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Autore: Slytherin Nikla    06/07/2006    1 recensioni
Sentiva con grande forza la responsabilità che aveva nel portare appuntato sul petto il distintivo di Auror, e ancor più nello svolgere l’incarico affidatole; un incarico che, per quanto sgradevole, era di fondamentale importanza per il Ministero, da quando i Dissennatori avevano iniziato a disertare. Pattugliare Azkaban non era né semplice né tantomeno appagante, ma era un lavoro che andava fatto: e Judith era sempre stata felice di rendersi utile al mondo magico.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lucius Malfoy, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Judith trascorse istanti su istanti a fissare la lunga cicatrice che le solcava l’interno dell’avambraccio sinistro e terminava sul palmo della mano. Mosse le dita una ad una, le richiuse a pugno tutte in una volta e le distese come per allungarle: la cicatrice era lì, da tempo immemore, stoica ed ostinata, a seguire con obbedienza i movimenti ora bruschi ora delicati che la ragazza imponeva ai propri muscoli. Si stendeva, si assottigliava, fingeva di sparire o di mutar posizione… Ma era sempre lì, il peggiore degli incubi. Judith si corresse: quella ferita non era in sé il peggiore degli incubi, ma faceva la sua parte nel ricordarglielo. Grazie al cielo almeno era trascorso molto tempo dall’ultima volta che le aveva procurato dolore.

Infilò la divisa, raccolse i capelli con uno spillone e si lanciò un’occhiata distratta nello specchio. Il lungo abito scuro da strega toccava quasi terra, ma a parte quel piccolo dettaglio cui ormai si era abituata alla perfezione Judith la trovava estremamente comoda e funzionale. La bacchetta era nella sua apposita sede. Mancavano solo i guanti, facoltativi ma che lei per ovvie ragioni non trascurava mai di indossare: e così, dopo un’ultima occhiata preoccupata alla cicatrice che sbucava sotto l’ampia manica e che brillava di un tenue colore bluastro – pessimo segno! – li infilò rapidamente.

Sentiva con grande forza la responsabilità che aveva nel portare appuntato sul petto il distintivo di Auror, e ancor più nello svolgere l’incarico affidatole; un incarico che, per quanto sgradevole, era di fondamentale importanza per il Ministero, da quando i Dissennatori avevano iniziato a disertare. Pattugliare Azkaban non era né semplice né tantomeno appagante, ma era un lavoro che andava fatto: e Judith era sempre stata felice di rendersi utile al mondo magico.

Appese al collo la Stella di David che sua sorella le aveva regalato anni prima, l’unico oggetto tangibile che le ricordasse le proprie origini: non se ne separava mai, o quasi; e la leggenda su quell’oggetto di cui non faceva mai a meno, unita alla curiosità per la fede religiosa che con esso professava, non aveva mai giovato né al cameratismo coi colleghi né alla carriera. In realtà era ormai lontano il tempo in cui poteva essere considerata un’ebrea devota e zelante, e quel po’ di emarginazione che di tanto in tanto ancora poteva incontrare non bruciava più forte come prima.

In fin dei conti, si disse mentre il turbinio della Metropolvere la inghiottiva, essere un Auror assegnato al pattugliamento di Azkaban non era particolarmente duro, dopo essere stata una giovane strega nella comunità ebraica più ortodossa e chiusa di Gerusalemme. Sorrise, vagamente divertita. Nonostante tutto la prigione dei maghi, in confronto alla sua infanzia, era quasi un posto piacevole.

Superò lo scudo di protezione grazie ad uno speciale incantesimo di Disillusione cui solo gli Auror erano abilitati, e registrò il proprio arrivo sempre con quel pensiero fisso in testa. Quella mattina la cicatrice si era colorata di blu, e il ricordo degli anni trascorsi a Gerusalemme con la nonna e sua sorella non voleva andar via: due pessimi segnali, ma Judith preferì ignorarli e cercare di concentrarsi sul lavoro. Era senz’altro meglio.

« Ben arrivata, Judy! » Non poté evitarsi di trasalire a quella voce squillante.

« Tonks! Ti credevo sul campo… Cosa fai qui? » L’altra alzò teatrale gli occhi al cielo.

« Sostituzione dell’ultimo minuto… Ho portato un Mangiamorte ieri sera e sono stata cortesemente invitata a fermarmi per la notte. Ti va un caffè? » Judith Ben Zion si affrettò a far volteggiare in aria la bacchetta con un’elegante torsione del polso, prima che la ragazza di fronte a lei decidesse di prendere l’iniziativa. Tonks era semplicemente tremenda con gli incantesimi domestici… E un pessimo caffè era l’ultima cosa di cui avevano bisogno! Ninfadora Tonks accolse con una sonora risata il gesto rapido dell’amica. Lei e Judith erano insieme sin dai tempi di Hogwarts, erano state nella stessa Casa e nello stesso dormitorio… Non era affatto una novità che Judith conoscesse il suo punto debole. E soprattutto non poteva ignorarlo dopo che si era ritrovata a ringraziare Dio per essere ancora viva nonostante una generosa porzione di torta di zucca che, a differenza del gatto, non aveva potuto rifiutarsi di mangiare. « Ma come fa a venirti così buono? » Judith gonfiò le gote e soffiò sonoramente.

« Magia… Provo a spiegartelo da quasi dieci anni, Tonks, e onestamente non credo di essere un’insegnante così mediocre! »

« D’accordo, mi arrendo, rinuncio… » Judith sorrise.

« Ecco, brava, è meglio. È il caso che mi muova, adesso, o i ragazzi si preoccuperanno per la mia assenza » Si alzò, ma si fermò subito « Ho capito male o hai portato uno nuovo? »

« Che domande… Naturalmente sì! Non un pesce grosso, intendiamoci… »

« … Ma comunque un Mangiamorte di meno in libertà »

« Esatto. Judy…»

« Dimmi »

« Non hai mai nostalgia di casa? » La ragazza chiuse gli occhi e soppesò i ricordi delle strette vie della Gerusalemme vecchia, e per un attimo fu sul punto di dire di sì; ma alle stradine dai mille profumi si sostituì il lungo corridoio della casa della nonna, il silenzio di tomba che tanto contrastava con il costante vociare della città vecchia e la costante penombra dalla quale l’anziana donna fissava disgustata un vaso frantumato ricomporsi sotto le mani della maggiore delle sue nipoti.

« No, mai. È stata Hogwarts, la mia casa… Non posso sentire la nostalgia d’altro ».

  
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