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Autore: Sgiach    07/11/2011    5 recensioni
Una storia piena d'azione e romanticismo, in cui ogni capitolo è destinato a lasciarvi con il fiato sospeso...Buona lettura!
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Earth, Wind, Water and FIRE...
II
Vorrei essere una lacrima…



19 agosto 1997.
Era passata almeno un’ora da quando i miei mi avevano portata in commissariato, ma io neppure me n’ero accorta.
Dal giorno dell’incidente il tempo sembrava non passare più, vegetavo isolata in camera mia, bevendo ogni tanto e solo l’ altro ieri mia madre era riuscita a farmi ingurgitare qualche cucchiaiata di pasta in brodo…
Come un’ automa mi svegliavo, mi sciacquavo la faccia con dell’ acqua gelida nella speranza di svegliarmi da quell’ incubo che si ripeteva all’infinito, poi per tutto il giorno tentavo di distrarmi facendo zapping alla tv o leggendo riviste varie, ma non c’era nulla che potesse distogliermi dal mio pensiero fisso; dopo di che mi mettevo a letto e dormivo, o almeno ci provavo.
La cosa strana era che non avevo versato neppure una lacrima in quei cinque giorni: non riuscivo a togliermi quell’ immagine raccapricciante dalla testa, eppure non mi suscitava altro che un profondo orrore e parecchia rabbia…
Tornando a noi, c’era il commissario che mi faceva un mucchio di domande cui io non avevo avuto neppure la forza di rispondere, così poco fa se n’era uscito così: “La ragazzina è inutile e non abbiamo tempo da perdere con gli interrogatori”….Ma brutto bastardo che non sei altro! Per te si che è facile: non è tuo il cugino che è stato arrostito a mo’ di spiedino in quel campo di mais del cavolo!
Bene. Ora vediamo d pensare civilmente, mi dissi. E fu a quel punto che fui investita da un fascio di luce, luce che mi era stranamente familiare. Mi girai per vedere da dove provenisse quella luce tenue, ma allo stesso tempo abbagliante, che non aveva però assolutamente nulla di artificiale, ed eccolo lì: Lui. In piedi sulla porta. L’abbagliante luce del sole che filtrava dalle veneziane alla finestra si rifletteva sui suoi capelli di broccato che erano rimasti impressi nella mia mente giorni prima, il suo sguardo colmo di tristezza addolcito dallo stesso bagliore. E fu allora che notai una corposa lacrima solcargli gli zigomi già umidi: oh, quanto avrei voluto essere quella lacrima, nascere dai suoi occhi di ambra pura, scendere lungo le sue guance e vivere su quelle sue labbra così piene e perfette…
Su, Alice! Basta con questi pensieri osceni!, mi ammonii mentalmente.
Poi il commissario mi sussurrò divertito all’ orecchio “Terra chiama Alice! Ragazzina, vedi di riprenderti e richiama all’ordine i tuoi ormoni impazziti…” Una volta ricompostosi si scostò e disse ad alta voce “Con lei abbiamo finito.” Io arrossii fino alla punta delle orecchie e abbassai il capo, mi sentivo come uno struzzo impaziente di infilare la testa nella sabbia ma non avendone la possibilità mi accontentai di sprofondare sulla scomodissima sedia di alluminio che scoprii, una volta alzatami, avermi intorpidito il sedere.
Poi uscii affiancata dai miei.
Fuori ci aspettavano zia Giulia e zio Fabrizio, la prima era seduta su una delle poltroncine a gambe incrociate, posizione che le era risultato difficile conquistare nel lungo abito nero che indossava, i capelli raccolti in una crocchia disordinata coperta dal velo in pizzo nero, gli occhi colmi di lacrime che cercava di trattenere; il secondo bisbigliava concitato all’ orecchio di papà, mentre fino a poco fa era impegnato a solcare il pavimento a furia di camminarvi pesantemente sopra. Avevano deciso di aspettare fuori l’esito dell’ interrogatorio della madre e del fratello dell’ altra vittima dell’ incendio. Era una bambina di nome Elizabeth, cinque anni appena compiuti, madre inglese, padre scomparso e un fratello maggiore di diciassette anni.
Lui e la sorellina stavano giocando a nascondino quando è scoppiato l’incendio e la piccola Elizabeth ne era rimasta vittima mentre tentava di nascondersi dal suo fratellone. Povera!
Avevo appreso a mie spese che questi interrogatori duravano un’eternità e avrei dovuto prevedere che avremmo aspettato a lungo, ma questa attesa era davvero snervante…!!!
Dopo quelle che mi sembrarono almeno tre ore finalmente i due uscirono. La donna era completamente a pezzi: i meravigliosi occhi verdi rossi di pianto, le belle guance paffute rigate di lacrime, le labbra sottili tremanti come due fragili foglie nel vento d’autunno… Il ragazzo invece stava peggio di come lo avevo visto appena qualche ora fa: erano ormai copiose le lacrime che gli riempivano gli occhi e gli bagnavano il viso, il petto che sussultava ad ogni suo singhiozzo, le gambe tremanti…
A quel punto i miei e zio Fabrizio si avvicinarono alla donna e tentarono di farle dire ciò che il commissario le aveva riferito, ma tutto ciò che ottennero fu qualche sillaba sconnessa per via dei gemiti che erano preludio di un pianto straziante, allora intervenne il ragazzo: “Ehm, salve. Mi presento, sono Manuel. Mia madre è troppo scossa per parlare quindi preferirei che vi rivolgeste a me, non che io stia bene, ma avete il diritto di sapere, perciò chiedete pure.” disse Manuel (oddio che bel nome…) con voce fintamente sicura e tentando, senza successo, di nascondere l’immenso dolore di cui anche le lacrime che ancora gli rigavano gli zigomi erano intrise. Così mio padre e zio Fabrizio, approfittando della sua disponibilità, e ignorando il suo sguardo vitreo e offuscato dalle lacrime, iniziarono a fargli domande su domande, provocando a ogni risposta un singulto sempre più violento.
A quel punto non ne potetti più, mi alzai e mi diressi verso di loro.“Basta!”, dissi. “Non vi rendete conto di quanto stia soffrendo?!” ribadii indicando Manuel poco lontano da me “C’è chi ai propri cari tiene davvero e in seguito ad una loro perdita riesce a mettere da parte la propria virilità e a piangerli senza vergogna, ma non c’è rispetto per coloro che ne hanno il coraggio! Finitela una buona volta di approfittarvi della bontà altrui e cercate di andare oltre la maschera dietro la quale ciascuno di noi tenta di nascondersi! Manuel si è offerto di rispondere a qualche domanda alla quale lui sapeva che la madre non avrebbe avuto la forza di sottoporsi, ma ciò non vuol dire che lui possa sopportare i dolorosi ricordi che gli stanno tornando alla mente! Davvero non riuscite a capirlo?! Ora lasciatelo in pace e andate a porre le vostre insidiose domande al commissario, è il suo lavoro, no?!”, e così conclusi la mia tirata lasciando zio Fabrizio e il suo compare a bocca aperta, poi i due si diressero dal commissario con la coda tra le gambe.
Intanto Manuel mi guardava tremante e riconoscente, così gli presi la mano e lo feci sedere accanto a me. I minuti successivi passarono in totale silenzio, l’unico suono che riuscivo ad udire era quello dei singhiozzi di Manuel…
“Grazie” mi sentì dire da una voce insicura e tremante alla mia sinistra. Mi girai: sembrava così fragile in quel momento, Manuel intendo: sembrava sul punto, ora che aveva esaurito le lacrime, di gridare per la frustrazione. Ma nel suo sguardo di ambra vedevo anche gratitudine, molta. “Di niente”, gli risposi imbarazzata. “Fanno sempre così, ti prego di scusarli. Loro si sono sempre comportati da ‘Uomini veri’, come loro amano definirsi: non si sono mai lasciati andare, non riescono a capire né a percepire le emozioni, a volte penso che neppure sappiano cosa sono. In ogni caso non devi ringraziarmi, davvero. Erano anni, ormai che avevo intenzione di ribellarmi alla loro fredda indifferenza e tu me ne hai dato solo l’occasione”, gli dissi poi.
Mi sorrise con dolcezza, sorriso, il suo, che stonava col volto ancora bagnato dalle lacrime, ma pur sempre bellissimo: non solo un mostrar di denti, un sorriso sincero. E io non potei che ricambiare, pur sapendo che il mio sorriso non sarebbe mai potuto essere disarmante quanto il suo.
E fu a quel punto che ci rendemmo conto di quanto le nostre parole e sensazioni fossero fuori luogo.
  
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