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Autore: Marghs    07/11/2011    4 recensioni
Si dice che dai brutti momenti nascano le storie migliori. Scrivere questa One-Shot è stato terapeutico,è completamente autobiografica, tranne per il nome del ragazzo, e per il fatto che nella vita reale, io 'sto maledetto 'ciao' non l'ho ancora detto.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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‘DRRRRRRRRRRRRRRRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN.’

Il suono della campanella la fece rabbrividire.
Aveva un enorme paura, e non era da lei. Non era mai capitato che si vergognasse di parlare con qualcuno, che si vergognasse di avvicinare un ragazzo che lei o le sue
amiche trovavano particolarmente carino. Non era mai capitato che il suo cuore raggiungesse i 2000 battiti al secondo per uno stupido ragazzo qualunque.
Non era mai capitato, o almeno mai fino a quel momento. Eppure sentiva di doverlo fare, per lei, ma soprattutto, per il destino di entrambi. Sentiva che quel dannatissimo
ragazzo era li per lei, quanto lei era li solo ed esclusivamente per lui, sapeva che era destino, e che lei aveva ritardato ad agire, fin troppo. Alla fine, di cosa si trattava?
Nulla di così complicato. Bastava cogliere l’attimo, più precisamente uno di quegli attimi in cui lui le si avvicinava pericolosamente, uno di quegli attimi sempre più frequenti
da un po’ di tempo a quella parte. Eppure, ogni volta un nodo allo stomaco la assaliva e non faceva altro che scappare. Scappare fuori dalla scuola, scappare da un'altra parte
del corridoio. Allontanarsi. Aveva forse paura di perdere tutto quel poco che aveva conquistato, facendosi vedere di persona. Si sa, Facebook aiuta moltissimo ad esprimersi,
ad essere se stessi; perfino a conoscere quel ragazzo che ci piace da impazzire, perfino a prendere coraggio. Ma farsi vedere, andare verso di lui, magari sorridendo;
Abbracciarlo, salutarlo, toccarlo, respirare il suo odore, quello si che era tutto un altro paio di maniche, e lei non era pronta, non era sicura.
Si sentiva così disperatamente inadeguata, così disperatamente sgradevole. Aveva paura di metterlo in imbarazzo, di fargli perfino pena.
Non voleva costringerlo a salutare una ragazza orribile, non voleva che i suoi amici gli dicessero ‘chi è quel cesso che hai salutato?’, non voleva essere umiliata di nuovo.
Tutti e tre gli anni di scuole Medie le passarono davanti agli occhi, tutte le prese in giro, gli sgarri, le umiliazioni, la sua dignità appena riconquistata che si frantumava
ancora una volta, come una vecchia cristalliera; le meraviglie del bullismo, pensò. Voleva allontanare quell’orribile pensiero dalla sua testa. Sapeva che tutti quegli insulti
erano stati infondati, sapeva di non meritarseli, sapeva che erano passati quattro cazzo di anni. Sapeva tutte queste cose ma ancora non riusciva ad accettarle;
nella sua testa era ancora Margherita la ragazza goffa, con tanto di occhiali e apparecchio, soprannominata Ugly Betty. La ragazza che andava di moda prendere in giro
tutti i giorni, tutto il giorno. Come se ormai si trattasse di un involucro, messo li apposta per essere attaccato da tutti, un tiro a segno particolarmente invitante e facile da colpire.
Scosse di nuovo la testa, questa volta più energicamente; non poteva, non voleva farsi sopraffare da quello che era successo. Il passato è passato, questo è vero.
Ma le cicatrici del bullismo non passano mai, e lei ne era la prova vivente. Sapeva però che l’unico modo per stare meglio, l’unico modo per rimarginare tutti quei tagli,
era farsi valere, lasciare il dolore alle spalle, e mettersi in gioco, correre il rischio. Per forza divina riuscì ad alzarsi dal banco, riuscì ad uscire in corridoio.
Si guardò intorno, sperando di non vedere quello che voleva vedere così disperatamente. Ed ecco di nuovo il cuore in gola, riecco la dannata sensazione di nausea,
la voglia matta di scappare, di correre a nascondersi. La bellezza di Andrea la investì come un ondata di calore. Era così semplice, così perfettamente semplice.

Appoggiato con le spalle al muro, beveva una cioccolata calda, facendo qualche smorfia per il liquido bollente. Felpa rossa, tuta bianca, scarpe bianche, nulla di speciale,
ma quel nulla di speciale per lei era splendido. Capelli ricci, probabilmente neppure pettinati, nonostante questo assolutamente perfetti. Occhi nocciola, viso perfettamente tondo ed un paio di labbra carnose, talmente belle da poter ispirare interi trattati di poesia. Tutto questo era li ad aspettarla, se lo sentiva. Doveva solo fare tre passi, ricordandosi
di fingere di essere sicura di se, spigliata e divertente; cosa che ormai da quattro anni di liceo faceva tutti i giorni. Nessuno dei suoi amici, o delle persone che conosceva
avrebbe lontanamente sospettato il suo passato, o i pensieri che affollavano la sua mente nei momenti di insicurezza. Era una bravissima attrice, tutti la adoravano.
Dicevano di volerla seguire come modello, per il suo splendido carattere, per quella grande personalità. Cazzate, pensò, fingere è così semplice, che a volte ti dimentichi
di chi sei veramente.
Ti ritrovi a credere che la ragazza triste è solo un illusione. Ma poi arrivano questi momenti, e lei spunta fuori, con violenza. La ricreazione stava finendo,
il tempo a sua disposizione si stava esaurendo. Si decise, non doveva essere poi così terribile. Un passo alla volta, si disse. Schiena dritta, e ricordati di sorridere.

Primo passo, si lasciava alle spalle l’insicurezza, il sentirsi brutta e grassa, al momento non le importava del suo corpo, lo sentiva a posto.
Il suo corpo ormai serviva solo ad abbracciare quel tipo appoggiato al muro.

Secondo passo, ormai il cuore non batteva più forte come prima. Era rimasto ad aspettare che tutto fosse finito, insieme alla Margherita insicura, chissà in quale universo parallelo.
Ora sentiva la sua voce.

Terzo passo, sapeva il motivo per cui lo stava facendo. Sapeva che era il suo momento, che quel momento lo meritava, dopo tanto soffrire, dopo tante umiliazioni. Sentiva il suo odore, Andrea aveva alzato gli occhi verso di lei, e le aveva sorriso. Sentì le orecchie premere contro i cranio, gli occhi spalancati, come a voler inghiottire quell’immagine, fotografare quel momento. Il momento culminante del suo film era arrivato, raccolse tutto il coraggio di cui disponeva, e anche quello di cui non disponeva, chissà da dove veniva, si disse. Prese fiato, l’aria le bruciava nei polmoni; era felice.

                                 ‘Ciao’.
  
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