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Autore: _Calliope_    06/11/2011    3 recensioni
Storia di una persona a cui non piace il mare.
(Davvero?)
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Talassofobia

 

Si sono dette un sacco di cose sul mare. Che è immenso, rilassante, lo specchio dell'anima di ognuno di noi. Che è sterile (lo sostenevano i Greci, perché non ci cresce nessuna pianta commestibile), che è fonte di vita, la culla dell'umanità, ciò che unisce i popoli. Baricco e un sacco di altri autori ci hanno anche scritto degli interi libri.

Beh io lo detesto, ok? Mi fa profondamente schifo. Il rumore delle onde non mi calma, ma mi mette una strana agitazione addosso. Non è per niente regolare, come lo sarebbe un respiro. È incoerente ed imprevedibile. Lo odio.

È anche inquinato. Gli esseri umani, con la loro tanto vantata intelligenza superiore, non sono neanche capaci di prendersi cura delle loro cose. Così adesso gli oceani di tutto il mondo sono pieni di petrolio, immondizia e merdate varie. E sì che l'acqua dovrebbe essere l'elemento purificatore per eccellenza.

Il mare mi fa cose strane. Uno dei miei gruppi preferiti ha scritto una canzone su un disturbo che alcuni astronauti si accorgono di avere al ritorno delle loro missioni nello spazio. Non so se ne esista un corrispettivo italiano, ma comunque il titolo è molto eloquente: space dementia. Si tratta dell'opprimente sensazione di sentirsi inutili ed insignificanti dopo aver assistito allo spettacolo dell'enormità dell'Universo in tutto il suo splendore.

Non so se io ne soffrirei, qualora mi venisse la balzana idea di fare l'astronauta. Il cielo mi sembra così lontano ed astratto. Bellissimo, sì, ma incapace di farmi del male. Chissà, magari se mi ci trovassi dentro darei fuori di matto.

Il mio “disagio”, chiamiamolo così, si potrebbe definire sea dementia. Anche se, ugh, suona proprio cacofonico. Però si tratta sostanzialmente della stessa cosa: il terrore davanti all'infinito.

Ditemi una cosa. Andate su una spiaggia, un molo o un porto. L'unica condizione è questa: non si deve vedere nessuna costa nella direzione in cui state guardando. Fatto?

Bene. Adesso pensate che, per centinaia di migliaia di chilometri davanti a voi, non c'è assolutamente niente a parte acqua, sale, sabbia, rocce, qualche alga occasionale, qualche ancor più occasionale nave e un sacco di cose pronte ad afferrarvi per le caviglie e trascinarvi giù, giù negli abissi, a morire della morte più atroce di tutte: la mancanza di ossigeno.

Il quale ossigeno è precisamente una di quelle cose che tutti noi diamo per scontate, ma senza la quale saremmo spacciati. Trattenete il respiro. Per un paio di minuti, possibilmente. Come vi sentite, adesso? Storditi, agitati, impotenti? Non lo trovate angoscioso?

Questo è precisamente il motivo per cui odio il mare. Non è sterile, come dicevano i Greci (è innegabile che pulluli di esseri viventi), ma neanche fonte di vita, come si è portati a credere oggigiorno (come si fa a definire vita quell'esistenza sospesa ed ovattata?). È un limbo, pieno di creature sfuggenti ed ambigue e pericolose. Non voglio neanche andarci vicino.

Il che si rivela piuttosto problematico, a volte, essendo io nato in una città che fin dalla sua fondazione vive in simbiosi con esso: Venezia.

Ok, adesso potete ridere.

In effetti è piuttosto divertente. Sono probabilmente l'unica persona al mondo che odia il mare, e vivo in un posto diventato ricco e prospero proprio grazie ai commerci marittimi, costruito su una serie di isolette collegate l'una all'altra da ponti, così non si può andare da nessuna parte senza attraversarne almeno uno. Credo che un certo signor Murphy abbia elaborato una teoria su questo tipo di coincidenze.

Però, come si suol dire, la necessità aguzza l'ingegno, e sono riuscito ad elaborare un metodo che mi consente di entrare in contatto con l'Oceano il meno possibile. In realtà è piuttosto semplice: ho fatto una lista dei posti che frequento più spesso, li ho segnati su una mappa ed in seguito mi sono impegnato a trovare ogni scorciatoia, passaggio segreto, calletta infossata che mi permettesse di arrivarci entrando in contatto con l'acqua solo lo stretto indispensabile. Provenendo da una famiglia di veneziani DOC, non è stato così difficile: i miei parenti bazzicano queste zone più o meno da quando Annibale ha attraversato le Alpi.

A onore del vero, i piccoli canali che sono le strade di questa città non mi provocano un eccessivo disagio. In fondo, sono solo dei rigagnoli sporchi stretti tra alti edifici. Per quanto siano abbastanza disgustosi a vedersi, non trasmettono esattamente quella sensazione di infinito e di terrificante assenza di limiti che mi terrorizza così tanto. Così mi ci adatto.

Ovviamente, devo stare attento ad alcuni posti, che evito più o meno da quando ho dieci anni. Il Canal Grande, quello della Giudecca, Piazza San Marco. A volte è necessario che ci passi davanti o sopra per andare da qualche parte, e vi assicuro che è una vera tortura. Prendiamo il Ponte di Rialto: anche se questo causa innumerevoli risate e battutine, non posso fare a meno di serrare gli occhi il più possibile, piegarmi in due come se avessi mal di stomaco e attraversarlo correndo. È una sensazione orribile, come se il sangue non ti scorresse più nelle vene, come se per quanta tu ne inspirassi l'aria non fosse mai abbastanza, come se la terra cominciasse a scivolarti da sotto i piedi. Una combinazione letale di mal di mare e attacco di panico. No, grazie, preferisco evitare.

Va da sé che io non provi molto amore per la mia città. Probabilmente mi piacerebbe anche, nonostante i turisti e la puzza, se non fosse così irrimediabilmente legata al mare. Ma vabbè, pace. Ho sempre ottenuto dei buoni risultati a scuola e se Dio vuole l'anno prossimo, dopo la maturità, andrò a studiare in Germania. Lontano dall'Oceano.

Però intanto devo resistere ancora quattro mesi. Posso farcela, ovviamente, ma mi accorgo ogni giorno di più di quanto sia scomodo e fastidioso vivere qui. Per esempio, se dei tuoi amici che suonano musica jazz ti invitano a un loro concerto a Punta della Dogana, su un molo, non puoi rifiutare di andarci perché hai paura del mare, no? Sarebbe ridicolo. Le persone tendono a sottovalutare le paure degli altri, quindi il mio sacro terrore per l'acqua è stato minimizzato con un: “Cazzate, devi solo farci l'abitudine. Se non vieni ci offendiamo”.

Che gente dispotica. Ma sono bravi ragazzi e li conosco dalle elementari, quindi non potevo proprio fare a meno di andarci. Cosa non si fa per amicizia...

Chiariamoci, ho fatto poco oltre all'atto di presenza. Sono arrivato (un po' in ritardo), ho salutato un po' di gente, mi sono seduto per terra con le ginocchia strette al petto e le unghie conficcate nelle braccia, ho assunto un'accettabile espressione, se non rilassata, almeno pacata, ho tenuto duro per quasi un'ora e mezza (!) resistendo alla tentazione di fuggire urlando, mi sono congratulato con i miei amici (anche se non ho ascoltato una singola nota che sia una, perché ero troppo occupato a fissare le onde, terrorizzato al pensiero che da un momento all'altro si sollevassero e ci inghiottissero tutti quanti) e adesso sono appoggiato al parapetto, aspettando che passino i quindici minuti canonici trascorsi i quali non è più considerato scortese andarsene.

Non riesco a smettere di guardare il mare. È come essere puntati da un leone: non puoi fare a meno di guardarlo negli occhi, anche se sai che in una frazione di secondo potrebbe attaccarti e ridurti a brandelli. E tuttavia sei ipnotizzato dal suo sguardo, forse perché ti illudi che stabilendo un contatto potrai riuscire ad ottenere la sua pietà.

Fatto sta che sono rimasto incastrato per dieci minuti buoni in questa gara di Chi Fissa Più A Lungo e mi sta venendo il mal di testa e comunque è quasi ora di tornare a casa e sto prendendo seriamente in considerazione l'idea di abbassare il numero di minuti da quindici a dieci.

Bello il mare, eh?”

Oh, fantastico. Una ragazza. Il signor Murphy aveva dannatamente ragione: le possibilità che ti si presenti un'occasione favorevole sono direttamente proporzionali alla tua incapacità di coglierle. E questa è anche carina! Ha un che di preraffaellita, con dei lunghi capelli rossi e dei begli occhi verdi e un vestito azzurro. Sono sicuro al cento per cento che in condizioni normali avrei delle discrete possibilità di ottenere il suo numero di telefono. E invece no! Al momento il mio apparato vocale si rifiuta di obbedire ai miei comandi, quindi il massimo che riesco a produrre sono un grugnito non compromettente e un sorriso che assomiglia di più ad una smorfia. Lei tende la mano destra.

Sono un'amica di Michele, mi chiamo Marina”.

Immagino che la mia stretta risulti piuttosto fiacca. Sigh. “Io sono...”

Lo so chi sei”, mi interrompe, con un sorriso sghembo. “Sei quello che ha paura del mare”.

Deglutisco e osservo affondare tristemente le mie possibilità con lei. “Sì, ehm, ecco, in effetti...”

Non c'è niente di cui vergognarsi”, mi ferma di nuovo. “Ognuno ha le sue fobie istintive ed irrazionali, per le quali si può fare ben poco. Mi incuriosiva, tutto qui”.

Sì, ma questa cosa non è solo irrazionale, è follia, ecco”, borbotto. Lei inarca leggermente le sopracciglia.

E' che...”, comincio, “non è né nausea né mal di mare né una particolare sensibilità fisica di qualche tipo. Solo... terrore! Suona molto stupido, lo so, ma fin da piccolo mi sono reso conto di quanto in acqua tutto sia smorzato e distorto e irriconoscibile, e mi mette una paura del diavolo. Non ci sono limiti. Non c'è gravità. Potresti venire risucchiato da qualcosa o accorgerti che ti manca l'ossigeno e che non puoi tornare in superficie, oppure no! Non c'è niente a cui aggrapparsi, nessuna certezza, ma neanche niente di... fisico, perché tutto è così sfuggente. Lo trovo terrificante”.

Espiro, perché ho emesso tutto questo impressionante monologo prendendo fiato solo una volta all'inizio e perché sicuramente adesso questa ragazza mi guarderà come se fossi completamente fuori di testa, troverà una scusa qualsiasi e se ne andrà. Mi giro verso di lei, deciso ad affrontare coraggiosamente il mio fato.

Non sembra che pensi di guardare un pazzo. Ha socchiuso un po' gli occhi, come si fa quando si vuole vedere meglio qualcosa in controluce, e si sta mordendo un po' il labbro inferiore. Un minuscolo pezzetto di speranza si fa avanti timidamente, suggerendomi che questi sono segni di concentrazione, non di scetticismo. Magari mi capisce. Magari vuole capirmi.

Dopo un po', apre la bocca e parla lentamente, come se stesse scegliendo accuratamente le parole giuste.

Credo di capire quello che intendi. Si tratta di paura di ciò che non si conosce, di ciò che non si può controllare, come sempre, ma anche di inadeguatezza e timore di non poter fare nulla. È difficile da dire con precisione, però, c'è una componente inconscia non facilmente analizzabile. Però”, dice, e mi mette la mano sinistra sul petto. Trattengo il respiro. “però, c'è una cosa di cui sono assolutamente sicura”.

C'è qualcosa di ipnotizzante in lei, nei suoi occhi verdi, come nel mare, come nel leone che ti scruta da capo a piedi prima di mangiarti.

E cioè”, prosegue, “che l'unico modo per superare le proprie paure, di qualsiasi tipo...”

Il suo viso è sempre più vicino. Mi sembra che il mio cuore smetta di battere per evitare di fare rumore.

... è di affrontarle”, conclude in un sussurro, e spinge con una forza che non mi aspettavo.

Me ne accorgo troppo tardi che quel brivido né caldo né freddo nella spina dorsale mi stava avvisando del pericolo, del fatto che ero tanto, troppo vicino al limite. Troppo, troppo tardi.

Cado.

*

Fa freddo! Stupidamente, quando si pensa all'annegamento, è l'ultima cosa che generalmente si prende in considerazione, ma è questo che ti colpisce subito come una pugnalata: il freddo. Sarà che siamo in febbraio, sarà che ultimamente ha tirato non poco vento, ma l'acqua è gelida. Annaspo e quel poco di lucidità che mi era rimasta se ne va a farsi friggere.

Cerco di nuotare, ma andiamo, non vi aspetterete che con la mia proverbiale avversione per il mare io abbia mai imparato? Anzi, agitandomi ottengo l'effetto opposto di quello che desidero: i vestiti si impregnano di acqua, si appesantiscono e mi trascinano più a fondo.

È veramente stupido, a dire la verità, perché qui l'acqua non dovrebbe essere più profonda di due metri e mezzo e affogare a questa non-profondità e seriamente ridicolo (ha ha, un ossimoro). Ma non riuscirei a tenermi a galla neanche per un milione di dollari.

Mi accorgo di averli tenuti chiusi solo quando apro gli occhi. Oh, Dio, non so cosa sia peggio, se la sviante oscurità in cui ero immerso fino a pochi secondi fa o questa luce verde e innaturale. Non riesco a vedere nulla tranne a lei, perché l'acqua diluisce le cose e concede di vedere solo ombre e forme dai contorni indefiniti. Solo ciò che lei vuole che tu veda.

Inizio ad andare nel panico, e gli occhi cominciano a bruciarmi per il sale e tutte le schifezze con cui gli uomini hanno contaminato questo mare.

Contemporaneamente, inizio a risentire della mancanza di ossigeno. Sembra che tutto il sangue mi stia andando al cervello e che da lì esploda e mi lasci la testa più confusa di prima e morirò e oh, Signore, aria, aria! Ma l'aria non c'è. Come fa a non esserci l'aria? Anche adesso che ci sono dentro, non riesco a concepire una situazione in cui non riesca ad inspirare ossigeno ed emettere anidride carbonica. I miei pensieri stanno diventando incoerenti. Morirò. Mi sento stordito.

A questo punto subentra la rabbia. Sembra che questa fottuta acqua mi stia prendendo in giro, capite. Io sono qui che mi dibatto come un pesce nella rete e lei si diverte a mie spese, ostacolandomi nei movimenti, facendomi sembrare ridicolo, resistendo ai miei disperati tentativi di sopravvivere per il puro e sadico gusto di farlo. La odio. La odio.

Con il poco senno che mi resta, prendo una decisione irreversibile, di quelle che si fanno solo con il fiato della morte sul collo e la testa sulla ghigliottina. Non le darò questa soddisfazione.

Nossignore. Morirò con dignità, non cercherò di scappare, resisterò e sopporterò finché non sarà tutto finito. Il mare non avrà il piacere di controllarmi e farmi perdere la calma. Gli terrò testa.

Cerco di rilassare i muscoli e smetto di tentare di respirare a vuoto. Socchiudo gli occhi. Che peccato, però, mi sarebbe piaciuto fare tante cose ancora.

Ed è lì, proprio lì, che il prodigio si compie. Sento che il mio corpo si solleva, si distende in posizione supina. Che strano, penso vagamente, ma non ho più la forza di mettere insieme una reazione adeguata. Mi chiedo distrattamente cosa stia succedendo. Forse il leone ha veramente avuto pietà di me, forse l'acqua vuole restituire il mio corpo ai miei amici senza che facciano troppa fatica. È un gesto educato, da parte di un assassino. Forse non sei così male, dopotutto, considero. Forse essere così crudele e sfuggente è la tua natura. Non sei priva di una certa bellezza. Ma sì, ti perdono. Dopotutto, è la paura di te che mi ha sempre definito, no? Siamo legati, come dei nemici che, una volta sconfitto l'altro, si sentono turbati e privi di scopo.

Forse non ti ho mai capito veramente.

Mi si chiudono gli occhi del tutto, non ho neanche più quel poco di energia che serve per tenerli aperti. Riesco ad avere un'ultima visione di questo strano infinito mondo dalla luce morbida.

L'ultima cosa che mi riesce di scorgere – o magari me lo sto immaginando? - sono degli ammiccanti occhi verdi e una guizzo di capelli rossi.

Poi sento una mano che mi afferra per la giacca, e infine più nulla.

 

*

Mi risveglio in modo assai poco dignitoso, tossendo e sputando acqua. Un mio amico mi sta premendo le mani sul petto in un passabile tentativo di massaggio cardiaco e un sacco di persone mi guardano preoccupate.

Che cavolo”, riesco a balbettare, e, urgh, sembra un gracidio.

Sst”, mi dice un altro mio amico, “non sforzarti di parlare. Adesso ti portiamo una coperta se no ti becchi una polmonite. Sei caduto in acqua, a quanto pare, anche se mi piacerebbe sapere come diavolo hai fatto a cadere oltre il parapetto”.

Non sono caduto!”, protesto. “Mi hanno spinto. Anzi, mi ha spinto, comesichiama, Marina, la ragazza con i capelli rossi! Ha detto di essere amica tua”.

Michele sembra perplesso. “Ehm”, inizia, prudente, “non per dire, amico, ma io non conosco nessuna ragazza con i capelli rossi che si chiama Marina”.

ASPETTACOSA.

Loro sì che mi guardano come se fossi un pazzo. Cough. Meglio glissare. Mi schiarisco la voce.

Ehm, sì, in effetti, devo essere scivolato, sai, stavo guardando le onde...”

Vengo salvato dall'arrivo di una signora con una coperta che mi viene prontamente buttata sulle spalle. Tutti sembrano dimenticarsi dei miei deliri da semi naufrago.

Prima di rientrare, lancio un'occhiata furtiva al mare. Le onde lambiscono dolcemente il legno del moletto, e il loro sciabordio sembra una canzone.

 

*

I sei mesi successivi passano senza avvenimenti degni di particolare nota. Studio come un forsennato per la maturità, passo con 95/100 (EVVAI!), vado in vacanza in America, ottengo una borsa di studio, vado a frequentare l'università a Monaco, che è una bella città molto lontana dal mare.

Reggo per due mesi. Poi torno a Venezia.

Per qualche ragione, adesso stare troppo distante da una vasta distesa di acqua mi inquieta. Non riesco a spiegarlo bene, ma è come se mi sentissi oppresso, senza via di fuga. Ogni volta che ho un problema, adesso, vado a fare una passeggiata di fronte al Canale della Giudecca e mi sento subito meglio. Mi sembra che le mie preoccupazioni passino in secondo piano, che riuscirò a trovare una soluzione per tutto, che comunque ci sono cose più importanti.

L'infinito, che prima mi spaventava tanto, adesso si è trasformato in qualcosa di positivo semplicemente diventando un aggettivo. Infinite possibilità, infinite soluzioni, infinite conoscenze, infiniti sentimenti, infinite occasioni. È il contrario di opprimente, è inebriante.

Ho avuto una specie di illuminazione, in quei fatidici trenta secondi durante i quali ho rischiato di annegare. Vero, mi ci è voluto un po' per accettarla ed elaborarla, ma adesso mi sento liberato da un enorme peso. Chissà se riuscirò a trasmetterla.

Vedete, l'infinito è temibile e ostile solo se visto dall'esterno. Diventa un alleato e una risorsa quando ci si accorge di farne parte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DPP:

YAY! Roba scritta per un concorso (che ovviamente non ho vinto lol) ma che non mi fa proprio tanto tanto schifo. E a voi? Fa tanto tanto schifo? Oppure solo un po'? Oppure per nulla? In ogni caso, lemme know! :3

~ Callie

  
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