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Autore: Cucuzza2    05/11/2011    3 recensioni
«Cenerò da lui, domani» mi dissi, senza riuscire ad impedirmi l’uso del singolare. «Non prima di averlo informato tramite telegramma, in ogni caso.»
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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 Questa storia è stata betata, letta ed approvata da LivingTheDream.
-Diffidate delle imitazioni, solo le originali possiedono il bollino!-

Nota:

Visto che la mia beta che mi spinge a mettere una nota a inizio testo, farò come meglio posso.

Qualche rincretinita parte di me ha scelto come punto di vista quello di Harold Stackhurst, vicino di Holmes nel Sussex Downs, che compare nel racconto della Criniera del Leone. L’ho rappresentato come abbastanza intelligente, anche se non geniale, per due motivi: primo, perché si limita a ridacchiare alla deduzione sul nuoto, senza chiedere spiegazioni; secondo, perché altrimenti la trama sarebbe andata a farsi friggere. LoL.

Sottinteso che la drabblista che è in me ha fatto le valige per motivi ancora non bene identificati.

Ehm, buona lettura.

 

 

 

 

 

«Sono nato e cresciuto qui, ma non ho mai visto nulla del genere. Non appartiene al Sussex.»
«Buon per il Sussex», osservai.

{La Criniera del Leone}


Holmes aveva incontrato un discreto numero di persone, nel Sussex Downs, ma l’unico che vedesse regolarmente ero io. In particolar modo, dalla morte di McPherson e dalla successiva scoperta della colpevole nella medusa Cyanea la nostra conoscenza era sfociata in una certa amicizia; capitava spesso, infatti, che uno due si trovasse senza preavviso a casa dell’altro per fare quattro chiacchiere, e che talvolta si unisse anche per il pasto successivo. Essendo Holmes di indole estremamente solitaria, comunque, io ero l’unico nella zona ad essere arrivato a un tale punto di confidenza con lui.

«Allora, Stackhurst» cominciò lui nella tarda mattinata di una calda domenica di metà agosto «com’è andata la sua cavalcata, ieri sera?»

Sapevo bene che molta gente era e si mostrava impressionata di fronte alle sue deduzioni, ma questo era totalmente fuori dal mio carattere - per me cosa molto più probabile era, in quei casi, ridacchiare, senza comunque chiedere spiegazioni in merito - spesso intuivo da solo gli svariati passaggi riguardanti il ragionamento che lo aveva condotto a tali conclusioni. «Bene, decisamente. Anche se reputo in ogni caso molto più stimolante il nuoto, nonostante l’incidente della Criniera...»

«Lei lo sa, la Cyanea non appartiene al Sussex. Non ha assolutamente nulla da temere - se il mese scorso si è trovata qui è stato per una serie di coincidenze, che trovo difficile si ripetano. Ma - sente? - arriva qualcuno. Senza preavviso, e in ogni caso riconoscerei questo passo fra mille. Dev’essere Watson - in nome del Cielo, Watson!»

Notai qualcosa di eloquente - uno scintillio, direi - nei suoi occhi. Avrei potuto perfino azzardare che fosse fuori dal suo controllo, per quanto l’idea non mi convincesse affatto, conoscendone i modi; in ogni caso, la visita sembrava averlo colpito più di quanto non lasciasse realmente intendere.

Avevo sempre dato per scontato di essere l’unico con la possibilità di essere bene accetto in quella fattoria in qualsiasi momento - un pensiero molto ingenuo, da parte mia, ma in un certo qual modo giustificato dalle circostanze.

Io e il dottor Watson avevamo scambiato davvero poche parole, nei rari fine settimana che passava nell’attuale casa di Holmes. Probabilmente il suo primo ed unico camerata doveva essere quanto di più vicino ad un amico potesse esistere per Holmes - ma la mia mente aveva completamente cancellato da sé la sua esistenza. Ricordavo solo il suo nome, John H. Watson, e la sua professione, medico. La sua amicizia con Holmes era solo un irrisorio dettaglio.

«Buongiorno, Holmes!» esclamò quello, entrando, poi si rivolse a me. «Il signor Harold Stackhurst, se la memoria non m’inganna?» Annuii; da quel momento, sarei stato “Stackhurst, se la memoria non m’inganna” anche per Holmes. Fu a questi che si rivolse Watson, riprendendo a parlare. «È passato parecchio tempo dal nostro ultimo incontro; so benissimo che la colpa è unicamente mia, ma...»

«Ah, non si preoccupi, Watson! È acqua passata. In ogni caso, le ho mai parlato della morfologia dell’ape operaia?» Indugiò su di me con lo sguardo, poi riprese a parlare. «È qualcosa di estremamente interessante, a cominciare dall’apparato boccale, del quale ho avuto il piacere di osservare la conformazione, e...»

Era palese che stesse prendendo tempo, nell’attesa di un mio congedo - il nuovo visitatore era di certo quello maggiormente gradito. Non pensare al problema fintanto che non poteva avere nuovi indizi per la sua risoluzione era precisamente nel suo stile.

«Temo di dovervi lasciare per alcune ore» mi accomiatai, non volendo essere d’intralcio. «Il lavoro non è mai del tutto sedato, nemmeno nei giorni festivi; e dopotutto credo che concluso il dovere mi dedicherò al nuoto - la stagione è ottimale. Vi auguro una buona giornata.»

Ebbi il dubbio di essermi comportato in maniera egoista. Ero stato convinto di essere l’unico - be’, mi ero sbagliato. D’altronde non c’era nulla da preoccuparsi: era pressoché impossibile che la visita di Watson superasse la settimana di durata, dopodiché, Holmes sarebbe tornato quello di sempre. Era comprensibile che volesse scambiare due chiacchiere con un vecchio amico, dopotutto.

Cercai di ricordare quanto più possibile del nuovo arrivato, oltre ai semplici dati da convenevoli, quindi ritornai con la mente a tutti i momenti nei quali Holmes aveva accennato a questa persona.  «Era il mio coinquilino,» così l’aveva definito, «e solitamente mi assisteva durante le indagini. Era lui a mettere per iscritto i resoconti delle mie avventure, anche se con uno stile a dir poco terribile.» La parola “amico” non era mai comparsa, nei nostri discorsi; nonostante ciò non era difficile percepirla fra le altre – era occultata, certo, ma non assente. Si leggeva nella voce che, solitamente fredda, diveniva tiepida; non calda, quello era improbabile, ma in ogni caso sfiorava sfumature dalle quali, citandomi, rimaneva assai lontano. Eppure mi resi conto di aver rimosso quei particolari dalla mia memoria, salvo poi recuperarli nel momento meno opportuno.

«Cenerò da lui, domani» mi dissi, senza riuscire ad impedirmi l’uso del singolare. «Non prima di averlo informato tramite telegramma, in ogni caso.»

 

«E dunque, dottor Watson» presi a dire, mentre mi apprestavo a concludere il pasto, «per quanto tempo ha intenzione di fermarsi qui?»

Erano vicini - condizione inevitabile, si direbbe, essendo in tre a tavola, ma io non sto riferendo alla vicinanza fisica. In realtà, non sono molti gli uomini che accettano che qualcuno risponda a una domanda in loro vece.

«Rimarrà qui per diverso tempo.» rispose Holmes. «Circostanza fuori programma, a dire il vero, ma si tratta di un irrisorio dettaglio. Ad ogni modo, sarebbe un problema per lei accompagnarci per un giro nella zona, non appena i suoi impegni a The Gables lo permetteranno? Sa bene che non sono una persona particolarmente socievole, quindi sarebbe perfetto se a mostrare al dottor Watson il Sussex fosse qualcuno del posto che possa vantarne una conoscenza più approfondita di quella che mi compete - per quanto la mia sia sufficientemente buona, se vista in rapporto col tempo trascorso qui.»

«Ne sarei onorato!» esclamai, come un riflesso; nel frattempo, però, avevo sussultato. Ad Holmes sicuramente non era sfuggito quel lieve movimento, ma non avevo la benché minima idea del significato che gli avrebbe attribuito. «Il Sussex Downs è un posto estremamente interessante. D’altronde anche The Gables ha quel fascino proprio degli edifici d’istruzione - credo si capisca cosa intendo. Dottor Watson, lei sa della Cyanea, non è vero?»

«Veramente no.» rispose il dottore, perplesso.

«Un caso che mi è capitato di risolvere il mese scorso, alla prova dei fatti semplice ma che rischiava di trarmi in inganno» tagliò corto Holmes.

«Sarei ben lieto di conoscere gli avvenimenti, anche in forma sintetica...»

«Non mi sarei aspettato nulla di meno. Va bene, allora le racconterò quanto è avvenuto - non può nuocere.»

Prese allora a raccontare le vicende riguardanti la Criniera del Leone, con quel suo modo schematico e preciso di esporre gli eventi - e, come intuii Holmes avesse a proprio tempo previsto, dopo la conclusione della vicenda Watson cominciò immediatamente a cercare di convincerlo a mettere lui stesso, in prima persona, quei fatti per iscritto.

«Dottor Watson,» lo interruppi - un po’ indelicatamente, devo ammettere, ma quel dubbio si era ormai impossessato del mio stomaco, «come mai questa scelta del fermarsi nel Sussex? D’altronde non è una decisione da prendere alla leggera - cosa l’ha convinta?»

Se solo fossi riuscito a convincerlo che il Sussex Downs non sarebbe mai stato una casa, per lui, probabilmente Holmes sarebbe tornato quello di sempre. Ne ero certo - la mattina precedente stavamo tranquillamente discutendo della Criniera, mentre ora non aveva orecchie che per il dottore. Era qualcosa di estremamente comprensibile, nonché di estremamente ineluttabile.

«Non credo vi sia un motivo preciso» rispose l’interpellato, la voce malcelatamente tremante. «Il Sussex è una... splendida regione, certamente, e fa sempre piacere l’idea di rivedere un amico con il quale si sono condivisi tanti anni della propria vita.» Il fatto che stesse mentendo era evidente da ogni lineamento del suo volto.

«Capisco benissimo le sue motivazioni, dottore» mentii a mia volta, lo sguardo proteso verso Holmes, che osservava con un misto di allarme - almeno, questo è ciò che ho suppongo; in ogni caso si trattava del suo personale equivalente per la paura degli altri uomini - e qualcosa che non riuscii ad afferrare la pessima recitazione di Watson.

Era chiarissimo che dovesse esservi un qualche motivo specifico per quel cambio di programma, quelle menzogne, quella paura e quell’allarme, quell’emozione che non ero riuscito ad afferrare - “emozione”, precisamente quella parola che mi aveva lambito la mente pochi momenti prima. Sherlock Holmes aveva appena provato un’emozione.

Il che era assurdo ed improbabile, ma non impossibile. La leggera sfumatura di significato posta fra quelle due parole mi era stata insegnata da lui stesso, senza che nemmeno riuscisse ad accorgersene, tanta era la dimestichezza con la quale riusciva a calarle nei discorsi senza generare confusione. Era improbabile che le sue emozioni fossero semplicemente, opportunamente celate - improbabile, non impossibile; e che avesse qualcosa da nascondere non era solo possibile, bensì probabile, altrimenti non avrei saputo come giustificare il tremolio della voce di Watson o lo sguardo di Holmes, per quanto io non fossi riuscito a comprendere quest’ultimo nella sua interezza.

Holmes mi aveva parlato dei suoi casi, principalmente su mia richiesta, con il suo modo di esprimersi che favoriva la chiarezza al sensazionale - e io l’avevo ascoltato, senza distrarmi neppure una volta. Avevo anche, senza parlargliene, meditato l’idea di procurarmi i vari resoconti del dottor Watson; ma in seguito avevo lasciato l’idea da parte, inconsciamente turbato dall’idea di un narratore che fungesse da intermediario. Ad ogni modo conoscevo il suo modus operandi - per quanto possa apparire improprio riferirsi a un detective con un termine solitamente associato alla criminalità, - ed era possibile che io riuscissi ad applicare quanto avevo imparato da lui su di lui stesso. Possibile; non probabile.

Doveva trattarsi di qualcosa di scorretto, magari illegale - o illegale ma non scorretto, fu un mio pensiero fuggitivo. Dopotutto, la legge inglese era ben lontana dall’essere perfetta.

Sarebbe una menzogna, da parte mia, dire che stavo considerando quel concetto solo a titolo d’ipotesi, o senza avere un’idea precisa. In realtà il mio pensiero si focalizzò in breve su quell’unica via, insinuandosi nella mia mente come un chiodo arrugginito fra due assi.

Avevo in realtà ben avuto modo di riconoscermi come un invertito, in giovane età - e il lettore vorrà perdonarmi se per ovvie ragioni non renderò affatto pubblico questo mio scritto - ma, quando mi era stato chiaro tutto ciò che questo comportava, avevo immediatamente cercato di reprimere quelle mie inclinazioni o, perlomeno, di nasconderle. Sfida ardua; e l’idea di esserne in grado non era improbabile, bensì impossibile, e aveva ben saputo Holmes imprimere nella mia mente il significato di quelle due parole.

Tutto ciò mi aveva portato - insieme alla pessima recitazione di Watson, alle tiepide ma non fredde emozioni provate da Holmes quando lo vedeva o citava, alla decisione improvvisa del medico di rimanere a tempo indeterminato nel Sussex Downs - a chiedermi, per la prima volta in modo conscio, se fra i due non vi fosse una relazione, e se io non fossi innamorato di Holmes. Quella notte ricominciai ad essere perseguitato dagli incubi.

Tutto cominciò con gli sguardi disgustati di amici e conoscenti, del loro considerarmi un essere immondo - in seguito mi ritrovai in una cella, pronto a cominciare con i lavori forzati; cominciai ad avvertire un senso di nausea e vertigine, come percependo di trovarmi in uno stato onirico ma non essendone pienamente consapevole. Sentii, senza ben capire quale collegamento potesse avere questo con le scene precedenti, le labbra di Holmes premere sulle mie; e per un attimo credetti quasi che il dolore fosse finito - salvo poi rendermi conto che ora le fiamme dell’Inferno non avrebbero fatto che bruciare ancora maggiormente.

Svegliandomi, sudato, il mio primo pensiero andò a William Browns - se ho mai amato qualcuno come lui, questo è stato proprio Holmes - e ai sogni di diversi anni prima; con Holmes, tutto andava riconciliandosi al punto di partenza. Dovevo solo trovare la forza di applicare i suoi metodi - chiedermi se ci fossero altre possibilità.

Francamente, immaginare anche solo uno dei due invischiato in qualcosa di malvagio era per me a dir poco improponibile. L’unica altra ipotesi papabile, oltre ad una relazione, era che Holmes fosse alle prese con un nuovo caso, malgrado il ritiro. Certo, ogni cosa quadrava - doveva sicuramente trattarsi di un’indagine: il tenere nascosta ogni cosa poteva essere parte dei loro piani, l’arrivo di Watson poteva essere stato premeditato, e l’affezione che avevo notato fra i due poteva anche essere un banale scherzo dei miei occhi. Me lo auguravo - me lo auguravo perché non avrei retto all’idea di un Holmes che, pur provando a dispetto di tutto delle emozioni, non le dirottava verso il suo amico Harold Stackhurst.

In un primo momento mi domandai il motivo dell’invito a mostrare loro la zona, ma ricordai quello che avevo sentito: “Quello che ha guadagnato l’investigazione, con Holmes, è stato del tutto perso dal teatro”. Si era trattato di un semplice trucchetto per trarmi in inganno - nel quale, inizialmente, io ero quasi caduto. Era stato Watson, non altrettanto esperto nell’arte della menzogna, a lasciarmi intendere che non tutto mi era stato detto.

«Buongiorno» salutai l’indomani, giorno convenuto per la passeggiata che mi avevano proposto di intraprendere.

«Buona giornata, signor Stackhurst» rispose Watson, imperturbabile, in un tentativo destinato a fallire di sistemare ogni cosa.

Colpito da un’idea improvvisa, decisi di sperimentare un bluff. «Vedo che siete alle prese con un nuovo caso, uhm? O mi sto ingannando?»

«No di certo, noi...»

«Lei è furbo, Stackhurst» si intromise Holmes. «Ha una mente propensa alla deduzione. Avrebbe dovuto provare ad affinare questa dote, sa?»

Gioii intimamente del complimento, ma fui ben attento a non lasciar trapelare nulla. «Dunque ho ragione?»

«Assolutamente no.» Il volto si corrugò in un’espressione indecifrabile, che al massimo potrei azzardare come decisa. «E, aggiungerei, il suo essere attratto dall’altra metà della popolazione – ed in particolar modo dal sottoscritto - non è certo un mistero.»

Trasalii, e lo stesso fece Watson. «Holmes, ma come...» mormorò lui, ma io tacqui, com’era nel mio costume. Non riuscivo a capacitarmi dell’idea che il mio amore per lui, così difficile da definire da parte mia, fosse stato così palese all’esterno. «Temo che dovremo fare a meno di una piacevole escursione» risposi, cercando invano di mostrarmi freddo.

«Il cinismo non è la sua arma, Stackhurst. Lei lo sa.» fu la risposta di Holmes, del tutto spogliata del vago calore che aveva riservato a Watson nei giorni precedenti, e che doveva essere diventato un vero e proprio, paradossale fuoco in mia assenza. Mi venne allora in mente il “Lei lo sa, la Cyanea non appartiene al Sussex” della domenica precedente. Era stato sciocco, da parte mia, non riuscire a rendermi conto di cosa intendesse definendo egoistica la decisione di Watson di prender moglie, o credere che nei suoi frequenti silenzi il pensiero dominante della sua mente - una mente dannatamente più complessa di quanto già non credessi – fosse solo e soltanto l’apicoltura.

 

«A quanto pare sei vissuto a Londra, in questi anni, pur non riprendendo la tua attività medica. Ah, e sei venuto qui in treno - coincidenza diretta, suppongo.»

L’altro voltò il capo, con l’espressione protesa a formare quella sorpresa mista ad abitudine che sempre associava alle deduzioni di Holmes. «Talvolta mi chiedo se sarebbe più appropriato definirti geniale o folle, a dire la verità - la tua mente è sempre strabiliante, nonostante gli anni di inattività, anche se d’altra parte non realizzo come tu faccia a pensare alle deduzioni in un momento del genere...»

«Deformazione professionale. Il clima modifica la morfologia della pelle, lei è a conoscenza di tali nozioni in maniera decisamente più approfondita della mia» rispose - sostituì poi per alcuni momenti le proprie labbra allo sguardo che aveva fino ad allora indagato sul corpo di Watson. «D’altronde non avevo mai avuto l’occasione di osservare qualcuno in maniera tanto approfondita; temo dovrò rivedere i miei valori fondamentali, resomi conto che si tratta di qualcosa di molto più utile di quanto pensassi.»

«Com’è possibile che tu riesca sempre a tenerti tanto distante dalle situazioni? Anche, aggiungerei, per quanto riguarda Stackhurst - lì mi hai stupito anche più del solito.»

«Deformazione professionale, Watson. Sempre deformazione professionale.»

«Avrai ragione - ma devo ammettere che, nonostante ogni cosa, provo un certo dispiacere per lui.»

Lo sfiorò, ridacchiando in modo peraltro assai ipocrita sentendolo fremere sotto le sue dita. «Sei troppo buono, Watson. Abbiamo già avuto modo di soffrire, in passato, e in diverse occasioni - ora che abbiamo appena smesso, io in particolare, di essere talmente ciechi da non realizzare che i nostri sentimenti fossero ricambiati non è certo il momento di comportarsi in modo particolarmente altruistico.»

Si soffermò ad osservare, per qualche istante, la forma nella quale la trapunta pregna di odore d’alveare si avvallava in corrispondenza degli arti.

Sapeva di essere in grado - con una non indifferente dose d’impegno, essendo quella branca tutto fuorché la sua - di verificare, tramite la loro angolazione, l’impatto emotivo di quel momento sull’altro; rinunciò nonostante questo alla deduzione, e fu probabilmente la prima occasione in vita sua in cui si ritrovò ad ignorare le proprie capacità deduttive e le loro possibili applicazioni a quel momento.

«Non è un problema d’altruismo né di bontà, Holmes, solo d’umana comprensione. Sai bene di poterti trovare - di aver rischiato di trovarti - in una situazione piuttosto simile alla sua. Non comprendo il motivo per il quale ti mostri tanto poco coinvolto.»

Holmes lasciò correre lo sguardo verso il soffitto, con finta indifferenza; il suo unico risultato fu però quello di sentire Watson avvicinarsi a lui, stringendolo, sfiorandogli la pelle con le labbra, invitando i tendini febbrili del suo volto ad incurvarsi in qualcosa di estremamente simile a un sorriso  - sorriso che divenne lievemente amaro quando lui riprese a parlare della sofferenza di Stackhurst.

 «Via, via, non nego che sarà difficile vedere il nostro amico di The Gables ancora da queste parti.» Ricambiò la stretta, senza in ogni caso abbassare gli occhi dall’alto nel quale puntavano: era così che era sempre vissuto, d’altra parte. «Perlomeno, non senza un largo, larghissimo preavviso.» 

   
 
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