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Autore: _V_    09/11/2011    2 recensioni
Un viaggio nei ricordi felici dell’infanzia, il passaggio dalla forma di amore più vera e totalizzante all’oblio più profondo e disperato.
È un sogno comune a molti quello di avere un amico speciale con cui condividere tutto, compreso il passato. Giorgia sembrava essere riuscita a realizzarlo, trovando in Lorenzo proprio quello che cercava; ma ben presto si renderà conto che è impossibile mantenere stabile un rapporto quando di mezzo ci sono il tempo e i cambiamenti.
Dopo dieci anni di silenzio e astio, tra i due forse qualcosa sta per smuoversi e questo sarà solo l’inizio di una lunga e lenta agonia, che porterà alla gioia infinita, ma anche alla disperazione più nera ed angosciante.
Dal secondo capitolo:
«Sai, tendo sempre a fare l’opposto di quello che mi dicono di fare…». Alitò all’altezza del mio collo, provocandomi un brivido lungo tutta la spina dorsale, che poi si estese ad ogni altro centimetro di pelle.
«Belli, io non…». Mi bloccai cercando di recuperare la giusta lucidità per terminare il mio monito, ma ci impiegai troppo tempo, perciò alla fine quanto dissi si rivelò solo fiato sprecato. «…io non sarò mai una di quelle barbie senza cervello che ti ostini a portare a letto per divertimento».
«E chi ti dice che io voglia concederti l’onore di finire nel mio letto?».
Genere: Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1



CAPITOLO 1:
Equilibri




Milano, settembre 2010.


Era il mio primo giorno di scuola del quarto superiore, il futuro non sembrava poi così carico di novità e io vivevo semplicemente la mia vita, come avrebbe fatto una qualunque diciassettenne.
Uscii di casa con la solita fretta che mi contraddistingueva quando si trattava di andare scuola, con ancora un cornetto in una mano e la cerniera rotta del cappotto nell’altra. Mi chiusi la porta alle spalle e fu inevitabile sentire il cigolio snervante che da qualche tempo accompagnava quel vecchio pezzo di legno, che ormai sembrava lo facesse apposta solo per ricordarci che andava sostituita. Stanca di fare i salti mortali, ingoiai l’ultimo enorme pezzo di brioche e cercai di chiudere il cappotto con entrambe le mani; era solo settembre, ma a Milano sembrava già Natale!
Una volta terminata la mia lotta con quello stupido aggeggio, mi avvicinai di soppiatto verso la porta dei coniugi Belli, che vivevano nell’appartamento accanto al mio, e tesi le orecchie per cercare di cogliere anche il minimo rumore. Quando mi fui accertata che l’allegra famigliola fosse già fuori casa, mi precipitai giù dalle scale con uno scatto fulmineo, senza neanche prendermi la briga di provare a chiamare l'ascensore; tanto a quell'ora lo chiamavano da tutte le parti, avrei solo incrementato l'interminabile coda che lo attendeva impaziente.
Tre piani di scale non erano pochi, ma ormai ero abituata a farli, perciò non fu particolarmente stancante la discesa e riuscii persino a prendere l'autobus delle 7.40, che per fortuna quella mattina aveva deciso di passare in ritardo.
Con ancora il fiatone, presi posto in fondo alla vettura, e cominciai a guardarmi intorno con aria furtiva, certa che anche lui fosse lì, nascosto da qualche parte e pronto a tendermi un agguato non appena mi fossi distratta un secondo.
Tuttavia, dei suoi capelli biondi e del suo metro e ottanta non c’era la minima traccia, evidentemente aveva preso il pullman prima, oppure lo stava aspettando alla fermata di fronte alla gelateria del Centro. Non appena l'autobus girò l'angolo del parco sentii l'agitazione crescere e percepii distintamente il mio cuore iniziare la sua folle corsa; non era la prima volta, ma era sempre come se lo fosse. Alla fine avevo compreso quale fosse la causa di quel cambiamento e, seppur a malincuore, avevo accettato il fatto che fosse inevitabile quando la causa in questione corrispondeva al nome e alla faccia di...
«Belli!».
Ecco, per l'appunto, lui :
Lorenzo Belli, classe 1992, stronzo di professione, nonché mio ex migliore amico e attuale peggior incubo e vicino di casa.
Come calcolato, era salito alla fermata prevista - no, non osservavo di proposito tutto quello che faceva o lo riguardasse solo perché un tempo eravamo amici - e neanche il tempo di far ripartire l’autobus, che si era messo a parlare allegramente con quelli che definiva i suoi amici...ovvero tutti i ragazzi della scuola, che lo ammiravano neanche avesse portato la pace nel Mondo.
Come ho detto prima, non le avevo cercate di proposito quelle informazioni sul suo conto, ma - per chissà quale motivo - me lo ritrovavo sempre nelle vicinanze, come un incubo...per l'appunto; soprattutto durante il periodo scolastico dato che frequentavamo la stessa scuola…e da quell’anno saremmo stati anche nella stessa classe.
Ci trovavamo praticamente ai lati opposti del pullman, era matematicamente impossibile che dal punto in cui si trovava potesse riuscire anche solo a scorgermi, tuttavia cercai di nascondermi il più possibile dalla sua vista, probabilmente passando per una persona con qualche piccolo squilibrio mentale.
In sua presenza era meglio un giudizio sbagliato che rischiare di essere scoperta, su questo non avevo dubbi.
«Lore!». Sentii sbraitare contro il mio orecchio sinistro, trattenendomi a stento dall'urlare per lo spavento.
Mi voltai lentamente, in direzione della voce gallinacea che mi avrebbe inevitabilmente fatto saltare la copertura; pregai tutti i Santi che non fosse come pensavo, e invece ebbi l'ennesima conferma del fatto che le mie speranze fossero destinate ad essere vane, in qualunque circostanza.
Con un gesto più automatico che volontario puntai lo sguardo verso Lorenzo, ma anziché trovarlo intento a ridere come un idiota per le battute dei suoi sciocchi compagni, incontrai il suo sguardo irritante. Irritante perché era azzurro ed identico a quello di quando era bambino e io avevo sempre avuto un debole per il colore dei suoi occhi che, sfortunatamente, ancora non accennava a passarmi.
Come ogni volta in cui i nostri sguardi si incrociavano, per caso o di proposito che fosse, mi parve di vederlo soffermarsi più del dovuto sul mio, ma sapevo benissimo che era solo una mia impressione, perché Lorenzo Belli non avrebbe mai, e sottolineo il mai, rivolto alcuna attenzione a Giorgia Mori, la sottoscritta.
Per quale motivo?
Chiedetelo a lui, ma non sono del tutto convinta che sappia rispondervi.
«Reb!». Esclamò con un sorriso largo trentadue denti, dopo quella che mi parve una vita.
Ora, ovviamente, il suo sguardo era completamente rivolto a Rebecca Galbiati, la ragazza più carina della scuola, nonché sua attuale fidanzata, ammesso che tale si potesse definire.
Lorenzo si allontanò dal suo gruppo di caproni e facendo a spallate con la miriade di studenti che popolavano l'autobus, vecchietti compresi, riuscì a raggiungere l'estremità opposta, quella dove si trovava Rebecca...quella dove mi trovavo io.
Scostai immediatamente lo sguardo per cercare di cancellare la mia presenza da quell'insopportabile automezzo, pregai che mi ignorasse e si concentrasse solo su quell'ochetta starnazzante, ma ormai l'incubo era inevitabilmente cominciato e la solita storia iniziava a ripetersi.
«Mori, ti vedo in forma quest'anno». Mi salutò, apparentemente sincero e cordiale. Ma sincero e cordiale sono due aggettivi che non possono essere collegati a Lorenzo Belli, almeno non quando il suddetto si rivolgeva a me.
«Belli!». Esclamai io in risposta, cercando di fingere quella che doveva essere sorpresa, ma che invece risultò come una battuta da commedia. «Cosa ci fai qui?».
Lorenzo arcuò un sopracciglio indispettito, per poi riprendere a sorridermi come se non lo stessi prendendo per i fondelli.
«Quello che ci fai anche tu, vado a scuola. Ho saputo che sei passata dal linguistico alla ragioneria, e che sarai in classe mia». Disse sottolineando le ultime due parole facendogli assumere una nota minacciosa, velata agli altri, chiara come l’acqua a me.
«Sì, per sfortuna». Replicai, fingendomi delusa per quella notizia, ma in realtà non appena avevo scoperto di essere in classe con lui mi ero sentita felice. Stupida io che pensavo che avendolo in classe con me, avrei potuto riavvicinarlo.
Lorenzo fece una smorfia che lasciò trasparire un rivolo di rabbia, dopodiché si voltò dall’altra parte, ma non prima di prendersi una piccola rivincita.
«Mori, sai che ti renderò la vita impossibile, vero?».
Non mi spaventai a quelle parole, scossi semplicemente le spalle e decisi di ignorarlo, come sempre d'altronde. Per riuscire nel mio intento, presi l'ipod, che portavo appositamente per uscire mentalmente illesa da quelle situazioni, e feci finta di far partire la riproduzione. Chiamatemi masochista, ma non avevo la minima intenzione di perdermi i discorsi che avrebbe fatto con Rebecca, anche se ero perfettamente consapevole che ogni sua singola parola sarebbe stata una mia piccola sconfitta.
«Eddai, non fare la musona già il primo giorno di scuola». Si lamentò trattenendo a stento una risata. Conoscevo perfettamente il suo tono ilare, era quello che usava perennemente quando mi diceva qualcosa.
«Amore, lasciala stare. Non ne vale la pena di perdere tempo con un'asociale emarginata come lei. E poi...non mi hai ancora dato neanche un bacino». Intervenne Rebecca, probabilmente appiccicandosi ancora di più a Lorenzo. In un certo senso le fui grata, perché nonostante ciò che avesse detto non fosse propriamente gentile ed educato, almeno aveva distolto il suo ragazzo dall'intenzione di torturarmi, seppur temporaneamente.
Dagli schiocchi che sentii subito dopo, immaginai che avessero cominciato a dare spettacolo e a quel punto sì che feci partire la musica.
Le critiche non mi davano poi così fastidio, finché fatte nei limiti, perché erano comunque rivolte a me e da ingenua quale sono, in fondo ero contenta che non mi ignorasse del tutto; ma quando si trattava di dover vedere o sentire qualcosa che aveva per oggetto altre persone, amiche sue, allora ne facevo volentieri a meno.
Gelosa? Può darsi.
Ascoltai distrattamente tutto il CD dell'estate, finché non fui distratta dalla voce di Lorenzo che probabilmente era riuscito ad impegnare la lingua in qualcosa di più costruttivo.
«Reb, non essere gelosa, lo sai che non ci riesco. L'ho messo in chiaro fin da subito e tu hai accettato».
Lorenzo era scocciato, avevo anche imparato a riconoscere quel tipo di voce, e questo non era molto normale, me ne rendevo conto.
Non sapevo di cosa stessero parlando, eppure prevedevo aria di lite e questo non mi dispiaceva per nulla, anche se non avrebbe giovato minimamente al nostro rapporto.
«Dimmi quante, allora». Sentenziò Rebecca, con un sospiro di rassegnazione.
Ci fu un attimo di silenzio in cui mi decisi a spegnere nuovamente la musica e stare ad ascoltare. Era così che riuscivo a sapere qualcosa della vita di Lorenzo, e me ne vergognavo terribilmente.
«Non le ho contate, probabilmente una decina». Rispose lui con voce strascicata e annoiata.
«Sei andato a letto con dieci ragazze quest'estate?!». Chiese, ma più che altro urlò, Rebecca. La sua voce era carica di rabbia, chiunque se ne sarebbe accorto, ma Lorenzo rimase tranquillo, incurante della gente che ormai fissava solo loro.
«Sì, più o meno». Ammise lui, senza titubare neanche un attimo.
«Non mi va di essere perennemente cornuta». Protestò Rebecca, marcando sull’ultima parola così che tutti potessero sentirla.
«Cazzi tuoi, io te l'avevo detto».
Spinta da chissà quale moto, riuscii a voltarmi nella loro direzione, dove ormai erano puntati gli sguardi di tutti i presenti, sperando che non si accorgessero che tra di essi ci fosse anche il mio.
«Sei uno stronzo!». Sbraitò la biondina, che ormai tra la rabbia e la vergogna aveva raggiunto il color peperone.
Lorenzo, come avevo immaginato, era distrattamente e tranquillamente appoggiato ad uno dei pali, con le mani infilate in tasca e gli occhi rivolti verso l'alto.
Neanche il tempo di collegare l'idea di quello che stava succedendo al cervello, che la mano di Rebecca raggiunse in pieno viso Lorenzo.

In men che non si dica l’autobus si era trasformato in un ritrovo di gente intenta a commentare quanto avevano appena visto: gli amici di Lorenzo erano rimasti con la bocca socchiusa e gli occhi fuori dalle orbite, le ragazze della scuola che gli sbavavano dietro si erano precipitate in massa per soccorrerlo – neanche Rebecca gli avesse rotto qualcosa – e i vecchietti criticavano la gioventù che secondo loro stava crescendo in modo sbagliato.
E io, io cosa facevo?
Io probabilmente facevo parte di tutte e tre le categorie, perciò si potrebbe tranquillamente dire che non facevo testo.
Se da una parte non avevo mai visto nessuno osare toccare con un dito il Grande ed Unico Belli, ed ero rimasta folgorata dal coraggio e dalla potenza di quella ragazza così apparentemente stupida e inetta, dall’altra era stato inevitabile che mi portassi una mano davanti alla bocca non appena il suo labbro superiore aveva cominciato a sanguinare.
Lorenzo, dal canto suo, era rimasto immobile, con l’espressione di chi stesse sognando e non riuscisse a capire niente di quello che stava succedendo. Io ovviamente rimasi lontana dalla mischia e seppur desiderassi ardentemente di sentirlo parlare ancora, rimisi le cuffie alle orecchie e mi isolai da tutto il resto. Era terribilmente deprimente dover rimanere con le mani in mano senza poter fare nulla, tuttavia ero costretta a farlo, perché ero assolutamente sicura che se avessi anche solo provato ad avvicinarmi, lui avrebbe sfogato la sua ira per l’umiliazione subita su di me e alla fine quella che ci avrebbe rimesso sarei stata solo e soltanto io.

Poco dopo arrivammo a scuola, dove, neanche il tempo di entrare che si era già diffusa la voce di un Belli picchiato a sangue da una ragazzina e che ora non riusciva neanche a reggersi in piedi; quando invece – per fortuna – era ancora tutto integro e neanche troppo infervorato con il mondo.
Ho detto con il mondo, non con me.
«Mori, levati dai coglioni». Disse infatti brusco, allontanandomi dal suo cammino con una violenta spallata.
«Ehi!». Lo rimproverai massaggiandomi il punto che aveva colpito con forza. Probabilmente era stato il dolore a farmi protestare, perché se fossi stata pienamente cosciente delle mie azioni – specialmente in quel momento – avrei sicuramente scelto la via del silenzio e dell’accondiscendenza.
Belli si fermò di scatto, voltandosi con rabbia verso di me mentre i suoi amici continuavano a tirargli delle pacche affettuose sulle spalle per esortarlo ad entrare a scuola e ad andare immediatamente in infermeria. Il suo sguardo – ancora una volta incatenato al mio – trasmetteva lo stesso identico sentimento iroso, solo misto ad un po’ di odio che lo rendeva ancora più terrificante e lascivo. A quel punto mi fu inevitabile fare un passo indietro per cercare di scappare, ma il piazzale della scuola era gremito di studenti intenti a chiacchierare tra di loro e dirigersi al cancello, perciò desistetti dal farne altri.
«Scusa?». Domandò accennando ad un sorriso che non era per niente dolce e sincero come quelli che mi regalava anni prima, ma piuttosto pungente ed ironico, tale e quale a quelli che mi rivolgeva alla prima occasione che gli si presentasse per potersi divertire e sfottermi. «Hai per caso detto qualcosa?».
«Assolutamente no!». Mi affrettai a dire, risultando patetica e succube – ancora una volta – di quello che avevamo vissuto insieme, perché non era di lui che avevo paura, bensì di quello che eravamo stati un tempo.
«Senti, Mori, vai al diavolo e non rompere più il cazzo». Aggiunse stringendo gli occhi a due fessure.
Non ebbi neanche il tempo di replicare, nonostante non credo che lo avrei fatto se me ne avesse dato il tempo, che Lorenzo sputò a terra con stizza e dopo avermi lanciato l’ultima, fugace occhiata proseguì per l’entrata che ormai era bloccata da tutti gli altri alunni.
Decisi di aspettare che la situazione migliorasse, perciò mi sedetti su un gradino isolato vicino ad una macchina e cominciai a smuovere il cemento vecchio con il piede, con ancora in mente l’immagine del mio migliore amico che mi diceva “Ti voglio bene” e faceva promesse forse troppo grandi per entrambi.

Giunsi in classe in concomitanza con il suono della campanella che segnava l'inizio di un altro terrificante anno scolastico; presi posto all'unico banco rimasto libero - quello davanti alla cattedra - e inspirai profondamente sperando che l'ossigeno potesse aiutarmi a dimenticare, almeno temporaneamente, quello che era successo solo pochi minuti prima.
Nella mia mente, che ormai faceva di testa sua, le torture subite in passato cominciarono a susseguirsi una dopo l'altra tristemente accompagnate dai momenti belli, che mano a mano che il tempo passava, diventavano dei semplici e inutili ricordi sempre più sbiaditi e imprecisi.
Ormai era parecchio tempo che avevo smesso di illudermi che non me ne importava nulla se Lorenzo mi parlasse o meno, ero perfettamente consapevole che mi mancava. Sì, il mio migliore amico mi mancava terribilmente, mentre io per lui ero solo un facile bersaglio di cui prendersi gioco. La situazione era insostenibile.
Ben presto il resto della classe prese il suo posto e ritrovai nelle loro facce dei perfetti sconosciuti, a parte Lorenzo, che si era seduto all'ultimo banco con una ragazza bionda dal seno piuttosto sviluppato.
Il banco vicino al mio era stato rigorosamente lasciato vuoto, neanche avessi la peste, ma non me ne curai molto perché ormai era una routine. La mia vita scolastica non era per nulla semplice: credo che mi si potesse definire una sorta di secchiona, che metteva lo studio prima di tutto e non usciva mai; non avevo amici - se non quel paio di persone con cui ero riuscita a mantenere un buon rapporto - e odiavo altamente qualunque cosa riguardasse lo sport. Nonostante tutto, però, con qualche sacrificio e dopo parecchio tempo ero sempre riuscita ad ottenere l'indifferenza dei miei compagni e tra di noi vigeva una convivenza abbastanza civile; quell’anno però sarebbe cambiato tutto, in peggio chiaramente, ed ero certa che i termini “pace” e “tolleranza” sarebbero stati un lontano ricordo. Per quale motivo? Il fatto che Lorenzo fosse uno dei miei compagni di classe non vi dice niente?
«Buongiorno ragazzi». Ci salutò distrattamente il primo professore della giornata, facendoci segno di risederci, e da quella frase capii che era veramente iniziato tutto.
Ed io non ero affatto pronta.

La giornata trascorse nella tranquillità più assoluta, ovviamente fui esclusa da ogni tipo di discorso che gli altri intraprendessero e mantenni la mia più totale solitudine.
I professori mi riempirono di domande riguardanti il mio trasferimento, talvolta risultando parecchio pesanti ed impiccioni, mentre Lorenzo sembrò essere finalmente riuscito a capire il significato del verbo "ignorare", perciò potevo ritenermi abbastanza soddisfatta di quell'inizio scolastico.
«Ehi, Mori, aspetta!».
Non dire gatto se non ce l'hai nel sacco.
A metà del corridoio mi voltai incuriosita, quella voce l'avrei riconosciuta anche se disturbata dal ronzio di un centinaio d'api, piegai leggermente la testa di lato e pregai che non avesse intenzione di iniziare ancora a tormentarmi.
«Stai andando a casa?». Mi chiese senza neanche darmi il tempo di concludere il mio pensiero, lasciandomi completamente scettica ed interdetta.
Che cosa voleva da me?
«Certo, dove vuoi che vada altrimenti?». Risposi risultando forse troppo acida e indisponente; mentre i miei occhi cominciarono a vagare circospetti in cerca dei suoi e di quelli dei suoi amici.
Lorenzo sorrise bonariamente, o almeno ci provò, perché più che altro sembrava gli fosse venuta una paresi facciale.
«Ovunque tranne che a casa, ovviamente».
Rispose con una scrollata di spalle, come se quanto mi stava chiedendo fosse la cosa più logica del mondo.
Assottigliai lo sguardo, certa che dietro tutta quella storia si nascondesse qualcosa che ben presto mi avrebbe rivelato...perché era impossibile che mi rivolgesse la parola se non per ottenere qualcosa.
«Hai cinque minuti per spiegarti». Lo minacciai puntandogli un dito contro. Da dove prendevo tutto quel coraggio non saprei dirlo, considerando i precedenti.
Il suo sorriso diventò vittorioso e, dopo aver fatto cenno ai suoi amici di aspettarlo lì, si avvicinò ancora di più a me, con le mani in tasca e gli occhi fissi sui miei.
Deglutii aria a vuoto, facendo un involontario passo indietro, e attesi che si decidesse a parlare, cominciando davvero a spazientirmi.
«Giorgina...». Cominciò piuttosto serio e furtivo, e per un attimo credetti davvero di rivedere il mio amato Lore in lui. «Tu non devi assolutamente andare a casa». Concluse allargando ancora di più il sorriso e mostrando i suoi denti perfetti. Sembrava più un ipnotizzatore a dire il vero, assolutamente mal riuscito.
«Punto primo, non mi chiamare Giorgina, non mi pare di avere tutta questa confidenza con te. E punto secondo non vedo perché dovrei fare una cosa del genere».
«Se tu torni a casa i miei ti vedranno e capiranno che gli ho detto una bugia». Confessò d'un fiato, cominciando a muoversi nervosamente sul posto.
«Non ho intenzione di chiederti di che tipo di bugia si tratti, in ogni caso non mi sembra una valida ragione. Ora scusa ma ho il pullman». Replicai intransigente, facendo qualche altro passo verso le scale, ma lui mi afferrò per un polso costringendomi a fermarmi.
Da quando le sue mani erano così calde e forti?
«Qualunque cosa». Disse in un sussurro, stringendo ancora di più la presa sul mio braccio. «In cambio ti darò qualunque cosa».
A quelle parole sgranai gli occhi, facendoli quasi uscire dalle orbite.
Sognavo o ero desta? Belli mi stava davvero quasi supplicando?
I neuroni del mio cervello cominciarono a lavorare freneticamente, valutando i pro e i contro di quella situazione: se da una parte c'era la possibilità di tenerlo sotto controllo, dall'altra vigeva la consapevolezza che non gli avrei mai fatto un favore solo per uno stupido capriccio, senza contare che probabilmente neanche avrebbe mantenuto la parola...conoscendo il soggetto.
«No». Risposi secca, strattonando il braccio. «Mi hai sempre reso la vita impossibile, è giusto che paghi per essere stato uno stronzo».
La mia decisione sembrò coglierlo alla sprovvista e provai anche una piacevole sensazione di gioia scorrermi nelle vene, non appena lessi nei suoi occhi la delusione dovuta alle sue previsioni errate.
Lo vidi chiaramente mordersi il labbro inferiore, mentre l'intensità del suo sguardo venne alimentata dalla rabbia, ormai perfettamente percepibile in ogni fibra del suo corpo.
«Ne sei proprio sicura?». Chiese, infine, riportando le mani in tasca e lasciandomi andare tranquillamente.
Proseguii per un po' verso le scale, senza smettere di guardarlo, ma non pensai minimamente di rivalutare la sua richiesta e cominciai a pregustare la ramanzina che avrebbe dovuto subire a casa qualora non avesse rinunciato al suo impegno “inderogabile”, che per chissà quale ragione ero sicura avesse i capelli biondi e delle curve.
«Sicurissima». Risposi, alla fine, vittoriosa, agitando la mano in sua direzione in segno di saluto, e trattenendomi a stento dal mettermi a saltellare per la mia piccola conquista.
Mi voltai verso le scale - ormai completamente sgombre - e cominciai a scendere i primi gradini appoggiandomi al corrimano; ma mi bloccai di scatto e il sangue mi si gelò nelle vene quando sentii delle mani forti stringermi i polsi.
Non osai voltarmi nemmeno per sbaglio, chiusi gli occhi e sentii il tumulto del mio cuore salire fino in gola e poi su nelle orecchie.
«Non dire che non ti ho dato una possibilità poi».
Cazzo, avevo davvero pensato di potergliela fare, così, sotto al naso, senza prevedere la minima conseguenza?!
Sì, l'avevo pensato, e non avrei potuto biasimare nessuno se non me stessa del trattamento che avrei subito di lì a poco.
Avevo dimenticato la regola numero uno che mi ero imposta da dieci anni a quella parte: mai contraddire Lorenzo Belli; perché dire no a lui era come prepararsi da soli il cappio per l'esecuzione.




Note:
Eccomi qui dopo neanche un giorno di assenza! Sono un incubo, lo so...XD
Questo primo capitolo - che dà inizio alla storia vera e propria - è molto diverso dal prologo come stile.  Da questo punto in poi si farà sul serio, vedremo come il rapporto tra Giorgia e Lorenzo si evolverà e se l'ostilità di quest'ultimo è destinata a durare per sempre, oppure è ancora possibile fare qualcosa per recuperare almeno una parvenza di amicizia.
Lui è il solito bello e dannato - sì, amo i ragazzi così...ma solo nella finzione - mentre lei è un po' l'emarginata della situazione, quella che - per diversi motivi - non riesce a farsi accettare dagli altri e molto spesso viene presa in giro e/o di mira.
Nel capitolo c'è scritto che Giorgia è una "secchiona", ma non nel vero senso del termine...anche lei ha un bel caratterino - dice un sacco di parolacce XD - e certamente non passa TUTTO il tempo libero che ha disposizione, studiando ;) È un personaggio molto particolare - forse anche più di Lorenzo - che scopriremo a poco a poco, se vi va!

Bene, non ho nient'altro da dire, se non "grazie" ai pochi che hanno letto il prologo! Come previsto, l'esperimento non è partito bene...ma spero che con questo capitolo le cose miglioreranno almeno un pochettino. Fatemi sapere cosa ne pensate, per favore, per me è importante ç___ç
Buona lettura e a presto! :D




   
 
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