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Autore: rimmel    04/11/2011    1 recensioni
stringimi madre, ho molto peccato. la vita è un suicidio, l'amore un rogo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sbattendo la porta, uscii dalla stanza. Non ero in grado di sostenere quella discussione, mi sentivo bruciare lo stomaco tanto ero nervosa, sentivo le vene pulsare ovunque, il cuore batteva talmente forte da stordirmi… nemmeno il mio corpo sapeva più sostenere quel dolore e quella furia.
Mi strattonò per un polso, spingendomi in cucina.
Aprì un cassetto e ne estrasse il coltello da carne, quello affilato… quella che, quando ero bambina, la terrorizzava se solo mi avvicinavo al cassetto.
Mi guardò accecata dall’ira e urlò “Forza allora, prendi in mano la tua vita, ammazzati, se è questo che vuoi!”

Io rimasi paralizzata.
Il suicidio non mi spaventava, togliermi la vita non mi faceva paura, vedevo la morte come una specie di liberazione. Anche se, a dire il vero, l’avevo sempre immaginata indolore. Un coltello non mi attirava affatto.
Eppure, non ero in grado di proferir parola. Vedevo solo in quel momento la sua faccia stravolta, gli occhi quasi pesti e iniettati di sangue, le guance scavate, le labbra asciutte, i capelli flosci ricaderle passivamente ai lati del viso.
A terrorizzarmi, non era il coltello, non era il suo aspetto, non era il suo sguardo…
ero io. Mi facevo schifo per il male che le avevo fatto.

Per aver portato mia madre a tale esasperazione, ad invitarmi ad uccidermi, o a fingere di volermi invitare a farlo per ottenere una qualche reazione secondo lei migliore, dovevo averla fatta soffrire oltre ogni limite.
Forse anche per lei, la mia morte sarebbe stata una liberazione.

Buffo: l’unica cosa che mi aveva sempre trattenuta dal togliermi la vita, era stato proprio il pensiero di mia madre.
Me la immaginavo, a trovarmi soffocata in camera, stesa sopra il letto, la faccia affondata nel cuscino… entrava in camera, mi vedeva lì, mi chiamava, mi scuoteva… infine realizzava cosa avessi fatto.
Il dopo… non riuscivo a immaginarlo con precisione, vedevo troppo dolore. Sarebbe stato troppo anche per lei.

Che fare quindi?

Uccidere me, e lei insieme, o affrontare la realtà, una volta per tutte?
Non so dire cosa mi sembrasse più doloroso in quel momento.

Mia madre doveva aspettarsi una reazione diversa dal mio silenzio e dal mio stupore. Lasciò cadere il coltello per terra e crollò su una sedia.
Io non sapevo cosa fare. Forse si aspettava urla isteriche, lacrime, capelli strappati… Non saprei dirlo con esattezza. Quella esausta però, tra noi due, era lei.

Io sopportavo, reprimevo, mi chiudevo in me stessa, lasciavo che tutto mi scivolasse addosso… talvolta senza un preciso motivo qualcosa mi feriva, e mi chiudevo ancora di più.

Vederla soffire in quel modo però… non potevo sopportarlo, la testa scoppiava, il cuore non era mai stato così folle, tremavo… ma non avevo lacrime, nè forza per avvicinarmi a lei.

Per un istante, mi vidi con il coltello conficcato nell’addome, e un sospiro di sollievo.
In quell’istante esatto, mia madre si chinò per raccogliere il coltello e lo rimise al suo posto.

Non so per quale motivo, ma d’un tratto iniziarono a sgorgare lacrime silenziose dai miei occhi e il petto sussultò autonomamente senza che neppure me ne accorgessi.
Mi afflosciai a terra, persi conoscenza.
Al risveglio, trovai le braccia di mia madre, salde, intorno a me.

Decisi che da quel momento non mi sarei mai più concessa niente di simile, e che almeno finchè mia madre fosse stata in vita, nulla avrebbe più potuto ferirla. Io per prima.
   
 
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