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Autore: Natalja_Aljona    06/11/2011    1 recensioni
Capelli raccolti, capelli stille di grano, capelli luce di stelle, le sue stelle nelle tue mani.
Treccia sfatta sul vestito chiaro, chioma ribelle, arricciata, scompigliata, sciolti tra le braci delle tue mani, quei capelli.
E lei, a giocarci sempre, con quei capelli, ad intrecciarseli ancora con le dita leggere, a sfiorarti gli occhi, poi, con quelle dita, sbriciolare un sorriso sul timido rossore del volto e ridere, ridere, ridere di te.
Squarcio di cielo, cielo e vertigine, cielo e voragine.
Lei sorride da capogiro e tu davvero non ragioni.
"Alja, mi fai venire le vertigini".
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Gee

Sigaretta spenta nell'Iliade, stringhe slacciate, oplita filosofo d'un sogno a metà


Well, I said from the first

I am the worst kind of guy

For you to be around

Tear me apart

Including this old heart

That is true

And never ever let you down


Beh, l'ho detto dal primo momento

Io sono il peggiore ragazzo

Per te

Lacerato

In questo vecchio cuore

Questo è vero

E mai e poi mai ti deluderò

(The Worst, The Rolling Stones)


Sorrideva, il ragazzino eroico - ironico, con la sua tazza di yogurt greco sulle ginocchia e lo sguardo chissà dove.

Natal'ja avrebbe voluto respirare, ma il sospetto che il suddetto brigantello stesse cercando di strangolarla nel suo abbraccio distratto in riva al fiume non l'aveva ancora abbandonata, e ancora la faceva ridere.

In fondo le sembrava così sciocco, in quel momento, respirare, con la stoffa lisa della camicia del ragazzo tra le dita e nemmeno una parola a spiegare il suo disperato stringerla quando avrebbe potuto stringere lui, ammesso che le stringhe non l'avessero fatto volare nell'Eurota.

Le sorrideva e basta, George, che da tempo aveva ormai smesso di piangere la felicità di quel mezzo bacio strappato nello schiaffo delle selve spartane e adesso faceva piangere lei, che il tramonto le era scivolato tra le dita, e lui con le luci già all'ombra della fine della sera.

Aveva quei colori, quel volo di stelle negli occhi, il vecchio, irrecuperabile George, che faceva perdere il senso del vento, il nome del tempo, ammesso che il tempo, il suo tempo, un nome di quelli da chiamare la mattina appena sveglia l'avesse mai avuto.

Natal'ja non sapeva mai davvero cosa dire di quel George che ora la camicia l'aveva gettata nel fiume, strappata di mano a lei che proprio non sapeva cosa fare, ma lo scrutava un po' timida, adorante, sospettosa, come a volerlo prendere in giro con una carezza, e poi il coraggio di fargliela, quella carezza, sarebbe arrivato forse con la prossima luna, la prossima luna che lui avrebbe passato con la pistola in mano e le stringhe slacciate da inciampare dopo aver sparato, con l'Iliade stretta forte nella mano libera, libera per modo di dire, a sognare un po' perso sui versi d'Omero, che al Telamonio lui avrebbe tanto voluto assomigliare, ma di fronte alla rocca degli Achei sarebbe sempre stato un pulcino, e allora ci spegneva la sigaretta, nell'Iliade, sovrappensiero, e un attimo dopo malediva la sua dannata distrazione.

Ma al diavolo gli eroi di quella sorta, gli dei d'Olimpo, che se li prendesse Ade, il buon Ade, che se li mangiasse nello yogurt greco, la sua Lachesi infame.

Aveva lei, George, lei che, sì, un po' gli ricordava Briseide, e poi, beh, il Pelìde era biondo e lui forse in un'altra vita, il Pelìde aveva un orgoglio che per abbassare un poco le barriere lo pregavano, e lui orgoglioso lo era altrettanto, davvero, ma se si rifiutava d'andare in battaglia lo menavano, c'era poco da fare.

-Alja, Alja, questa è Sparta, la Sparta di ieri, di oggi e di sempre, che un cuore ce l'ha, forse, ma sotto l'usbergo. Ma benedetta piccina, più terribili di Sparta sono gli Spartani: guardali, e se ti guardano, sappi che te la faranno ingoiare presto, la parola “fine”. Ecco, ecco gli Spartani. Sono uno di loro, e allora diamoglielo, un motivo per giocarsi a carte il mio cadavere, se proprio andasse così male, la prossima battaglia.

Ma Alja, Alja, sorridi, domani scappo via, domani, te lo giuro, ti porto a Micene.

“E cosa c'è da vedere, a Micene?”, mi chiedi e sorridi sapendo che un poco mi farà morire, il tuo dubitar della città d'Agamennone.

C'è da vedere quanto bene ti voglio, e credimi ch'è tanto, credimi, ci paghi la nave per la Russia, credimi, ti basta per un'altra vita.

Ma tu un'altra vita non la vuoi e neanche tornare in Russia, non adesso, tu vuoi il bene che ti voglio stretto stretto nelle mani, vuoi quel bacio che volevo darti l'altro ieri e prima ancora e non t'ho dato, mi guardi e sei sicura che sarà oggi, quel giorno.

Ti guardo male, sorridi, sei proprio una sciocchina, Natal'ja di Krasnojarsk.

Vuoi il mio bacio, vuoi il mio bene, e sai che ti dico, sai che dico io?

Domani, cara mia-

Scuoteva la testa, adesso, Geórgos dei Kléftes, il sorriso spavaldo sull'eterna abbronzatura del bel viso e quella sfrontatezza da denuncia a fargli ridere e riflettere nel fiume i cari occhi d'ossidiana.

-Guardi l'Eurota, Natal'ja, e poi guardi me. Che ti prende? Tu, la più coraggiosa e irriverente, la più bella e scanzonata, bambina buffa e sciroccata. La scintilla che ti corre negli occhi birichini proprio non me la vuoi spiegare, hai anche tu i tuoi tempi, e arrangiati, allora, io mi cucio 'sta ferita come m'ha insegnato il nonno, che mica lo devi far vedere, se stai male, eppure vorrei piangere un pochino, sai?

Sorridi ancora, Alja, dai, che non t'ho mai vista così seria, così triste, dai, vieni qui, l'ho cucita, la ferita, non ha fatto troppo male, no, tanto tu lo sai che mento.

Oh, se sei noiosa, con quegli grigiazzurri, fumo e mare, che mi ripeton quanto son bugiardo e quanto, disgraziatamente, ti faccio battere il cuore.

Vacci anche tu, a quel paese, Alja, anche se non so come si dice in russo.

Lascia perdere, non ho ancora detto niente d'intelligente da stamattina, ci sei abituata, non ci fai più caso, ridi.

Sì, Alja, scusa.

Ti voglio bene, ti voglio bene anch'io.

Te lo do adesso, quel bacio che non so per quale cretina ragione abbiam perso per la strada.

Te lo do adesso. Vuoi?-



Note


Ed eccolo, George, Geórgos dei Kléftes, i briganti di Leonida, i briganti di Sparta.

George che non è che sia un mostro di coerenza, no, né tantomeno di ragionamenti lucidi e sensati, George che vive per Omero, Sparta e lo yogurt greco, e tra Omero, Sparta e lo yogurt, più di qualsiasi altro mondo, c'è la sua Natal'ja.

Questo è il George diciassettenne e ancora più sciroccato del 1838, ed Alja ha tredici anni, in quest'anno, ma con Gee deve sempre tornare un po' bambina o inventarne qualcuno di più.

E' terribile, George, sotto tanti, troppi punti di vista.

Che non si sa mai se aspettarsi un sorriso o uno sputo in un occhio, da lui, ma una citazione dell'Iliade sì, questo è certo.

Ch'è bello, Gee, ma assurdo, tanto assurdo che bisogna esser matti come lui, per capirlo, George che non è tanto un “bello e impossibile”, impossibile mille volte di più, di quell'impossibilità che fa venir un esaurimento nervoso, George che vive nella Sparta di ieri nel 1838, nel cuore delle selve del Taigeto in cui Leonida, il suo spregiudicato e discutibilmente affettuoso nonno, fa rivivere la Sparta degli eroi.

Krasnojarsk, che ho nominato verso la fine del capitolo, è la città di Natal'ja, la biancazzurra città della Russia Siberiana, Krasnojarsk attraversata dall'Enisej ghiacciato e dalle bufere di neve, Krasnojarsk della Siberia Centrale, la Krasnojarsk in cui è nata Natal'ja.

George che certe volte si fida solo delle stelle che con la sua pistola cerca di far cadere giù -anche se di questo parleremo in uno dei prossimi capitoli- e tra queste stelle si fida forse solo di Natal'ja.

Spero che vi sia piaciuto, questo momento, forse meno romantico, non so, romantico a modo di George, che a volte lo butta nel fiume, il romanticismo, e in qualche modo non riesce mai a buttarlo del tutto.

Voi cosa ne pensate, di questo mio benedetto Gee?


A presto! ;)

Marty

  
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