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Autore: ElizabethAudi    05/11/2011    0 recensioni
Era diventato un’impresa vivere, cosa mi rimaneva da fare? E poi avevano lasciato quella cesta di panini su un marciapiede, cosa avrebbero potuto pretendere?
Dietro di me due guardie correvano più veloce che potevano, impicciati dalle loro stesse armature.
Devo ammettere, che la sicurezza era abbastanza controllata in questa cittadina di mare.
Fin troppo, anzi!
Ma almeno la voce del grande tiranno veniva sentita poco e niente.
Cosa che per me e per Skyheir non era altro che positiva.
Genere: Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Murtagh, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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·         Capitolo 1.
 
Rallentai la corsa ad un passo veloce, attraversando quel piccolo tragitto che mi divideva dalla mia metà. Salutai il proprietario di un barbiere, che pigro, riposava allo stipite dell’entrata, grattandosi i pochi capelli che aveva in testa e osservando i passanti, cercando di convincerne qualcuno ad entrare con qualche frase che riciclava ciclicamente.
Arrivai al confine della città, dove le vecchie mura della città si imponevano su di te e sulla tua ombra. Più volte mi ero domandata da cosa dovessero proteggere, ma era difficile trovare documenti sulla storia della città.
Sapeva solamente che un’importante avvenimento aveva cambiato la vita di  Rochest per sempre, spegnendo i sorrisi su tutti i paesani.
Sospirai, distogliendo lo sguardo dalla cima delle mura, abbagliata dal sole, e uscii.

Arrivai alla radura qualche minuto dopo, alzando la mano che teneva il cesto.
- Tombola!
Sei la solita ladra.
- Giuro, l’avevano abbandonata!
Stupida, devi stare più attenta!
Davanti a me, un possente rettile si stava scricchiolando le mascelle, facendo un rumore simile ad una porta le cui giunture non sono state ben oliate. Mi lanciò un’occhiata gelida.
Sorrisi alla sua vista. Non riuscivo ancora ad abituarmi a tale bellezza.
Lui strinse gli occhi e scosse il grande muso, sorridendo poi nella sua maniera.
Vieni qui, piccola mia.
Annuii e mi avvicinai a lui, sedendomi e poggiando la schiena contro il suo caldo petto, per poi pescare nella cesta il panino che mi invitava di più.

Avevo trovato l’uovo di Skyheir nel seminterrato di quello che doveva essere la reggia di un potente nobile di secoli fa.
La reggia era stata chiusa, non vi si può entrare, ma io, incuriosita dalle storie che vi si tramandavano, riuscii a trovare una via e vi entrai. Perlustrai ogni angolo della casa, anche se inizialmente ero davvero spaventata, ma poi trovai quell’avventura davvero entusiasmante.
Così, nella stanza che doveva essere quella del più alto in grado, trovai una botola. La aprii e vi trovai delle scale che sembravano portare all’inferno. In quel momento, nonostante mi uscissero le lacrime dagli occhi, incominciai la mia discesa.
Avevo una gran paura, le mani mi tremavano - come tutto il resto del corpo, d’altronde - e non sapevo come ne sarei uscita, ma continuai a scendere.
Mi ritrovai in una grotta, ben poco illuminata, ma almeno riuscivo a vedere qualcosa.
Mi ricordo che si gelava e le gocce che cadevano dal soffitto peggioravano solo la situazione.
Intorno a me non c’era nulla, così decisi di continuare dritto, ma poco più avanti qualcosa colpì la mia attenzione.
Un ovale bianco come la neve giaceva in una piccola conca, poco più avanti. Ero tanto presa da essa, che non mi accorsi delle macchie scure sul terreno - probabilmente macchie derivate da forti temperature e sangue -, cosa che avrei fatto in un secondo momento.
Lo guardai per qualche secondo, che cosa poteva essere?
Quando decisi di toccarlo, me ne pentii. Un brivido mi percorse l’intero corpo. Ma ciò non fece altro che indurmi a prendere quell’oggetto.
In quel momento, mi sentii improvvisamente più sicura di me. Ora avevo un motivo per uscire! Dovevo far vedere quel coso alla mamma, le sarebbe piaciuto sicuramente!
Pensai che una grotta doveva per forza avere un’altra uscita, così mi incamminai e, come previsto, trovai una uscita.
Quando riuscii a tornare a casa era notte fonda e ricordo la faccia di mia madre, piena di lacrime, e mio padre che, accanto a lei, le accarezzava i capelli e a consolava. Mi allontanai quindi dalla finestra e bussai.
Venni accolta con un grande abbraccio, ma non potetti uscire per una intera settimana.

Avevo scelto un panino con del prosciutto. Levai il tovagliolo in cui vi era rinchiuso e, come al solito, presi un pezzo di esso e lo lanciai al drago. Lui lo prese al volo e lo inghiottì senza nemmeno masticarlo, poi emise un versetto di ringraziamento.
Dopo ciò, addentai il mio panino, gemendo dal piacere. Era da un pezzo che non mangiavo una prelibatezza del genere.
Anche Skyheir incominciò a divorare a sua preda, un misero cerbiatto.
Non vivevamo benissimo, a dir la verità.

Mia madre era morta poco dopo il mio ritorno, e mio padre diede a me e all’uovo la colpa. Povero, era impazzito dal dolore. E fu per questo che si suicidò qualche mese dopo, non prima di aver venduto la sua amata locanda.
E così rimasi improvvisamente sola, in una casa che conteneva troppi ricordi che mi impedivano di viverci stabilmente. Il dolore mi tormenta ancora tutte le notti, perché poi due anni sono pochi per smaltirlo.
Mi salvò Skyheir. Quando, sola, nella stalla, stavo fissando la corda con cui si era suicidato mio padre, si sentì un rumore provenire da quello strano ovale bianco, che tenevo nella stalla, nascosto tra le balle di fieno.
Si schiuse in quel momento, salvandomi la vita, imponendosi nella mia vita con il Gedwey Ignasia.

Smettila di pensare al passato, e concentrati sul presente. Spiegami meglio ciò che hai sentito dal tizio nella locanda.
- Beh, entro una settimana uno squadrone dell’esercito di Galbatorix arriverà qui e recluterà soldati.
Skyheir sbuffò, stirando le mascelle e mostrando le sue affilatissime zanne. Era contrariato almeno quanto me.
Ma qui le persone non vengono addestrate alla guerra!
- Evidentemente Galbatorix vuole buttare questa città nel dimenticatoio ancora di più, mandando giovani innocenti a morire.
Rimanemmo in silenzio per lunghi secondi, durante i quali Sky sembrava riflettere. Sapeva bene ciò che io avevo in mente e ciò lo irritava, lo sapevo bene. Per lui la mia sicurezza era la cosa più importante e quando sentì che mi stava ronzando un’idea pericolosa  in testa, i suoi occhi rotearono.
- Potremmo farcela.
Dissi semplicemente, alzando gli occhi e posandoli sui suoi. Lui sembrò perquisirmi tutta l’anima attraverso i miei occhi, anche se non ne aveva bisogno. Lui era a contatto con la mia anima più di me stessa.
Ame, levati quell’idea suicida dalla tua piccola testolina.
- Su, Sky! Un cavaliere e il suo drago possono facilmente recare danni ad un’intera legione di Urgali! Ci muoveremo nell’ombra e …
Il mio entusiasmo tuttavia, venne subito represso.
E’  l’ora di tornare a casa, Ame.
- Ma che cosa stai dicendo! La mia casa è con te, quindi qui!
Lui scosse la testa, ma sentii un senso di compassione e amore mentre lo faceva. Si alzò sulle zampe, mostrando tutta la sua imponenza. Lo guardai ammirata. Sapeva benissimo quanto avrei voluto cavalcarlo e volare insieme a lui, ma me lo impediva. Diceva che avrei saggiato fin troppo la libertà che non avrebbero mai potuto avere, fino a morire rimpiangendola. Anche se mentre mi spiegava ciò, sentivo come una strana sensazione. Come se non mi stesse dicendo tutta la verità. Ma probabilmente era solo la mia immaginazione.
Così mi rialzai e presi la cesta con il panino rimanente, per poi avviarmi verso la città.
Skyheir mi accompagnò fino al confine della radura, dove mi salutò con un tocco di muso sulla mia spalla.
Buonanotte, piccola mia.
 
I giorni successivi trascorsero tranquillamente. Il lavoro alla locanda di mio padre, presa in gestione da un altro uomo, mi occupava più della metà della giornata, distraendomi dalla monotonia di quelle giornate così afose da darti alla testa.
La gente che servivo era più o meno sempre la stessa e anche le storie che si raccontavano. In quei momenti pensavo a Skyheir e a quanto volevo essere con lui, per discutere su vari argomenti, come amavamo fare noi. Quando leggevo qualcosa, ne parlavamo sempre insieme, come di tutto il resto. Sapete, la città dista relativamente molto da quella radura e sì, riusciamo a sentirci, ma preferivamo tenerci le cose per noi, per poi rivelarcele tutte la sera, quando, sotto le stelle, passavamo l’intera nottata a parlare.
Questa è una mia giornata tipo. Certo, qualche volta avvengono delle modifiche, un cliente nuovo, un cliente che non viene, un dettaglio aggiunto ad un racconto, un boccale in più per il vecchio Sam, una pacca dal padrone della locanda, un complimento in più da uno dei clienti più affabili. Cose del genere.
Ma quel giorno ci fu qualcosa che mi attrasse così tanto da indurmi a pensare che la terra fosse piatta.
- Un boccale di birra, grazie.
Stavo lavando qualche bicchiere, tenendo lo sguardo fisso all’acqua che scorreva e canticchiando mentalmente una canzone che avevo sentito cantare il giorno prima da Skyheir. Non mi resi conto della presenza che si era avvicinata al bancone e che, sospettosa, si guardava intorno come se avesse paura di essere inseguito da cani cacciatori.
Solo qualche secondo dopo mi resi conto di non aver mai sentito una voce del genere, roca, profonda e seducente, mentre riempivo il boccale dalla spina.
Alzai di scatto lo sguardo, ritrovando un personaggio piuttosto particolare davanti a me. Inarcai un sopracciglio.
Aveva tirato su un cappuccio che impediva di riconoscerlo, ma i suoi occhi erano abbastanza visibili e la sua bocca sembrava così soffice. La pelle era quasi d’orata e le sue dita sottili, che sembravano aver superato tante fatiche.
Questo era quello che si poteva dire del suo aspetto fisico.
Posai il boccale di birra davanti a lui e distolsi lo sguardo, ero stata fin troppo sfacciata.
- Prego signore.
Lui sorrise, mostrando le leggere fossette agli angoli delle labbra. Prese il boccale e tirò un sorso.
Intanto io fremevo di curiosità. Da dove veniva quello straniero? Tutti gli lanciavano sguardi curiosi, nessuno sembrava saperlo.
- Lavare i piatti con quei guanti di pelle non deve essere troppo comodo, suppongo.
Disse con la sua voce melodiosa, fissando il contenuto del boccale, con un sorriso simile ad un ghigno in volto.
Si riferiva al mio guanto sditato che avevo alla mano destra, che usavo per nascondere il tatuaggio. Sapevo benissimo il rischio che correvo se qualcuno lo avesse riconosciuto. Tutti sapevano che lo portavo sempre perché avevo avuto una tale ustione su di essa da rendere la mano inguardabile.
Gli lanciai uno sguardo. - Preferisco rendermi le cose un po’ più complicate che spaventare un bambino.
Che poi, la storia dell’ustione era vera. Avevo riportato una grande bruciatura quando mio padre, preso da uno dei suoi attacchi disperati, aveva preso uno pezzo di legno dal camino scoppiettante e stava per picchiarmi con esso. Riuscii a fermarlo con appunto la mano destra, e i segni erano ancora molto evidenti ora.
- Io non sono un bambino.
Sorrise, ma mi limitai a guardarlo, senza prestargli troppa attenzione.
Diede un altro sorso e poi posò il boccale sul bancone.
- Sono appena arrivato in città, vorrei visitarla, ma non conosco le strade. Sa per caso qualcuno che possa darmi una mano?
Chiese, guardandomi negli occhi.
Se pensava che l’avrei accompagnato io se lo poteva ben sognare!
- Non so’, provi a chiedere ad uno di quelle signore laggiù, Dissi, sporgendomi dal bancone e indicando con lo sguardo un gruppo di anziane sedute ad un tavolone di legno marcio che parlavano vivamente di quanto si stava meglio quando si stava peggio - loro potrebbero esservi d’aiuto!
La mia intenzione era di essere sì antipatica, ma mi chiesi se avevo esagerato. Infondo, era sempre un cliente.
Lui sorrise.
- Perché allora non mi prepara quel che serve si solito alle signore? Proverò a domandar loro!
Lo guardai interdetto. Possibile che non avesse capito il gioco? Annuii e mi girai per prendere le cose di cui avevo bisogno, sentendo lui ridacchiare dolcemente, cosa che mi irritò alquanto.
Quando tutto fu pronto, misi tutto su una tavola di legno e la poggiai violentemente sul bancone, facendolo sobbalzare. Si era infatti chiuso nei suoi pensieri, ma mi stava fissando, e ciò mi dava molto fastidio. Chi era questo? Sbuffai, sperando trovasse presto una guida.
- Prego, spero riuscirà a trovare quel che cerca, arrivederci!
Dissi, con un lieve accento scorbutico, ma gli provocai solo un sorriso divertito. Comunque sia, prese il vassoio e si allontanò.

Successivamente lo vidi parlare con delle donne, ridere con loro e bla bla bla, ma poi improvvisamente scomparve.
Rimasi pensierosa e la sera lo raccontai a Skyheir, che mi disse che forse lo aveva visto, mentre andava a caccia, arrivare a cavallo da un sentiero non conosciuto dai viandanti. Ipotizzammo chi potesse essere, tuttavia mi addormentai nel bel mezzo del discorso, distrutta dal lavoro e dalle emozioni di quel giorno.
Non sapeva perché, ma quell’uomo incappucciato le aveva occupato la mente per tutto il tempo.

Il giorno dopo, arrivata alla locanda, il locandiere mi fermò ancora prima di sistemare le cose.
- Oggi ho un lavoro diverso per te.
Disse, con la voce e l’espressione evidentemente eccitata. Mi chiesi infatti cosa avesse potuto emozionare fino a quel punto un uomo burbero come quello, dagli ideali contorti.
Mi fece aspettare seduta ad un tavolo, senza neanche farmi mettere il grembiule della locanda. Tamburellai con le dita sul tavolo un ritmo inventato al momento, immaginandomi di tutto. Magari voleva licenziarmi. O magari aveva comprato solo uno stupido canarino.
Invece ritornò in compagnia di quell’uomo il cui pensiero mi aveva torturato per tutto il giorno.
L’uomo era avvolto sempre nello stesso mantello e il viso era ancora coperto dal cappuccio.
Sbuffai, potevo immaginare quello che mi toccava fare.
“Spero tu abbia fortuna un corno!” pensai, guardandoli sedersi al tavolo.
- Bene Maggie,
Incominciò a dire, ma subito lo interruppi dicendo che mi chiamavo Ame, non Maggie.  Lui sospirò divertito, poi continuò.
- Voglio presentarti la persona cui dovrai intrattenere per tutto il giorno mostrandogli la città.
Spostai lo sguardo all’uomo, sorridente, e lo guardai storto.
- Non è lavoro mio, capo.
Obiettai, continuando a fissare l’uomo misterioso, sperando che con quello sguardo così acido lo avessi persuaso a cambiare idea.
- E invece io ti chiedo questo favore! Ti pagherò gli interessi di questa giornata, oltre al tuo solito stipendio.
- Ci mancherebbe!
Sbottai, guardando il locandiere con aria supplicante.
- Su, non ti creerò alcun fastidio! Fai come se stessi facendo una passeggiata!
Non capivo il motivo di quella questione. Non poteva farsela da solo la passeggiata?! La città è piccola e gli abitanti cordiali, gli avrebbero dato tutte le informazioni di cui avesse bisogno. Perché?
In quel momento, l’uomo sorrise, allungando la mano, che toccando la mia mandò una scossa che mi pervase tanto da farmi ritirare la mano. Lo guardai sorpresa e irritata. Sbuffai, imprecando qualcosa silenziosamente.
- E sia.
Sapevo che insistere sarebbe stato inutile, non sarei potuta sfuggire a questo compito senza rimetterci qualcosa.
Lui sorrise di nuovo, anche se nel suo sorriso c’era qualcosa di sorpreso.
Già odiavo quei suoi stupidi sorrisi.
- Ti ringrazio. Vedrai, sarà divertente!
La voce dell’uomo riecheggiò nella mia testa. Quella forse mi piaceva.
- Bene!
E con quest’affermazione allegra, il locandiere ci lasciò soli al tavolo.

Note dell'autrice.
NIENTE FACCINA QUESTA VOLTA D:
Oramai era la caratteristica di ogni ff. XD Questo perché non mi avete fatto sapere niente. ç_ç
E' pieno di errori, lo so. Non ho avuto il tempo di ricontrollarla quanto dovuto.
Presto correggerò. Comunque, come vi sembra?
Questo capitolo era lunghetto.
Beh, alla prossima!
Ecchan.

   
 
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