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Autore: FunnyBunny    08/11/2011    3 recensioni
«Senti, abbiamo iniziato con il piede sbagliato! Perché-»
«Il piede era giustissimo, invece!»

Erin non ha mai voluto amare nessuno. Un antipatico ragazzo riuscirà a farle cambiare idea o rimarrà tutto come prima?
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio, Onew
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autore: FunnyBunny
Pairing: Onew/OC
Capitoli: 6/?
Desclaimer: Gli SHINee non mi appartengono ma Key sì

 

This is so much like us,
We fight like we’ll never see each other again
And then become mixed in the soap called love,
Suddenly, all the animosity disappear.
We fight a hundred times,
And our hearts break a hundred times,
But like tangled pieces of string
Our love can’t be pulled apart.

Love’s Way – SHINee

 

-

 

 

Rimasi pietrificata sul posto, con lo sguardo puntato verso la tazza. La persona a cui apparteneva la voce era di fianco a me, ma mi rifiutai di alzare gli occhi.

La voce era terribilmente familiare.

«Erin, puoi gentilmente spiegarmi come mai sei seduta con un idol?» mi girai di malavoglia, trovandomi davanti Jihyun, che mi fissava. Non riuscivo a capire la sua espressione, tropo simile a quella di un giocatore di poker.

«Lui? Lui non è un idol! T-Ti sbagli è-»

«Ciao Onew» disse Jihyun girandosi verso di lui. Ti prego, di che-

«Ciao»

«Oh Dio, ma sei deficiente?!» mi girai verso di lui, che però sembrava calmissimo.

«Su Erin, è una tua amica. Nessuno morirà se sa che mi conosci!»

«Cos...? Ma-»

«Ha ragione Onew! Potevi anche dirmelo prima!»

«Vi lascio parlare da sole, ok? Ah Erin, tieni» disse porgendomi un biglietto «Così puoi evitare di farti mezza Seoul a piedi se hai bisogno. Ciao Jihyun, ciao Erin!» chiudendosi il giubbotto, uscì di fretta dal bar, cominciando a camminare. Appena fu fuori dalla nostra vista, sentii Jihyun emettere un gridolino inquietante.

«Erin, questa me la paghi! Era lui il misterioso ragazzo! Era Onew!» sussurrò eccitata sedendosi di fronte a me «Perché non mi hai detto nulla? Non sai che di me puoi fidarti? Su, racconta! L’hai visto? Dico, l’hai visto? Cioè, sono seduta sulla stessa sedia dove si è seduto lui! E’ una figata, te lo dico i-»

«Si, l’ho visto e so che lì era seduto lui. Ora se stai zitta per un attimo, ti spiego!»

«Sono tutta orecchie!»

Sospirando, iniziai a raccontarle tutto, dal servizio fotografico a quello che era accaduto poche ore prima. Lei ascoltava in silenzio, come le avevo intimato, ma vedevo i suoi occhi cambiare a seconda di quello che raccontavo. Dopo quasi mezz’ora avevo finito il mio lunghissimo monologo.

«Erin, sei qui da neanche un anno e stai uscendo con un idol di fama internazionale!»

«Uscendo? Ma hai sentito quello che ti ho detto? E’ ossessivo, è insopportabile! E poi non m’innamoro, io»

«Se lo dici tu... Nessuno comunque parlava di innamorarsi!» aggiunse sorridendo furbamente.

 

 

 

Era solo metà Novembre, ma già nel centro di Seoul si poteva già avvertire un’atmosfera natalizia: i negozi iniziavano a esporre i primi articoli da regalo, le vetrine si abbellivano di luci e festoni rossi e d’oro, rendendo le vie principali coloratissime.

Non avevo mai amato il Natale, e lo stesso valeva per un po’ tutte le altre festività. Fin da piccola non avevo mai festeggiato com’è tradizione: mio padre lavorava, così passavo la vigilia con una delle tante cameriere della casa, scartando i regali che mi comprava mio padre. Dopo gli undici anni, quando mio padre smise di farmi i regali, iniziai a passarlo in camera mia.

Sarebbe stato strano festeggiarlo per la prima volta con Jihyun, ma non mi dovetti preoccupare più di tanto: lei sarebbe partita presto per una mega-vacanza con i suoi genitori per visitare alcuni parenti, dagli ultimi di Novembre fino ai primi di Gennaio.

 

Dopo quella volta al bar, avevo sentito Onew solo qualche volta. Ci incontravamo di sabato mattina, quando sembrava che tutti e due avessimo una pausa dai nostri lavori. Andavamo al  solito parco, poi a prendere un caffè in un bar sconosciuto e poco frequentato. Lì, Onew parlava e parlava, di tutto e di tutti. Io ascoltavo e basta, a volte raccontavo qualcosa, nulla che però fosse rilevante. A Onew andava bene così, non si lamentava mai.

Avevo in qualche modo creato una routine stabile, che però non avrebbe durato.

 

Era una di quelle giornate in cui fa buio già alle quattro di pomeriggio, in cui il freddo ti entra dentro le ossa e non ti lascia andare. Ero appena arrivata a casa dal lavoro e mi stavo cambiando con il mio solito pigiama, quando il cellulare suonò. Svogliata, aprii la borsa, ma tutto quello che vidi fu il mio portafoglio e altri oggetti. Seguii la suoneria, finché non arrivai in salotto. Il mio cellulare, appoggiato su un cuscino del divano, vibrava e suonava ancora.

«Chi è a quest’ora... Pronto?»

«Ciao Erin» rispose una voce calda, in inglese.

«Scusa, non ti conosco» borbottai. Allontanai il cellulare dall’orecchio per controllare il display. Numero sconosciuto.

«Ma come? Non ti ricordi più di tua madre?» sentii ridacchiare dall’altra parte della cornetta. «E’ passato tanto tempo, ma sono comunque tua madre, Erin» continuò la voce.

Un brivido percorse la mia schiena, obbligandomi a sedermi sul divano. Non riuscivo a capire se fosse tutto uno scherzo o se davvero quella voce calda e vellutata fosse quella di mia madre.

«S-Stai... Scherzando?» sussurrai.

«Perché dovrei? Ho saputo che non sei più in America, è vero?»

«N-No, aspetta. Perché... Perché mi hai chiamato? Perché proprio ora?» strinsi il cellulare tra la mano, cercando di comprendere il motivo di quella surreale chiamata. L’ultima volta che avevo sentito e visto mia madre avevo cinque anni, tredici anni fa, prima che ci abbandonasse per trasferirsi in Florida con un venticinquenne. Perché si faceva sentire proprio ora? Era successo qualcosa?

«Vedi, Erin... Da donna, ho sempre avuto il desiderio di rivederti, ma ho sempre avuto paura. Ora finalmente ho trovato il coraggio di contattarti e...»

«Come hai fatto?»

«Sai, amici...» amici? Quali amici? Decisi di rimanere in silenzio. «Allora, è vero che ti sei trasferita all’estero?»

«Sì... In Corea»

«Oh, e com’è? Racconta! Perché ti sei trasferita?»

«E’ bella. Mi sono trasferita perché...» rimasi in silenzio, cercando di trovare le parole. Non volevo parlargli subito della mia relazione con mio padre. «Perché sono sempre stata appassionata di… questo posto»

«Capisco, ci sono tante cose che non so di te! Tesoro mi chiamano, purtroppo, ti richiamerò, ok?» e chiuse la telefonata.

Rimasi lì immobile, seduta sul divano e con il cellulare ancora all’orecchio, cercando di riordinare le idee.

Era tutto così strano, così... surreale.

«Erin, che hai fatto?» chiese Jihyun entrando nella sala, poi guardando il cellulare ancora stretto tra le mie mani,  mi rivolse uno sguardo curioso «Chi ha chiamato?»

«...Mia mamma» mormorai.

«Cosa?! Ma...»

«Io... Mi ha chiamata, così... Dal nulla»

«Perché?» chiese nuovamente sedendosi accanto a me.

«Non lo so... Dice che voleva rivedermi... Jihyun... E’ normale che io mi senta... strana? Quasi felice, direi» mi girai verso la mia amica, mentre lei sorrideva appena.

«Beh, penso di sì. Anzi, devi essere felice: hai ritrovato tua mamma!» esclamò abbracciandomi. Sorrisi leggermente nell’abbraccio.

Avevo trovato mia mamma...

 

Era l’una di notte quando sentii il cellulare vibrare sul comodino. Alzando la testa dal cuscino, afferrai l’aggeggio e guardai il display. La parola “Mamma” lampeggiava insistentemente sullo schermo.

«Pronto...» sussurrai alzandomi dal letto.

«Ciao tesoro, come stai?» esclamò la voce dall’altro capo.

«Tutto ok» risposi mettendomi un paio di scarpe. Uscii silenziosamente dalla camera e andai fuori sulla terrazza, sperando di non disturbare Jihyun.

«Perché sussurri?»

«Qua da noi è notte... mamma»

«Ah, capisco! Hai sonno?»

«Un po’» mi appoggiai al muro

«Non ti preoccupare, quando tornerai qui in America, potrai dormire quanto vorrai e non do-»

«Cosa? Tornare in America?» esclamai fregandomene dei vicino. «Di cosa stai parlando?»

«Ora che ti ho rintracciata, non vorrai certo rimanere là in Giappone!»

«...Corea» la corressi «E comunque... Non posso, qua ho un lavoro e degli amici, non vorrai che io lasci tutto…»

«Ma... Vorresti dire che preferiresti rimanere lì piuttosto che venire ad abitare con me?»

«N-non... Non ho detto questo... Ma...»

«Mi vogliono al lavoro tesoro, mi dispiace. Prometti di pensarci bene, ok?»

«O-» la linea telefonica s’interruppe, io rimasi lì in piedi.

Non volevo tornare in America, ricominciare da capo tutto ancora una volta. Qui avevo un lavoro, una casa, avevo Jihyun e... avevo Onew. Non volevo lasciare tutto, eppure sentivo che avrei fatto bene passare un po’ di tempo con mia madre. Era normale passare del tempo con lei, non succede così?

Era mia mamma dopotutto, no?

 

La mattina dopo mi svegliai con un terribile mal di testa e due o tre linee di febbre. Chiamai il lavoro e mi dissero di rimanere a casa per un giorno o due. Sollevata, sprofondai tra le coperte, ripensando alla chiamata della sera prima.

Non sapevo davvero cosa fare, e non volevo parlarne con Jihyun per il momento. La risposta, grazie al cielo, arrivò a metà mattinata, verso le dieci.

«Erin!» sentii esclamare appena aprii la chiamata.

«Sì, mamma?»

«Non sarai costretta a ritrasferirti, per ora! Verrò io in Corea per qualche settimana, ok?»

«Cosa?» esclamai alzandomi di colpo dal letto. Ebbi una fitta alla testa, costringendomi a calmarmi per un attimo.

«Verrò lì e starò un po’ con te!»

«Cos... Ma quando? E dove starai?»

«Fra due o tre settimane. Il posto lo troverò, starò in un hotel o a casa tua, ok?»

«Ehm... Io... o-ok» mormorai. Mia madre riattaccò qualche minuto dopo, ma non feci nemmeno in tempo ad appoggiare il telefono sul comodino che iniziò a vibrare di nuovo. Senza nemmeno far caso al nome, accettai la chiamata, portando il cellulare all’orecchio.

«Pronto?»

«Hey Erin!»

«Hey rompiscatole» borbottai ironica riconoscendo immediatamente la voce.

«Di buon umore, eh? Hai voglia di uscire? Hanno cancellato un’intervista!» trattenni una risatina sentendo il tono di voce di Onew: nemmeno un bambino a Natale avrebbe avuto una voce così felice!

«Sto male, non posso uscire»

«Oh, mi dispiace... Allora vengo a cucinarti qualcosa!» dichiarò.

Neanche morta!

«No che non vieni!»

«Hai fame e non puoi alzarti!»

«Non sai dov-»

«Kibum, posso cucinare pollo fritto a un ammalato?» m’interruppe senza nemmeno starmi a sentire. Sentii un ragazzo sgridarlo, un altro ridere.

«Onew, tu non verrai qua!» esclamai riportando l’attenzione su di me.

«Ciao Erin, ci vediamo fra poco!»

Scalciai via le coperte, cercando di reprimere i miei istinti omicidi. Ma perché quel ragazzo doveva sempre fare di testa sua?! Appoggiai la mia testa dolente ai cuscini, cercando di riaddormentarmi.

«Tanto non gli apro»

 

«Eriiiiiin! Apriiiii!»

«No!» esclamai stringendomi nella coperta che avevo attorno al corpo. Saltellai verso il divano, stendendomi.

«Daiii! Ho fatto mezza Seoul solo per venire qua, ora devi aprirmi!»

«Ok, ok» mormorai alzandomi. Aprii la porta. Onew era davanti a me con due sporte tra le mani e il solito sorriso che gli illuminava il viso.

«A dir la verità ero abbastanza vicino, ci ho messo tanto perché non sapevo cosa comprare» aggiunse ridacchiando. Senza nemmeno arrabbiarmi mi spostai, ristendendomi sul divano. La febbre era probabilmente salita, il mal di testa era persistente.

«Yah, stai bene?» mi chiese chiudendo la porta.

«Ho solo un po’ di mal di testa» si sedette accanto a me, scrutandomi. Poi, piano piano, vidi il suo viso avvicinarsi sempre di più al mio. Incapace di capire cosa stesse succedendo, rimasi immobile, finché non sentii le sue labbra appoggiarsi leggere sulla mia fronte. Pietrificata, continuai a fissarlo stralunata.

«Sei molto calda, Erin... dovresti prendere un’aspirina»

«Prima devo mangiare, non posso prenderla a stomaco vuoto»

«...Giusto. Allora cucino in un attimo! Ci credi che i malati non possono mangiare pollo fritto? E’ incredibile... dovrò farti una di quelle cose insipide che mangiano tutti, immagino...» gli mostrai con un cenno la cucina, dove si intrufolò in un attimo. Stesa sul divano lo sentivo canticchiare una delle mille canzoni presenti nell’iPod di Jihyun. La sua voce era profonda ma vellutata; decisamente affascinante…

No aspetta.

La sua voce non era affascinante, nemmeno per sogno! Ma a cosa stavo pensando?

 

«...Bene?» sussultai leggermente, trovandomi davanti il viso di Onew, perplesso, che aspettava una risposta.

«Cosa?»

«Ho detto, ti senti bene?» annuii, sedendomi. Presi in mano la zuppa che mi porgeva e la squadrai sospettosa. Era fin troppo di bell’aspetto per essere stata cucinata da un uomo.

«L’hai.... davvero cucinata tu?»

«Cosa credi?! Sono capacissimo di cucinare un sacco di piatti!» decisi che non mi importava chi l’avesse cucinata, dal momento che rischiavo di morire di fame. Mangiai il piatto in fretta, mentre Onew, di fianco a me, mi osservava discretamente. E stranamente non mi dava fastidio; ero così abituata alla sua presenza che ormai non facevo più caso alle sue stranezze.

«Come si dice?» esclamò tutto d’un tratto. Lo squadrai, posando la ciotola sul tavolino davanti a noi.

«La prossima volta metti meno verdure?»

«No, la parola “magica”!»

«Onew, la parola “magica” è per favore, non grazie» si mise quasi subito a ridere, mentre io lo guardavo sbuffando.

«Fa lo stesso, tanto “Grazie” l’hai comunque detto!» poi, alzandosi aggiunse: «Dove sono le medicine?»

«In bagno, lo sportello di sinistra» tornò poco dopo con in mano una scatolina. Presi l’aspirina e poi mi ristesi sul divano, sempre sotto lo sguardo apprensivo di Onew. In silenzio, cercai di ascoltare i suoni che provenivano dalla strada, mentre i raggi deboli del sole invernale si appoggiavano su di noi. Odiavo stare male, con tutta me stessa. Non riuscire a stare in piedi e non poter camminare per me era impensabile!

«Onew...» mi ritrovai a sussurrare dopo qualche attimo di silenzio, ormai fuori di me.

«Si?»

«Tu... sei davvero strano. Anche se continuo a cacciarti tu ritorni sempre. Non è normale» come estraniata dal mio corpo, sentivo la mia voce sussurrare quelle parole ma, forse a causa della febbre, non riuscivo a prendere il controllo sulla mia bocca.

«Lo prendo come un complimento?»

«Fai come vuoi» le palpebre, intanto, si facevano sempre più pesanti. «Mi ricordi tanto un cagnolino» aggiunsi prima di chiudere gli occhi del tutto. Nel silenzio della stanza, prima di addormentarmi, sentii la sua voce sussurrare “Tu mi ricordi un gattino ferito, invece”.

-

 

Note dell’autore.

Eccoci qua… Jihyun ha scoperto il “segreto” di Erin e la madre di Erin è entrata in scena… Le cose iniziano a farsi interessanti da qui in poi! :3

Questo capitolo non mi convince del tutto, ma dopo l’ennesima volta che lo cambio ho deciso di lasciarlo così e amen! Spero vi piaccia!

---

Too Fast To Live: Spero ti piaccia questo capitolo! La Onrin… mi piace come nome! *___* ahahah

_Eli Minho_: Grazie del complimento, non immagini quanto mi faccia piacere :3 Eeh, chi lo sa se è cotta… Vedremo!

  
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