So far away
1.Din don!
Effettivamente non era male.
Poteva andarle molto
peggio, questo era certo. Senza contare che era divertente come
ricordava stare sul palco e rivivere quell'esperienza era sempre un
piacere.
Anche se non poteva
considerarsi un vero palco, quello dove si trovava, ma quella era
un'altra storia.
Recitò la parte di Ariel
in un modo che lei definiva perfetto – e
al diavolo la
modestia! - e come al solito si rivelò la Star di quel
teatrino da
quattro soldi.
L'unica pecca era che nessuno stava guardando quella messa in scena. Nessuno. Era come se stesse cantando da sola e... Beh, non era per nulla bello; quella gente era così presa dal gioco che a stento si era accorta della sua presenza.
Anzi, non era l'unica pecca, quella.
Il resto della troup –
si constrinse a chiamarli così – faceva
letteralmente schifo.
Nessuno di loro, ma
veramente nessuno, cantava alla sua altezza e si
ritrovò a
ringraziare mentalmente il film La Sirenetta per la
mancanza
di duetti che comprendevano il personaggio di Ariel.
Un' umiliazione in meno,
insomma; già si sentiva in imbarazzo di suo, ci mancava solo
un coro
disastroso.
La serata, però, a
dispetto delle sue convinzioni, passò tranquilla.
Non c'erano stati feriti e
lo spettacolo fu abbastanza carino – tutto merito suo,
d'altronde –
e in più c'era stato anche un momento di
positività.
Aveva appena finito di
recitare una scena che la comprendeva, infatti, ed era arrivato il
momento di pausa.
Si era seduta vicino a
Puckerman, il quale, nonostante lei gli avesse fatto cenno, non aveva
minimamente distolto gli occhi dai giocatori; sembrava prendere sul
serio il proprio lavoro, dopotutto, e questo un pochino la
rincuorò.
Poi, all'improvviso, erano
sobbalzati entrambi ad un urlo lanciato da uno di quei dipendenti dal
gioco d'azzardo: l'uomo, dopo il grido animalesco, era saltato in
piedi e aveva gettato tutte le carte all'aria.
Quello che li stupì più
di tutto, però, fu il suo buttarsi per terra e il suo
iniziare a
piangere come la peggiore delle femminucce.
Rachel fu parecchio
indecisa se scoppiare a ridere o portare rispetto per chi aveva
appena perso dei soldi: quando vide la faccia di Puck, però,
non
riuscì a trattenere una risatina.
Puck, infatti, a stento si
stava trattenendo.
E la contagiò.
Rimasero lì per parecchi minuti, in silenzio e con un sorriso leggero sulle labbra.
"Quando vieni qui,
Kurt?"
Si stava di nuovo
lamentando al telefono con Kurt e di nuovo Kurt
sbuffò.
"Rachel, te l'avrò detto un milione di volte. Devo prima finire lo spettacolo qui in Ohio, poi si vedrà!"
"Tanto lo so che verrai. Non avrai altre occasioni per sfondare, lì," non riuscì a trattene un sorriso al pensieri di Kurt felice come una Pasqua mentre girava per le vie di New York. "E questa città ci dona, lo sai bene..."
"È vero, Tiffany mi aspetta. Ma non posso lasciare Mercedes a preparare lo spettacolo da sola, lo sai che non me lo perdonerebbe mai."
"Ma cosa ci trovate
di bello nel gestire uno spettacolo per matricole?" rispose
Rachel, leggermente imbronciata.
Kurt preferiva Mercedes
a lei?
"E tu cosa ci trovi di bello a lavorare in una pizz-"
"No, ok, Kurt, hai
ragione," sospirò. Meglio non dire nulla a Kurt del nuovo
lavoro, o avrebbe cominciato a fare battutine maliziose su Puck. "Non
ho nessun diritto di giudicarvi.
Ma è perché trovo che
voi due valiate molto di più di quello."
Non poteva sentirlo, ma
era sicura che Kurt avesse sorriso.
"Lo so. Per questo non vedo l'ora di ess-" si interruppe. "Era il tuo campanello, quello?"
"No, certo che no."
Din don.
"Rachel, non lo sto immaginando."
Din don.
"Rach-"
Din don.
"Oh, e va bene. È
Puckerman."
Ci fu un attimo di
silenzio in cui Rachel pensò che Kurt fosse svenuto.
"... Puck?" si
rilassò a risentire la voce dell'amico. "Non farlo
aspettare,
allora! Lo sai che è sfuggente, quel ragazzo. Poi mi
raccontarai
tutto, chiaro?."
Dal tono leggermente
minaccioso dell'amico, Rachel capì che non l'avrebbe passata
liscia.
Non poteva continuare e tenere il segreto per sé, era ora di
svuotare il sacco.
"Okay. A dopo, Kurt."
Chiuse il telefono e si
avvicinò al cidofono che, a quanto pare, Puck aveva
intenzione di
distruggere a fuoria di suonate.
Rispose a Noah con un tono
di voce stanco e rassegnato.
"Ora scendo."
Passò il corridoio con il
passo più lento che riuscì a trovare,
sistemandosi, intanto, i
capelli con una mano. Era un impiastro, quel giorno:
l'umidità li
rendeva crespi e a suo avviso orrendi.
Si bloccò all'improvviso.
Perché accidenti si
stava sistemando?
Lei non doveva mica farsi
bella per Puck. Figuriamoci. Neanche in un' altra
vita.
Soprattutto perché
secondo l'ex – ma neanche tanto ex – teppista,
quella era un
innocente e innocua uscita tra amici.
Una cosa era certa: tutto quello era un grande, gigantesco errore.
"C'è da dire che
l'unica voce che un pochino ha superato le altre, è quella
della
biondina slavata che avrebbe dovuto imitare Olivia Newton John, ma
che non le avrebbe neanche pulito le scarpe.
Patetica, davvero.
Però confronto al resto
del Cast, così barbaro e stonato, aveva un pochino
più di
grinta..."
Erano dieci minuti che
Rachel parlava a raffica; Puck, nonostante la sua faccia mortalmente
annoiata – sia per quella cazzata di film,
sia per le
continue chiacchiere di Berry – non riuscì a
zittirla.
In fondo meglio così,
quella serata sarebbe passata più velocemente; pensare che
stavano
anche andando a prendersi un caffè insieme.
Che palle.
L'avrebbe sotterrata da un
momento all'altro, davvero.
Se non fosse che la sua
scollatura, quella sera, era quantomeno decente,
probabilmente
le avrebbe ficcato un calzino in bocca.
Ma Puckerman non malmenava
mai una donna, si sapeva. Soprattutto se essa aveva un bel
decoltè.
Puckerman era, a dispetto
di tutto, un gentil'uomo.
"Mi stai ascoltando, Noah?" erano già passati al nome? Bene.
"Certo, Berry."
Beh, non l'avrebbe
biasimata per il fatto che non gli credeva: il suo sorriso era
più
falso di una tetta di Santana – e lui le aveva viste
entrambe,
poteva assicurare.
"Lo sapevo. Voi
uomini siete tutti uguali," s'inalberò Rachel, pronta per
un'altra delle sue filippiche. "Neanche Finn sapeva-"
Rachel si bloccò
all'improvviso, mordendosi il labbro inferiore quasi a sangue.
Quel nome, a quanto pare,
era come un Tabù, per lei.
"Berry, cos'è successo a Finn dopo la scuola?" si bloccò in mezzo alla strada, costringendola a fermarsi a sua volta.
"Non lo so."
La guardò con sguardo
serio, avvicinandosi lentamente. "Berry, non sto scherzando.
Dimmelo. Immediamente."
"Non lo so," gli
rispose di nuovo lei, lo sguardo basso.
Non aveva neanche il
coraggio di guardarlo in viso?
"Rachel," si
stupirono entrambi dell'improvviso uso del suo nome. "Dimmelo."
Quando lei aveva alzato lo
sguardo, Puck notò che aveva le lacrime agli occhi.
Possibile che Finn...?
Rachel non fece in tempo ad aprire bocca che un voce squillò per la piccola stradina di New York dove avevano deciso di passeggiare.
"Noah!"
Puck si voltò appena,
subito acciecato da una zazzera bionda che lo investì
completamente,
le braccia della ragazza che l'aveva appena chiamato strette al collo
e la sua voce nell' orecchio che continuava a sussurrargli 'quanto
mi sei mancato'.
Quando finalmente
l'abbraccio – o ammutinamento – finì, lo
sguardo di Puck fu
catturato da quella allibito della Berry.
"Berry," a quanto pare era ora delle presentazioni,"lei è Sheryl, la mia ragazza."
Gli occhi di Rachel si allargarono ancora di più.