CHAPTER-V_ FINGER PRINTS
Già in macchina ed a un solo isolato dall’hotel Cassius, Warrick decise di
virare e cambiare strada. Caput, tutto d’un tratto. Warrick era un tipo
istintivo. Warrick non aveva voglia di rivedere il Cassius, gli uomini anziani,
grassi ed unti e di sentire l’odore del gioco appiccicarsi ai vestiti e di
portarselo a casa finche, tornati dalla lavanderia, avrebbe potuto considerare
i suoi vestiti di nuovo ‘normali’. C’era Cate, c’era Brass. Sarebbero stati
piucchè sufficienti, s’era detto. E poi Cate, vaffanculo Sidle. M’icasini
sempre, Sidle. Così s’era indirizzato verso il laboratorio, per vedere come
poteva evolversi il caso, chiamare Tina e anche vedere come se la passava il
vecchio Nick. E poi forse sarebbe arrivato in tempo per l’autopsia.
Warrick bussò alla finestra di vetro del laboratorio, dove Nicky lavorava alle
impronte del John Doe, del parcheggio in centro.
“Vuoi che faccia io?” chiese. Non era affatto serio. Warrick era
patologicamente pronto a sfottere chiunque.
“Non trattarmi come se avessi il vaiolo, ok?” rispose Nicky
“Ora dimmi, baffetto, perché non te ne sei rimasto a casa?”
“E tu” Nicky passò dalla prima alla seconda mano, lasciando dal lato di Warrick
le dita del morto impiastricciate di quella polverina nera “Tu perché non sei
al Mirage adesso”
Warrick rispose con un sorriso sarcastico e seccato.
“Vado a metterle nell’archivio se trovo qualche riscontro… tu gustati una bella
autopsia di Robbins”
“Già la malattia deve averti affaticato lo stomaco, poverino…”
“Stai attento, Brown, stai attento” minacciò Nicky. I due risero un po’.
“Ma il capo? Non si occupa lui di Robbins?”
“E chi lo ha visto, il capo?” rispose Nick.
Catherine sarebbe subito entrata per dare un’occhiata a quella stanza, ma Brass
insistette perché lo seguisse, solo dopo essersi fatto certo che nella stanza o
nei paraggi non ci fosse stato niente di pericoloso.
“Jim, questo è impossibile” aveva risposto lei, lanciando un’occhiata
fulminante al nano della reception.
“Andiamo, Cat, hai capito cosa intendo”
Così Jim si era avviato e nei cinque minuti successivi era tornato indietro a
chiamare Catherine permettendole finalmente di visitare la camera di Adrien
Maiers.
Maiers sembrava un uomo piuttosto ordinato, ordinario, senza i fregi assurdi
dei giocatori d’azzardo. La camera non era certo una suite dell’Herald, era
piccola e sporca, ma aveva la sua dignità, con le camice ripiegate sulla sedia
e il telecomando posto perfettamente davanti lo schermo della tv.
“Vuoi che spenga la luce?” disse la voce pastosetta di Sara.
“In realtà credo che in una stanza come questa non servirà a un bel niente.” Si
alzò e la guardò “ma perché non provare”
Come aveva sempre fatto Sara, si avventò con totale tranquillità sul letto di
Maiers, divertita dall’idea di un’eventuale scoperta.
“Non c’è liquido seminale, non c’è proprio niente, Catherine”
“Ottimo”
L’attenzione di Sara si focalizzo da qualche altra parte. Aveva disfatto il
letto, per cercare le tracce di sperma, ma aveva perso un particolare.
“Ho trovato della fibra…verde… sul cuscino” disse.
“Prendo le impronte sul pomello, per quanto potranno esserci utili” ma Cate
cercava qualcosa di più profondo. Una stanza può dire tante cose, a prescindere
la sesso o dal sangue, no?
Adrien aveva tre bottiglie di pessimo whiskey perfettamente ordinate nel
cestino della spazzatura, e sulla piccola scrivania c’erano… delle fotografie.
Ce n’era una strappata per metà con una bambina sui dieci anni, una morettina
graziosa, e un’altra di un bambino magrolino e biondiccio più grande di qualche
anno.
Andiamo Adrien, che cosa sei? Perché un giocatore non lo puoi essere. Sei un
pedofilo del cazzo, Adrien? Che cosa sei?
“Le ha bevute ieri sera, o al massimo ieri pomeriggio” disse Sara, che
imbustava le bottiglie.
“Ah si? Magari lo sapeva, a cosa andava incontro”
“O magari era solo teso. Magari aveva paura di qualcuno, non credi, Catherine?”