Sono passati, credo, anni
dall’ultima pubblicazione, ma in tutto questo tempo non ho smesso di leggere,
di affinare le mie trame e soprattutto di sognare. Guardando indietro a ciò che
ho lasciato su questo sito, mi viene voglia di cancellare tutto. Per ora mi
limiterò a scrivere qualcosa di autoconclusivo che non diventi l’ennesima opera
incompiuta, ma che comunque possa essere eventualmente l’inizio di quella
storia che ho nella testa da quasi quattro anni e non smette mai di evolvere.
Se qualcuno dei lettori sarà
arrivato a questo punto e non ha saltato a piè pari la noiosa pappardella, lo
ringrazio e lo esorto a lasciarmi un suo parere, che è sempre ben accetto: per
esperienza personale capisco che non si sa mai cosa scrivere in una recensione,
soprattutto se non si vuole sembrare banali o stucchevoli, ma anche una
parola è sufficiente per me (basta che
non sia un insulto J) poiché ciò che davvero mi
interessa è tenermi in contatto con chi si interessa alle mie follie
quotidiane.
Ricordo che io non possiedo alcun
diritto tranne quelli sui miei personaggi, che questa storia non ha alcuno
scopo di lucro, ma solo quello di sfogare la mia fervida e sovra alimentata
fantasia, e soprattutto che qualsiasi eventuale riferimento ad altre storie è
puramente casuale e senza alcuna mala fede.
*****
A Martina, che non c’è più, perché
senza di lei non esisterebbe “Cappychan”.
*****
Woven - Antologia
Primo
Settembre
A Fin piacevano i babbani di Londra.
E pure le loro strane atomobili e le
luci colorate. L’aveva deciso quella mattina, subito dopo essere entrata nella
stazione di King’s Cross, alle calcagna di sua nonna; era la seconda volta che
usciva dal suo piccolo villaggio abitato solo da maghi, nascosto tra le scogliere
delle isole di Aran.
Il frastuono era assordante. Nulla
a che vedere con le chiacchiere in gaelico e il rumore del mare sugli scogli,
ma non poteva dire che il cambiamento le dispiacesse, sebbene le ferisse i
timpani. Era troppo curiosa di vedere il mondo esterno per rimpiangere la
tranquillità rurale.
Non sarebbe dovuta nemmeno essere
lì. La sua comunità era autonoma e isolata; i giovani non andavano a Hogwarts,
ma imparavano dagli anziani tutto quello che c’era da sapere, tutte le
tradizioni e le antiche magie, e pochi lasciavano le isole per cercare fortuna.
Ancor meno erano quelli che l’avrebbero cercata al di fuori dell’Irlanda.
Perciò qualcuno avrebbe potuto trovare strano che la nipote di due degli
anziani più rispettati e “in vista” della Comunità Magica di Aran, avesse
ricevuto la lettera, ma Fin non era
proprio una vera “figlia di Aran”.
Undici anni prima uno straniero era
giunto al villaggio; un giovane mago alla scoperta del mondo, dicevano, che,
invece di trovare se stesso, aveva trovato la figlia dei signori locali. Era
andato via poco dopo, senza molto clamore, fino a quando la ragazza aveva messo
al mondo una bambina. La giovane era morta cinque anni dopo e sua figlia era andata
a vivere con i nonni. Gli stranieri non erano mai stati ben accetti e dopo la
nascita di Fin le cose erano peggiorate.
In che modo fosse finita nei
registri di Hogwarts, nemmeno sua nonna lo sapeva (e lei sapeva quasi tutto di
magia), ma era successo. Forse, persino quei volumi di antichissima pergamena la
consideravano una straniera nel suo stesso luogo di nascita.
Fin aveva capelli scuri e occhi blu
che ai suoi nonni non piacevano, perché non li aveva ereditati da loro, ma dal
padre di cui non si parlava. Le piaceva girovagare nei campi vicino a Casa
Grande, stendendosi all’ombra dei meli a fantasticare, e quando i suoi non
c’erano, s’intrufolava nello studio e leggeva i libri del nonno di nascosto. In
quel modo aveva imparato un sacco di cose interessanti sul mondo magico al di
fuori dei confini di Aran e aveva anche letto di Hogwarts, molto tempo prima di
sapere che avrebbe dovuto frequentarla.
Dei babbani,
invece, sapeva poco e ora fissava i pendolari con tanto d’occhi, mentre sua
nonna avanzava sbrigativamente verso la barriera del binario nove e tre quarti.
A lei i babbani non piacevano un granché.
Il passaggio durò quanto un battito
di ciglia, nel silenzio più completo, e poi un nuovo, diverso frastuono. Bassi
richiami di barbagianni e un insistente gracidare di rospi si levavano sopra le
voci di ragazzi e genitori, mentre la locomotiva rossa e brillante sbuffava
vapore e fischiava allegramente.
Improvvisamente Fin si sentì persa:
il suo inglese aveva un pesante accento, poiché ad Aran veniva usato poco, e
non conosceva nessuno. La solitudine l’aveva resa troppo timida per fare
amicizia e ora persino gli ostili abitanti della sua isola le sembravano più
vicini dei suoi coetanei inglesi. Guardò nervosamente la nonna che, al suo
fianco, sfilava dal cappotto una piccola piastra d’ottone. Si erano avvicinate
a un vagone in coda al treno, dove alcuni ragazzi già si accalcavano.
-Sono le undici. Sei pronta?- chiese nella sua lingua. La squadrò
dall’alto in basso e fece un rapido cenno di approvazione.
-Avanti, bambina. Carichiamo il baule sul treno.-
*
-Non voglio altri gufi da Neville,
James. Dico sul serio.- disse Ginny. Lei e il suo primogenito camminavano l’uno
a fianco all’altra lungo il binario nove e tre quarti. Dietro di loro, Al cercava
i suoi zii tra la folla, mentre Lily si aggrappava nervosamente al braccio di
suo padre.
-E se non faccio amicizia con
nessuno?- gli chiese piano.
Harry abbassò lo sguardo su di lei
stringendole la mano.
-Lilu, non c’è motivo di essere
agitati. Te la caverai benissimo.- le sorrise incoraggiante.
-Ehi!- Ron ed Hermione comparvero
da dietro un capannello di ragazzi, seguiti da Rose, già con la sua divisa
scolastica, e da Hugo più immusonito che mai; era più piccolo di Lily ed
avrebbe dovuto aspettare ancora un anno prima di partire con quello stesso
treno.
Mancavano pochi minuti alle undici
e molti ragazzi cominciavano ad avvicinarsi al bordo del binario, gridando gli
ultimi saluti ai genitori e riunendosi ai compagni di scuola.
-Hai visto Scorpius?- chiese Al a
sua cugina, mentre voltava la testa a destra e a sinistra in cerca di una testa
bionda.
-Allora vanno d’accordo, eh?- fece
Ron all’orecchio del cognato. Harry guardò suo figlio che si muoveva verso un
tredicenne magro, col viso appuntito e due chiarissimi occhi grigio-verdi.
-Sembra proprio di sì.- rispose mentre faceva un cenno di saluto a due figure
sottili poco distanti. Draco rispose con un cenno del capo, mentre sua moglie
Astoria stava al suo fianco con espressione serena. Lui, ormai stempiato, ma
ancora biondissimo, e lei con i capelli color caramello legati in un’elegante
acconciatura sulla nuca.
Harry sentì Ginny
toccargli la schiena, -Devono salire.- Si voltò verso di lei sorridendo, prima
di raggiungere i suoi figli.
-Forza ragazzi!- I bauli furono
caricati in pochi minuti e il treno cominciò a fischiare. Dopo un veloce
scambio di abbracci i ragazzi salirono, mentre la calca intorno al vagone
aumentava. La locomotiva cominciò a muoversi sotto lo sguardo degli adulti
rimasti sul binario.
Lily continuò a salutare i suoi genitori, gli zii e
tutti quelli che riconosceva fino a che la stazione scomparve dal finestrino. I
suoi fratelli erano già spariti con i loro amici e lei era rimasta sola nel corridoio.
Avrebbe potuto raggiungerli, ma era troppo orgogliosa. Non voleva aggrapparsi
alle vesti dei suoi fratelli il primo giorno di scuola! (Si era aggrappata alle
vesti di suo padre fino a dieci minuti primi, ma quello era diverso, ovviamente).
Ragazzi chiacchierini, più grandi
di Lily, riempivano tutti gli scompartimenti, tranne uno da cui non si levava
alcun rumore. Entrò con passo sicuro, credendo di trovarlo vuoto. Invece c’era
una ragazzina, seduta vicino al finestrino, con le ginocchia al petto e lo
sguardo fisso sulla città che sfilava davanti ai suoi occhi. Non appena aveva
sentito il rumore della porta che si apriva, si era voltata di scatto, tesa
come un animale selvatico in allerta.
*
-Ciao.-
disse Lily, sorridendole esitante. –Posso sedermi in questo scompartimento? Non
trovo posto da nessuna parte.- chiese, indicando il baule dietro di sé. La
ragazzina annuì, stringendosi di più sul sedile, come se non ci fosse
abbastanza spazio per due undicenni minute come loro.
Rimase in silenzio guardandosi le
mani, sentendosi incapace di trovare qualcosa di simpatico, brillante o
semplicemente sensato da dire. Fin sollevò il viso appena l’altra si voltò per
strattonare il baule sul lucido pavimento e chiudere la porta scorrevole. I
suoi capelli erano del colore della vite rossa e le arrivavano fino alle
scapole. Non sembrava più alta di lei, ma non era altrettanto esile.
-Come ti chiami?- Lily si era
voltata e seduta con un unico rapido movimento proprio di fronte a lei. Di
riflesso, Fin alzò gli occhi, non aspettandosi di incontrare quelli della sua
compagna di viaggio che la fissavano con sincera curiosità. Aveva gli occhi
castani, leggermente allungati e un viso ancora infantile.
-Finola,- parlava a voce bassa e
lentamente per non sbagliare la pronuncia delle parole in inglese, -ma mi
chiamano Fin.-
-Finola?-.
Lily la guardò in viso, e negli occhi senza alcun pudore, prima di sorriderle
di nuovo.
-Io sono Lily. Sei anche tu del
primo anno?- disse, mentre le stringeva la mano con naturalezza. Fin quasi cadde
a terra per lo stupore.
Lei non piaceva alla gente, perlomeno
non alla gente di Aran; nessuno l’aveva mai guardata negli occhi senza almeno
un po’ di disapprovazione o diffidenza, figurarsi prenderle la mano. Persino la
nonna, il farmacista o il vecchio gallese (l’unico straniero che vivesse al
villaggio), che pure erano gentili con lei, non erano tipi affettuosi o
espansivi.
-Io…Sì…- rispose incerta, prima di
ripiombare nel silenzio.
Lily continuò a parlare tranquilla.
A volte le faceva delle domande senza badare alle risposte brevi e confuse che Fin
le dava; altre volte si limitava a godersi il paesaggio che fuori dal treno
diventata rurale e poi più selvaggio. Nonostante la timidezza, Fin si sentiva
bene. Non importava di chi fosse figlia o di che colore fossero i suoi occhi. A
quella bambina sorridente non sembrava nemmeno importare quali cose spiritose o
interessanti dicesse. Sembrava che semplicemente stare lì con lei (proprio
lei!), e condividere la paura e l’eccitazione che entrambe sentivano su quel
treno, fosse abbastanza.
*
La notte stava scendendo e il
panorama si faceva più scuro. Era pomeriggio inoltrato e le tuniche nere di
Hogwarts avevano sostituito i variopinti vestiti da babbano. Lily e Fin si
erano già cambiate e avevano appena finito di spazzolare i dolci acquistati
dalla signora del carrello, quando una testa di scompigliati capelli
bruno-rossicci si affacciò alla porta.
-Allora sei qui! Credevo che fossi
rimasta a Londra.- esclamò James, entrando nello scompartimento. Quell’estate
suo fratello era cresciuto di diversi centimetri e la divisa di Grifondoro era diventata
leggermente corta. Le scarpe da ginnastica spuntavano da sotto l’orlo. Lily gli
lanciò un’occhiataccia.
-Dom
e Lucy sono in capo al treno e Molly è ancora nella carrozza dei prefetti,
credo.- sciorinò, prima di vedere la ragazzina seduta davanti a lui. Si bloccò
–Ciao-
-Fin, questo è mio fratello James.
Jamie, questa è Fin. Anche lei deve fare
il primo. -
-Ah, piacere.- commentò il ragazzo
facendo un cenno con la mano. Lei rispose con un goffo cenno della testa.
-Beh, ci vediamo. Se vedi Al, digli
di non serpeggiare troppo.- disse
ghignando prima di sparire nel corridoio.
All’espressione perplessa
dell’altra, Lily spiegò, -L’altro mio fratello, Albus,
è di Serpeverde…Tu in che Casa vorresti finire?-
chiese curiosa. Onestamente Fin avrebbe voluto rispondere “nella tua”, ma si
limitò a un più dignitoso, -Non so. Tu?- Incredibile, aveva fatto una domanda!
pensò contenta.
Invece, la piccola Potter sembrò
perdere un po’ del suo entusiasmo. –Nemmeno io lo so. I miei erano tutti e due
a Grifondoro e anche i miei nonni e Jamie. Ma Albus è un Serpeverde, Rosie è
finita a Corvonero, come Dom e Molly, mentre Lucy è a Tassorosso. Sono le mie
cugine, poi te le faccio conoscere…- parlava quasi senza prender fiato, d’un
tratto in preda all’agitazione.
-Se è così, puoi andare dove vuoi.
C’è qualcuno che conosci in ogni Casa.- fece Fin, esprimendo, per la prima
volta a voce alta, la sua preoccupazione.
-Hai ragione, ma non è solo la
solitudine …- Lily la guardò di nuovo negli occhi, -Voglio trovare un posto che
… vada bene per me, capisci. Solo che non so bene quale sia. -
Rimasero in silenzio, ragionando su
quello che si erano dette. Il cielo era ormai cupo e sull’orizzonte si
stagliava il profilo del villaggio di Hogsmade.
-Siamo arrivati. -
*
Il gruppetto dei primini si staccò
dal fiume di studenti più grandi seguendo Hagrid. Il mezzo gigante camminava
reggendo una vecchia lanterna e ogni tanto si voltava per rivolgere, da sotto
la sua barba ormai ingrigita, un sorriso a Lily e alla sua compagna che lo
guardava affascinata. Non aveva mai visto un uomo tanto grande.
Attraversarono il lago sulle
piccole barche a quattro posti. Con loro c’erano una biondina che guardava con
apprensione l’acqua scura scorrere sotto di loro, e un ragazzino dal naso a
punta che guardava Lily con la bocca semi aperta. Grosse nuvole si addensavano
nel cielo, dietro alla sagoma gigantesca del Castello. Le finestre illuminate
si riflettevano nel lago e sui prati davanti alla facciata.
Una donna dall’aria austera e marziale
li aspettava all’ingresso, vestita di viola e nero. I cappelli già bianchi
incorniciavano un viso serio, poco segnato dall’età.
-Benvenuti a Hogwarts. Sono la
Professoressa Goodwin, insegnante di Pozioni, Direttrice della Corvonero e
Vicepreside. Seguitemi, prego. -
Li guidò attraverso alcuni saloni
fino a una piccola anticamera in cui aspettarono qualche minuto.
-Ora ci smisteranno. - disse Lily.
Spostava il peso da un piede all’altro, in uno strano balletto agitato. Dietro
di lei, il ragazzino continuava a fissarla e a indicarla agli altri ragazzi.
-Che vuoi?- sbottò Fin mettendosi
di fronte a lui con le gambe divaricate e
le braccia conserte.
-Sei la figlia di Harry Potter,
vero? Ti ho visto sul giornale!- disse quello, scrutando Lily dalla testa ai
piedi, e ignorando del tutto la ragazzina che aveva davanti.
La piccola Potter divenne rossa
come i suoi capelli. Per tutto il giorno si era illusa di passare inosservata;
di poter attraversare la Sala Grande come una normale studentessa del primo
anno in attesa di essere smistata, ma si era sbagliata. E se non fosse finita
nella Casa “giusta”? Come aveva fatto Albus? Lei non sarebbe mai stata forte come
i suoi fratelli.
-E allora?- Non appena Fin parlò,
Lily sentì la paura scivolarle via di dosso. –Devi fissarla come uno scemo
tutta la sera solo per il nome di suo padre?-.
Il ragazzo arrossì vistosamente,
prima di lanciarle un’espressione malevola, ma non rispose e, alla prima
occasione, si allontano da loro.
Prima che Lily potesse dire qualcosa,
la donna tornò e li condusse nella Sala Grande. Era tutto come le avevano raccontato
i suoi genitori: i tavoli, gli stendardi, il cielo nuvoloso sopra le loro teste
e migliaia di candele fluttuanti. Davanti al lungo tavolo degli insegnanti,
c’era uno sgabello con sopra un logoro cappello tutto rattoppato. Doveva essere
quello!
Il cappello cominciò a cantare,
raccontando dei Fondatori e delle Case e, intanto lei cercava di capire quali
delle qualità premiate dai quattro famosi maghi potessero appartenerle.
L’intelligenza di Madama Corvonero o la generosità di Tosca Tassorosso?
Poi la professoressa Goodwin
cominciò a chiamare e velocemente nuovi studenti si andavano a sedere ai
tavoli. Vide suo fratello Albus, seduto trai suoi amici, che festeggiava
l’arrivo di un nuovo Serpeverde. Quando i loro sguardi s’incrociarono, le
sorrise nello stesso modo incoraggiante di suo padre.
-O’Connor,
Finola- Sentì Fin irrigidirsi al suo fianco e le
strinse la mano. La ragazzina avanzò a passo incerto fino allo sgabello e si
calò il cappello sugli occhi.
*
Era una sensazione strana, avere
una voce nella testa. Era abituata a tenersi i suoi pensieri per sé e l’idea
che un cappello potesse leggerle la mente la inquietava.
Non
essere nervosa … Vedo talento e un cervello con del potenziale se lo saprai
sfruttare … non Corvonero, però … né Serpeverde … vedo ambizione, ma non sei
un’individualista … Uhm…sì…direi GRIFONDORO!-.
Un’ennesima ondata di entusiasmo si
levò dalla tavolata Rosso-Oro, mentre Fin si levava il cappello e correva a
sedersi all’estremità della panca. Perfetti sconosciuti le battevano pacche
sulle spalle e le davano il benvenuto. James Potter le strizzò l’occhio da
lontano. La testa le girava e si sentiva più confusa che mai. Vide Lily ancora
nella fila, tesa come una corda di cuore di drago, e molto pallida.
Il ragazzo davanti a lei venne
smistato a Tasso Rosso e poi venne chiamata -Potter, Lily-
Il brusio della Sala crebbe, mentre
la piccola sagoma avanzava sotto lo sguardo rapace degli studenti. Rimase sullo
sgabello per pochi secondi, con gli occhi chiusi in un solenne sforzo di
concentrazione. Non sembrava più agitata, solo determinata. Ci fu un grande
silenzio, poi il cappello gridò GRIFONDORO! e Fin lasciò il respiro che non si
era accorta di trattenere.
In un attimo Lily raggiunse i suoi
nuovi compagni, mentre i Grifoni festeggiavano rumorosamente.
Stritolò Fin in un abbraccio prima
di sorriderle raggiante. Lei non poté far altro che ricambiare.
Dopo la fine dello Smistamento e
dopo aver mangiato a sazietà, le cugine di Lily, che frequentavano il sesto
anno, le raggiunsero. Molly e Lucy erano
gemelle con capelli e occhi scuri. La prima era molto magra e dall’aspetto
severo; portava leggeri occhiali dalle lenti squadrate, una stretta crocchia
sulla nuca e il distintivo da Prefetto che le scintillava sul petto.
L’altra era della medesima statura,
ma più rotonda; i cappelli erano mossi, raccolti in due trecce che scendevano
sulle spalle. Sorrise gentilmente a Fin e abbracciò affettuosamente suo cugina,
mentre dietro di lei, Dominique, biondissima, alta e molto carina, si divertiva
a stuzzicare James, affiancata da una sorridente Rose. Quest’ultima era minuta,
con un testa di ricci rossi e uno spruzzo di lentiggini sugli zigomi.
Fin osservava con curiosità e stupore
i numerosi parenti di Lily, che ridevano e battibeccavano animatamente. Anche Albus e il suo amico biondo si fermarono a salutare. Come
sua sorella, il giovane Potter guardò Fin dritta negli occhi, prima di
stringerle la mano. Aveva uno sguardo intelligente e due occhi di un verde
brillante.
Presto gli studenti cominciarono a
lasciare la Sala Grande e Prefetti si alzarono in piedi per radunare i primini e accompagnarli ai dormitori. Su nella torre di Grifondoro, i letti erano caldi e confortevoli e fuori la
notte era silenziosa.
Il sonno aveva già rapito le loro
compagne di stanza, quando la voce di Lily giunse da dietro le tende del
baldacchino.
-Sei stata forte, prima. Mi hai aiutato
con quel tipo.-
-Non ho fatto niente di ché- mormorò
imbarazzata Fin. Non le sembrava una gran cosa. Quando aveva fatto amicizia con
Lily non sapeva chi fosse e anche se l’avesse saputo, non le sarebbe importato.
Lei per prima, sapeva quanto fosse fastidioso essere considerati solo in base
ai propri parenti.
-A me non importa chi sono i tuoi
genitori.- chiarì, -Grazie per avermi … stretto la mano.-
La ragazzina ringraziò il cielo che ci fossero ben due strati di tende a
coprire il suo imbarazzo.
-Sai, credo che saremo buone
amiche. Se ti va.-
-Ok.- rispose con le palpebre troppo
pesanti per rimanere aperte.
Quella sera Finola O’Connor si
addormentò tra le accoglienti mura della sua nuova casa, felice come non era
mai stata da molto tempo e con, nella mente, gli occhi verdissimi di Albus
Potter.
*****
Ma questa è un’altra storia!
Ho
completato la bozza alle 3 meno cinque di ieri notte e solo ora ho finito la
revisione. Yay!
Shottina
senza pretese, ma spero che vi abbia intrigato e coinvolto almeno un po’.
Ditemi che ne pensate!!
Cappychan