerlo a me,
dimenticare tutto e metterci una pietra sopra, seppellire tutto in un
angolo della mia memoria. Ma non ci riuscivo, non riuscivo a
dimenticare quelle parole e, soprattutto, avevo paura che sarebbe
potuto accadere di nuovo, che lui avrebbe continuato a mascherarsi
dietro quel dannato Moro.
«No,
infatti,» ribattei brusca. «Non
ti riconoscevo mentre eri seduto lì e ti giuro che mi si
è spezzato
il cuore nel vederti lì,» continuai, con le
lacrime che premevano
per uscire. «Il mio Dario, quello che amo, a cui ho donato il
mio
cuore e tutta me stessa non c'era più.» E, dicendo
quelle parole,
scoppiai a piangere.
«Non ho riflettuto
su quello che dicevo
e ti ho ferita senza volerlo. Perché l'ultima cosa che
voglio è
vederti piangere, è farti soffrire.» Disse e
sentii i suoi passi
avvicinarsi a me lentamente.
«Ma lo hai fatto! E
potresti farlo
ancora, ed ancora!» Sbottai e mi nascosi il viso tra le mani,
per
raccogliere le numerose lacrime che stavo versando. «Non so
mai cosa
aspettarmi da te! Io ho bisogno di sicurezze, Dario. Ho bisogno di
una persona che mi stia accanto che non abbia paura di
amarmi.»
«E te le
darò le certezze, piccola,»
cercò di rassicurarmi sedendosi accanto a me. «Ho
solo bisogno di
tempo.»
«Di quanto ne hai
bisogno?» Domandai
quasi urlando. «Altri tre mesi? Così poi torni
strisciando facendo
la tua patetica serenata?»
Dario mi guardò
smarrito, poi abbassò
lo sguardo ed annaspò, mordendosi il labbro inferiore quasi
a
sangue. La sua mano cercò la mia, la sfiorò e
quel contatto mi
fece rabbrividire, mi fece palpitare e smettere di piangere per
qualche secondo. Subito dopo si allungò verso di me e mi
strinse, mi
abbracciò forte a lui ed incontrai il suo cuore che batteva
forse
più del mio. Le mie braccia si mossero istintivamente e il
mio cuore
mi suggeriva chiaramente di ricambiare quella stretta, ma il mio
cervello, la mia rabbia ebbero il sopravvento e le mie mani si
posarono sul suo petto per spingerlo bruscamente lontano da me.
«Stammi lontano!
Vattene!» Sbraitai
fuori di me e lui mi guardò con gli occhi sgranati, per poi
annuire
ed alzarsi di scatto dal letto.
«Allora è
vero. Non sono gradito qui.»
Mormorò abbattuto.
Afferrò con
decisione la maglietta che
aveva lanciato sulla sedia davanti alla scrivania e la
indossò
rapidamente. Poi prese il pacchetto di sigarette e se lo
infilò in
tasca. Se ne stava andando ed io riuscivo solo a rimanere ferma a
fissarlo, con gli occhi sgranati e lucidi e la bocca dischiusa. Vidi
vacillare il nostro amore in quel momento e sbilanciarsi sempre di
più verso il vuoto, verso il nulla, verso un buco nero.
«No, Dario,
io...» Tentai di dire ma le
parole mi morirono in bocca, soffocate da un insopportabile magone in
gola. Gli avevo urlato contro di andarsene, ma non lo volevo
veramente. Desideravo solo passare più tempo possibile con
lui, con
il suo odore, tra le sue braccia.
«Sei stata
abbastanza chiara, Alice. Non
c'è bisogno che tu aggiunga altro.» Disse a denti
stretti e, a
grandi falcate, raggiunse la porta, sbattendosela alle spalle.
Fissai a lungo la parete con
gli occhi
che mi pungevano e la consapevolezza che il baratro si avvicinava
sempre di più. Lo vedevo davanti a noi ed eravamo proprio ad
un
passo dal caderci dentro. Ed ero io a dover decidere, ero io che
avrei dovuto spingerci lì dentro oppure aggrapparmi con
tutte le mie
forse ad un appiglio per salvarci. Il fatto era che non sapevo che
cosa fare, che decisione prendere. Era forse imperdonabile quello che
aveva fatto e qualsiasi donna gli avrebbe detto addio già
quel
pomeriggio. Ma io lo amavo troppo e anche pensare la parola lasciarlo
mi lacerava il cuore.
Mi coricai coprendomi con il
lenzuolo fin
sotto il naso e quella stoffa leggera blu raccolse le mie lacrime.
Forse era destino che noi due non stessimo insieme solo per il fatto
che non riuscivamo a rendere felici l'uno e l'altra. E cominciavo
seriamente a pensare che mettermi con Dario fosse stato l'errore
più
grande della mia vita. Perché, con tutti gli sforzi che
facevamo,
finivamo sempre con il litigare e, di conseguenza soffrire.
Mi voltai verso la sua parte
di letto ed
accarezzandola mi accorsi di quanto fosse brutto cercare le sue mani
e non trovarle, sperare di sentire sotto le mie dita la sua pelle e
toccare solo un inanimato e freddo lenzuolo. Piangendo e con la testa
che mi scoppiava mi addormentai, forse per qualche ora,
finché non
sentii la porta della camere richiudersi con un leggero tonfo. Aprii
un occhio e scorsi la sagoma di Dario nel buio della stanza. Si tolse
la maglietta e i jeans, lanciandoli sulla scrivani, poi si
abbandonò
sul letto e si prese la testa tra le mani. Mi dava le spalle e avrei
tanto voluto raggiungerlo per abbracciarlo, mandare a quel paese
tutti i dubbi che avevo e amarlo incondizionatamente, amarlo
più di
quanto avesse fatto Sole, amarlo per sempre ed infinitamente. Ma
rimasi ferma, avvolta nel mio bozzolo di stoffa ad osservarlo mentre
si stendeva a fianco a me e guardava il soffitto, sbattendo le
palpebre. Si voltò vero di me e, prontamente chiusi gli
occhi così
da dargli l'impressione che stessi dormendo. Il buio più
profondo mi
inghiottì e non mi permise di vedere i gesti di Dario. Ma
stranamente li percepii, sentii la sua carezza prima che la sua mano
si appoggiasse sulla mia guancia, come se qualcosa legasse le nostre
anime a tal punto da farmi prevedere che cosa stesse per fare. Subito
dopo le sue labbra sfiorarono le mie in un casto e caloroso bacio che
mi lasciò il suo sapore di vaniglia in bocca. Avevo sentito
la
mancanza dei suoi baci in quelle ore e non appena sentii le sue
labbra sulle mie un tiepido calore cominciò a riempirmi.
Avevo
sentito l'amore che provavo per lui invadermi e sconvolgermi ancora
una volta. Semmai avessi deciso di lasciarlo, non avrei saputo come
vivere senza di lui. Perché in qualsiasi caso, lui era tutto
per me.
Era ogni mio pensiero, era il mio cuore, il mio ossigeno, la mia
vita.
«Ti amo.»
Sussurrò sulle mie labbra.
Quella notte dormimmo
abbracciati, e non
sapevo se fosse stato qualcosa di voluto o solo casuale. Fatto stava
che verso le tre mi ero svegliata per il caldo afoso di luglio
ritrovandomi tra le sue braccia e avevo sorriso. Mi era mancato il
contatto con il suo corpo, seppur fossero state solo poche ore di
“lontananza”, e solo quando lo avevo visto stretto
a me, solo
quando avevo sentito le sue braccia cingermi mi ero sentita
finalmente felice. Mi faceva arrabbiare molto spesso e la maggior
parte dei suoi atteggiamenti mi davano sui nervi, oltre che deludermi
il più delle volte. Ma con lui ero felice e tutto passava in
secondo
piano. Forse era l'amore a rendermi così stupida,
così ingenua da
pensare di dargli un'altra opportunità. Odiavo quel
sentimento che
provavo per lui, quell'amore intenso che mi vincolava a Dario, che mi
teneva legata a lui e mi offuscava la mente. Se fossi stata
più
lucida molto probabilmente sarei riuscita ad arrivare ad una
conclusione, ma fin quando c'era una lotta, un conflitto tra cuore e
cervello, tra sentimento e razionalità non sarei arrivata a
nessuna
conclusione.
Per di più non ero
nemmeno sicura che
lui fosse felice con me. A parte il fatto che raramente lo vedevo
sorridere mentre era con me, ma se fosse stato davvero così
contento
di avermi accanto non avrebbe avuto esitazione a dire quello che
provava per me al suo migliore amico. Se così fosse stato,
allora,
sarebbe stato meglio lasciarlo andare e fargli vivere la sua vita
come meglio credeva, con un'altra ragazza oppure nella continua
finzione di una vita che non era la sua.
Appoggiai il mento sul palmo
della mano,
fissando Consuelo che trafficava con vari ingredienti. Non mi
importava granché di quello che stava combinando, il mio
unico
pensiero era rivolto a Dario. Sentivo la voglia di parlare con lui,
di chiarire quella situazione che mi angosciava e mi dilaniava
lentamente, di sapere lui che intenzioni aveva se preferiva me alla
sua popolarità, se era felice con me o meno. Peccato che
fosse
uscito quella mattina per andare a lavoro e non era più
tornato.
Probabilmente non era tornato a casa perché non voleva
vedermi,
perché voleva distrarsi e aveva deciso di pranzare con il
suo amico
deficiente prima di andare alla partita di calcetto. Mi stava
evitando e ciò mi fece deprimere maggiormente. Lui mi aveva
baciato
ed abbracciato quella notte, era vero, ma forse anche lui aveva
capito che il nostro amore era già arrivato al capolinea.
«Vuoi
aiutarme?» Mi domandò
Consuelo, distogliendomi dai miei pensieri e scoccandomi un'occhiata
fin troppo furba.
«A far
cosa?» Domandai con un sospiro e
stiracchiai a fatica le labbra in un sorriso.
«Biscotti al
cioccolato,» rispose
sorridente. «Sono i favoritos del señorito.
Li
preparavo quando estava muy triste.»
Consuelo smise di mescolare
l'impasto e
mi trafisse con il suo sguardo scuro, incrociando le braccia al petto
prosperoso. Si aspettava che dicessi qualcosa, come se volesse
sentire una spiegazione, ma l'unica cosa che riuscii a fare fu
farfugliare qualcosa di insensato.
«Tu e il señorito
me sembrate muy
tristo,» constatò sospirando.
«Che è successo?» Mi chiese
infine, aggiungendo cacao al suo impasto.
Rimuginai un attimo sul da
farsi: se
parlare con Consuelo su quello che era accaduto e sommergerla con le
mie frustrazioni, oppure scrollare le spalle e far finta che tutto
andasse bene. Ovviamente optai per la prima ipotesi perché
avevo un
assoluto bisogno di qualcuno che mi stesse ad ascoltare. Presi un
respiro profondo e mi abbandonai sullo schienale della sedia,
passandomi una mano tra i capelli.
«Abbiamo
litigato.» Ammisi con un filo
di voce e con un peso opprimente sul petto.
«Esto
lo avevo intuito,» scosse
la testa e con gli occhi cercò qualcosa sul tavolo.
«Passame
le gocce de cioccolato.» Mi disse,
indicandomi con il mento
una scatolina bianca.
La afferrai senza un
particolare
entusiasmo e la osservai a lungo, come se su quella confezione ci
fosse scritta la formula della felicità.
«Ti rendi conto,
Consuelo?» Sbottai ad
un certo punto, versandomi qualche goccia di cioccolato sulla mano e
strafogandomi in un nano secondo. «Cioè si
vergogna di dire che
sono la sua ragazza! Solo perché non sono la strafiga di
turno!»
Esclamai con la bocca piena di quella schifezza ipercalorica.
«Hai conosciuto
Adriano, quindi.» Fu il
commento di Consuelo, che mi guardava con un sorriso materno e
bonario.
Annuii con la fronte corrugata
e
un'espressione dubbiosa sul volto, continuando a mangiare cioccolato.
Nuova vita, ma vecchie abitudini. Quando ero triste l'unica cosa che
riusciva a risollevarmi il morale erano le calorie.
«Ciertamente
non pensava este
parole,» disse la donna strappandomi di mano la scatola
bianca.
«Necesito di este!» Mi
rimproverò.
«Ma le ha dette
comunque!» Esclamai
nervosa. «E io non voglio stare con un ragazzo che preferisce
la sua
popolarità all'amore.»
Consuelo mi guardò
apprensiva e si pulì
le mani nel grembiule. Ciondolò verso di me e mi strinse una
spalla,
avvicinandomi a lei e al suo seno prosperoso.
«Oh, mi
niña,» sospirò.
«Dario
è un niño muy particular. Ha
solo bisogno di essere
entendido.»
«Credo di averlo
entendido anche
troppo.» Borbottai contrariata.
«Ah,
sì?» Mi sfidò la donna con
sguardo furbo.
La guardai a lungo in quei
suoi occhi
piccoli e castani e deglutii a vuoto. Ero certa che volesse una prova
che le dimostrasse quanto lo conoscessi. Nonostante l'aria di sfida
di Consuelo mi mettesse in soggezione, non mi tirai indietro.
«È un
ragazzo davvero molto fragile e
si nasconde dietro chi non è per non dimostrare le sue
debolezze. Ha
paura di essere ferito ancora una volta ed è per questo che
si è
costruito un muro attorno,» dissi compiaciuta. «Ma
sbaglia a fare
così. Per farsi accettare dagli altri indossa i panni del
bastardo
superficiale, ma non ha capito che è molto meglio per lui
mostrarsi
per ciò che è veramente, senza aver paura di
mostrare i suoi
sentimenti.»
«Hai dementecato
una cosa,» e mi
sorrise amorevolmente. Ci fissammo negli occhi per non so quanto
tempo e il mio cuore palpitava nell'attesa delle parole di Consuelo.
Era come se il tempo si fosse dilatato, come se un secondo durasse
un'eternità.
«È solo.»
Quelle quattro lettere furono
come degli
appuntiti spilloni che mi perforarono il cuore. Ero sempre stata
presa da me stessa che non mi ero nemmeno accorta della solitudine
del mio ragazzo. Ora che quella parola mi si era conficcata nel
cervello realizzai di quanto fosse vero, di quante volte lo avevo
visto triste senza saperne la motivazione. Non mi aveva mai parlato
dei suoi amici, a parte Adriano, e in quel momento avevo capito il
perché. Consuelo prese una sedia e si accomodò
accanto a me,
sistemandosi il grembiule sulle gambe.
«El
señorito è un niño così
timido que es dificile per lui aprirsi a otros e l'unico amigo que
tiene es Adriano. Diciamo que la culpa è de Romandini se
Dario es
deventato un superficial. Adriano es un hombre muy stupido,»
sospirò scoraggiata scrollando la testa. «E
il señorito pende
dalle labbra del suo amigo. Es il solo che gli è rimasto.
Una
familia non l'ha mai tenuta, amigos solo per la popolarità.
E quindi
non quiere deluderlo e perdere también lui.»
«Ma così
perderà me.» Soffiai
sconsolata, prendendomi il viso tra le mani.
«Era
così también con Rayo de Sol.»
E l'immagine di quella ragazza
tornò a
galleggiare nella mia mente, a mostrarsi davanti ai miei occhi sotto
forma di una fotografica che l'aveva ritratta insieme a Dario. C'era
così tanto amore in quello scatto che mi faceva morire solo
ricordarla.
«A scuola due extranjeri,
ma
quando erano soli... oh!» Sospirò e si
portò una mano sul cuore
esaltata. «Mucho amor! Erano così felici
juntos che li
invidiaba. El señorito era così en amor con Rayo
de Sol! Parlava
sempre di lei, la cercava e passavano tanto tiempos juntos. Oh
sì,
quello era un grande amor! Tre años è durato,
finché el señorito
non è andato a Milano.»
In quel momento mi servivano
più di una
decina di gocce al cioccolato, magari una torta glassata al cacao
ripiena di panna. Me la sarei mangiata tutta in un solo boccone
talmente ero depressa in quel momento. Avevo già capito da
sola
quanto Dario avesse amato Sole, ma vedere quell'amore, immaginarlo
grazie ai ricordi di Consuelo, mi squarciava il cuore.
«E lei come ha
reagito? Cosa ha fatto?»
Domandai, e la mia voce era talmente bassa che a malapena ero
riuscita a sentirmi.
«Rayo de
Sol era così en amor col
señorito che soffriva en silenzio,»
sospirò. «Dario non se
è mai comportato muy bien, ma lo que sentiva era sincero.
Cuando el
señorito es en amor è muy felice, muy sorridente
e da todo se
stesso. E sono certa che te ama, te ama così tanto che
morirebbe por
tigo e che farebbe todo per riaverte.»
Ebbi come l'impressione che
Dario avesse
parlato con Consuelo, che si fosse aperto con lei e che le avesse
confidato i suoi sentimenti. Già lo sapevo che mi amava, ma
non
potevo rimanere in disparte, fare finta di non esistere per gli altri
solo perché lui doveva essere figo
davanti a tutti.
«Grazie
Consuelo.» Mormorai,
demoralizzata. Ero quasi arrivata ad una conclusione e questa
decisione prevedeva due cuori infranti. Era stupido, lo sapevo. Ci
amavamo tanto, troppo, eppure la nostra storia stava per finire.
Consuelo si pulì le
mani con lo
strofinaccio, poi si diresse verso un cassetto e ne tirò
fuori una
busta. Ciondolò verso di me e me la porse.
«El
señorito me ha detto de darle
questa.»
La afferrai e la guardai a
lungo, da ogni
angolazione e non trovavo il coraggio di aprirla e vedere che cosa
contenesse. Presi un respiro profondo e la aprii con decisione. C'era
dentro un foglio piegato a metà al cui interno era stato
inserito un
biglietto di Trenitalia con destinazione Milano. Riportava la data di
quel giorno e il mio cuore perse un battito. Non era per nulla un
buon segno. Sospirai e cominciai a leggere la lettera che mi aveva
scritto Dario con la sua inconfondibile calligrafia.
Cara Alice,
un modo banale per
cominciare una
lettera, ma in un momento come questo sono le uniche parole che il
mio cervello riesce a trovare.
Stamattina sono stato
in stazione e ho
comprato quel biglietto per te. Non pensare assolutamente che io ti
voglia cacciare, che voglia mettere fine alla nostra relazione.
Quello starà a te deciderlo, e quel biglietto ti
servirà semmai tu
volessi troncare con me. Potrai tornare a Milano dalla tua famiglia,
dai tuoi amici e riprendere in mano la tua vita senza che uno stronzo
come me ti giri attorno. E magari ti beccherai da parte di tutti un
sacco di Te
l'avevo detto, non
dovevi fidarti di lui. Avrebbero tutte le ragioni
del mondo
per dirtelo. Loro ti avevano messo in guardia ma tu ti sei fidata di
me, delle mie parole e della mia promesse. Avevo detto che ti avrei
resa felice, ma non ne sono stato in grado. Molto probabilmente io
non sono stato programmato per amare. Ci provo, mi sforzo, mi lascio
travolgere ma non è mai sufficiente quello che faccio
perché
combino sempre dei grandi casini e ferisco sempre le persone che amo.
Forse è giusto che io rimanga da solo, anzi, me lo meriterei
proprio
perché sono uno stronzo, un debole che si è
lasciato soggiogare da
quello scudo che mi ero creato da solo. Credevo che il Moro
mi avrebbe difeso dalla cattiveria altrui, dalla crudeltà
delle
persone che mi hanno sempre ferito, che avrebbe protetto i miei
sentimenti in modo che questi non venissero sfruttati come punti
deboli per distruggermi completamente. Peccato che non avevo
minimamente capito che il primo da cui dovevo difendermi era proprio
il Moro,
me stesso.
L'ho compreso solo ieri quando ti ho vista piangere, quando ti ho
vista soffrire per colpa mia, quando ho visto il nostro amore
scivolare via. Mi sono sentito morire e tutt'ora sono in bilico tra
la vita e la morte, in attesa solo di un tuo colpo di grazia o della
salvezza.
Se vuoi lasciarmi,
fa' pure! Non ti
biasimerei affatto; sei più che giustificata nel farlo. E,
poiché
sono un codardo, un vile senza un briciolo di spina dorsale
preferisco che tu non mi dicessi addio. Quando tornerò a
casa, se
non ti troverò, capirò che te ne sei andata, che
sei salita su quel
treno per Milano e che hai deciso di liberarti di un peso come me.
Non nego che ho
ancora una piccola
speranza, minuscola a dir la verità, che tu mi perdoni.
Questa volta
posso chiederti solo scusa.
Niente patetiche serenate, nessun ritorno in
grande stile,
nemmeno una sorpresa. Anche perché non saprei davvero come
farmi
perdonare da te, questa volta. Vorrei solo un'altra occasione,
l'ennesima per dimostrarti quanto ti amo, quanto tu sia importante
per me e quanto la mia vita dipenda da te. Forse pretendo troppo,
forse sarebbe meglio arrendersi all'evidenza che ho distrutto il
nostro amore, la nostra storia, tutto ciò che stavamo
costruendo a
poco a poco.
Questo forse
è stato l'errore più
grave di tutta la mia esistenza. Ma ho capito che è inutile
fingere
di essere chi non si è, nascondere i propri sentimenti e
ferire,
così, tutte le persone che mi circondano.
Sta a te, ora,
decidere. Se troncare
questo amore meraviglioso ma burrascoso oppure tornare a vivere con
un sorriso, quello che non sono stato in grado di regalarti.
Ti amo piccola mia,
Dario.
Rilessi quella lettera
più e più volte
notando anche la carta increspata in alcuni punti quasi tondeggianti,
come se Dario, mentre scriveva quelle parole, avesse pianto. Mi
toccò
il cuore immaginarlo in lacrime come era successo quella sera sul
balcone e mi colpirono quelle righe scritte con una calligrafia
incerta. La ripiegai appoggiandola sul tavolo e cominciai a rigirarmi
il biglietto per Milano tra le mani. Gli occhi mi si bagnarono di
lacrime e un groppo mi si formò in gola. Quella lettera mi
aveva
colpito, aveva smosso il mio cuore. In quel foglio bianco c'era
amore, c'era dolore, c'era malinconia e anche frustrazione. Il suo
senso di colpa e la sua tristezza si percepivano anche solo da
lettere scritte su un pezzo di carta. Ma non era abbastanza per
cancellare quello che aveva fatto. Mi serviva una conferma in
più,
mi serviva parlare con lui, vederlo negli occhi mentre mi diceva
quelle cose.
«Ho, ho bisogno di
parlargli.» Mormorai
e non ero molto sicura che Consuelo avesse sentito.
«El
campetto non es muy lontano da
qui» Rispose, invece, regalandomi un sorriso
sornione.
Mi diede delle brevi
indicazioni ed io
intascai sia la lettera che il biglietto per Milano. Ancora non
sapevo che cosa avrei deciso di fare, regnava ancora il caos nella
mia mente e la mia decisione dipendeva solo ed esclusivamente da
Dario, da quello che mi avrebbe detto, da quello che avrebbe fatto.
«Me
dispiacerebbe se la vostra
historia finise,» disse con un certo rammarico.
«Non ho mai
visto el señorito mas feliz.»
Sorrisi istintivamente a
sentire quelle
parole. Sapere che Dario erta felice mi rese contenta, anche se solo
relativamente. Il nostro amore era ancora sospeso nel vuoto, era un
funambolo che rischiava da cadere in un momento all'altro senza una
rete che potesse parare la sua rovinosa caduta.
«Grazie.»
Mormorai
Corsi verso la porta di
ingresso, mossa
dalla voglia di chiarire con Dario e arrivare finalmente ad una
decisione. Arrivata davanti alle scale, però, una mano mi
afferrò e
mi spinse contro la ringhiera. Mi ritrovai in un istante intrappolata
dal torace nudo di Mauro, con il suo viso terribilmente vicino al mio
ed incredibilmente bello. Aveva un fisico pressoché
perfetto,
asciutto e con e i muscoli ben delineati. Avevo il volto in fiamme e
sentii il mio corpo invaso da intense scosse inspiegabili.
«Buon pomeriggio, niña.»
Mi
disse con un sorriso sensuale.
«Ci-ciao.»
Balbettai e cercai di
sfuggire al suo sguardo, ma i miei occhi erano incollati ai suoi
cristallini.
«Come va? Hai pianto
stanotte?» Mi
domandò apprensivo, sistemandomi una ciocca di capelli
dietro i
capelli e sfiorandomi il viso con le sue dita. Quei suoi gesti mi
sembravano alquanto ambigui e stavo iniziando seriamente a pensare
che Mauro fosse attratto da me. Ma sicuramente ero solo la mia
fantasia mega sviluppata a farmelo credere. Una volta avevo creduto
che il professore di educazione fisica mi venisse dietro in seconda
superiore solo perché cercava di farmi imparare a fare un
bagher
degno di quel nome. Ma in realtà lui era gay e lo scoprii
solo dopo
che mi ero invaghita per benino di lui.
«Ne-neanche
tanto.» Mentii imbarazzata,
con il cuore che mi rimbombava nelle orecchie e le guance che mi
andavano a fuoco.
«Avete discusso
ancora?» Mi sembrava di
star subendo un interrogatorio e non solo per le domande ma anche per
la soggezione che mi metteva addosso Mauro. Era talmente bello da
farmi perdere qualsiasi lucidità.
«No. Ci siamo
ignorati» Scossi la testa
e mi umettai le labbra. Altra menzogna solo perché non
volevo che
Mauro intervenisse nella nostra storia, confondendomi ancora di
più.
Si sporse verso di me e mi
baciò la
fronte. Era un gesto casto, innocente, innocuo, ma le sue labbra
sottili e sensuali erano bollenti, bruciavano e il contatto con loro
mi destabilizzò. Per un attimo ebbi la tentazione di
baciarlo e non
sapevo nemmeno io perché Mauro mi facesse quell'effetto. Era
innegabilmente bello, ma caratterialmente era più instabile
di suo
fratello. Però c'era qualcosa in lui, qualcosa che mi
tentava e che
mi attirava a lui come miele per le api, come l'acqua per un assetato
del deserto. E nei suoi occhi c'era acqua a volontà.
«Sei riuscita a
prendere una decisione
oppure hai bisogno ancora di sfogarti?» Altra domanda, altro
attacco
tachicardico. Beh, anche se mi fosse venuto un infarto c'era
lì il
dottor Vitrano che avrebbe potuto salvarmi.
«Dario mi ha scritto
una lettera.»
Dissi con un sorriso tirato.
Il corpo di Mauro si
spalmò
completamente addosso a me. Avevo i suoi pettorali contro il viso, i
suoi occhi di ghiaccio puntati nei miei che ardevano e che sembrava
mi desiderassero, la sua mano che mi accarezzava una guancia e che mi
faceva ribollire. Mi sentivo accaldata, sentivo le budella
contorcersi ed uno strano palpito che mi faceva battere il cuore
irregolarmente.
«Vuoi per caso
tenermi sulle spine?» Mi
chiese con tono sensuale e si leccò li labbro con la punta
della
lingua. Non sapevo se lo avesse fatto apposta oppure se fosse stato
involontario, ma comunque quel suo gesto mi mandò quasi in
estasi.
Dovevo allontanarmi da Mauro il prima possibile, prima di perdere il
controllo su me stessa. Dovevo cercare di stargli il più
lontana
possibile perché io amavo Dario, anche se ero in collera con
lui e
quello che “provavo” per suo fratello era solo
qualcosa di
insensato, di inspiegabile ed incontrollato che mi spaventava e che
temevo mi avrebbe fatto commettere qualche imperdonabile errore.
«Stavo proprio per
andare al campetto
dove sta giocando Dario,» spiegai con un sorriso tirato e
vidi
l'espressione di Mauro mutare, incupirsi e gli occhi diventare
distanti e freddi. «Ho bisogno di parlargli prima di prendere
la mia
decisione. Voglio chiarire con lui questa situazione. Lo amo troppo
per perderlo.»
Mauro contrasse la mascella ed
annuì
flebilmente, staccandosi poi da me e dandomi le spalle.
«Non dovresti
nemmeno pensarci. La
risposta è ovvia,» sibilò.
«Con Dario soffrirai e basta. E non
dire che non ti avevo avvisata.»
«Se lo
perdonerò e se poi accadrà
quello che hai predetto tu, avrai la soddisfazione di dirmi
“Te
l'avevo detto”.»
«Della soddisfazione
non me ne faccio
nulla,» disse con tono duro. «Ma la decisione
è tua. Preparerò
una scorta di kleenex.» E quell'ultima frase la disse con
cattiveria
sprezzante.
Tutta la magia che era
riuscito a creare
era stata dissolta dal suo caratteraccio e la sua malafede. Mi
sentivo così stupida ad aver vacillato di fronte a lui.
Mauro era
solo bello e niente più e non potevo comportarmi come una
cretina
davanti a tutti i ragazzi belli che incontravo. Ero fidanzata
–
forse ancora per poco – e l'unico uomo di cui doveva
importarmi in
quel momento era Dario.
Mandai mentalmente a quel
paese Mauro e
così com'ero, con addosso solo un paio di calzoncini di
jeans, una
maglietta dell'Hard Rock di Londra e le Superga bianche, uscii di
casa in fretta e furia. Volevo solo Dario in quel momento, volevo
parlare con lui e speravo che tutto si sarebbe risolto, che sarei
tornata a stringerlo... non lo avrei fatto più allontanare
da me.
L'avrei amato con tutta me stessa, amatoo come non avevo fatto e mi
sarei fatta amare da lui. Mi guardai intorno e cercai di fare mente
locale sulle indicazioni che mi aveva dato Consuelo, nonostante ci
fosse l'immagine di Mauro che sgomitava nella mia mente. Seppur non
volevo pensare al più grande dei fratelli Vitrano, lui era
lì fisso
nella mia mente nella sua ambiguità e nella sua
sensualità. Era
stronzo, era cattivo, era tremendamente intelligente e di una
bellezza sconvolgente. Sapevo che non avrei nemmeno dovuto pensarlo,
non avrei dovuto sfiorarlo e cadere in tentazione. Mauro era un po'
come il serpente biblico che cercava in tutti i modi di costringermi
a mangiare la mela. Se avessi ceduto alla sua tentazione avrei
mandato tutto a quel paese, tutto quello che stavo cercando di
recuperare con Dario. Ma fino a quando sarei riuscita a resistere dal
mordere la mela? Ero pur sempre un essere umano.
Scossi la testa e mi obbligai
a pensare a
Dario. Era il ragazzo che amavo più della mia stessa vita e
l'unica
tentazione che dovevo concedermi. Svoltai a sinistra per l'ultima
volta e feci qualche metro. Il campetto di calcio apparve
all'orizzonte così come gli schiamazzi cominciarono a
riempirmi le
orecchie. Feci gli ultimi passi e mi addentrai all'interno di quello
che sembrava un centro sportivo. Camminai lungo un corto corridoio,
passando accanto un un piccolo bar e uscii direttamente sui pochi
spalti che circondavano il campetto. C'era poca gente a guardare la
partita, ragazzi per lo più che dovevano essere gli amici
delle due
squadre che si affrontavano, una con le magliette gialle e gli
avversari vestiti di azzurro cielo.
Mi sporsi in avanti parandomi
con una
mano dal sole pomeridiano che mi colpiva il viso e adocchiai subito
Adriano con la maglietta gialla che correva da una parte all'altra,
sbracciandosi per farsi passare la palla. Ma un avversario gli si
parò davanti, marcandolo stretto per impedire il passaggio.
Il
biondo cercò di liberarsi, dimenando le mani come un ossesso
ma il
tipo vestito di azzurro non aveva intenzione di lasciarlo smarcato.
Per cui il compagno di squadra di Adriano, in possesso di palla,
salì verso la metà campo avversaria riuscendo a
saltare uno che era
entrato in scivolata. Arrivato nell'area della “squadra
blu”
passò la palla ad uno dei suoi compagni. Seguii la
traiettoria della
palla e la vidi adagiarsi sul petto di Dario e ricadere leggera
davanti a lui. Sorrisi istintivamente appena lo vidi e sentivo
distintamente il mio cuore battere così forte da rimbombare
nella
cassa toracica. Sembrava che fosse la prima volta che lo vedessi, mi
sentivo come una ragazzina capitata lì per caso che si
innamorava
del bel calciatore senza nome. Ma ogni volta che lo vedevo, ogni
volta che incrociavo il suo sguardo, ogni colta che sentivo le sue
mani scivolare su di me riprovavo le stesse emozioni di quando lo
avevo visto per la prima volta, di quando mi ero innamorata di lui,
amplificate addirittura oltremodo. Con Dario erano sempre nuove
sensazione e ogni giorno era come se mi innamorassi di nuovo di lui
sempre più profondamente. E pensare che potevo perdere tutto
quello
fu come un pugno all'altezza del petto.
Un omino blu riuscì
a rubare la palla a
Dario, anche in modo abbastanza semplice. Non mi intendevo di calcio,
lo seguivo solo per i calciatori e non per lo sport in sé,
ma
l'azione degli avversari era stata prevedibile e si poteva evitare
facilmente. Ma il mio Dario sembrava deconcentrato, sembrava
spaesato, come se si trovasse in un mondo non suo.
«Porca puttana,
Dario!» Sbraitò un suo
compagno rasato e con la faccia di un topo.
«Che stai a
dormì!» Intervenne anche
Adriano, mandandolo a quel paese con un gesto della mano.
«Cerca de
svegliarti che siamo già dietro di un gol!»
Dario alzò le mani
in segno di
colpevolezza e cominciò a correre per raggiungere la sua
metà del
campo e riprendere la palla che sembrava incollata ai piedi dell'alto
omino blu che da lontano mi ricordava molto Federico, forse per il
naso simile al becco di un'aquila. Fortunatamente il portiere
riuscì
a parare la bomba del sosia di Abbate e ad acchiapparla dopo un paio
di rimbalzi. Dario fece qualche passo verso di lui e
richiamò la
palla, deciso più che mai a farsi valere dopo il brutto
errore di
prima. Il portiere annuì e fece scivolare la palla verso i
piedi del
mio ragazzo che la stoppò con maestria. Cominciò
a correre e riuscì
a scartare un avversario, ma non andò più lontano
della metà campo
perché il sosia di Federico recuperò la palla con
una scivolata
degna di uno dei migliori calciatori. Dario rimase immobile nel punto
in cui era stato fregato per la seconda volta, con le braccia lungo i
fianchi e il volto a guardare l'erba sintetica. Era abbattuto e
demoralizzato per colpa mia e del nostro litigio. E il gol che
susseguì l'azione dell'Abbate romano non
fece altro che
buttarlo giù ancora di più.
«Che cazzo ti
piglia, fratè?» Urlò
Adriano fuori di sé.
«Sei diventato 'na
merda!» Si aggiunse
il topo.
«Andate a fare in
culo.» Li liquidò il
mio ragazzo con poco garbo.
Mi sentivo in dovere di fare
qualcosa, di
fargli sentire la mia presenza.
«Dario!»
Urlai sbracciandomi e
saltellando sul posto con un sorriso ebete stampato in volto.
Lui alzò il viso
verso gli spalti con la
fronte corrugata e cercò con aria dubbiosa chi lo avesse
chiamato.
«Sono
qui!» Sbraitai di nuovo e il suo
sguardo incontrò il mio. A poco a poco le sue labbra si
aprirono in
un sorriso e i suoi occhi ritrovarono la loro luminosità,
quella che
li aveva sempre caratterizzati e che li rendeva due stelle luminose
in mezzo ad un manto oscuro. E per la prima volta mi apparve
veramente felice, innamorato e mi sembrò quasi di rivedere
quella
fotografia appesa dietro al poster. Ma quello sguardo non era
indirizzato a Sole, bensì a me. Chiese un time-out ai suoi
compari e
agli avversari e corse verso gli spalti, sotto lo sguardo
esterrefatto e scocciato degli altri ragazzi. Scesi verso il campetto
per raggiungerlo e quando lo ebbi a pochi centimetri di distanza,
così dannatamente perfetto, sentii il sangue rifluire in
ogni membra
del mio corpo, sentii scorrere Dario nelle mie vene e ridarmi la
vita.
«Che ci fai
qui?» Domandò incredulo,
allungando furtivo una mano verso di me e ritraendola poco dopo, come
se avesse paura di sfiorarmi, che lo respingessi come la sera
precedente.
«Consuelo mi ha dato
la tua lettera.»
Dissi abbassando lo sguardo ad osservare le mie Superga.
«Oh,»
esclamò solo, grattandosi la
nuca. «Non dirmi che sei venuta fin qui per dirmi addio. Non
reggerei, io... io... morirei se lo dicessi!»
Mi morsi il labbro e scossi la
testa,
sentendo un'immensa voglia di stringerlo e di baciarlo.
«In
realtà non lo so nemmeno io cosa
voglio fare,.» sospirai e rialzai gli occhi per incontrare i
suoi
spaesati «La tua lettera è davvero triste e pare
che tu abbia
capito il tuo errore. Ma...»
«Ma ti ho fatto
troppo male,» completò
per me la frase e sospirò. «L'unica cosa che
voglio, Alice è che
tu sia felice. E se tu vorrai che io mi faccia da parte lo farei,
anche se ho bisogno di te più dell'aria.»
«Il punto
è che io sono felice con te,»
replicai amaramente. «E ti amo e so che tu provi lo stesso
per me.»
«Allora dammi
un'altra possibilità,
Alice. Io ho bisogno di te, piccola mia.» disse e mentre
diceva
quelle parole mi strinse la mano tra le sue, inginocchiandosi di
fronte a me. Gli occhi di tutti erano puntati su di noi e mi sentii
un tantino in imbarazzo. Tentai di farlo rialzare, ma nulla
servì
per farlo schiodare da lì. «Ho bisogno del tuo
sostegno, che tu ti
prenda cura di un fallito come me, del tuo amore»
Ero spiazzata da tutto quello.
Ciò che
c'era tra di noi era qualcosa di intenso, qualcosa di difficilmente
controllabile, che vacillava ma non sembrava voler cedere. E chi ero
io per poterlo spingere giù dal precipizio? Per mettere fine
a tutto
quello?
«Ma come posso
fidarmi ancora di te?»
Domandai con un filo di voce ed ero sicura che quella fosse la
domanda decisiva, quella che avrebbe segnato le sorti del nostro
rapporto.
«Senza di te sono
nulla, sono
completamente vuoto, sono un morto che cammina,» rispose,
sfiorandomi la mano con l sue labbra. «Se tu decidessi di
perdonarmi, non commetterò più cazzate simili e
rischiare di
perdere di nuovo la tua fiducia, rischiare di perdere te e la mia
vita. Dimenticati del Moro, perché lui
non esiste più. Lo
giuro!»
Fidarsi o meno? Ancora una
volta mi
ritrovavo di fronte a quel bivio. Gli occhi neri di Dario erano
sinceri, erano gli stessi di quel ragazzo che avevo conosciuto mesi
prima e che avevo amato e non quelli crudeli del Moro.
Mi
guardai intorno incontrando gli occhi di tutti e mi soffermai in
quelli azzurri di Adriano. Ci stava fissando e quando i nostri
sguardi si incontrarono, lui abbozzò un sorriso e
annuì come se mi
stesse dando la conferma che quello inginocchiato davanti a me era
Dario, il mio Dario. Mi morsi il labbro inferiore e lo tirai per la
maglietta per farlo alzare.
Annullai le distanza da noi
per poterlo
baciare. Subito il suo sapore di vaniglia mi invase e riempì
le
fibre del mio corpo. Non potevo perderlo perché sarebbe
equivalso a
non vivere più. Ogni istante che passava, ogni attimo che
passavo
accanto a lui capivo quanto lui fosse necessario ed essenziale per
me. Era l'altra metà del mio animo, l'altra metà
del mio cuore che
mi mi permetteva finalmente di vivere per davvero. Dario e il suo
amore erano le cose più importanti che avevo, erano la mia
ragione
di vita. Molto probabilmente mi ero lasciata trasportare troppo da
quella storia d'amore essendo anche la prima e stavo esagerando un
po' troppo le cose. Non per forza la nostra relazione sarebbe durata
a lungo, magari sarebbe finita anche tra pochi mesi o anche giorni.
Nulla era prevedibile in amore e lo stavo imparando a poco a poco, ma
per il momento mi sarei goduta ciò che il nostro amore ci
stava
regalando senza pensare ad un'ipotetica rottura. Era troppo doloroso
anche solo pensare di stare lontana da lui e credere che quello
potesse, un giorno, diventare reale mi uccideva.
Le nostre lingue si cercarono
nello
stesso momento e si incontrarono, si sfiorarono e si attorcigliarono
tra loro con tutta la passione che non avevamo espresso in quelle
ventiquattro ore di lontananza. Era come se le nostre bocche avessero
sentito la mancanza dell'altro e che volessero recuperare tutti i
baci che ci erano stati negati in quelle ore in cui non si erano
incontrate.
«Vuol dire che mi
perdoni?» Chiese
speranzoso muovendo il pollice per accarezzarmi la guancia.
«Diciamo di
sì.» Dissi ridacchiando.
Dario sorrise e mi
baciò di nuovo,
mordicchiandomi il labbro inferiore con delicatezza.
«Ti amo,»
disse senza staccare le sue
labbra dalle mie e il suo fiato bollente si infranse nella mia bocca.
«Anche io ti
amo.» Risposi con un
sorriso ed affondai le mani nei suoi capelli castani, avvicinandolo
di nuovo a me.
Lo avrei baciato per tutto il
giorno, lo
avrei baciato fino a rimanere senza fiato, fino a che non si sarebbe
esaurito il suo meraviglioso sapore di vaniglia. Dario mi cinse i
fianchi, passandomi un braccio dietro la schiena e avvicinò
il mio
corpo maggiormente al suo. Era caldo, era bollente e desideravo
sentirlo completamente, fondermi con lui e non lasciarlo andare
più
via. Peccato che i suoi amici erano di tutt'altro avviso e sembravano
non gradire le nostre smancerie.
«Hey, Romeo e
Giulietta!» Esclamò
Adriano infastidito con la palla sotto il braccio. «Dovete
trombare
o possiamo tornà a giocare?»
Arrossii di colpo e sgranai
gli occhi
pensando a noi due che consumavamo davanti a tutti, mentre Dario
sembrava realmente divertito dall'affermazione del suo amico. Infatti
stava ridendo e finalmente lo vidi felice, così come piaceva
a me e
così come mi ero ripromessa di farlo sentire.
«Arrivo!»
Brontolò e mi baciò ancora
a fior di labbra. «Ti amo» Disse cominciando ad
allontanarsi da me
a ritroso per non perdere il nostro contatto visivo. Gli sorrisi e
gli lanciai un bacio. Era inutile che gli dicessi Anche io,
sarei stata solo ripetitiva. Ormai sapeva quanto lo amassi, lo
sapevano tutti, dalle pareti delle nostre case che avevano guardato
silenziose il nostro amore consumarsi alla luna che ci assisteva dl
cielo, fino ad arrivare alle stelle che ci osservavano e che erano
invidiose degli occhi di Dario, della loro luminosità che
offuscava
quella degli astri.
Mi sorrise ed
allargò le braccia quando
raggiunse il campo ed i suoi amici.
«Ti amo!»
Ripeté, questa volta con
tono più forte e deciso in modo da farsi sentire da tutti.
I ragazzi che si trovavano
dietro di lui
rimasero sorpresi da quella confessione, tranne Adriano che sembrava
quasi rassegnato all'idea che il suo amico fosse un'altra persona
rispetto a quella che aveva conosciuto. Non lo dava a vedere, ma ero
sicura che fosse confuso da tutto quello che stava accadendo. A dir
la verità anche io ero rimasta piacevolmente colpita e
stupita dal
suo Ti amo quasi urlato, da quella dichiarazione
fatta davanti
a tutti. Aveva messo da parte la sua apparenza, alla quale teneva
così tanto, solo per me e fui contenta di averlo perdonato.
Magari
ero ingenua a farmi sempre abbindolare dai suoi sguardi e a lasciar
perdere qualsiasi cosa, ma poi Dario mi sorprendeva sempre
piacevolmente e non mi dava motivo di pentirmi della mia decisione.
La partita di calcetto
ricominciò e mi
sembrò di vedere in campo un altro Dario, più
sorridente e
concentrato di prima. Non badai molto alle azioni dei vari giocatori
perché il mio sguardo era stato catturato dal mio ragazzo
che
correva e si sbracciava per poter ricevere la palla. I suoi compagni,
però, sembravano restii nel dargli ancora fiducia dato gli
erroracci
che aveva fatto poco prima. Ma alla fine il topo rasato, non avendo
altra scelta passò quella dannatissima palla a Dario che la
stoppò
con il petto e accelerò la sua corsa verso la porta
avversaria.
Scartò un paio di omini blu, con qualche
difficoltà, rischiando
ancora una volta di perdere la palla e si avvicinò
pericolosamente
all'area di rigore, attirando subito l'attenzione del difensore che
gli corse incontro per evitare che segnasse. Ma Dario
approfittò di
un istante di distrazione dell'omino blu e fece passare la palla in
mezzo alle sue gambe, allungandosela ancora di più verso la
porta.
Con uno scatto che bruciò sul tempo il suo avversario la
recuperò e
caricò la gamba sinistra, lanciandola verso la rete che
l'accolse
subito dopo. Scattai in piedi e cominciai a saltellare sul posto,
urlando come una pazza per la gioia di averlo visto segnare. Sembrava
che fossi allo stadio e che avesse appena segnato Sogno, il mio
calciatore preferito ed ero sicura che i pochi spettatori che c'erano
lì mi avevano presa per scema. I compagni di squadra di
Dario gli
andarono incontro, abbracciandolo e saltandogli letteralmente addosso
per festeggiare il primo gol della squadra. Ma lui si
divincolò
dalla loro morsa e mi rivolse uno sguardo. I suoi occhi finalmente
ridevano e il temporale che ci aveva sorpresi e che avevo creduto
potesse essere catastrofico era passato, le nuvole nere si erano
diradate lasciando spazio a quel sole lucente che ora si rifletteva
nelle iridi di Dario. Mi sorrise ed unì le punte degli
indici e
quelle dei pollici mimando la forma di un cuore e lo dedicò
a me. Io
feci lo stesso, lanciandogli anche un bacio con le labbra e
urlandogli un Ti amo che avrebbe sentito perfino
chi si
trovava su Marte.
«Anche
io!» Mi urlò, portandosi poi
una mano sul cuore.
Era stato solo un fulmine che
aveva
squarciato il cielo e che aveva creato solo un grande caos con il suo
boato, che sembrava voler preannunciare una catastrofe che non era
avvenuta. Il sole aveva avuto la meglio su di lui e tutto era tornato
alla normalità, illuminato dai raggi caldi e luminosi della
nostra
stella. Quello che c'era tra di noi era troppo forte per poter essere
spazzato via con una sola folata di vento e il baratro nero in cui
credevo che sarebbe sprofondato il nostro amore scomparve a poco a
poco risucchiato dalla luce intensa di quello stesso sole che
splendeva su di noi e che ci accompagnava in quel tortuoso cammino
che era l'amore.
Nonostante il gol di Dario, la
sua
squadra perse miseramente. Quattro a Uno fu il risultato finale e la
colpa era solo del sosia di Federico che ci sapeva fare con la palla
e che avrebbe potuto avere un futuro come giocatore professionista. I
ragazzi, bottiglietta d'acqua alla mano che usarono solo per bagnarsi
e rinfrescarsi dopo la partita, si diressero verso gli spogliatoi
ridendo e scherzando tra loro. Dario si fermò poco prima di
sparire
dentro la struttura e mi sorrise.
«Ti aspetto negli
spogliatoi.» Mi
disse, indicando l'interno del centro sportivo.
Annuii con un sorriso e lo
vidi
inoltrarsi lì dentro insieme a tutti gli altri. Aspettai
dieci
minuti, durante i quali rimasi a fissare il campo inebetita con un
sorriso che partiva da un orecchio e finiva sull'altro. Tutto si era
risolto per il verso giusto e non potevo essere più
contenta. Avevo
avuto un'altra conferma di quanto mi amasse, avevo visto Dario
mettere da parte ciò che era stato e ciò che i
suoi amici
veneravano solo per me dichiarando il suo amore per me a tutti
quanti. Mi sentivo un po' in colpa, però. Lui faceva un
sacco di
cose per me ed io me ne stavo solo lì a guardare e a
ricevere delle
“sorprese” che forse non meritavo.
Mi alzai dagli spalti e mi
inoltrai nella
struttura seguendo i cartelli con su scritto “Spogliatoi”.
Si trovavano alla fine di un lungo corridoio e, appena li raggiunsi,
mi appoggiai alla parete attendendo di poter entrare. Non volevo
piombare lì dentro e magari trovarmi Adriano nudo. Non che
fosse una
brutta visione dato che il biondino non era niente male, ma sarebbe
stato molto imbarazzante. Per cui attesi ancora qualche minuto
sentendo che da dietro la porta provenivano ancora degli schiamazzi.
Rimasi immobile lì
fuori per un'altra
decina di minuti buoni, finché, finalmente, non uscirono il
topo
dalla testa pelata seguito a ruota dal Federico-romano e gli altri.
L'ultimo a chiudere la fila era Adriano che stava imprecando contro
l'acqua fredda della doccia. Quando i suoi occhi cerulei incontrarono
i miei si fermò ed abbozzò un sorriso.
«Ciao.» Mi
disse con tono basso.
Lo salutai con un gesto della
mano e
stavo per entrare nello spogliatoio, ma la voce di Adriano mi
bloccò.
«Senti,»
esordì passandosi una mano
dietro la nuca. «Mi dispiace per ieri, che t'ho chiamata cozza,
cessa, scorfana e tutto il
resto. Stavo a scherzà!»
Mi sorrise e mi diede una pacca sulla spalla che per poco non mi
smontò.
«Tranquillo. Non me
la sono presa.»
Sorrisi di rimando, anche se in realtà avrei voluto
spaccargli la
faccia per quello che aveva detto.
«Pe'
fortuna!» Esclamò passandosi una
mano sulla fronte e ridacchiando. «Non credevo che tra voi
due,
insomma, ci fosse... sì, insomma...»
«Qualcosa di
serio?» Chiesi retorica ed
Adriano annuì.
«Me parte come sex
machine e me ritorna
accoppiato,» sghignazzò, scuotendo la testa.
«Cioè, cazzo, me lo
hai rincoglionito, sore'!»
Sorrisi annuendo, anche se il
linguaggio
colorito di Adriano continuava a darmi sui nervi. Nonostante tutto,
però, non era poi così antipatico e tutti i
timori di Dario non
erano fondati. Non aveva fatto nemmeno una piega il suo migliore
amico quando aveva scoperto che era innamorato di me, a parte lo
stupore iniziale. Magari, però, era contrariato e non lo
dava a
vedere ma sembrava comunque aver accettato il nostro amore.
«Siete carini
insieme.» Disse poi con
un sorriso non del tutto convinto.
«Dovresti trovarti
anche tu una ragazza,
non credi?» Gli chiesi con un chiaro tono provocatorio.
Adriano scrollò le
spalle. «Ho
ventiquattro anni e me vojo divertì.»
«Ma dici
così perché la ragazza che ti
piace non ti fila?»
«Umpf!
Figurati,» si stizzì lui e mi
liquidò con un gesto della mano. «Se una tipa me
piace sta sicura
che me la dà.» Disse sicuro di s,é
anche se il suo tono non era
dei più convinti. Borbottò qualcosa e mi
sembrò di sentire il nome
Serena o Milena ed intuii che quella ragazza misteriosa aveva fatto
breccia nel cuore del freddo Adriano. Sorrisi soddisfatta nel vederlo
arrossire piano piano.
«Vabbè,
io vado,» tagliò corto, molto
probabilmente perché non gradiva quel discorso.
«Ci si becca,
Alice.»
Si allontanò da me
e si voltò verso
metà corridoio, indicandomi con entrambi gli indici.
«E prendite cura di
Dario. Non farmelo
frignare come 'na checca!»
«Vai
tranquillo,» lo rassicurai
ridacchiando. «È in buone mani.»
Mi sorrise per poi sparire
lungo il
corridoio. Mi voltai verso la porta e presi un respiro profondo prima
di entrare e trovarmi Dario seduto su una panchina di legno senza
maglietta e con addosso ancora i calzoncini della partita, i gomiti
appoggiati alle ginocchia larghe e il volto basso. Era ancora sudato
per cui dedussi che non aveva ancora fatto la doccia.
«Toc toc.»
Dissi per richiamare la sua
attenzione e il suo sguardo si sollevò per incontrare il
mio. Non
appena mi vide sorrise e scattò in piedi, raggiungendomi per
abbracciarmi e baciarmi. Nulla di troppo passionale, avevamo
già
dato davanti a tutti, solo qualcosa di rapido e casto ma non meno
appagante.
«Scusami davvero
tanto Alice,» disse
con un filo di voce giocando con una mia ciocca di capelli.
«Sono un
cazzone, un deficiente! Non so nemmeno io perché ho finto
con
Adriano.»
«Per fortuna che te
lo dici da solo,
così mi risparmi dal coprirti di insulti.»
Ridacchiai e lui mi
guardò con gli occhi ridotti a due fessure e il naso
arricciato.
«Me li meriterei
comunque,» bofonchiò
e si guardò le scarpe. «E se vuoi sfogarti e
riempirmi di parolacce
fallo pure.» Esclamò allontanandosi da me e
allargando le braccia.
«Tanto diresti solo la verità.»
«Smettila di dire
idiozie,» borbottai
afferrandogli un braccio e avvicinandolo a me. «Hai sbagliato
e
questo ormai è ovvio. Ma errare humano est.»
Sospirai
scrollando le spalle.
«Adesso parliamo
anche latino,»
bofonchiò. «Ho sempre odiato il latino. E anche il
greco. Colpa
dello Scempia e dei suoi perfidi due.» Straparlò
ed io non capii
che cosa c'entrassero adesso i suoi voti del liceo. Dario non aveva
tutte le rotelle a posto e di questo ne ero sempre più
convinta.
«Ma, comunque, sarà anche umano ma ne faccio
davvero, davvero
troppi di errori.» Riprese sconsolato.
«Ma si trova sempre
il rimedio ai propri
sbagli, no? O comunque, tu ci riesci.» Dissi con un sorriso.
«Solo se si ha
accanto una ragazza
paziente e comprensiva come te.» Sospirò.
«Sono ancora convinto di
non meritarti. Sei troppo buona per uno che sbaglia in continuazione
come me.»
«Che fai? Adesso
scappi di nuovo?»
Scherzai, anche se ricordare quella maledetta sera di San Valentino
era ancora doloroso.
«No, mai
più! Non da te, almeno.»
Soffiò sulle mie labbra poi le intrappolò tra le
sue,
mordicchiandole ed assaporandole. Intrecciai le braccia dietro al suo
collo e mi spinsi di più verso di lui. Il suo corpo era
caldo, oltre
che sudato ed incredibilmente sexy e appena mi scontrai con lui,
appena lo sfiorai una scossa intensa si propagò dal basso
ventre. Lo
desideravo più di qualsiasi altra cosa, ma quello non era il
momento
per fare l'amore... solo di chiarire.
«Sono io a non
meritarti.» Mormorai a
pochi millimetri dalle sue labbra.
I nostri visi erano
dannatamente vicini,
così come i nostri corpi che strusciavano l'uno sull'altro.
Ogni
contatto con il suo petto nudo era un brivido alla base della nuca
che percorreva tutta la spina dorsale e si espandeva in ogni parte
del mio corpo.
«Che te sei fumata,
Alice?» Domandò
dubbioso.
«Insomma tu fai un
sacco di cose per me
ed io invece mai nulla.» Mormorai.
«Le faccio
perché devo farmi perdonare
per le mie immense cazzate!» Mi rispose con un sorriso,
accarezzandomi la guancia.
«Sei felice con
me?» Chiesi a
bruciapelo, e Dario rimase per un attimo perplesso.
«Ma certo, piccola.
Sono più che felice
di stare con te.» Rispose senza esitazione e mi
accarezzò la
guancia.
Gli sorrisi con un pizzico di
imbarazzo e
ripensai alla foto di Sole dietro i poster, tanto che c'ero avrei
dovuto affrontare quel discorso e togliermi tutti i dubbi, anche se
la maggior parte di essi si erano dissipati.
«Come ti vengono
queste domande?»
Esclamò incredulo e mi sfiorò una gota con le
labbra.
«Beh...
perché... ti vedevo un po'
assente,» scrollai le spalle e mi morsi l'interno del labbro.
«Sai i miei hanno
scoperto che mi
prostituivo, mio fratello fa di tutto per rovinarmi le giornate e mia
madre non mi rivolge nemmeno la parola...» Lasciò
la frase in
sospeso e capii che il motivo del suo umore non ero io bensì
la sua
famiglia, come al solito. «Solo con te sono davvero felice e
non
vedo l'ora che arrivi la notte per poter stare da solo con te e
godermi finalmente un po' di tranquillità.»
Dario sarà anche
stato una capra in
latino e greco, ma con la dialettica ci sapeva fare. Le sue parole
erano sempre bellissime e mi spiazzava ogni qualvolta le sentivo
uscire dal suo cuore con così tanto sentimento. E
ciò che mi
rendeva ancora più contenta era il fatto che fossi io a
ispirarlo,
che io fossi la sua Musa.
«Come sei
tenero,» commentai,
baciandolo in fronte e facendolo arrossire. «E delle foto
dietro i
poster che mi dici?» Chiesi tutto d'un tratto.
«Che
foto?» L'espressione di Dario era
dubbiosa. «Non mi ricordo di nessuna foto.»
«Quelle con Sole...
in cui tu sembravi
così innamorato.» Gli ricordai con un filo di voce.
«Ah,
sì!» Esclamò picchiandosi una
mano sulla fronte. «È da talmente tanto tempo che
non metto piede
lì dentro che mi ero perfino scordato di quelle
foto,» ridacchiò.
«E comunque quello è il passato. Sole è
il passato. Mentre tu sei
il mio presente e il mio futuro. Sono innamorato
di te, non di
Sole.»
E quelle parole furono
liberatorie, mi
tolsero quel peso opprimente che impediva al mio cuore di battere con
tutta la sua potenza, furono come acqua durante una traversata del
deserto, come aria dopo un'immersione dalla quale credevo di non
uscire più. E non solo le parole che aveva detto, ma anche
il modo
in cui si era espresso, con così tanta dolcezza e tanto
amore mi
fecero provare quelle sensazioni di liberazione.
«Ti amo.»
Risposi semplicemente, senza
sapere che dire di fronte alla bellezza delle sue parole.
«Ti amo anche
io,» disse lui. «Ti
amo davvero, ti amo lo giuro, ti amo, ti amo davvero.»
Canticchiò la canzone di Baglioni e mi baciò
all'angolo della
bocca.
Ridacchiai e lui intanto si
allontanò da
me avvicinandosi al suo borsone e recuperando qualcosa dalla tasca.
Mi raggiunse e mi fece penzolare la collanina con la fata danti agli
occhi.
«L'ho trovata
stamattina sul tuo
comodino,» disse con un filo di voce. «La
rivuoi?»
«Certo!»
Esclamai senza pensarci su.
Quello era il suo regalo, il nostro segno d'amore, il ricordo di
tutti i mesi, i giorni e gli istanti passati insieme. Dario sorrise e
fece un passo verso di me. Sollevai i capelli e lui mi
circondò il
collo con la catenina e la agganciò. La guardai e la
sfiorai,
sorridendo al mio ragazzo che mi osservava felice.
Poi gli strinsi il viso tra le
mani e
approfondii quel contatto, lambendo la sua lingua con la mia. Un
bacio non mi bastava, volevo qualcosa di più. Volevo farmi
travolgere ancora dalla passione e sprofondare in quel turbine
lussurioso con lui. Dario sembrò del mio stesso parere dato
che,
senza perdere tempo, afferrò i lembi della mia maglietta
dell'Hard
Rock e me la sfilò. Mi passò un braccio dietro la
schiena nuda e mi
strinse di più a sé. Le sue labbra si
allontanarono dalla mia per
lambire la mia pelle, prima quella del collo, poi la clavicola ed
infine le sentii roventi tra i miei seni. Li baciava e li leccava
mentre una sua mano forte e ruvida ne stringeva uno, accarezzando con
movimenti circolari il capezzolo. Chiusi gli occhi e mi morsi
entrambe le labbra, ansimando sommessamente mentre una mia mano gli
scompigliava i capelli. Cavolo! Stavamo per fare l'amore in uno
spogliatoio, avrebbero potuto scoprirci da un momento all'altro, ma
non me ne importava nulla. Ero talmente eccitata e vogliosa di lui
che non mi interessava degli altri, non mi interessava di nessuno se
non di noi e della nostra passione. Il nostro mondo era racchiuso il
quelle quattro pareti e tutto ciò che succedeva all'esterno,
tutti
quelli che erano fuori dal nostro contesto non contavano nulla.
«Ho bisogno di una
doccia.» Mugolò sui
miei seni.
«Adesso?»
Domandai scocciata.
Le dita di Dario afferrarono
le spalline
del mio reggiseno e le fece scivolare giù lungo le spalle,
scoprendo
parte dei capezzoli ed afferrandone uno tra le labbra. Strinsi di
più
le ciocche dei suoi capelli e per poco le gambe non mi cedettero. Il
piacere che solo le sue labbra riuscivano a darmi era spiazzante, era
talmente intenso da farmi tremare e da rendere i miei arti molli come
burro.
«Tu vieni con
me.» Rispose poco dopo,
guardandomi con i suoi occhi di brace che ardevano di desiderio.
Sorrisi maliziosa e lui fece
lo stesso.
Si piegò in avanti e fece passare un braccio sotto le mie
ginocchia
per sollevarmi da terra. Avvolsi le braccia intorno al suo collo e mi
lascia trasportare verso la doccia mentre lo baciavo con gli occhi
aperti per vedere i suoi bruciare, per guardare la passione
consumarsi nelle sue iridi. Entrammo in quel box piastrellato di
azzurro non più grande di cinque metri quadrati. Era uno
spazio
piccolo ed angusto, forse addirittura insufficiente per contenere il
nostro desiderio dirompente. Fece aderire la mia schiena alla parete
fredda della doccia e Dario si spalmò su di me. Eravamo
labbra
contro labbra, cuore contro cuore, abbracciati l'uno all'altro e
pronti ad abbandonarci totalmente all'amore. Le sue mani percorsero
il profilo del mio corpo e si fermarono al bordo dei calzoncini di
jeans per spostarsi verso il bottone. Lo slacciò con una
straziante
lentezza ed abbassò la zip strusciando di proposito il dorso
della
mano contro la mia intimità. Gli morsi un labbro e mi
aggrappai alle
sue spalle larghe per non capitombolare a terra.
Riaprimmo gli occhi nello
stesso momento
e i suoi erano carichi di una malizia pronta a scoppiare,
così come
il suo sorriso di sbieco. Le sue labbra si posarono leggere
nell'incavo delle mie clavicole scendendo verso i miei seni e ancora
giù verso l'addome, solleticandomi con la punta della
lingua. Quando
arrivò al bordo dei pantaloncini alzò il suo
sguardo ardente verso
di me e si leccò un labbro. Afferrò il lembo dei
pantaloni e con
estrema lentezza li fece scendere lungo le mie gambe insieme agli
slip. Mi tolsi le Superga velocemente e le lanciai da qualche parte,
poi mi disfai definitivamente di quegli ingombranti vestiti.
Le mani di Dario si
arpionarono alle mie
cosce e la sua lingua risalì lungo la mia gamba destra,
baciandomi
ogni centimetro di pelle scoperta e arrivando fino all'inguine. Mi
baciò nell'interno coscia e poi più intimamente.
Mi addossai
maggiormente alla parete e strinsi il miscelatore della doccia per i
fremiti di piacere intenso che quel contatto mi provocava. Era un po'
come tornare indietro nel tempo, a quella sera sul divano quando non
eravamo riusciti a contenere quel desiderio reciproco che entrambi
cercavamo stupidamente di arginare. Era esploso tutto d'un tratto,
complice la pioggia e la malinconia che riempiva quella casa,
complice quel bacio che ci eravamo dati sul balcone e quella
intimità
che si era creata tra di noi non appena lui aveva varcato la soglia
di casa mia. E quella passione che credevamo fosse solo un fuoco di
paglia, in realtà mascherava qualcosa di ben più
profondo che
inizialmente nessuno dei due riusciva ad accettare, ma che alla fine
si era dimostrato più potente del nostro orgoglio e delle
nostre
paure. Ed era forse l'amore che c'era tra di noi, quella
complicità
che solo due fidanzati potevano avere e l'assenza totale di imbarazzo
che rese ancora più eccitante quel momento, molto
più di quella
sera di Febbraio.
Mi abbassai verso di lui e gli
presi il
viso tra le mani costringendolo ad alzarsi. Mi piaceva sentire le sue
labbra a contatto con la mia sensibilità, ma volevo qualcosa
di più,
volevo rendere quel momento ancora più speciale. Dario mi
guardò
dubbioso, ma non gli diedi il tempo nemmeno di farsi domande che lo
baciai con trasporto, succhiando quelle sue labbra piene dal sapore
dolce. In un impeto di passione Dario mi slacciò il
reggiseno e lo
lanciò dietro di sé, potendo così
stringere il mio seno tra le sue
mani forti.
Appoggiai le mani sul suo
ampio petto e
le feci scendere, percorrendo quei muscoli che ormai conoscevo a
memoria ma dei quali non mi sarei mai stancata, così come
non mi
sarei mai stufata di Dario in sé. Era talmente perfetto,
così bello
e con una personalità così fragile e stravagante
da farmi sentire
banale di fianco a lui, ma non con lui perché era in grado
di farmi
sentire importante tra le sue braccia, di farmi sentire unica e
desiderata. Afferrai l'elastico dei suoi pantaloncini ed imitai
quello che aveva fatto lui poco prima, sbarazzandomi di quegli
indumenti inutili e scoprendo il suo desiderio dirompente.
Liberai le sue labbra e,
ansante, scrutai
con minuzia ogni centimetro del suo corpo quasi estasiata dalla
perfezione che si celava in lui. Deglutii a vuoto e gli lasciai un
bacio all'altezza del cuore dove solo in quel momento notai un
piccolo tatuaggio che raffigurava una chiave. Non badai a quel
piccolo particolare ma proseguii per il mio cammino lungo il suo
addome e mi fermai all'altezza delle sue anche. Gli accarezzai una
coscia e rimasi a fissarlo per dei minuti interminabili. Non sapevo
nemmeno io quello che stavo facendo in realtà. Era la
passione a
spingermi in quella direzione, a guidarmi verso piaceri che ancora
non conoscevo.
«Che vuoi fare
Alice?» Mi domandò
leggermente preoccupato.
«Non... non lo
so.» Risposi, non del
tutto conscia di quello che stavo per fare.
Avevo il respiro accelerato e
il cuore
che sembrava essermi salito in gola. Stavo osando e lo sapevo bene e
forse stavo affrettando un po' le cose. Ma sentivo il desiderio di
Dario scalpitare dentro di me, lo sentivo infiltrarsi in qualsiasi
cellula e farle fremere insieme ad ogni fibra corporea. Mi sistemai
una ciocca di capelli dietro l'orecchio e dischiusi le labbra,
avvicinandomi a lui e alla sua perdizione. La circondai e la sentii
scivolare nella mia bocca con un ritmo lento che mandò in
estasi
Dario. Appoggiò con violenza una mano alla parete,
inclinandosi
leggermente in avanti e con l'altra si arpionò al
miscelatore, che
si aprì per l'irruenza con sui l'aveva stretto. L'acqua
cominciò a
ricadere su di noi come pioggia, a bagnarci e a trasportarci a quel
giorno di acquazzone in cui ci eravamo dichiarati il nostro amore.
«Porca vacca,
Alice.» Mugugnò
sorreggendosi alla parete.
«Non, non
gradisci?» Chiesi imbarazzata
ed impaurita di aver commesso qualche errore.
«No, per gradire
gradisco. Anche
troppo,» rispose in un rantolo. «Ma non voglio
farti fare passi
troppo lunghi.»
«Non sei tu che mi
costringi,» lo
rassicurai guardandolo in quegli occhi neri e liquidi colmi di
piacere .«Sono io che voglio farlo.»
Dario mi sorrise intimidito e
deglutì a
fatica. Mi umettai le labbra e strinsi il suo desiderio nella mia
mano tornando a quello che stavo facendo prima che lui mi
interrompesse. Non avrei mai creduto che una cosa del genere potesse
piacermi, anzi, quando ne parlavano le mie compagne di classe mi
schifava alquanto. Ma con Dario anche la cosa più riluttante
diventava meravigliosa. Mi piaceva il suo sapore caldo e mi piaceva
vederlo così eccitato, vedere il suo viso bagnato ed
arrossato per
il piacere.
Lambii il suo desiderio con la
lingua e
lo sentii rantolare, lo vidi incurvarsi maggiormente e mi
sembrò che
stesse per crollare da un momento all'altro. Ad ogni movimento delle
mie labbra feci corrispondere un gesto lento della mano il che
eccitò
ancora di più il mio ragazzo. Non ero di certo un'esperta in
materia, anzi ero anche abbastanza imbarazzata ed impacciata nei
movimenti che sembravano meccanici. Non avevo la benché
minima idea
di cosa stessi facendo e avevo perfino paura di fargli del male con i
denti. Per cui scivolavo lenta in modo da non creargli danni e dolori
inutili.
La mano di Dario, quella con
cui si era
aggrappato al miscelatore, affondò tra i miei capelli e mi
accompagnò in quei movimenti avanti e indietro lungo il suo
piacere.
«Dio mio.»
ansimò stringendo qualche
ciocca. «Mi... stai... facendo... impazzire.» Disse
ansante
inclinando la testa all'indietro.
Respirava a fatica, e i versi
che gli
uscivano dalla bocca erano rantoli di piacere che sembravano musica
per le mie orecchie. Avevo preso il ritmo, ormai, e tutto cominciava
ad essere naturale. Era una sensazione piacevole e anche abbastanza
eccitante. Mi sentivo tutta scombussolata, percorsa da scariche
elettriche che si fermavano al basso ventre facendomi bruciare ed
ardere, rendendomi impaziente di averlo dentro di me. Come se mi
avesse letto nel pensiero, Dario passò una mano dietro la
mia nuca e
mi accarezzò tra i capelli.
«Basta,
piccola.» Disse dolcemente ed
io mi allontanai da lui rialzandomi.
«Perché?»
Domandai ingenuamente, e lui
mi baciò la punta del naso.
«Te lo spiego quando
sei più grande,»
ridacchiò e mi sentii un tantino offesa. «Adesso
abbiamo altro a
cui pensare.»
Mi baciò con
irruenza e le sue mani mi
strinsero le cosce. Sollevò una gamba e capii che avrei
dovuto
aggrapparmi a lui e così feci. Con una piccola spinta ed
aiutata da
lui cinsi le gambe intorno al suo bacino. Dario mi sorresse con una
mano mentre con l'altra si aiutò per entrare a me che ero
pronta per
accoglierlo. Era da qualche giorno che non facevamo l'amore e mi era
mancata quella sensazione di completezza che solo lui era in grado di
darmi. Mi erano mancati i nostri ansimi surriscaldavano l'ambiente
già abbastanza bollente. E mi era mancato sentire il suo
corpo fuso
con il mio e il cuore battere all'impazzata, il fiato venire a
mancare ed il sangue ribollire per l'eccitazione.
I movimenti di Dario erano
serrati,
veloci e mi sentivo più accaldata del solito, nonostante
l'acqua
fredda che ci colpiva. Scalpitavo e sentivo le mie membra bruciare
con quella passione ardente condensata in pochi metri quadrati.
Appoggiai il viso sulla sua spalla gemendo sulla sua pelle dall'odore
dolciastro che mi inebriò i sensi. Stavo completamente
perdendo la
ragione talmente era piacevole sentirlo dentro di me così a
fondo.
Molto di più delle volte precedenti e ancora più
appagante.
«Ti amo.»
Ansimai con un filo di voce.
Stavo perdendo qualsiasi forza, prosciugate da quel piacere intenso
che stavo provando e le parole mi uscirono sospirate, in un sussurro
strozzato.
«Dimmelo
ancora.» Gemette, aumentando
il ritmo delle spinte.
Gli morsi una spalla e
affondai le unghie
nella sua schiena quando un fremito incontrollabile e smodato mi
colse, seguiti da alcuni spasmi addominali che non mi sapevo
spiegare.
«Ti amo.»
Ripetei quasi urlandolo e la
mano di Dario mi strinse un seno, toccandolo e aggiungendo piacere a
tutto quello che avevo accumulato fino a quel momento.
«Anche io ti
amo.» Disse in un gemito e
la sua mano si spostò lungo il mio corpo insinuandosi tra le
mie
gambe e solleticando la mia intimità. In quel momento gli
spasmi
muscolari si fecero più intensi e sentii il mio corpo
ribollire.
Urlai senza ritegno e senza nemmeno rendermi conto. La mia voce era
uscita spontanea dalla mia bocca incrinata dal piacere e sospettavo
che se mi avesse rimessa a terra sarei caduta sul pavimento della
doccia come un sacco di patate perché le gambe non sarebbero
state
in grado di reggermi. Non avevo idea di cosa fosse successo, ma era
stato qualcosa di talmente violento e piacevole. Dario sorrise
compiaciuto e mi baciò con foga, diminuendo il ritmo e
sorreggendosi
alla parete con la mano. Anche lui sembrava allo stremo, prosciugato
da qualsiasi forza. Dopo alcuni secondi sentii un calore avvolgermi
l'intimità, riempirmi e scivolare lungo le cosce seguito da
un
rantolo gutturale di Dario.
Il nostro amore non era
più in bilico.
Aveva sorriso a quel dannato buco nero che voleva risucchiarlo e gli
aveva voltato le spalle, beffandosi della sua ingenuità e di
lui che
aveva creduto di poter fermare qualcosa di così grande.
_____________________________
Il capitolo tanto atteso finalmente
è arrivato!
Vi ho fatto attendere parecchio, scusatemi! Ma, di tempo, ce
n'è poco in questo periodo.
Sarò sintetica, o almeno ci proverò.
Inizialmente, tra Alice e Dario c'è ancora parecchia
tensione. Lui è molto abbattuto per quello che è
successo, si sente davvero in colpa, ma questo non basta per far
sbollire Alice, ovviamente. C'è stato un momento
di tenerezza tra i due, durante la notte, si amano troppo per poter
stare lontani. Ma nemmeno questo è necessario e la scossa
arriva con la lettera che Dario ha deciso di scrivere ad Alice. Lui
è disposto a lasciarla andare, se lei lo vorrà.
È l'unico gesto d'amore che, dopo quello che è
successo, gli rimane da fare. Non mi dilungo molto su Dario,
perché domani arriverà la shot dal suo punto di
vista :3 e allora potrete entrare per un po' nella sua mente contorta.
La lettera ha smosso il cuore di Alice, che dunque decide di
raggiungere Dario al campetto per chiarire, per vederlo negli occhi
mentre le dice quelle cose. E Dario non si smentisce. È
sempre dolce con lei e ha davvero capito il suo errore, tanto che dopo
urla a tutti il suo amore. Un gesto carino, anche se magari non
è molto. Forse criticherete Alice per aver ceduto
così in fretta, magari doveva farlo patire di
più, ma avrete capito che questi due non possono stare senza
l'altro, che lei è talmente innamorata che non riesce a
lasciarlo andare.
Ed, infine, la scena hottosa nella doccia :3 durante la quale Alice si
lascia andare e esplora nuovi campi, insomma! Non credo ci sia altro da
aggiungere.
Ok! Avevo detto che sarei stata sintetica ed è stato
così! Per cui ringrazio le ben 26 persone che
hanno recensito lo scorso capitolo, tutte quelle che hanno inserito la
storia tra le preferite/seguite/ricordate. Grazie davvero di cuore
♥
Come
in un Sogno - con Ionarrante.
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