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Autore: Occhi Cielo    08/11/2011    6 recensioni
Era una giornata piovosa alla Wammy's. Non che la cosa fosse strana.
I ragazzi si annoiavano. Più di tutti un bambino biondo dagl'occhi come il ghiaccio. Mello osservava la pioggia assorto nei suoi pensieri, fino a quando qualcosa di colorato lo distrasse. Una macchia Rossa.
Questa è la storia di come Mello conobbe Matt, di come i due divennero amici, delle loro avventure e del loro amore che a poco a poco sbocciò, portando nella loro vita un tocco di colore. Come il rosso dell'amore e il rosso dei capelli di Matt che Mello tanto amava. "Pioveva.
Un po' come sempre d'altronde.
Le gocce violente si abbattevano sui vetri della mia finestra. Fuori era grigio. Tutto era avvolto da quest'alone di colore. Grigio.
Grigio come gli alberi, come l'asfalto, come l'erba, come i muri.
Grigio. [...]
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Near | Coppie: Matt/Mello
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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17. Bianco speranza


L'impercettibile spostamento di un battito d'ali. 
Frenetico.  Invisibile.
Un suono muto che provocata venti intensi.
Soffiavano pigri e freddi ogni colpo sferrato.
Intorno a me il buio. Ma sentivo questo battito colmarmi il petto, lo sentivo forte, che risuonava nella mia testa. Più e più volte.
Un cuore che batteva,che batteva senza avere un petto...eppure era troppo delicato per poterlo essere. Troppo lontano, ma terribilmente vicino.
Mi incuriosii.
Quando decisi di aprire gli occhi, una luce debole mi accolse.
Nonostante fosse fioca e artificiale, faticai a guardarla e a rendermi conto di dove fossi.
Alla fine, il coltello aveva fatto effetto.
Mi guardai il braccio...odorava di carne bruciata e dolori incessanti
Il mondo era una macchia.
Ovunque. Ogni angolo, ogni spazio.. 
una macchia indistinta che si mescolava allo sfondo scuro della stanza.
La luce artificiale scagliava frecce aranciate sui muri stretti, la fiamma sul fuoco danzava nell'azzurro della sua combustione.
Il coltello giaceva a terra, accanto a me.
Lo fissavo con occhi speranzosi, come se guardarlo mi avesse potuto concedere il beneficio dell'oscurità totale, dove potermi perdere ancora una volta. Ancora per un po'.
Invece, non accadeva niente. E io vedevo solo macchie.
Come una pellicola opaca e fastidiosa, rovinata dal tempo e dalle intemperie.. sui miei occhi stanchi e pesanti.
Le bruciature fresche pulsavano sulla pelle chiara. Battevano sul braccio ravvivando il dolore. 
Credevo che ormai, tutto quello non mi avrebbe causato più alcun male.
Ma i marchi a fuoco restano, e le ustioni permangono...anche se non erano quelle a causarmi maggiore sofferenza.
Una volta che ti abitui diventa qualcosa di naturale.
 
Vagai con lo sguardo attrevarso quelle macchie di colore indistinte e scure.
Cercavo quel cuore che batteva. Lo sentivo rimbombare nelle mie orecchie, entrare nel cervello come una specie di tamburo vodooh capace di incantarmi.
Mi voltai più volte perdendo l'equilibrio ad ogni scatto troppo brusco. Il muro era sempre pronto ad accogliermi, e io sorreggendomi, continuavo a seguire il rumore ritmico del battito.
Le macchie di facevano più chiare, alla luce le iridi bruciavano, mentre le palpebre sbattevano per fare chiarezza.
La frenetica ricerca divenne come un'ossessione, il respiro affannato, il sudore che a gocce lente mi imperlava la fronte. Ad aggiungersi, il mio sangue galoppava attraverso le mie vene.
Era come se fossi stato colpito da un'ondata di ansia che fino a poco prima, mi era sconosciuta.
Volevo trovare la fonte di quel bussare, del rumore tanto perforante.. Che cresceva e si allontanava. Per poi sparire.
Dov'era andato? Perchè il cuore si era spento? Perchè anche quello, oltre al mio, era morto, portandosi dietro il ricordo eccitante del suo scalpitare?
Venni preso dalla paura, un' angoscia tale da fermarmi per un attimo con il piede a mezz'aria. Non sentivo più niente, se non le sguaiate risate al di la del muro, in una stanza sconosciuta. 
Sospirai, buttando fuori l'aria imprigionata nei miei polmoni. Dopotutto, era uno stupido gioco.
Ma voltandomi, posando lo sguardo sulla sciarpa rossa poggiata sul letto, la notai.
Non c'erano finestre. Non c'erano fessure dove lei sarebbe potuta entrare. Eppure era la, con le sue ali bianche, candide come un petalo di margherita. Angeliche e pure, che ad ogni colpo una polverina sottile si innalzava da queste per disperdersi nelle quattro mura. 
Mi dava una strana sensazione di calore, nonostante mi ricordasse un fiocco di neve, o la polvere di gesso
Era piccola, innocente, e il solo guardarla mi dava l'idea di "delicato", come se al minimo soffio di vento sarebbe stata capace di volare via in balia della corrente, o di spezzarsi.
Il battito riprese non appena si lasciò alle spalle la lana rossa della sciarpa. Zigzagando, in una grazia che solo lei era capace di avere, e tagliando l'aria come una spada, arrivò da me.
La guardai, affascinato.
« Sei tu il mio cuore ? » Chiesi, sentendomi stupido.
Non avevo mai parlato ad un animale. Mai. Ne' avevo mai fatto delle domande tanto insensate e futili. 
Non mi avrebbe risposto e in fondo era logico che non fosse il mio cuore. Io ne avevo già uno nel mio petto, e anche se non funzionava bene, comunque stava lì e mi faceva vivere, per quella che si potrebbe definire vita.
Ma io la osservai comunque, speranzoso di ricevere un'altro dei suoi preziosi battiti.
Lei, essendo il mio cuore, volò via. E come il tamburo che era, si lasciò alle spalle i suoi rumori, abbandonandomi alle mie amarezze. Eppure non potevo far altro che sentirimi felice.
Quella farfalla, quella che per un attimo sostituì il mio organo morto, l'aveva mandata Matt. A lui piacevano le farfalle, le disegnava a volte come uno scarabbocchio sui suoi libri. 
Era bravo con la matita, e amava le ali. Quelle morbite e sostenitrici di pesi enormi. 
La farfalla sparì nell'attimo di un respiro. La porta era chiusa.
Non mi chiesi dove fosse finita, ero certo si trattasse di un miraggio.. ma ciò che si lasciò dietro, la sensazione di speranza che mi portò, mi fece pensare che forse, potevo ancora permettermi di sognare.
 
 
 
 
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Decisi di farmi vivo.  Il tempo della autocommiserazione era scaduto da un bel po', e credevo fosse ora di darsi una svegliata, una volta per tutte.
Avevo dato i comandi, se li avessero svolti ancora non lo sapevo.
Mi ero rinchiuso in quello stanzino da troppo, perdendo minuti preziosi da dedicare a quello stramaledetto caso. Se non fossi riuscito a battere Near in quel modo, non credo sarei stato in grado di farlo in altre maniere.
Quelle erano le mie ultime carte. 
Me le sarei giocate puntando in alto, all'ambito trofeo che sia io che l'albino bramavamo.
E stavolta avrei vinto. Perchè mi seguivano e si fidavano. E soprattutto, perchè io avevo qualcosa che quello stupido non aveva. 
Il quaderno.
Ah, quanto mi sentivo soddisfatto ad avere tra le mani un'arma tanto potente, capace di non lasciare indizi dietro di se.
Eppure, sapevo benissimo che se il piano si fosse svolto a dovere, Near avrebbe capito subito di chi fosse stata la colpa se d'un tratto, si fosse trovato solo.
Esattamente. Solo. Finalmente.
L'avrebbero uccisi tutti, ma non lui. No. Perchè lui doveva vedermi trionfare. Doveva volgere lo sguardo al monte e capire che ormai era tardi, e la bandiera l'avevo piantata io!
Un ringhio soffocato mi percorse la gola, mentre con lentezza, percorrevo le rampe di scale di quell'edificio abbandonato.
Si voltarono a guardarmi. Otto paia di occhi fissi su di me, come fossi un fantasma.  Sembravano spaventati.  Per un attimo ebbi il dubbio che dietro di me potesse nascondersi alla cecità dei miei occhi l'ennesimo Shinigami. Ma mi dissi che era impossibile, e forse, avevano solo paura dei miei occhi. In quel momento stretti come fessure, lo sguardo di un gatto selvatico che correva attraverso la stanza alla ricerca dell'oggetto dei desideri.
Rodd Los lo aveva in pugno, l'unico che mi fissasse con aria soddisfatta. La ragazza al suo fianco, di cui non ricordo il nome per il mio scarso interesse, invece, mi osservava disgustata. Aveva i suoi piccoli occhi nocciola puntati sulle bruciature del mio braccio sinistro, che continuavano ad ammucchiarsi, diventando dempre più visibili.
Le scoccai un'occhiata gelida.
« Che cazzo avete da guardare?! Avete fatto quello che vi ho chiesto?»
Jack, gli occhi infossati e la pelle sudata, attendeva che lo interpellassi. Aspettava il momento giusto per parlare, ma era bloccato, come se un nodo gli avesse chiuso la lingua.
Sbuffai scocciato non ricevendo alcuna risposta.
« Jack, allora?!» Chiesi furioso.
Lui balbettò incerto, poi annuì con uno scatto secco della testa.
«Bene...» Mi lasciai cadere sul divano privo di forze. Mi sentivo debole, ma non l'avrei dato a vedere.
Rodd scoppiò in una fragorosa e irritante risata. Risuonò tra le pareti della stanza come se a ridere fossero stati in centinaia. La testa stava per scoppiarmi. Il battito della farfalla ancora non mi aveva abbandonato e continuava a pulsare dentro di me.
Imprecai a bassa voce.                                
«Qualcosa di divertente?» Il mio tono tagliente non scompose il grande uomo sdraiato dall'altra parte del divano, che con una mano afferrava non curante il cocktail sul tavolino.
Attesi impaziente che soddisfasse la mia curiosità. 
« Bhe, ti sei rinchiuso per due giorni là dentro, era logico che svolgessimo gli ordini. E poi...non avevamo il coraggio di venirti a chiamare, vero Jack?» E scoppiò in una nuova risata.
Per un secondo i miei pensieri si fermarono. Il groviglio di idee venne sciolto...
Due giorni. Due giorni passati a pensarlo. Pensare ad una persona che probabilmente nemmeno si ricordava della mia esistenza. Che si era creata una vita, che era diventato qualcuno. Che aveva uno scopo, un sogno da raggiungere.. non come me. Lui, mi aveva davvero dimenticato?
La farfalla di pochi istanti prima poteva davvero farmi credere che lo avrei ritrovato prima o poi?
Il mio sguardo vitreo si perse dietro le figure invisibili dei miei compagni. Fisso su un punto inesistente, faceva scorrere a rallentatore per l'ennesima volta, le immagini di un giovane ragazzino dai capelli rossi. Probabilmente, sarei morto prima di riavere indietro il suo sorriso. Probabilmente ora, donava le sue risate a qualcun'altro, riempiendo le sue orecchie di miele.
"Matt, a volte penso..penso...che mi manchi"
Un sospiro uscì flebile dalle mie labbra. Le immagini si affievolirono...e davanti a me, una macchia bianca danzava leggera tra i bicchieri e le bottiglie colorate.
« Che cazz..? Come ci è arrivata?»
Le parole di qualcuno alle mie spalle mi riportarono alla realtà, bruciando il filmino dei ricordi.
Davanti a me, delicata nella sua fragilità, la farfalla girava su se stessa, poggiandosi in fine sul mio ginocchio.
Stavolta, non era l'immaginazione. Lei c'era, era lì, presente, e mi portava un messaggio. Tre le sue zampette esili come fili di seta, era incastrato un pelo rosso. Forse un filo della mia sciarpa.
Il rosso di Matt.
Davvero forse, non era il momento di smettere di sognare?
Davvero...potevo sperare.
  
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