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Autore: IWontFade    04/11/2011    1 recensioni
Questo è il prologo di quella che è la mia prima vera fanfiction. Quando nello stesso istante una normale ragazza italiana scopre di non essere così normale e un incredibile uomo americano scopre che si, è davvero incredibile, qualcosa di strano può accadere e stravolgere due interi universi.
Io non conosco assolutamente i protagonisti e non so come si comporterebbero in situazione assurde e improababili come queste, ma far galoppare la fantasia è forse una delle qualità migliori che ho e mi piace vivere, morire, sanguinare per lei, nella mente, negli ochhi la posso vedere , è la fantasia.
Di questo parla la storia. Di pura fantasia.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo il concerto mi demoralizzai al massimo. Non avevo idea di come funzionasse un meet and greet e quello che vissi mi deluse in qualche modo. Anche perché mi aspettavo un atteggiamento completamente diverso da parte di Jared.

C’erano più di quaranta persone in una fila che sembrava infinita. Io ero più  o meno verso la fine e questo peggiorò ancora le cose. Ero abbastanza tesa, quasi come una corda di violino, come si suol dire, e vedere che tutte quelle davanti a me erano ragazzine lì solo per il bel faccino di Jared e per la generosità del loro paparino mi faceva innervosire ancora di più.

Noi stavamo fermi in quello stanzone con il soffitto basso, bianco e troppo illuminato e loro passavano per firmarci dischi, magliette o qualunque cos’altro.

Per primo c’era Shannon. Dietro di lui, con una mano incollata alla sua schiena e con gli occhi fissi su ogni nostra singola mossa, c’era un tizio alto 1 e 90, con corti capelli neri. Una mano in tasca e un’espressione divertita. Il mezzo sorrisetto che gli spuntava sulla faccia gli formava due carinissime fossette ai lati della bocca, e questo lo rendeva un po’ meno inquietante. Lo sguardo era attento, la testa leggermente chinata e gli occhi che guardavano tutto dal basso in alto mettevano una certa soggezione. Meglio guardargli le fossette. Meglio non guardarlo proprio.

La mia attenzione fu subito attratta dal batterista incappucciato. La confusione era tanta e sicuramente non era facile identificarlo in mezzo a tutte quelle persone, però più si avvicinava, più riuscivo a vederlo, a cogliere ogni dettaglio. Eccolo lì, in tutto il suo fascino. Non mi ero mai accorta realmente di come fosse Shannon, certo non lo stimavo meno degli altri due, ma non avrei mai immaginato di cadere intrappolata in quel modo, come sedotta da uno sconosciuto legame invisibile che ci univa. Aveva addosso i suoi immancabili occhiali da sole e vederli mi deluse un po’ perché sognavo da molto di scoprire il reale colore dei suoi occhi. Non l’avevo mai capito, sfido chiunque a descriverlo in una parola. Semplicemente impossibile. Sembrava andasse di fretta, come se quel compito fosse a lui molto pesante, mentre la sua bocca celava a malapena un sorriso divertito. Ero confusa, non riuscivo a descriverlo nella mia testa, non riuscivo neanche a capire. Di solito, quando volevo ricordarmi un momento particolare, l’unico modo era quello di raccontarlo a me stessa mentre lo vivevo, trovare le parole con le quali i miei ricordi sarebbero stati composti. Ogni tanto Shannon salutava furtivamente qualche macchina fotografica, sapendo che non era permesso filmare niente. Sembrava si divertisse, ma ogni secondo cambiavo impressione. Era tremendamente affascinante.

Dopo passava Tomo. Appiccicato a lui –e non in senso metaforico- c’era un omone dal viso spiacevole, con corti capelli biondi e cattivi occhi neri. Faceva quasi paura. Non rimasi molto ad osservarlo perché mi metteva profondamente in agitazione. Quindi cambiai soggetto.

Ecco Tomo, il suo protetto, che era il massimo, il meglio. Quella sera era vestito di nero, dalla testa ai piedi, tranne il cappuccio grigio della felpa che gli spuntava dal colletto della giacca di pelle nera e che gli copriva i capelli. Il suo viso era rilassato, sereno ma al tempo stesso non rivelava troppo dei suoi pensieri. E come suo solito era estremamente bello. Avevo sempre ritenuto quell’uomo speciale, mi stava particolarmente simpatico; d’altronde come può una chitarrista non apprezzare un chitarrista? Lo osservai mentre lentamente passava e firmava, guardava negli occhi chi aveva davanti, un leggero sorriso e faceva un passo. Rimasi così colpita da quello sguardo che mi veniva voglia di andargli davanti e rimanere nei suoi occhi tutto il tempo. Non lo so, aveva qualcosa di talmente umano che sembrava potesse comprendere ogni aspetto dell’anima di quegli sconosciuti. Sentii una morsa che mi stringeva lo stomaco e la voglia di averli davanti e l’eccitazione di essere lì mi annebbiarono completamente la razionalità. Riuscivo solo a pensare a loro, agli aggettivi più positivi che conoscevo, alle emozioni più forti che potessi mai provare.

Per ultimo, forse solo per esaltare ancor di più il suo essere speciale, veniva Jared. Che dire? Sicuramente una descrizione del suo aspetto sarebbe stata inutile, così come lo sarebbe ora. Ricordo ogni suo particolare, forse per il semplice fatto che è ormai parte di me. Conoscevo i suoi capelli, quella sera coperti dal suo adorabile cappello con paraorecchie che lo rendeva non tanto diverso da un dolce cucciolo. Conoscevo i lineamenti del suo viso, il suo nasino da profilo con tramonto e le labbra sottili ma proporzionate. E ricordavo bene la mia parte preferita, i suoi occhi. E con questo credo di aver detto tutto. Passava disinvolto, come se salutasse i suoi parenti più stretti e cari. Il sorriso era a fior di labbra, e lui era sempre pronto a fare qualche strana boccaccia per i filmati clandestini.

Mancava pochissimo e li avrei avuti a pochi centimetri dalla mia faccia. Cosa diavolo avrei detto? Ero eccitata, e al tempo stesso nervosa e mi giravo e rigiravo i cd tra le mani sudaticce. Non ci potevo credere. I miei pensieri erano definitivamente fuori uso, la mia testa non funzionava affatto. Sentivo solo il mio cuore che martellava forte nelle orecchie e le risate esaltate delle fan che li avevano appena incontrati, che non riuscivano a togliersi il sorriso dalla faccia.

Prima che realizzassi ero davanti a Shannon che gli tenevo il cd mentre firmava. Avevo gli occhi sbarrati e credo di aver detto un po’di cavolate senza rendermene conto.
Firma sui dischi, firma sulla maglia, firma sul poster.
La stessa espressione che con le altre, la stessa incomprensibile espressione.
E poi passò, fece un passettino e si ritrovò davanti un’altra ragazzina sbalordita.
Io lo guardavo, persi completamente la percezione delle cose, anche perché Tomo (niente meno che Tomo *-*) mi era di fronte e mi sventolava davanti al naso il pennarello, chiedendomi dove volevo che firmasse. Mi risvegliai un micro secondo giusto per avere il tempo di capire che Tomo era davanti a me e la mia testa non mi ripeteva altro. Gli porsi i dischi e aggiunse il suo scarabocchio di fianco a quello del  compagno per cinque volte.
E passò.
Gli avevo visto negli occhi quel qualcosa che da lontano sembrava infinitamente piccolo e irrilevante, gli avevo visto negli occhi vero amore per ciò che faceva, vera devozione per  chi lo ammirava.
Che cosa strana l’amore.
E in un attimo passò anche lui, passettino, firma, sorriso e passettino.
Poi Jared. Era tutta la sera che lo aspettavo, e mi accorsi che era tutta la vita che lo stavo facendo! Mi guardò e mi sorrise, senza realmente vedermi. Quegli sguardi scambiati in piazza erano lontani anni luce da quel momento.
Ero una delle tante. Mentre firmava lo osservai, sembrava stanco ma felice. Oppure felice ma stanco. Dopo aver firmato mi guardò di nuovo e mi fece un mezzo sorriso salutandomi. Tutto quello che riuscii a dire fu: grazie per lo show, ragazzi, siete magnifici.
Nient’altro.
Ero riuscita un’altra volta a bruciarmi uno dei momenti migliori della mia vita, una delle migliori occasioni.
Addio, mi sembrava che quello fosse l’ultimo errore prima che morissi.
Addio. 

  
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