Rose, rose, rose,
Inusitato stupore
Corolle a fior di labbra
Baci, baci, carezze
Profumo di fragranza
Felice amore
Ineffabile analogia
Forza misteriosa
Pace, vita, afflatto di vita
Respiro di incanto
Soave tenerezza
Trasognante bellezza
Musica idilliaca
Tale inno alla vita
Enta nell’animo
Corrobora i sensi
Come gli angeli creano
Lusso, avvento
Linguaggio di gloria
Sul mio viso scorrono
Perline di pianto di felicità
Carme di vita, tranquilla estasi
Scorge fulgida poesia delle rose
(Ciro Prussiani)
Sul tavolino in vimini, nel gazebo da cui era ben visibile il cancello delle rose, un’ ape aveva preso a ronzare fastidiosamente sulla copia del New York Times che vi era stata appena posata.
Sembrava che anche l’insetto cercasse il modo di mostrare la sua attenzione alle notizie che il quotidiano americano portava stampate quella mattina. Ma probabilmente l’ape non capiva e mai avrebbe capito cosa spingesse gli uomini a farsi la guerra e, disinteressandosi delle vicende umane, riprese il volo alla ricerca del nettare con cui saziarsi nella ghiotta dispensa che rappresentavano i profumati e bellissimi fiori del giardino.
Candy ne seguì i movimenti e poi rimuginò, con sconosciuto ottimismo dopo gli ultimi mesi, sulle notizie che arrivavano dal fronte europeo: lo schieramento dell’esercito tedesco era stato sfondato ad Amiens e, qualche giorno dopo, il Kaiser Guglielmo II aveva proposto un armistizio che era stato rifiutato.
Le forze dell’Intesa disponevano di maggiori mezzi: carri armati e aerei per la ricognizione.
L’inverno era passato nell’incertezza per le sorti del mondo e del futuro non solo di quei giovani che al fronte rischiavano di perdere il loro avvenire.
L’Agosto del 1918 aveva riportato i soliti colori vivaci e i delicati ed indimenticabili suoni del risbocciare della natura e della vita a Lakewood: anche la natura, come l’ape, si rinnovava e riprendeva il suo ciclo impreziosito da bellezze gratuite e mai apprezzate ignara dei dolori e degli odi che scuotevano gli animi degli uomini di tutto il mondo da ormai tre anni.
Le ultime notizie che giungevano dall’Europa portavano ad un cauto ottimismo che la fine della guerra, finalmente, fosse vicina.
Il Signor Marsh, con la sua divisa blu e la sua grande borsa rossa, irruppe nella pigra giornata estiva che beava la casa nella foresta. Accortasi del postino, Candy le corse incontro con la stessa impazienza di quando era bambina e , all’orfanotrofio, aspettava una lettera di Annie appena adottata.
Allora si spingeva ad afferrare la grande borsa rossa e a cercare da sé una lettera dell’amica andata via da poco e ancora ricordava di quella volta in cui, con l’aiuto degli altri bambini, aveva messo in disordine le missive e causato dei problemi al signor Marsh che, dopo trent’anni di servizio, aveva visto delle capre ridurre in straccetti di carta le lettere che avrebbe dovuto consegnare.
Gli avevano procurano dei grattacapi all’ora i bambini della Casa di Pony ma la pace con Candy era arrivata con la frase: “La corrispondenza è sacra!”
Da allora la bambina aveva sempre aspettato pazientemente che fosse il postino a consegnarle la posta e non aveva più preso iniziative affrettate.
Ricordava ancora la gioia nel ricevere la prima lettera di Annie, il leggerla al buio della sera perché così ci avrebbe messo più tempo di quanto avesse fatto alla luce della lampada e le sarebbe sembrato di avere ancora Annie con sé.
Teneva quella lettera in mano quando, sulla collina, aveva incontrato per la prima volta il suo principe.
“Signor Marsh c’è posta per me?”
Chiese composta, ormai graziosa signorina quella bambina vivace che, tanti anni prima, accoglieva l’arrivo del postino come un uragano.
“Certo Candy…pare che arrivi dall’Europa!”
Le anticipò portandola a strappargli, con un po’ dell’antica foga, la lettera dalle mani.
“Faccia vedere!”
Si accertò contenta, procurando un sorriso all’uomo.
La lettera era di Flanny, contenta che la collega ed ex compagna della scuola Mary Jane le avesse scritto a conferma che la guerra non né aveva messo in pericolo la vita.
Ritornò nel gazebo e iniziò a leggere con impazienza.
“Mia cara amica Candy,”
La lettera iniziava con quell’intestazione affettuosa e l’infermiera sbadatella fu orgogliosa e felice che la flemmatica Flanny la considerasse sua amica, nonostante avesse faticato molto a conquistare la fiducia di quella algida ragazza dal passato difficile.
“Questa guerra di trincea è una guerra d’alta quota, una guerra uomo contro uomo, uomo contro nauta. Noi crocerossine non siamo qui in gita premio e ci troviamo ad improvvisare punti di soccorsi, ospedali di fortuna, nelle retrovie dei combattimenti e nei vagoni dei treni abbandonati. Quello che ci viene chiesto è abnegazione e istinto materno per rendere meno crudele il volto di questa guerra non la nostra presenza. Qui sto scoprendo molto di me: siamo anche noi combattenti. Anche noi perdiamo le nostre unità e proprio l’altro giorno una nostra compagna è stata raggiunta dal fuoco nemico mentre cercava di bendare, alla meno peggio , la terribile ferita di un ufficiale, poggiato ad un albero per sostegno. I soldati della Terza Armata hanno voluto seppellirla con i loro morti.
Qui si respira solo morte…prego Dio che questo orrore abbia presto fine e che potremmo tornare ad apprezzare le cose belle. Ti abbraccio. Tua Flanny”
Candy ripiegò la lettera e la conservò per custodirla gelosamente: le parole di Flanny avevano reso più forte il suo desiderio di pace e di rivedere tornare l’amica a casa.
Anthony alzò gli occhi dalla siepe che stava curando e, notando che la ragazza aveva lo sguardo su di lui, le sorrise e agitò una mano per richiamarne l’attenzione. Lei ricambiò il gesto d’amore e il giovane Brown si riconcentrò sul suo lavoro.
Quell’inverno la vita dei due giovani era cambiata, la loro unione si era rafforzata, i loro tormenti e le loro incomprensioni apparivano solo ricordi sfuocati. Il dolore per la perdita di Stear si era assopito e avevano trovato il coraggio di provare a costruire un futuro da trascorrere insieme.
Candy aveva deciso di non tornare più a Chicago e aveva iniziato ad aiutare il Dottor Leonard nel suo studio.
Anthony proseguiva i suoi studi, cercava di non venir meno agli obblighi che la sua famiglia di appartenenza imponeva ma non aveva rinunciato alle sue passioni e ai suoi fiori: sperimentava ancora la creazione di nuove specie floreali e, a volte, alcune delle famiglie più importanti di Lakewood si erano rivolte a lui per portare a nuovo splendore i loro giardini.
Il giardino che circondava la casa nella foresta, quel giorno, sembrava un paradiso terrestre: si respirava il profumo della terra, gli aliti delicati di un vento caldo frusciavano tra gli alti alberi, i campi si stendevano colorati e pieni di sole e le rose, che si erano dischiuse in tutta la loro bellezza, profumavano tutta l’aria.
Le Dolci Candy in quella stagione erano meravigliose, quasi che se ne avrebbe avuto dispiacere a strapparne lo stelo per abbellirne la casa.
Candy ed Anthony avevano giurato un tempo di provare a cambiare gli Andrew per la loro felicità e ora era il momento opportuno per tener fede a quella vecchia promessa.
Se immaginava il suo futuro, la bambina cresciuta senza nome e senza genitori, vedeva la sua famiglia nascere e crescere a Lakewood: dopo gli anni a peregrinare per l’America e in Inghilterra Candy aveva finalmente trovato la sua casa.
Immaginava i suoi figli: bambine belle con fili d’oro tra i capelli e occhi grandi e blu come quelli che tanto aveva amato e amava ancora, figli liberi di sporcarsi e di arrampicarsi sugli alberi con la contagiosa gioia di vivere ereditata dalla madre.
Si chiese come sarebbe stato essere madre e trovò buffo pensarsi in quella insolita veste.
Si vedeva lì in quel bel giardino, tra qualche anno, circondata da piccole testoline curiose e lambita da fresche vesti di trina e merletti estive pronte a correre appresso a Klin. Udiva le voci accaldate dei bambini dopo sfrenate corse, le gote rosee e i sorrisi larghi ad accogliere cumuli neri di farfalle e ad aspettare che le sere d’estate venissero illuminate dalle lucciole e musicate dai grilli.
Mentre i moscerini danzavano al sole e il cascinale rosseggiava tra le piante, un tuffo nel cielo d’estate proiettò Candy al futuro: tra i fiori pieni di sole aveva ritrovato la gioia perduta e, per qualche secondo, aveva visto i suoi bambini correre e giocare in quell’Eden che sarebbe stata la sua casa.
La zia Elroy, con il suo portamento fiero e grazioso, giunse ad interrompere il quieto pomeriggio dei due ragazzi: recava un cesto in cui aveva portato loro la merenda.
Anthony, preso dal suo lavoro, non si era accorto dell’arrivo della zia, così la vecchia donna raggiunse Candy e le si sedette accanto.
“Ho pensato che poteva venirvi fame e quando si hanno due uomini per casa è difficile che esca fuori qualche ghiottoneria!”
Spiegò con un’ironia che era nuova per lei. James Brown, in realtà, era ripartito per curare i suoi affari mentre il signor Withman era così discreto e sapeva stare sulle sue che quasi non ci si accorgeva che ci fosse, se non nelle evenienze e quando si aveva bisogno di lui.
Dalla sera di Natale in cui le aveva regalato il suo scialle, la signora Elroy vedeva Candy sotto una nuova luce: non l’additava più come causa dei mali della sua famiglia e non ne condannava il comportamento e le scelte, aveva imparato a rispettarla e aveva dato la sua benedizione all’unione che la legava ad Anthony.
La perdita di Stear aveva addolcito il suo vecchio cuore.
A Candy tornò in mente quando la zia aveva preparato una torta per lei ma lei, poco più che bambina, si era rifiutata di assaggiarla per paura che, se non avesse fatto delle rinunce, un terribile incubo sarebbe potuto essere premonitore e qualcosa di brutto sarebbe potuta accadere ad Anthony.
Da quando la famiglia Legan aveva lasciato il Colorado tra gli Andrew sembrava essere ritornati la tranquillità e l’amore che dominavano quando ancora Rose Mary era in vita.
Per Iriza e la sua famiglia scoprire la vera identità dello zio William era stato uno shock e finalmente i lunghi anni di angherie, soprusi e tranelli di cui la viziata Iriza si era resa responsabile avevano trovato una giusta punizione.
“Così domani darete una festa alla casa di Pony per Annie e Archie?”
Cercò di intavolare una conversazione la vecchia donna.
“Certo zia! Tra poco saranno marito e moglie e ci sembra una bella idea: spero tanto che vorrà venire anche lei a festeggiare i futuri sposi con noi!”
Elroy rispose con un sorriso indecifrabile e roteò l’ombrellino con cui si riparava dal sole.
“Perché no? È da molto tempo che non salgo più su quella collina: sai una volta ci andavano i giovani fidanzati e le fanciulle poi venivano chiamate gonne verdi perché si ricoprivano le gonne di chiazze d’erba! Ma è stato molto, molto tempo fa: ancora l’orfanotrofio non era neppure stato costruito!”
A Candy piaceva scoprire storie nuove e si chiese se anche la zia Elroy fosse stata a suo tempo una gonna verde, ma esitò dal chiederglielo.
Un po’ in imbarazzo la zia lasciò cadere quella confessione tirando fuori la merenda per sistemarla, Candy si spicciò per aiutarla.
“Sai Candy credevo che la nostra famiglia non avrebbe più conosciuto feste e invece tra qualche giorno celebreremo un matrimonio! Spero proprio che presto ne seguirà un altro!”
Questa volta fu Candy ad arrossire e a non replicare anche se il cuor suo aveva la risposta.
Anthony la guardò di nuovo e sorrise prima di raggiungere le due donne.
Forse un giorno avrebbe creato nuove specie di rose che avrebbero portato i nomi dei loro figli. C’erano molti padri che facevano un simile gesto di amore: ufficiali di marina che battezzavano le loro navi con i nomi dei figli e soldati che li scrivevano sui loro aerei.
Anthony vi avrebbe battezzato le sue profumate e delicate creature.
Per un attimo accanto a lui Candy aveva visto una bambina con le lunghe trecce bionde e una cesoia in mano a perfezionare i fiori.
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Il prossimo sarà l’ultimo capitolo e perciò cercherò di postarlo il più rapidamente possibile: finalmente! Ringrazio Tetide e Stellinasra09 per le recensioni!