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Autore: Emy_n_Joz    11/11/2011    1 recensioni
Assassini. Templari. Sappiamo già cosa fecero in passato. Ma cosa direste se ci aiutassero a reinterpretare uno dei più grandi eventi della storia?
Francia, 1789. L’inverno è particolarmente rigido, soprattutto per chi adesso non ha più una casa. Il popolo ha fame; la carestia e il gelo hanno divorato ogni cosa. Le tasse non fanno che aumentare di giorno in giorno, rendendo la situazione insostenibile. E strani individui, coperti da un mantello bianco e con il viso nascosto da un cappuccio, si muovono per i vicoli, come ombre, tra questa desolazione. Al contrario, alla corte del re, il fasto e l’opulenza dominano con una totale indifferenza su tutto quello che succede al di fuori delle mura di Versailles, sugli intrighi, sulle feste e su nobili abbigliati riccamente, e sfoggianti anelli dorati, intarsiati di pietre preziose con la forma di una strana croce scarlatta. Dalla cima della Tour du Temple di Parigi, un mantello bianco è sospinto dal vento a tempo con la bandiera strappata recante il fleur de lis dei Borboni. Sotto il cappuccio, le labbra piene e rosse accennano un sorriso. Un attimo e, con un sussulto dell’aria e il grido stridente di un falco o di un’aquila, la figura è sparita, lasciando soltanto come segno del suo passaggio lo sbattere fremente e spaventato delle ali di alcuni colombi.
E ciò che verrà dopo sarà l’inferno, o la sua fine.
Genere: Avventura, Azione, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Assassin's Creed: Revolution'
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Luçon, Francia, 1789

16 Febbraio

Il viaggio era stato abbastanza lungo, e Damien aveva dovuto fare in fretta. Non solo voleva sbrigarsela velocemente, ma doveva anche arrivare prima che qualcun altro lo precedesse.

Arnielle era stata un elemento costante nei suoi pensieri, mentre cavalcava al freddo verso le regioni settentrionali, e in lui era cresciuto il desiderio di affrontare quell’impresa non prima di lei, e tantomeno dopo, bensì con lei.

Non solo era un bel pezzo di ragazza [1], pensava Damien sorridendo, ma anche capace, e credeva che insieme avrebbero potuto fare un bel lavoro di squadra.

L’Assassino smontò dal cavallo, e lasciò le briglie in mano allo stalliere della stazione di posta. Si strinse nel mantello, pestando lo strato di neve fresca che ricopriva il terreno, ed entrò nella locanda. Decise che quella sarebbe stata la sua base finché sarebbe rimasto a Luçon.

Si avvicinò al bancone principale, dietro il quale si trovava un uomo piuttosto basso e barbuto, che avrà avuto una cinquantina d’anni.

Appoggiò i gomiti sul piano, e si sporse in avanti.

L’oste lo guardò un attimo con aria intimorita, poi gli rivolse un sorriso untuoso.

Bonjour…” lo salutò.

Bonjour” replicò Damien.

“Posso esservi utile, Monsieur?” chiese l’uomo.

“Sì, in effetti.” rispose l’Assassino “Innanzitutto vorrei affittare una stanza.” disse, appoggiando un sacchetto di monete di discreta grandezza sul bancone.

“Per quanto tempo?” domandò l’oste, guardando con desiderio il malloppo.

“Non più di qualche giorno.” disse tranquillamente il ragazzo “Allora? Avete qualche camera libera?”

“Sì, certo.” rispose subito l’uomo “Ma non occorrerebbero tutti quei soldi per qualche giorno di alloggio…”

Damien abbozzò un sorrisetto. “Prendetelo come un ringraziamento anticipato per la vostra discrezione.”

L’uomo si fece attento, e lo squadrò con aria interrogativa. “Discrezione?” ripeté.

L’Assassino abbassò ancora di più la voce. “Sì… Diciamo che la mia presenza qui potrebbe creare un po’ di scompiglio. E noi non vogliamo che questo accada, non è vero?” chiese in tono complice.

L’oste capì al volo; non doveva essere la prima volta che gli succedeva. Si massaggiò un attimo la radice del naso, e poi disse: “Certo che no… Sarebbe un guaio.” e intanto si affrettava ad allungare le mani sul sacchetto di monete.

“Aspettate, Monsieur.” lo interruppe Damien, fermandogli la mano “Prima vorrei chiedervi anche un’altra cosa.”

“Sono tutto orecchi.” replicò l’uomo.

“Avete per caso già visto qualcun altro vestito come me di recente?” domandò l’Assassino, guardandolo intensamente negli occhi.

L’oste parve pensarci un attimo. “Bhé, ora che ci penso… Giusto l’altro ieri è passata di qui una ragazza. Cioè, non sono convinto che fosse una ragazza, visto che aveva il viso coperto. Ma dalla corporatura sembrava esserlo.” rifletté “Comunque sia, era vestita in modo insolito. Come voi, per intenderci. Non che voi siate vestito in modo insolito, ovviamente…” si affrettò a correggersi, atterrito.

Damien sentì un’emozione mista di eccitazione e irritazione. L’aveva preceduto ancora una volta! Però… era lì. “E alloggia qui?” chiese in fretta, fremente.

L’uomo rise. “No, mi dispiace, Monsieur. E’ passata soltanto a lasciare il cavallo e a chiedere delle informazioni riguardo a Monseigneur Zissermann. Molto discretamente, aggiungerei.”

Damien non riuscì a nascondere un sorriso soddisfatto. “Merci beaucoup… Mi siete stato davvero molto utile.”

“Grazie a voi.” rispose l’oste, intascando il bottino e porgendogli una chiave.

A quel punto Damien si diresse su per le scale, verso la sua stanza.

 

17 Febbraio

Quella notte Damien aveva dormito discretamente, ed era da un po’ di tempo che non gli succedeva. Credeva fosse dovuto alla stanchezza per il viaggio.

Indossò l’armatura e il mantello, e uscì dalla finestra. Usare la porta sarebbe stato troppo civile per lui.

Aveva ricominciato a nevicare. L’aria era piuttosto fredda e gli bruciava il viso. Decise di dirigersi verso la residenza di Zissermann, per capire come poter agire.

Non ci mise molto a raggiungerla; la casa del funzionario austriaco non era molto lussuosa, ma era abbastanza sorvegliata. Damien contò un certo numero di guardie in borghese, e in più ne vide una passare all’interno dal vetro della finestra.

Si disse che prima di agire avrebbe dovuto organizzarsi bene, perché era solo contro tante guardie.

Se fosse riuscito a convincere Arnielle a collaborare con lui, forse tutto sarebbe stato più facile, ma purtroppo nell’ultimo loro incontro lei si era mostrata abbastanza evasiva e diffidente.

Decise che forse non era il caso di attaccare Zissermann mentre era a casa; meglio farlo in qualche altra circostanza.

Così, decise di andare un po' in giro per Luçon in cerca di informazioni utili, sicurissimo di non essere il solo.

Vagò per le strade per una buona mezz'oretta, e non dovette neanche preoccuparsi del suo abbigliamento dato che anche tutti i passanti che incontrava erano totalmente coperti da mantelli e cappucci per difendersi dal freddo che si insinuava sotto la pelle, fino alle ossa.

Alla fine arrivò al mercato che, come sempre, era pieno di gente nonostante la neve e il gelo.

Damien si addentrò nei suoi meandri, vigile come sempre, pronto a cogliere anche il più piccolo fruscio in mezzo a tutta quella confusione.

Le urla dei venditori, il chiacchiericcio della gente, i bambini che si rincorrevano e gridavano, persone che litigavano tra di loro per strada... Tutte quelle voci che cercavano di sovrapporsi prepotenti alle altre gli arrivavano chiaramente alle orecchie, ma lui sentiva che in tutto quel caos stava succedendo qualcosa. Nonostante tutto, decise di continuare a camminare. All'improvviso, uno strano movimento alla sua destra lo fece voltare bruscamente.

Un uomo correva a più non posso, cercando disperatamente di farsi strada tra la folla. Damien riuscì a vederlo di sfuggita, ma in quell'istante colse il suo abbigliamento particolare e diverso rispetto a tutti gli altri.

Stava per chiedersi chi potesse essere, ma non ne ebbe il tempo; infatti nemmeno un secondo dopo, quasi come una saetta, passò un'altra persona, un improvviso lampo bianchissimo con tanto di cappuccio in mezzo alle persone sbalordite.

Era inconfondibile.

Arnielle..., si disse Damien con un sorriso, e li seguì a corsa.

Se la ragazza stava seguendo quell'uomo doveva esserci un valido motivo, legato sicuramente alla ragione per cui sia lei che lui si trovavano lì, e magari intromettersi nell'inseguimento gli sarebbe tornato comodo per ricavare qualche informazione.

Davanti a lui, Arnielle correva senza dare segni di stanchezza, mentre l'uomo iniziava a rallentare, ma ancora non sembrava intenzionato a mollare. Infatti prese ad arrampicarsi su una cassa e poi su una casina abbastanza bassa, con non poche difficoltà, che gli fecero perdere un po' di terreno.

Damien non aveva intenzione di risultare meno capace di Arnielle, o comunque di ricoprire un ruolo inferiore in tutta quella faccenda, quindi prese a correre più veloce e la superò, iniziando a scalare la casa per primo.

Si voltò un secondo appena per vedere la sua espressione; era sicuramente stupita, oltre quel cappuccio bianco, lo percepiva.

Continuò la sua corsa e piano piano la distanza tra lui e il corriere si fece sempre meno grande. A un certo punto al suo fianco apparve Arnielle.

“Ehi, che succede? Sei rimasta scioccata dal mio arrivo?” le urlò Damien, in tono scherzoso.

Lei si voltò verso di lui, ma non disse nulla, e tornò a guardare davanti a sé.

Damien però, voleva farla irritare, e quindi parlare, visto che le loro conversazioni nascevano solo per quello. “Smaniosa di comunicare, come sempre.” disse sarcasticamente.

Quelle poche parole e il tono con il quale aveva parlato dovevano averle dato fastidio, perché Arnielle si voltò di nuovo verso di lui e stavolta, con voce affannata, gli rivolse la parola. “Che diavolo ci fai qui?”

Damien rise apertamente. “Davvero credevi che non ci saremmo più incontrati? Suvvia!”

“Certo che no. Era ovvio che prima o poi saresti tornato a rompere le palle, [2] solo non pensavo che sarebbe accaduto così in fretta.” replicò lei, con fatica.

Lui fece un ghigno. “Si vede. Sei davvero rimasta senza fiato al mio arrivo.”

Arnielle, che intanto si era rivoltata avanti per non perdere le tracce del corriere che scappava, si girò nuovamente verso Damien, e gli ringhiò contro dalla rabbia. “Sei davvero insopportabile, lo sai?”

“E tu sei davvero poco gentile per essere una ragazza tanto carina. Se non stai attenta, farai scappare tutti i ragazzi che ti girano intorno.” la canzonò. Non sapeva spiegarsi bene il perché, ma gli piaceva provocarla, e la conseguente irritazione da parte della ragazza lo divertiva non poco.

E doveva averla colpita di nuovo, perché lei si distrasse, inciampò in una tegola più sporgente rispetto alle altre e cadde in avanti.

Damien si voltò un secondo appena, con un gran sorriso, continuando la sua corsa. “Se magari non ti ammazzi prima però!” le urlò, facendo un semplice salto per raggiungere la casa davanti.

Intanto era sempre più vicino a quel maledetto corriere che non era agile quanto loro, ma che di sicuro nella corsa se la cavava egregiamente.

Damien sapeva che Arnielle sarebbe tornata all'attacco, questione di pochi secondi. E infatti, lei riapparve accanto a lui, più carica di prima. Lo notò perché correva più velocemente e cercava di superarlo.

Damien rise. “Sei una tipa competitiva, vedo.”

“Solo con te, veramente. E comunque sei stato tu ad iniziare.” replicò lei, col fiato sempre più affannato.

“No no no. Io voglio solo mettere le mani su quel corriere e costringerlo a parlare. Sto solo facendo il mio lavoro.” le disse Damien di rimando, che stava iniziando a sentirsi affaticato anche lui.

“No, tu stai facendo il mio lavoro. Tutto questo lo avrei fatto io non appena avessi bloccato il corriere.” rispose lei, sempre più irritata “E di sicuro ci avrei messo molto meno se tu non ti fossi intromesso.” aggiunse.

“Siamo alleati, no? L'hai detto tu stessa, pochi giorni fa. Che male c'è ad aiutarsi un po'?”

“Io non voglio il tuo aiuto. Non ne ho bisogno.”

“Prima o poi invece ti servirà.”

Stavolta Arnielle rimase in silenzio, e dopo qualche secondo aumentò un poco la velocità, superandolo.

Damien era più che soddisfatto. Stava giocando al suo gioco. “Sei una che fa sul serio, eh?”

E poi la sfida iniziò.

Il corriere era diventato soltanto un mezzo per vincere sull'altro, per entrambi, evidentemente.

Quando lui la raggiunse, lei si voltò. “Volevi la guerra, no?”

“Sì, ma non sarai tu a vincerla.  Non ce la puoi fare.”

“Parli così solo perché sono una ragazza. Ma te ne pentirai.”

“Vedremo.”

Entrambi si voltarono avanti. Il corriere adesso era veramente stanco e iniziò a scendere da un lato della casa.

Damien e Arnielle si lanciarono in quella direzione, pronti a porre fine a quell'inseguimento che era

durato un po' troppo per i loro standard.

Fu allora che Damien sentì improvvisamente una voce femminile urlare; immaginò che fosse quella della ragazza, perché davanti a lui, la vide scivolare all'indietro e cadere di schiena sul tetto dell'edificio innevato.

A Damien scappò una grassa risata.

“CHE CAZZO RIDI?” scoppiò lei, iniziando a rialzarsi.

“Scusa, è stato troppo divertente.” rispose lui, raggiungendola e passandole avanti “Lascia perdere! Ti ammazzerai, Arnielle!” le urlò dietro.

Con voce tremante di rabbia la sentì urlare alle sue spalle: “Come diavolo fai a sapere il mio nome?”

“Concentrati sulla corsa. Guarda che se non stai attenta scivolerai di nuovo, bella!”

Lei con voce ancora più rabbiosa gli urlò dietro: “Spero che adesso succeda anche a te!”

E stavolta, come una maledizione, fu Damien a cadere. Nella discesa gli rimase un piede incastrato tra alcune delle casse accatastate alla parete dell'edificio, e così raggiunse la strada coperta di neve finendo direttamente con il viso a terra.

Sentì la risata piena di soddisfazione di Arnielle, e lo spostamento d'aria provocato dal salto che aveva effettuato superandolo e riprendendo a correre.

Damien si tirò su, e sputò una boccata di neve. Sentiva il viso bruciare, non sapeva se per il freddo o per la vergogna.

Nonostante tutto, riprese a correre e in pochi secondi raggiunse Arnielle, che era sempre più vicina al corriere.

E non appena l'uomo svoltò in un cunicolo sulla sinistra, esausto, Damien capì che l'inseguimento stava per finire.

Arnielle, che era più vicina, fu costretta a seguirlo per strada; lui invece, essendo un po' più indietro,  fece in tempo ad arrampicarsi sulla facciata di un edificio, fino ad arrivare sul tetto. Da lì sopra individuò immediatamente il corriere; senza esitazioni, saltò giù e attutì la caduta piegando le gambe. Poi gli si gettò contro, immobilizzandolo; ma nello stesso istante lo fece anche Arnielle, e così si ritrovarono entrambi, ansimanti, a bloccare il pover'uomo contro un muro con la propria lama celata.

I due Assassini si guardarono un istante, in cagnesco; poi tornarono a concentrarsi sul corriere.

Era in uno stato quasi pietoso; aveva il volto madido di sudore nonostante il freddo, l'espressione spaventata, e quando parlò lo fece con voce tremante e più affannata che mai.

“Ma siete in due!”

“Sfortunatamente.” disse Arnielle.

Damien la guardò. “Come sei simpatica!”

Arnielle sbuffò e strattonò l'uomo. “Che cos'è che hai consegnato a Zissermann?”

Il corriere indugiò un po' prima di rispondere. “Niente...”

“Non fare il furbo con noi.” lo avvertì Damien, scoccando un'occhiata alla sua destra “Non ti conviene, e lo sai.”

“Io... Una lettera.” rispose l'uomo.

“Una lettera da parte di chi?” incalzò Arnielle.

Il corriere stette qualche secondo in silenzio. “E' proprio necessario che ve lo dica?”

“Se non ce lo dici, lo scopriremo in altri modi... Ma tu non parteciperai.” lo minacciò Damien premendogli un po' la lama celata sul collo e facendo uscire una gocciolina di sangue.

L'uomo deglutì visibilmente, e poi parlò. “D'accordo, non c'è bisogno di essere così aggressivi...”

“Allora?” chiese impaziente Arnielle.

“Ehm... Un rappresentante del Terzo Stato di nome... ehm...”

“Bastien Gaillard.” terminarono all'unisono Arnielle e Damien, che si guardarono un attimo, stupiti di averlo fatto. Poi tornarono a concentrarsi sul corriere.

“Esatto... Ora mi lasciate andare?” chiese lui, timoroso.

I due Assassini si guardarono di nuovo, e entrambi furono sicuri che adesso erano veramente guai: Zissermann sapeva.

“Sì, puoi andare.” disse Arnielle, e Damien rimase un attimo interdetto “Vuoi pagargli il silenzio, per favore?” gli chiese poi con tranquillità.

L'Assassino aggrottò le sopracciglia. “Perché io?”

“Perché tu sei l'uomo, ovvio. Ti muovi?” gli ordinò con calma.

Lui la guardò in cagnesco, ma non trovò niente da ribattere. Così slacciò la bisaccia dalla sua cintura, frugò un po' e ne estrasse una decina di grosse monete. “Tieni.” disse mettendole in mano al corriere.

L'uomo le prese ancora un po' inebetito. “Grazie, Monsieur... Grazie Mademoiselle... Ma a Zissermann chi ci pensa? E se mi trova?”

Damien ghignò. “Non preoccuparti. Non ne avrà il tempo.”

I due Assassini lasciarono andare l'uomo, che ringraziandoli profusamente corse via.

“Hai visto che è tutto più facile se collaboriamo?” disse all'improvviso Damien, voltandosi verso la ragazza.

“Non direi.” sbottò lei “Se non era per te l'avevo immobilizzato mezz'ora fa... E adesso sappiamo che Zissermann è a conoscenza della cospirazione, e abbiamo pochissimo tempo per agire.”

“Abbiamo?” ripeté Damien, muovendo un passo verso di lei.

“Sì... Abbiamo. Tu ed io. Indipendentemente.”

“Eh, ovviamente.” rispose Damien, un po' abbattuto.

“Tanto per chiarirci... Cosa pensi di fare adesso?” gli chiese Arnielle, con una certa fretta percepibile nel tono di voce.

Damien la guardò malissimo. “Se dobbiamo lavorare separatamente col cavolo che te lo vengo a dire!” disse con stizza.

Lei sbuffò. “Allora vediamo chi arriva prima.”

Detto questo, ricominciò a scalare i tetti a grande velocità. Damien sorrise e scosse la testa; poi la seguì.

 

Da qualche parte nella regione della Loira, Francia, 1789

23 Febbraio

Il vecchio Etienne aveva fatto fatica ad avvicinarsi di nuovo a quel castello; discosto dalla città, da ogni strada principale, era raggiungibile solo attraverso uno stretto camminamento che si avvolgeva intorno alla montagna.

Etienne era anziano, ma non era soltanto per la difficoltà del passo e la sua età che aveva dovuto faticare per raggiungere le porte d'entrata.

Non aveva bei ricordi di quel castello.

Le due grosse guardie all'entrata non erano state molto disponibili con lui. Non avevano creduto alle sue parole finché una servetta, che lui ricordava bambina, l'aveva riconosciuto come il vecchio cocchiere, e le aveva convinte a lasciarlo passare.

Non prima, comunque, di avergli requisito il bastone cui si appoggiava per camminare.

Etienne rimaneva sempre stupefatto dalla gran quantità di soldati in armatura. I tetti pullulavano di arcieri, e il perimetro era circondato da uomini di guardia.

Il vecchio cocchiere non aveva mai capito da che cosa i proprietari del castello dovessero proteggersi così attentamente.

La servetta si era offerta di accompagnarlo fino allo studio del padrone, risparmiandogli due faticose rampe di scale abbarbicato al corrimano.

Etienne, mentre la ragazzina cui dava il braccio lo portava su, non poteva evitare di guardarsi intorno. Tanto era spoglio e austero all'esterno, tanto il castello era all'interno opulente e lussuoso.

Ogni corridoio era un tripudio di decorazioni d'oro, i pavimenti erano di marmo di Carrara e i mobili in ebano africano, con intarsiature d'avorio e di pietre preziose provenienti dalle Americhe.

Tanta ricchezza, però, non riusciva a togliere al palazzo quell'atmosfera cupa e gelida che spargeva l'enorme quantità di rosse croci quadrate [3], sistemate negli angoli, dipinte sulle vesti o nell'ambientazione dei personaggi ritratti nei quadri affissi lungo il corridoio, o cucite sullo sfondo dello stemma oro e verde della famiglia, riprodotto negli innumerevoli stendardi appesi in ogni dove nel castello.

Etienne si era sempre sentito schiacciato e spaventato da quell'atmosfera. Come se ogni suo più piccolo peccato fosse visibile, laggiù, agli sguardi immobili di quei ritratti, e alla presenza incombente di tutte quelle croci.

Di colpo, per la prima volta da quando era arrivato, Etienne si ricordava davvero il motivo per cui aveva deciso di andarsene.

La servetta lo scortò fino alla porta dello studio, davanti alla quale sostavano altre due guardie armate di alabarda; spiegò brevemente loro chi era, gli sorrise stentata e poi se ne andò, con una fretta, avrebbe detto Etienne, molto oltre la normalità.

Decise di non farci caso e, dopo aver preso un respiro profondo, varcò zoppicando la porta lasciata libera dalle guardie.

Lo studio era freddo e buio, proprio come Etienne lo ricordava. C'era stato soltanto un paio di volte, tempo prima, quando ancora lavorava alle dipendenze della famiglia.

Le imposte erano chiuse sulle vetrate gotiche ai due lati del camino acceso. La figura del padrone del maniero spiccava nera sul bagliore delle fiamme.

Etienne, automaticamente, si profuse in un profondo inchino.

“Servo vostro, seigneur.”

L'uomo era chino su alcuni documenti, che stava leggendo rivolto verso il fuoco, seduto sull'imponente scrivania di quercia.

Non rispose.

Etienne deglutì a vuoto.

“Se Monseigneur ha da fare, posso ripassare più tardi. La mia visita è finalizzata esclusivamente a parlare con voi, posso attendere se...”

“Le tue parole sono inutili, quasi più della tua vita. Mi hai già disturbato venendo qui una volta, vuoi tediarmi con una seconda visita?” disse l'uomo, senza voltarsi né alzare la testa.

La sua voce era fredda e metallica quanto la lama di una spada. Eppure, sotto quelle gelide note argentine, si percepiva distintamente un grande fastidio, e una chiara minaccia.

Il vecchio Etienne tremò come una foglia.

“Perdonatemi Monseigneur, non volevo disturbarvi, tutto il mio interesse era...”

“Mi stai annoiando. Per quanto continuerai a fare spreco del mio tempo?”

“Io...”

Etienne deglutì di nuovo. Stette in silenzio per un paio di secondi, cercando disperatamente di fare economia con le parole. Poi disse:

“Ho una notizia da darvi. Una notizia in parte buona, in parte cattiva.”

L'uomo non parlò. Così Etienne, terrorizzato, andò avanti, senza prendere fiato e mangiandosi le parole.

“Mi trovavo a Luçon, è lì che abito adesso, con mia figlia e la sua famiglia. Ero al mercato, giusto qualche giorno fa, e lì...”

Etienne esitò. Non era facile, soprattutto avvertendo la tensione che emanava il proprietario del castello ad ogni parola in più che proferiva.

“Monseigneur, solo sei giorni fa, ho visto una persona per voi molto importante, che credevate perduta, e che spero adesso, una volta ritrovata, riuscirete a ricondurre in...”

“Limitati a dirmi il suo nome e liberami della tua presenza. Oppure provvederò a farlo da solo.” sillabò dolcemente l'uomo dietro la scrivania, in un modo che agghiacciò il povero Etienne.

Così, l'anziano cocchiere semplicemente disse, a mezza voce:

“Vostro figlio.”

L'uomo sembrò irrigidirsi improvvisamente; appoggiò i documenti e si voltò di scatto. Etienne vide un lampo terrificante nei suoi profondi occhi marroni.

“Mio figlio è morto, vecchio.” disse con una risata aspra e tesa.

“No, Monseigneur, è quello che ho creduto fino a poco tempo fa, quando l'ho rivisto vivo e vegeto davanti ai miei occhi.” assicurò Etienne, con convinzione.

L'uomo fremette. “Menti.”

Etienne, nonostante la paura, si sentì offeso. “Perdonatemi Monseigneur, ma non avrei percorso tutta questa strada e rischiato di incorrere nella vostra ira, se non fossi sicuro delle mie parole.”

Il nobile rimase in silenzio per qualche istante. “Dove è successo?” chiese atono.

Il vecchio esitò un secondo. “A... Luçon, ve l'ho detto. Al mercato.”

“Quando?” insistette l'uomo.

“Sei giorni fa.” tentennò Etienne “Alle nove del mattino.”

Ancora un lungo, interminabile silenzio. Poi, l'uomo parlò.

“L'hai davvero visto, dunque.”

“E' così, Monseigneur.” ribadì con forza Etienne “E sono venuto qui soprattutto per il ragazzo, sperando che voi possiate dargli una mano. Malauguratamente, il vostro giovane erede ha imboccato una brutta strada, orribile. Si affianca a cattive compagnie, e fugge dalla legge; l'ho visto girare a volto coperto muovendosi come un saltimbanco per i tetti, indossando un curioso mantello bianco. Temo che...”

“Che cos'hai detto?”

Etienne chiuse la bocca. L'uomo era immobile, teso, rigido come una statua. I suoi muscoli erano in rilievo sotto le vesti, e artigliava il bordo della scrivania con tanta forza che le nocche erano diventate bianche.

Il vecchio tremò.

Ripeti. Che cosa hai detto?” ordinò di nuovo l'uomo, tra i denti stretti.

La sua voce era un cupo ringhio animale.

“Ho detto...” balbettò Etienne, che cominciava a maledirsi per aver deciso di tornare in quel posto “Che vostro figlio è in un brutto affare... Forse è anche stato accusato di omicidio...”

Le dita dell'uomo si strinsero ancora di più sul legno della scrivania.

“Ma sono certo che voi potete aiutarlo a tirarsene fuori!” si affrettò a precisare il vecchio Etienne, agitato. “E' sempre stato un bravo ragazzo, con l'aiuto vostro e di Madame sono sicuro che...”

“Lo sa qualcun altro?” l'interruppe freddamente l'uomo.

Etienne aggrottò le sopracciglia. “Prego?”

“L'hai detto a qualcun altro?” chiese di nuovo l'uomo, senza muoversi dalla posizione in cui era.

Il vecchio scosse la testa, confuso. “No, seigneur, non l'ho detto ad altri che a voi. Perché avrei dovuto...?”

“Molto bene, allora.”

L'uomo fece un breve cenno a qualcuno alle spalle di Etienne, che inizialmente il vecchio non capì.

Fece appena in tempo a sentire due presenze dietro di sé, e a provare un terrore agghiacciante.

Poi, un dolore inimmaginabile alla schiena, alla pancia, al torace. Abbassò lo sguardo, e vide la lama di una spada che sporgeva dal suo petto. Alzò gli occhi a guardare il padrone del castello. I suoi occhi esprimevano stupore e paura. E, in pochi istanti, più nulla.

Il vecchio cadde a terra di schianto, con la faccia sul pavimento, il foro della spada sanguinante sulla schiena.

Il padrone del castello fece un vago segno alle due guardie davanti a lui, una delle quali impugnava ancora la spada.

“Buttatelo nella Loira. Quando lo troveranno sarà irriconoscibile.”

Le due guardie annuirono, e sollevarono il gracile corpo del vecchio cocchiere tenendolo per le braccia e le gambe, per poi uscire dalla porta.

Il padrone del castello rimase immobile e impassibile a fissare il muro di fronte a sé, con le mani dietro la schiena.

Dopo qualche istante, attratta dal rumore, una donna fece ingresso nella stanza.

Era alta e bella, anche se non più molto giovane, e riccamente vestita. Il suo viso aveva i tipici tratti mediterranei delle donne spagnole, con lunghi capelli neri e la pelle scura.

La donna si accostò all'uomo e gli circondò le spalle con le braccia.

Non fece un fiato alla vista del sangue a terra.

“Che cosa ti turba, corazón?” mormorò con voce suadente all'orecchio dell'uomo.

L'espressione di questi non parve mutare. Si limitò a cingere la vita della donna alle sue spalle, e ad appoggiare delicatamente la testa contro la sua.

“L'hanno trovato, Mónica.” disse.

La donna aggrottò le sopracciglia scure. “Cosa vuoi dire? Chi?”

“Nostro figlio.” mormorò dolcemente l'uomo.

Lei, stavolta, spalancò gli occhi in un'espressione di lieve sorpresa. “Damien?”

“Sì.” le rispose l'uomo “Damien.”

La donna sospirò profondamente, rilassando ancora di più il capo contro quello del marito. “E' un peccato. Credevo fosse morto.”

“Non temere.” disse tranquillamente lui “Lo sarà presto.”

“Non c'è bisogno di essere così drastici.” lo riprese la donna, portandosi di fronte all'uomo. “Potremmo chiedergli di tornare con noi. Se acconsentisse, non ci sarebbe bisogno di ucciderlo.” mormorò carezzandogli il viso.

L'uomo sorrise dolcemente. “Come al solito hai ragione.” disse sfiorando una ciocca di capelli neri sfuggita alla pesante acconciatura libera dalla parrucca incipriata “Sei così saggia.”

“Sono soltanto tua moglie.” si schermì la donna, sorridendo vagamente “Ho già perso un figlio, e credevo di averne perso un altro. Adesso che sappiamo che non è così, vale la pena tentare, non credi? Non abbiamo altri eredi.”

“Ma certo.” mormorò l'uomo, continuando a carezzarla “E' un buon suggerimento.”

Mosse un passo avanti e le cinse le spalle con un braccio. Sospirò insieme a Mónica, mentre guardavano il ritratto appeso alla parete.

Un bambino di non più di dodici anni, con ribelli capelli castani e un viso armonioso e dal bel colorito. La sua espressione, catturata nella tela, tradiva una certa impazienza nei grandi occhi marroni, mentre sbirciava con la coda dell'occhio la finestra vicino alla quale era seduto. Le mani piccole e segnate stringevano insofferenti le vesti elaborate. Al dito medio, portava un grosso anello d'oro con una croce rossa dipinta sopra.

La scritta, in un angolo della tela, recitava:

 

Damien de Labsinthe

(allo scrittoio)

12 Maggio 1780

 

 

 

[1] Il solito linguaggio adottato da un bravo ragazzo quale è Damien. :)

[2] Anche da Arnielle, per quanto possa essere una brava ragazza, non c’è da aspettarsi un granché in fatto di educazione, essendo cresciuta in campagna -.-''

[3] Chi vuol capire, capisca!


E' vero. Neanche una settimana fa abbiamo inviato un messaggio a tutti i fan di questa storia che ci seguono con regolarità, comunicando loro che avremmo continuato la stesura dei capitoli non appena avessimo terminato il nostro ultimo anno di scuola superiore.

Avevamo detto che avremmo interrotto la stesura dei capitoli, e quindi di conseguenza anche la pubblicazione... Ma ne abbiamo molti da parte, scritti già da tanto tempo.

Ed è per questo che ci troviamo qui adesso, a pubblicare questo capitolo. E' uno dei più vecchi, che abbiamo ricontrollato con cura prima di rendervelo disponibile, e visto che abbiamo un ponte di tre giorni, oggi abbiamo trovato il tempo per pubblicare! :)

Vi lasciamo alla lettura di questo capitolo, e non possiamo assicurarvi che il prossimo verrà pubblicato presto. L'unica certezza che abbiamo, come abbiamo già avuto modo di comunicarvi, è che non abbandoneremo per nessuna ragione questa fanfiction e che, prima o poi, riuscirete ad arrivare al gran finale.

A presto (si spera)!

Emy&Joz

  
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