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Autore: dalialio    06/11/2011    3 recensioni
Una ragazza entra a far parte della vita degli agenti dell’NCIS. La sua identità all’inizio li lascerà sconcertati, ma poi si abitueranno alla sua presenza.
La protagonista presto scoprirà di aver creato dello scompiglio nelle loro vite, ma grazie al suo aiuto qualcuno riuscirà a chiarire i propri sentimenti.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'She Cαme Into Our Lives And Chαnged Everything'
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Interceiding Is Often Had - Cap 11

Capitolo 11

Le vecchie abitudini sono dure a morire


La mattina dopo, anche se era domenica, mi presentai agli uffici dell’NCIS. La sera prima Jethro mi aveva detto che, nonostante quello fosse il giorno di riposo di tutti i comuni mortali, non sarebbe stato strano se la sua squadra si fosse comunque presentata al lavoro di buon’ora. Così lo zio mi aveva consigliato di cogliere l’opportunità per salutare tutti quanti prima di tornare a casa con i miei nel Connecticut.
Accettai il suggerimento di Jethro e alle nove in punto lo zio suonò il campanello; dopo aver salutato per bene i miei genitori, che non avrebbe rivisto per molto tempo, mi caricò in auto e partimmo alla volta del centro città.
Entrammo nell’edificio e salimmo in ascensore. Arrivati alle scrivanie della squadra dello zio, rimasi sorpresa nel vederle vuote. Ma non mi aveva detto che ci sarebbero stati tutti?
Jethro mi tirò per un braccio e mi fece avanzare verso un corridoio che si trovava dietro la grande scala di metallo, spingendomi con la mano sulla schiena. Le mie occhiate confuse, che gli lanciavo per chiedergli dove diavolo mi stesse portando, non sembrarono scuoterlo. Sul suo viso era stampato un sorrisino che non riuscivo a decifrare.
Quando passammo davanti ad alcune porte aperte, che davano sulle sale interrogatori, mi resi conto che quel corridoio mi era familiare e ad un tratto capii dove Jethro mi stava portando.

Entrammo nella sala relax, la stessa dove avevo avuto l’interessante conversazione con Ziva davanti alla macchinetta degli snack*, e trovai tutti lì: Tony, Ziva, McGee, Abby, Ducky e Jimmy. Sul tavolino circolare davanti a loro era posata una scatola aperta che conteneva delle ciambelle enormi. Accanto, un gruppetto di bicchieri di cartone faceva sperare che si bevesse del caffè.
Tutti sorrisero mentre Tony esclamò: “Sorpresa!” allargando le braccia ad indicare lo spazio attorno a sé.
Per essere sorpresa, lo ero davvero!
Guardai l’espressione di ognuno di loro, poi mi misi a fissare le ciambelle. “Wow, ragazzi! Non so cosa dire!”, esclamai. “A cosa devo l’onore?”.
“Beh”, fece Jethro, posandomi le mani sulle spalle, “oggi te ne vai e chissà quando ti rivedremo. Volevamo salutarti come si deve”.
“Il Connecticut non è lontano”, dissi sorridendogli. “Posso venire a farvi visita quando volete”.
Jethro sorrise e mi spinse verso il tavolino, incoraggiandomi a prendere un caffè e una ciambella, ma Abby mi si parò davanti.
“Davvero vuoi bere quella schifezza?”, esclamò, enfatizzando la parola con una smorfia teatrale. “Ti do la possibilità di scegliere: puoi bere quello” – si girò verso i bicchieri posati sul tavolo, sfoderando la stessa espressione di disgusto – “oppure questo!”. Sfoggiò un sorriso a trentadue denti e mi mise sotto il naso un bicchiere rosso che conoscevo benissimo.
Il suo amato CafPow.
Fissai il bicchierone di plastica per qualche secondo, poi lo afferrai e iniziai a succhiare avidamente dalla cannuccia.
D’altronde si sa, le vecchie abitudini sono dure a morire.





***




Passammo la mattinata tutti insieme nella saletta, a mangiare ciambelle e a trangugiare chi semplice caffè, chi CafPow, parlando dei più disparati argomenti: la nuova agente in prova che era arrivata la settimana prima e che era stata assegnata alla squadra di un loro collega – Tony non perse tempo a fare uno dei suoi soliti commenti, assegnandole subito il soprannome di “pivella” e dicendo che l’avrebbe vista bene come la nuova ragazza di Palmer; la nuova miscela di caffè che veniva offerta al bar dove McGee si riforniva di solito; un ex di Abby che sembrava volesse rifarsi avanti (l’argomento provocò delle occhiate da parte di Tim verso Abby e un inconfondibile colorito rossastro sul suo viso, dovuto – molto probabilmente – a un sentimento di gelosia che era rimasto represso troppo a lungo); un nuovo film con Sean Connery che Tony era andato a vedere al cinema qualche tempo prima e di cui sapeva già esibire qualche citazione. Un paio di volte Ducky partì in quarta con uno dei suoi soliti discorsi, che iniziavano con: “Ricordo una volta, quando...”, ma, in entrambi i casi, venne subito interrotto da Jethro, che giustificò la sua ingerenza dicendo che io non ero abituata alle sue consuete chiacchiere, facendo così risparmiare a tutti l’ascolto di un racconto lungo e contorto.
L’unico argomento che non saltò fuori quella mattina fu il ricevimento della sera prima. Nessuno, per un motivo o per un altro, voleva iniziare il discorso: Tony e Ziva non potevano assolutamente parlare di ciò che era successo tra di loro – visto che le relazioni tra colleghi erano severamente vietate all’NCIS; Jethro non voleva menzionare nulla riguardo quella sera a causa della conversazione che noi due avevamo avuto riguardo Tony; Abby e Tim avrebbero dovuto raccontare come avevano passato la serata – cioè parlando, parlando e ancora parlando; Ducky e Palmer... beh, in quel momento non potevo saperlo, ma loro non volevano iniziare il discorso perché sarebbero stati costretti a raccontare della tecnica da loro utilizzata per rimorchiare due belle signore.
Senza che ce ne rendessimo conto, arrivò mezzogiorno. Il tempo era davvero volato; d’altronde, ritrovandosi in una compagnia così varia e piacevole, era inevitabile che il tempo passasse molto velocemente, così come era successo per tutta la settimana.
“Zio...”, mormorai, dopo aver guardato l’orologio. “Ora devo proprio andare...”.
Abby si raddrizzò sulla sedia. “Come? Di già?”, domandò con un’espressione contrariata.
“Sì...”, risposi dispiaciuta. “Beh, sono stata con voi un’intera settimana”, dissi per cercare di tirare su di morale sia Abby che me stessa. “Abbiamo passato diverso tempo assieme”.
“Non puoi rimanere ancora un po’, mia cara?”, fece Ducky.
Scossi la testa con un sorriso forzato. “No, mi dispiace. Il mio aereo parte alle quattro e devo sistemare le ultime cose in valigia”, spiegai.
“Beh, allora...”, iniziò Jethro, alzandosi in piedi. “Mi sa che dobbiamo salutarti.
Quello fu un momento davvero terribile. Salutare i colleghi di Jethro mi strinse il cuore: avevo passato con loro molte ore al giorno per un’intera settimana e non rivederli più – o comunque per molto tempo – mi dispiaceva davvero tanto. Erano delle belle persone, ognuna con il proprio carattere; tutti diversi, ma che allo stesso tempo riuscivano a completarsi. Era davvero una cosa bella.
Si misero tutti in fila per salutarmi: sembravano in processione.
Abby era la prima. “Agente speciale Amy!”, esclamò con un singhiozzo, buttandomi le braccia al collo e stringendomi forte. “Mi mancherai tantissimo!”.
“Anche a me mancherai, Abby. Ma non ti preoccupare”, risposi con un sorriso quando mi lasciò andare. “Ci possiamo sempre sentire per e-mail. E adesso che ho un computer tutto mio a casa, posso usare la webcam”.
Con un altro singhiozzo, Abby si fece da parte e McGee avanzò.
“Beh... arrivederci”, mi salutò, allungandomi la mano.
La ignorai e lo strinsi in un abbraccio. “È stato un piacere, Tim!”, esclamai.
Poi fu la volta di Ducky e di Palmer. Il primo mi prese le mani e le strinse caldamente. “È stato bello rivederti, Miss Gibbs”, disse, aggiudicandosi un mio sbuffo per l’appellativo che aveva usato. Jimmy, invece, si limitò a stringermi la mano.
Dietro di lui c’era Ziva, che mi fissò con uno sguardo enigmatico per un tempo indefinito. Poi sfoderò lo stesso sorriso che mi aveva rivolto il pomeriggio del giorno prima durante la prova dei vestiti: era pieno di... gratitudine? Ancora una volta non riuscii a decifrarlo. Si limitò ad allungare la mano, che io strinsi caldamente e forse per troppo tempo. Ma lei parve non dispiacersene.
Poi toccò a Tony. Era rimasto per ultimo, il fifone! Mentre gli sorridevo forzatamente, mi chiesi se davvero fosse lui ad avere paura di quell’ultimo incontro faccia a faccia oppure io. Dopo la mia sbirciatina nel parcheggio della sera prima – di cui Anthony era ancora all’oscuro – non avevamo avuto modo di parlare da soli. Anche se non credevo ci fosse qualcosa da dire.
L’espressione di Tony somigliava alla mia. Sguardo agitato, sorriso tirato.
Mi schiarii la voce. “Ciao, Tony”, dissi in un sussurro.
“Ciao, Amy”, rispose lui. Poi si scansò.
Jethro mi si parò davanti. “Ti accompagno a casa”, disse.
Scossi la testa. “Non ti preoccupare, prendo un taxi”, risposi. “Non è necessario che tu esca dal lavoro”.
Ci misi un po’ per convincerlo, ma alla fine ci riuscii. Mi accompagnò all’ascensore e, mentre aspettavo che arrivasse al piano, ci salutammo.
“Grazie di tutto, zio: per avermi tenuta qui e sopportata...”.
“Oh, figurati! È stato un piacere, bambina mia”, rispose con un sorriso, poi mi abbracciò. “Torna a trovarmi quando vuoi”.
Annuii e, dopo qualche altro abbraccio, entrai in ascensore e le porte si chiusero.
Uscii dalla porta principale dell’edificio, ritrovandomi immersa nella luce accecante del sole che illuminava il vialone d’accesso. Mi ero allontanata di una ventina di metri, quando sentii una voce alle mie spalle.
“Amy!”.
Mi bloccai di colpo e non mi mossi per parecchi secondi. Quella voce l’avrei riconosciuta in qualsiasi momento.
Mentre cercavo di decidere se voltarmi oppure no, sentii dei passi che si avvicinavano e una mano si posò sulla mia spalla. A quel punto fui costretta a girarmi.
Stava sfoderando la stessa espressione con la quale mi aveva salutata. Anzi no, non era uguale... lo sguardo non era agitato, ma attento; il sorriso non era tirato, ma aperto e rilassato.
“C’è una cosa che devo dirti”, iniziò Tony, “e non avevo il coraggio di farlo davanti a tutti”.
Ora quella agitata ero io. Il mio cuore batteva all’impazzata e non sapevo perché; avevo caldo, ma non era a causa dei 25° C che aleggiavano nell’aria.
Nonostante tutto quello che era successo tra me e Tony, ero ancora nervosa davanti a lui?
Dato che Anthony non accennava a proseguire, lo incalzai: “Cioè?”.
“Volevo ringraziarti”, disse in un soffio.
“Per cosa?”, domandai. Non sapevo perché, ma stavo cercando in tutti i modi di essere fredda.
“Beh, mi hai aiutato...”, fece Tony. “Insomma, se non fosse stato per te, non so per quanto tempo ancora avrei tenuto nascosti i miei sentimenti”.
Lo fissai con un espressione che non rivelava alcuna emozione.
“Sì, insomma... io e Ziva abbiamo parlato e... abbiamo deciso di provare”.
“A stare insieme?”. Il mio cuore si contrasse impercettibilmente.
Sorrise. “Sì”.
A un tratto i miei occhi si inumidirono, riempiendosi di lacrime. Oh, insomma! Possibile che Tony riuscisse a farmi piangere di nuovo?
Ma quelle non erano lacrime di tristezza, bensì di gioia. Anzi, lacrime di vittoria.
Avevo davvero vinto.
“E, ripeto, è merito tuo”, continuò Tony.
“Beh, anch’io ho qualcosa da dirti...”, mormorai in soggezione. Sapevo di doverglielo dire.
Tony mi fissò, aspettano che continuassi.
“Sì, insomma... quando ieri sera hai invitato Ziva a ballare, io vi stavo tenendo d’occhio...”.
“È normale, volevi vedere come andavano le cose”, m’interruppe.
“Già...”, risposi, “ma vi ho anche seguiti nel parcheggio. Vi ho visti, mentre voi...”. Non finii la frase, leggermente in imbarazzo.
Con un gesto inaspettato, Tony mi sollevò il viso, sfiorandomi il mento con due dita, e piantò i suoi occhi nei miei. A quel punto dovevo essere diventata rossa come un pomodoro.
“È normale”, ripeté, scandendo le parole. “Volevi vedere come andavano le cose”. La sua voce era profonda, vellutata. Cosa diavolo stava cercando di fare?
Mi stava ammaliando?
Feci un microscopico passo indietro, distogliendo lo sguardo, e la sua mano si ritrasse.
“Tu... hai voluto intercedere”, disse Tony, con lo stesso tono di voce. “No?”.
“Beh, non ne sono sicura...”, replicai imbarazzata. Poi alzai lo sguardo e notai la sua espressione, leggendo nei suoi occhi qual era la risposta che voleva sentire. “Credo... sì, credo che quello fosse il mio intento”, conclusi con un sorriso.
Restammo a fissarci per un po’, poi Tony parlò: “Dovrei tornare dentro”, disse, indicando l’edificio arancione alle sue spalle.
“Sì”, risposi, un po’ imbarazzata. “Devo andare anch’io. Il taxi mi aspetta”.
Tony fece per andarsene, ma lo fermai. “Puoi riferire un messaggio a Tim?”. Annuì. “Digli che ci provi, con lei”.
Lo sguardo di Tony si accese, probabilmente aveva capito a chi mi stavo riferendo.
“Ma ti prego, Anthony, non farne un dramma, come al tuo solito. Sii discreto. Riferisci il messaggio e basta”.
“Okay”, rispose, e sentii un velo di delusione nella sua voce.
“Giuralo”, dissi severamente.
Si posò una mano sul cuore e alzò l’altra, mostrandomi il palmo. “Lo giuro”. Poi mi sorrise e si voltò, tornando indietro.
Lo guardai per qualche secondo, poi mi feci coraggio. “Tony!”, lo chiamai.
Si fermò, girandosi verso di me. Annullai la distanza tra di noi con passo svelto, raggiunsi il suo braccio e mi ci aggrappai di peso. Usai l’appoggio per alzarmi in punta di piedi posai le labbra sulla sua guancia.
Il momento sembrò interminabile. Tony era immobile, non opponeva resistenza. Il mio cuore batteva ancora veloce. Con gli occhi chiusi, le uniche percezioni che avevo erano il calore del sole sulla mia pelle, il profumo del dopobarba di Anthony e la sensazione della pelle liscia della sua guancia sotto le mie labbra.
Quando le dita dei piedi iniziarono a dolere, mi abbassai e mi voltai di scatto, allontanandomi una volta per tutte da Tony.
Mentre camminavo per raggiungere la strada, feci attenzione a non voltarmi indietro: non volevo sapere se Anthony fosse rimasto lì a guardarmi o se fosse andato via. Mi limitavo a camminare e a sorridere, persa nei miei pensieri.
Avevo passato del tempo assieme ai colleghi di Jethro e mi ero anche divertita.
Ma la parte migliore era un’altra: ero entrata nella vita di quelle persone e ad alcune l’avevo facilitata.
O almeno così mi piaceva credere.

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Nota di fine capitolo:
*: la situazione cui si riferisce Amy è la parte finale del Capitolo 7.









*Nota dell'autrice*

Siamo agli sgoccioli, ragazzi! La storia è quasi finita, dopo di questo capitolo c'è solo l'epilogo e poi un capitolino extra... :) devo dire che mi dispiace che la storia sia quasi finita, mi sono davvero divertita a scriverla e il fatto di aggiornarla ogni settimana mi ha in un certo senso tenuto compagnia... :(
Ma non vi preoccupate, Amy non vi abbandonerà! :) sarà la protagonista di altre storie, che siano long o shot, che scriverò di sicuro in futuro! :)
Comunque, che dire di questo capitolo se non che io lo adoro? :) Sì, lo so, le mamme parlano sempre bene delle proprie creature, ma questo capitolo mi piace davvero tanto :) il saluto finale tra Amy e Tony è d'effetto :) o almeno quello era il mio intento!
In ogni caso, qui viene spiegato il titolo di questa fic: "Interceiding is often hard", cioè intercedere è spesso difficile. In effetti, per la nostra Amy è stato parecchio difficile fare in modo che tra Tony e Ziva accadesse qualcosa, ma alla fine ce l'ha fatta! :) la ragazza merita un applauso!
Vi lascio :) ci vediamo domenica prossima! :)
Chiara

   
 
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