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Autore: peperoncina    09/11/2011    0 recensioni
Samuel è un ragazzo come tanti...ma un certo fatto accaduto nella sua vita lo spinge a cambiare completamente, e a diventare la persona che non avrebbe mai voluto essere...
ho scritto questa storia uno o due anni fa, con lo scopo di inviarla ad un concorso (infatti scusatemi se sembra troppo breve o se giunge velocemente a conclusioni che avrebbero dovuto essere posticipate...ho dovuto rispettare vari canoni che hanno condizionato il mio operato...
la busta per il concorso non è mai stata inviata, così ho deciso di far uscire fuori questa storia. spero vi piaccia!!!
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il respiro dell’amore
 
“Così…tu pensi di saper distinguere il paradiso dall’inferno (…)?” Questo era quello che cantavano i Pink Floyd; forse per aiutare quelli come me a scoprire semplicemente la realtà…Io, quel che volevano dire proprio non l’ho capito…finchè non mi successe il primo di una serie di fatti che sconvolsero la mia vita perfetta. Per sempre. Il mio nome è Samuel. Non avevo nulla da chiedere in più di quello che già possedevo, ero la persona più felice del mondo…finchè un giorno, le cose cambiarono. Squillò il telefono alle tre e mezza di notte. Mia madre si svegliò di colpo, mentre io ero al computer. La fioca luce dell’abatjour era la sola ad illuminare i profili della stanza, regalandole un atmosfera rilassante ma alquanto inquietante…ed ecco che sento mia madre alzare la cornetta, preoccupata come mai. “pronto?” sussurrò con una voce quasi come se fosse stata sveglia da ore. Dopo quella parola, un attimo di esitazione e…un urlo terrificante. Fu in quella fredda notte di Dicembre che mio padre morì. Insieme al suo aereo, di ritorno dal Venezuela. Lasciandoci il vuoto dentro. Da quel momento in poi smisi di vivere anch’io. Trovai un minimo di conforto nelle sigarette; le avevo scoperte da poco, ed erano il miglior modo che avevo trovato per scaricare lo stress che mi si accumulava addosso. Fumavo circa dieci sigarette al giorno, ma la cifra poteva scendere o salire a seconda del mio stato. Questa era una “passione” che però non condividevo on l’unico che mi aveva supportato nei giorni successivi al più grande dolore della mia vita: il mio migliore amico, Massimiliano. È stato come un fratello per me, in tutti i sensi. Continuava a consigliarmi, a supplicarmi di lasciar perdere il tabacco, ripetendomi che avrebbe distrutto la mia salute. E io, invece, continuavo a ripetergli che la mia salute era di ferro e che quelle sigarette erano come “una spina sulla mano del ciclope”. Non mi rendevo proprio conto del guaio che poteva colpirmi. Questo fu un periodo della mia vita senza limiti, sfrenato. Se prima della morte di mio padre ero un bravo ragazzo, ora non lo ero più. Media del nove a scuola? Cosa passata…ora entravo in quel liceo classico solo le volte necessarie a non portare il certificato medico. La mia povera madre, invece, lavorava un giorno sì e l’altro no, colpita e straziata dalla depressione. La vedevo pochissime volte; a pranzo lasciava un piatto di pastasciutta sul tavolo per me e quello era l’unico segno della sua presenza. Lì per lì mi bastava, ma non sapevo che in realtà stavo perdendo i più bei momenti della vita di qualunque figlio…l’amore materno è qualcosa di speciale la cui assenza ha sicuramente influito sulla mia crescita, sulla mia personalità. Oramai il vizio del fumo era diventato qualcosa di fisso, di incontrollabile. Incominciavo a non sopportare quasi più Max, che continuava ad elencarmi tutti i malanni causati d a quei “cilindri maledetti”. E non solo; da qualche mese sembrava essere ossessionato dalla donazione di sangue e di organi. Una volta al mese si recava all’ospedale della città per dare un po’ del suo sangue a chi ne aveva più bisogno. Quando il padre si ammalò, ha persino dato via una parte del suo fegato per salvare la sua vita. Non potevo proprio capire come gli andasse di fare certe cose, ma lo consideravo davvero un eroe. Quando però provava a trascinarmi nel suo tunnel di solidarietà io mi tiravo indietro, prendendolo parecchio in giro, con insulti insensati e parole davvero offensive. Ma lui taceva, si faceva mettere i piedi in testa. Era il mio migliore amico e voleva rimanere tale per tutta la vita, anche se avevo tutti quei difetti insopportabili, che lui cercava di spiegarsi con l’assenza di mio padre in un periodo confuso come quello adolescenziale. Non gli ho mai chiesto scusa esplicitamente, ma lui sapeva che l’adoravo. Per il resto, lo trascurai perlopiù nei primi mesi in cui sono stato fidanzato. Uscivo con lui sempre, sì, ma pensavo più alla mia ragazza, forse anche perché con lei condividevo anche il fumo. Luisa, questo il suo nome. Mi spingeva a fare nuove esperienze; cannabis, acidi…poi fu proprio grazie a Max che non mi spinsi oltre e che trovai la forza di lasciarla, dopo aver ripetutamente provato a liberarla da quelle catene che la stringevano. Eh sì, la mia vita è stata proprio una tragedia…ma gente, quel che avete letto non è nulla. Colui che aveva protetto e aiutato me e chi mi stava attorno, che mi aveva amato come un fratello…se ne andò. Sì, Max morì in un incidente stradale. Frattura del cranio. La sofferenza fu tale da offuscare la mia mente, da farmi sentire in colpa per come lo avevo trattato per anni…povero, che vita ha vissuto! È qui che incominciai a deprimermi e a rinchiudermi in casa, proprio come mia madre. La rividi per bene dopo ormai tre anni dalla scomparsa di mio padre. Sembrava invecchiata di trent’anni…i suoi capelli erano diventati quasi completamente grigi e le rughe sul suo viso erano più marcate. Avevo passato con lei poche ore durante gli ultimi anni, non potevo rendermi conto di quel che stava passando e che aveva passato. Il giorno dopo della morte di Massimiliano, mi svegliai “reduce” da un sogno molto profondo. “Sam, ehi Sam!” diceva una voce “ascoltami bene…sono Max!” e lo vidi, sembrava quasi un angelo “ricordati che ti proteggerò e che vivrò dentro di te per sempre…”. Queste le sue toccanti parole. Non so perché, ma ebbi l’istintivo bisogno di andare a fare un controllo ai miei poveri polmoni…”saremo neri come un pezzo di carbone” pensai. Ed era così. Un tumore aveva divorato letteralmente i miei polmoni. Così capii che il mio amico voleva aprire gli occhi innanzi a quello che mi aspettava, e che quella notte aveva cercato di avvertirmi, forse in tempo…e ci riuscì. Basta, dovevo perseguire i suoi ideali, il suo stile di vita…ha sempre avuto ragione lui…ora dovevo lottare per la mia esistenza. Basta sigarette. Non me le potevo permettere. Mi chiedevo come potessi fare a salvare la mia vita…e soprattutto se ne valeva la pena oppure no. Poi scoprii che mia madre aveva contattato alcuni tra i migliori chirurgi d’Europa per un’operazione. Naturalmente la lista d’attesa era lunga, e io ero disgustato dall’idea di poter avere nel mio corpo organi di sconosciuti. Una mattina, però, successe qualcosa…arrivò un’altra chiamata inaspettata, forse a questo punto la più importante della mia vita. Era un dottore inglese. Aveva dato una notizia piena di speranza a mia madre e lo capii dai “grazie” commossi che sospirava alla cornetta. Quando mi diede la notizia…non seppi più cosa pensare. Un ragazzo di una ventina di anni era morto a causa di un incidente. I genitori avevamo deciso di donare i suoi organi. Ero balzato in cima alla lista grazie al dottore al quale mia madre si era riferita fin dai primi giorni della mia malattia, e avevo una settimana di tempo per decidere cosa fare. Non potevo proprio sottopormi a questo…piangevo ogni giorno, pensando a ciò che dovevo fare per il mio bene e per il bene della mia cara mammina. Non potevo distruggerla con un altro lutto, non potevo darle un altro grande dolore…ma nemmeno potevo davvero desiderare di rimanere vivo, perché non mi sentivo tale.         Nella gran confusione delle mie idee, decisi d’essere seguito da uno psicologo, solo per alcune sedute, un paio o qualcuna di più durante quella settimana…inizialmente si rivelò davvero inutile stare seduto su quella poltrona a sfogarmi con un estraneo…ma un giorno mi aiutò davvero tanto…con un piccolo salto indietro nel passato mi fece capire cosa dovevo fare. “Raccontami i sogni che hai fatto fin ora e che ti hanno realmente colpito” questa la sua domanda…e all’improvviso, mi sovvennero le parole di Max in quel sogno famoso…”sarò dentro di te per sempre”. Fu così che abbandonai lo studio dello psicologo con un “grazie!” entusiasta ed allegro. Tornato a casa, abbracciai mia madre e le dissi “sono pronto!”. Lei, felice, mi diede un bacio sulla guancia. “Chiamo il dottore e fisso subito un giorno per l’operazione!” disse con un sorriso sul viso che non le vedevo addosso da anni. Fissato l’appuntamento ormai non vedevo l’ora di uscire da questa storia. Eh si, forse avrei potuto salvarmi. Partii per Parigi insieme alla mia mamma. Arrivati nel policlinico, fui accolto da dottori davvero gentili, ma ne riscontrai anche alcuni davvero ostili e maleducati. Incontrai i genitori del ragazzo che doveva donarmi i polmoni. Si chiamava Laurence. Mi fecero vedere le sue foto…aveva gli stessi occhi di Max. Una lacrima bagnò il mio viso e dissi che ero davvero grato al loro figlio. Ed ecco il mio chirurgo, Gabriel Lucani, di origine italo-francese, davvero simpatico. Mi invitò a raccontare la storia della mia vita, e così feci. Così mi raccontò un po’ di lui, facendomi sentire davvero a mio agio, e mi informò su come si sarebbe svolta l’operazione. Il giorno dopo fu il più importante della mia vita, quello in cui ero più teso, forse. Gabriel mi accolse e mi invitò ad entrare nella sala. “pronto?” “pronto…” risposi…così diedi un bacio a mia madre e le dissi “ti voglio bene”. Infine entrai. Mi anestetizzarono e mi sentii debole, perdendo subito i sensi. Quando mi risvegliai ero un po’ scombussolato. “tutto ok” disse il mio dottore. Dopo un mese e mezzo uscii da quel policlinico, giurando di ricordare per sempre colui che mi ha assistito. Adesso sentivo davvero la sua presenza, di Massimiliano, in ogni minimo istante dentro di me. Grazie a lui posso vivere ora, posso respirare, godendo la mia vita in pieno. Grazie a lui e a Laurence ho imparato a vivere bene. Dono quel che posso alle associazioni, ho anche dato un rene ad un bambino malato; si, ora sono felice. E soprattutto…ho saputo saper distinguere il paradiso dall’inferno.
  
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